Odio le favole

By chia_in_wonderland

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{Completa ✔️} Storia vincitrice dei WATTYS 2018 nella categoria Rubacuori •1^ classifica nella categoria stor... More

PROLOGO
✎ CAST ✎
CAPITOLO UNO
CAPITOLO DUE
CAPITOLO TRE
CAPITOLO QUATTRO
CAPITOLO CINQUE
CAPITOLO SEI
CAPITOLO SETTE
CAPITOLO OTTO
CAPITOLO NOVE
CAPITOLO DIECI
CAPITOLO UNDICI
CAPITOLO DODICI
CAPITOLO TREDICI
CAPITOLO QUATTORDICI
CAPITOLO QUINDICI
CAPITOLO SEDICI
CAPITOLO DICIASSETTE
CAPITOLO DICIOTTO
CAPITOLO DICIANNOVE
CAPITOLO VENTI
CAPITOLO VENTUNO
CAPITOLO VENTIDUE
CAPITOLO VENTITRE'
CAPITOLO VENTIQUATTRO
ROSA DEI CANDIDATI
CAPITOLO VENTICINQUE
CAPITOLO VENTISEI
CAPITOLO VENTISETTE
CAPITOLO VENTOTTO
Vincitore Wattys 2018
CAPITOLO VENTINOVE
CAPITOLO TRENTA
CAPITOLO TRENTUNO
CAPITOLO TRENTADUE
CAPITOLO TRENTATRE'
Capitolo trentaquattro
Capitolo trentacinque
Capitolo trentasei
Capitolo trentasette
Capitolo trentotto
Capitolo trentanove
Capitolo quaranta
Capitolo quarantadue
Capitolo quarantatrè
Capitolo quarantaquattro
Capitolo quarantacinque
Capitolo quarantasei
Capitolo quarantasette
Capitolo quarantotto
Capitolo quarantanove
Capitolo cinquanta
Capitolo cinquantuno
Capitolo cinquantadue
Capitolo cinquantatré
Capitolo cinquantaquattro
Epilogo
Ringraziamenti
Avviso importante
Spin-off
Domanda

Capitolo quarantuno

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By chia_in_wonderland

📍Monte Santo Spirito (Ag)
30 luglio 2018

-20 giorni


Una tazzina in frantumi, una bestemmia da far inorridire sua madre e le occhiaie di chi ha dormito sì e no dieci minuti scarsi: la sua mattinata non era cominciata nel migliore dei modi. Il rumore dei cocci sulle piastrelle della cucina riecheggiò nella stanza vuota, come un'eco della sera prima, attutendo per un istante il fragore dei suoi pensieri e sovrastando il gorgoglio e gli sbuffi della caffettiera.

«Maledizione, Adele. Non ancora tu» mormorò a denti stretti, infastidito perfino dall'aroma del caffè: quella mattina troppo forte, troppo nauseante.

«Ehi, ma che succede?»

Pietro sollevò lo sguardo: sua sorella Irene era sulla soglia della porta, i capelli ricci tutti arruffati e una sua vecchia maglietta, che lei usava come pigiama e che le arrivava appena sopra il ginocchio.

«Non ti avvicinare, Iré. Ora pulisco tutto.»

Lei rimase immobile e lo osservò raccogliere e buttare i resti di quella che una volta era una tazzina.

«È presto, Iré. Torna a dormire» le disse, prima di togliere dal fuoco la moka, stando attento a non scottarsi. «Ma perché diavolo fa 'sta puzza stamattina?» Sbatté la caffettiera sul ripiano e lo strinse tra le mani, guardando un punto indefinito dritto davanti a lui.

Irene non lo ascoltò nemmeno: si strofinò gli occhi per rimuovere le ultime tracce di sonno e, canticchiando, si diresse verso gli sportelli sopra il lavello, da cui recuperò due tazzine. Le riempì fino a metà di caffè e le poggiò sul tavolo. «Amaro?» domandò in tono neutro, il viso sul palmo, privo di espressione.

Suo fratello la guardò circospetto: probabilmente lo avrebbe fissato con quell'aria stralunata finché lui non avesse ceduto, parlando della sera prima.

Funzionava sempre: lei lo guardava senza dire niente, Pietro dopo un po' si innervosiva e finiva per confessarle tutto ciò che gli passava per la testa; quella volta, però, era diverso, perché forse poteva ancora fingere di averlo solo immaginato, ma dirlo ad alta voce, a sua sorella, comportava ammettere di esserci ricascato di nuovo. E allora: «So cosa stai cercando di fare, ma no, non ho intenzione di parlarne. Non è successo niente e io sto bene. Qualsiasi cosa pensi di aver visto, dimenticatela.»

Lei, impassibile, affondò il cucchiaino nello zucchero di canna, versandosene una generosa quantità nel suo caffè, e prese a mescolare lentamente. «Mamma e papà sono già arrivati a Palermo? A che ora ha la visita mamma?» chiese, picchiettando il cucchiaino sul bordo della tazzina.

Pietro lasciò cadere le braccia lungo i fianchi e scosse la testa. «Smettila di comportarti così. Non funzionerà.»

Irene sorseggiò rumorosamente il caffè e fece una smorfia, concentrata sulla bevanda scura, senza dare segno di averlo sentito. «Sa un po' di bruciato, ma accettabile, dai. Mi passi il telecomando, per favore?»

Pietro sbatté le palpebre: detestava quando Irene faceva così, ma decise comunque di assecondarla. Spinse il telecomando sul tavolo, nella sua direzione, e attese.

«Dubito ci sia qualcosa di decente in tv alle sei del mattino, ma tentar non nuoce» affermò lei per poi iniziare a fare zapping, sempre continuando a canticchiare lo stesso motivetto: una canzone del tizio che una volta faceva parte degli One Direction e di cui Pietro si dimenticava sempre il nome, nonostante sua sorella ne parlasse in continuazione e avesse le pareti della stanza tappezzate dalla sua faccia.

«La smetti di cantare 'sta canzone di merda?»

Irene si bloccò, mise da parte il telecomando e lo guardò malissimo, probabilmente se avesse potuto incenerirlo lo avrebbe fatto. «Prima di tutto "Sign of the times" non è una canzone di merda. Secondo, non parlare mai, mai più male di Harry in mia presenza. Non è di certo colpa sua se nella tua testolina c'è solo un loop eterno di AdeleAdeleAdele».

«Ah, vedi che volevi arrivare lì?» Pietro si accasciò sulla sedia e incrociò le braccia sopra il tavolo nascondendoci la testa. «Solo che io non... possiamo non fare questo?»

«Questo cosa?»

Lui alzò di scatto la testa e la guardò, esausto: «Questo» accennò a loro due, «tu che mi sembri, che ne so, tipo quelle dei call center, che mi metti il jingle in attesa che arrivi il momento di raccontarti i miei problemi. Cioè, se proprio dobbiamo, almeno passa direttamente alla parte in cui mi dai la tua massima e facciamola finita.»

Lei lo scrutò comprensiva: spense la tv e gli poggiò una mano sulla spalla. «Pietro, senti, non sei un cellulare, non funziona che io premo due tasti e tu ti resetti. Perciò se vuoi parlare, io ti ascolto. Altrimenti, beh, nessuno ti sta costringendo a fare proprio nulla.»

«Fanculo» disse Pietro rivolto al soffitto e si mise a ridere, una risata che non aveva proprio nulla di allegro. «Volevo baciarla, okay? Probabilmente lo avrei fatto se non fossi arrivata tu. E, senti qua che assurdità, mi sembrava che lo volesse anche lei. Forse sono solo pazzo, ma secondo me non lo ama.»

«D'accordo.»

«D'accordo? Irene, ma mi senti? Senti le cazzate che sto dicendo? Sono un coglione.»

Irene sorrise, era di dieci anni più piccola di lui eppure spesso e volentieri faceva lei da sorella maggiore. Lei era quella troppo matura per la sua età, quella che faceva e diceva sempre la cosa giusta. «Magari dovresti solo chiederlo a lei, magari non sei pazzo.»

Lui si alzò di scatto, facendo strisciare la sedia sulle piastrelle. «E poi cosa? Ammesso che abbia ragione, io... non posso. No, non le rovinerò ancora la vita. Devo farmi da parte. Basta. Lo so che l'ho già detto trentasette volte, ma... sono rimasto incastrato in questa storia troppo a lungo.»

Irene si stava alzando, ma lui le fece cenno di rimanere dov'era e bloccò sul nascere il suo tentativo di replica: «Non ci provare nemmeno a psicanalizzarmi. Se vuoi giocare alla piccola Freud, chiama il tuo ragazzo o Alice o chi cazzo ti pare. Io devo andare a lavoro, questa storia deve finire.» Buttò giù il caffè amaro e ormai freddo e le scoccò un bacio sulla guancia. «Se senti mamma o papà chiamami subito, okay? Ci vediamo a pranzo.»


*******


In piedi, dietro al bancone dei pesci, Pietro stava fissando da alcuni minuti il messaggio che aveva mandato ad Adele.

Lo aveva cancellato e riscritto un'infinità di volte, cambiando le parole, aggiungendo ed eliminando faccine, consapevole che tanto sarebbe finito tra gli screen delle gallerie di Arianna ed Eleonora.

"Mi dispiace per ieri... Credo di essermi fatto sopraffare dai ricordi. Sono stato assolutamente inopportuno. Amici come prima?"

Le spunte erano diventate immediatamente blu e la scritta "sta scrivendo..." continuava ad apparire e scomparire come per magia.

Probabilmente Adele ci stava mettendo così tanto a rispondere, perché era nel bel mezzo di una riunione di emergenza per selezionare l'emoticon da aggiungere o scegliere con quale frase a effetto terminare il messaggio; in effetti, forse anche lui ne avrebbe avuto bisogno.

"Tranquillo, non ci pensare nemmeno. Non è cambiato niente. Quasi Amici =)"

Amici. Loro due. Che stronzata colossale.

Lesse quel messaggio tre volte, in cerca di qualche nota sarcastica, polemica. Con i messaggi non era facile come dal vivo: se ce l'avesse avuta davanti, ci avrebbe impiegato un nano secondo a capire che cosa le stesse passando per la testa. Dietro lo schermo di un cellulare, invece, era più difficile.

"Mi sono ricordato che ieri dovevi dirmi qualcosa. Che cos'era?"

E quella piccola speranza gli si riaccese ancora, insieme a quei se, forse, magari che lo tormentavano la notte. "E se anche lei provasse ancora qualcosa per me? Forse si è accorta di aver fatto un errore a dire di sì a quello spocchiosetto. Magari ha cambiato idea e non si sposa più."

E a sperare si faceva solo del male e lo sapeva, ma non poteva farne a meno, così come non potè fare a meno di tremare quando arrivò la sua risposta.

"Niente di importante, volevo solo ringraziarti per l'aiuto, tutto qui. Ci vediamo in giro".

Forse, magari era solo un illuso, un patetico illuso. Si faceva pena da solo.

Mentre stava digitando una risposta veloce, udì il cigolio della porta, seguito dal rumore di alcuni passi.

«Siamo ancora chiusi» disse in automatico, in tono piatto. Quando alzò lo sguardo, però, si trovò davanti l'ultima persona che si sarebbe aspettato di vedere lì dentro: Gianluigi.

Pietro mise via il cellulare, come se scottasse, lasciando la schermata Whatsapp aperta e la risposta a metà. «Come posso esserti utile?» gli domandò, cercando di mascherare lo stupore con il suo miglior sorriso.

Gianluigi sorrise a sua volta ed era davvero difficile stabilire quale dei due fosse più finto; si passò una mano tra i capelli castano chiari, pieni di gel, e, con le mani nelle tasche dei bermuda e lo sguardo fisso sul pavimento, si avvicinò lentamente al bancone. «Mezzo chilo di questi gamberetti. Hanno un aspetto magnifico.»

Pietro lo scrutò per un istante, diffidente, poi annuì distrattamente e riempì un sacchetto di gamberetti, perché Gian qualcos'altro era pur sempre un cliente, un cliente che entrava in un negozio con tanto di cartello "Chiuso" in bella vista e che con molta probabilità non era lì solo per comprare quei magnifici gamberetti.

«Adele ha scelto solo piatti a base di gamberetti. Sai, per il menù di nozze. Li adora.»

Ecco appunto.

Pietro lo ignorò completamente, così come non diede peso alla voglia di scaraventargli quei dannati gamberetti in faccia. Poggiò il sacchetto sulla bilancia e digitò il codice corrispondente. «Hai bisogno di altro?»

Gianluigi sembrò pensarci su. «Sì, visto che me lo chiedi. In effetti, ho proprio bisogno che tu stia lontano dalla mia ragazza» dichiarò deciso, l'espressione dura, quasi minacciosa.

L'altro spalancò la bocca. E okay, quello proprio non se lo aspettava. Cioè, magari un po' sì, in realtà. Gian qualcos'altro, però, gli sembrava più uno da messaggi velati e contorti, non così diretti. «Come scusa?»

«Mi hai sentito. Devi dimenticartela, fare finta che non esista.»

Pietro puntellò le mani sul ripiano in acciaio inossidabile, quasi divertito dalla piega che stava prendendo quella situazione. «Fraté, ascoltami, tornatene a casa. Non sai quello che dici.»

«Primo non chiamarmi "fraté", non sono né un frate né tantomeno tuo fratello.»

Pietro, a quel punto, si mise a ridere, perché davvero? Lui poteva anche provarci a rimanere serio, ma l'altro gli stava rendendo le cose davvero difficili.

«Lo trovi tanto divertente?» domandò Gianluigi, con le mani sui fianchi, anche se la sua espressione tradiva ora una certa insicurezza.

«Veramente sì. Cos'era? Tipo una specie di battuta? Ma, ti prego, va' avanti con il secondo punto, non fare caso a me.»

Gianluigi serrò i pugni e il suo viso passò da incerto a infuriato e poi sorpreso: di certo non si aspettava quell'atteggiamento strafottente e canzonatorio. «Non sono qui per farmi prendere in giro da te, ma solo per chiarire le cose. Non mi interessa cosa ci sia stato tra voi, qualunque cosa sia appartiene al passato. Lei ora ama me, hai perso la tua occasione. Lasciala in pace. Questo giocare a fare gli amici deve finire.»

Pietro alzò un sopracciglio, afferrò uno strofinaccio e si mise a pulire il bancone, per nulla colpito da quelle parole. «Senti, fraté, se hai dei dubbi sulla tua relazione, una crisi d'identità o qualsiasi altro problema, dovresti parlarne con la tua futura moglie. Io devo lavorare, non ho tempo per fare la terapia di coppia con te.»

L'altro, però, non se ne andava, era piantato lì, con una faccia, almeno secondo l'oggettivo e imparziale parere di Pietro, da idiota, sempre nello stesso punto, come se le sue scarpe si fossero fuse con il pavimento. «No, "fraté", io non ho problemi con Adele. Ho un problema con te. Ho visto come la guardavi ieri sera. Sei ancora innamorato di lei, anche un cieco se ne accorgerebbe. Non so che cosa ne pensi la tua amichetta o quello che è, ma di sicuro a me non sta bene.»

Pietro esitò un istante, posandosi lo strofinaccio sulla spalla, e fissò lo schermo del cellulare su cui era appena apparso un messaggio di Adele. Sospirò, serrando gli occhi, e cercò di mantenere la calma. Era da quando l'aveva visto per la prima volta che sognava di tirargli pugno, proprio su quel naso dritto e lungo, ma sapeva che poi lei non glielo avrebbe perdonato mai e, davvero, non ne valeva la pena. «Giancoso, apri le orecchie: io e Adele ci conosciamo da quando siamo nati e tu non puoi nemmeno lontanamente immaginare il legame che ci unisce. Quindi, a meno che lei non lo voglia, non uscirò dalla sua vita. E di quello che pensi tu non me ne può fregar di meno. Ora, se non ti serve altro, ti pregherei di uscire dalla mia pescheria.» Gli passò il sacchetto di gamberetti e puntò il dito verso la porta, fissandolo impassibile, attendendo solo che se ne andasse.

«Speravo proprio di risolverla diplomaticamente, da gentiluomini, ma dovevo immaginare che con uno zotico marinaio la diplomazia non avrebbe funzionato. Mi chiedo come abbia fatto Adele a perdere così tanto tempo dietro a uno come te. Beh, pazienza, pochi giorni ancora e ce ne andremo via da qui e chissà quando vi vedrete ancora. Forse per il battesimo di nostro figlio.»

Pietro affondò le unghie nei palmi delle mani e contò mentalmente fino a venti, poi trenta, poi quaranta consapevole che nessun numero sarebbe bastato. Doveva farlo per Adele, anche se la prospettiva di mettergli le mani addosso diventava a ogni istante sempre più appetibile.

"Non ne vale la pena. Non ne vale la pena" se lo ripeteva come un mantra. Sperava davvero che se ne andasse di lì il prima possibile; lo sapeva lui e lo sapevano tutti quelli che lo conoscevano: tirare troppo la corda significava scavarsi la fossa da soli, perché lui era una persona buona e tutto, ma non sapeva gestire la rabbia e in quelle circostanze diventava imprevedibile.

Gianluigi, però, non accennava a volersene andare, sembrava quasi che lo stesse facendo di proposito, forse continuava a provocarlo sperando in una sua reazione. «Ora te lo dirò solo un'altra volta. Sta' lontano da lei, altrimenti, beh, la prossima volta non sarò così gentile.» Gli voltò le spalle e, facendo cadere a terra il sacchetto con i gamberetti, si incamminò verso l'uscita.

Pietro, però, prima che potesse mettere un piede fuori dalla porta, aggirò il bancone e in un attimo lo raggiunse: lo afferrò per il colletto della polo e lo spinse contro il muro, guardandolo con disprezzo.

Era pronto a sferrargli un pugno, pronto a scaricare tutta quella rabbia che aveva provato a reprimere per anni, che era tornata a galla all'improvviso, in tempo per abbattersi su di lui come un tsunami.

Era arrabbiato con Gianluigi, non per via di quelle sciocche e insulse minacce, di certo non gli serviva il suo permesso per vedere Adele, era arrabbiato con lui perché si era preso tutto ciò che era suo: Adele, la sua Adele. Soprattutto, però, era furioso con se stesso, perché era vero: aveva avuto la sua occasione e l'aveva buttata via per un motivo che adesso gli sembrava insulso; ce l'aveva con se stesso perché la amava ancora dopo tutto quel tempo, perché lo avrebbe sempre fatto.

Lasciò ricadere la mano sul fianco e conficcò di nuovo le unghie nel palmo. Se avesse fatto il suo gioco, se avesse anche solo alzato un dito su di lui, avrebbe perso Adele per sempre. Sollevò lo sguardo e lo fissò minaccioso, stringendo tra le dita il tessuto della maglietta. «Ora una cosa te la dico io, okay? La prossima volta che ti presenti qui, in casa mia, minacciandomi con quest'aria da professorino del cazzo, ti posso assicurare che nemmeno tua madre riuscirà a riconoscerti quando avrò finito con te. Sono stato chiaro?»

L'altro deglutì, spaventato, e annuì appena.

«Ora vattene e non farti più vedere da queste parti».

Gianluigi, quando Pietro lo lasciò andare, si passò le mani sulla maglietta tutta spiegazzata e, con un filo di voce, cercò per lo meno di fare un'uscita di scena dignitosa. «Non finisce qui.»

Pietro avanzò verso di lui di un passo, facendolo di conseguenza arretrare e finire nuovamente addosso al muro. «Io penso di sì, invece. Non te l'hanno insegnato? Non si gioca a fare il mafioso in casa di uno zotico siciliano.»


Spazio autrice:
Ebbene: ho aggiornato. Probabilmente, e sottolineo probabilmente, ora mi metterò sotto a studiare per gli esami e non so con che regolarità potrò scrivere.
Cercherò di ritagliarmi degli spazi, anche perché manca così poco...
Mancano 20 giorni al matrimonio e le cose non sembrano per niente migliorate. Il tentativo di voltare pagina di Pietro è fallito miseramente, quanto ad Adele, beh, lo scoprirete nel prossimo episodio.

Un bacio,
Chiara 📚 💤 (A.K.A studentessa disperata che avrebbe dovuto studiare durante le vacanze, ma l'unica cosa che ha fatto è stata abbuffarsi di cannoli).

Buona sessione invernali a tutti gli universitari.

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