Che ne sai dell'amore

By Chisciotte

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Vincitore dei Wattys2018 - sezione Astri nascenti Disponibile la versione eBook su Amazon a 0,99 centesimi: h... More

Prologo
1. Nicola il poliziotto
2. Giorgio il violinista
3. Il tempo allo specchio
SECONDA PARTE
4. Due anni prima
5. Vacanze estive
6. Partenze
7. Parole lontane
11 settembre 2001
9. Ritorni
10. Notte in montagna
11. Lucio, lo studente di architettura
12. Incomprensioni
13. Il vero motivo del suo ritorno
14. Mondo capovolto
TERZA PARTE
19 giugno 2002
16. Immigration
17. La città degli angeli
18. Nani
19. Paul
20. Autonoleggio
21. Beach volley
22. Rosa sente le voci
23. Cinque giorni dopo
24. Giselle
25. Free English School
26. La quiete dopo la tempesta
27. Guerra e pace
28. Dal Canada con amore
29. Brutte sorprese
30. Quartiere russo
31. Un po' di pace
32. Primo giorno di scuola
33. Nikita e Capone
34. The purpose
35. Brother & sister
36. Marius
37. David e i nani
38. Riconciliazione mancata
39. Più nero che grigio
40. Nouvelle Caffè
41. Follia
42. Topanga Canyon
44. Rosa nel Paese delle Meraviglie
23 dicembre 2003 (quando tutto ebbe inizio)
Epilogo
Se la storia ti è piaciuta

43. Nella tana del nano

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By Chisciotte

«Vado un attimo in bagno» disse all'uomo con i pantaloni calati. Come a volersi giustificare con quello sconosciuto che pretendeva qualcosa da lei. Intorno erano tutti nudi, facevano di tutto. Non aveva più dubbi; a forza di nominarlo era finita davvero all'inferno, nel girone dei lussuriosi.

Cercò i suoi vestiti tra quelli ammucchiati.

«Non c'è tempo» la esortò il nano.

La sala era così poco illuminata, che Rosa indossò i primi slip che le capitarono in mano, una camicetta bianca e corse via da lì.

Attraversarono uno dei due corridoi con le camere allineate, dalle quali fuoriuscivano lamenti e gemiti a non finire. Un profumo dolciastro misto a quello di marijuana, aleggiava nell'aria insieme alla musica soffusa. In quel momento una voce sensuale cantava in francese 'Moi Lolita'. Ripensò al capolavoro di Nabokov...

Passarono accanto a una Jacuzzi zeppa di gente; il colore di quell'acqua era nauseante, ma quelli non sembravano farci caso. D'un tratto scorse la porta di un bagno. Fece per entrarvi, avrebbe volentieri vomitato. Osservò il nano a cui era aggrappata e tornò a stupirsene. Da dove era sbucato? Le parve di riconoscerlo.

Gli occhi del nano sprigionavano un affetto incondizionato nei suoi confronti, un sentimento immeritato da parte di uno sconosciuto. Eppure c'era qualcosa in lui che le sembrava così familiare... per un attimo la sfiorò un'idea assurda.

La rifiutò.

«Andiamo via, ti prego» insisté il nano.

Rosa lo seguì barcollando. In fondo non poteva condurla in un posto peggiore di quello.

«Dove ti ho già visto?» chiese con una voce così distante che sembrava appartenere a qualcun altro.

«Seguimi» disse il nano voltandosi appena. Aveva un'andatura indecisa, la strattonava a destra e sinistra, poi ritornava sui suoi passi. Sembrava tentasse di trovare qualcosa.

D'un tratto i suoi occhi si illuminarono: vide ciò che stava cercando con tanta veemenza e la trascinò senza più esitare.

Giunsero davanti alla statua di un cane, alta poco più di un metro. Il nano si guardò intorno, accarezzò la statua e gli occhi del cane si illuminarono. Sembravano gli occhi della volpe là fuori.

Disse: «Dve tras pulè.»

La statua parve animarsi. Qualcosa si aprì tra le zampe anteriori, come una porticina. Il nano si infilò in quel pertugio e le fece segno di seguirlo.

«Sono troppo grande per entrare in quel buco!» disse stizzita.

«Non tutto è come sembra» rispose il nano, esortandola a entrare.

Rosa si contorse per oltrepassare quella porta minuscola, infilò a fatica la testa, poi riuscì a farci passare un braccio. Si allungò verso il fondo della statua, fece scivolare la spalla e trasse a sé anche l'altro braccio. Era dentro. Un vortice d'aria fredda e umida l'aveva aiutata in quell'impresa. A mano a mano che una parte del suo corpo si era avvicinata all'ingresso, la porta era sembrata dilatarsi per permetterle di passare. O era lei che si era rimpicciolita?

La piccola porta si richiuse dietro di lei con l'eco di un immenso portone. E fu buio pesto. E le parve di non esserci più.

«Dovei sei?» chiese con la voce di qualcun altro.

Il silenzio di quel luogo era totale.

«Ehi!» urlò.

Udì l'eco della propria voce, che come quello del portone non rispettava le dimensioni del luogo in cui si era rifugiata.

Si rannicchiò. Rimase in quella posizione a lungo. Rifletté, per quanto l'alcol che aveva in corpo le concesse. Lei e il nano erano troppo grandi per essere contenuti in quella piccola statua. E da quando in qua si poteva entrare dentro alle statue? Esplorò lo spazio intorno a sé con le mani ma, eccetto il pavimento, non trovò alcun ostacolo. Non c'erano pareti o soffitti che le avrebbero impedito di assumere la posizione eretta, non c'era più neanche il nano. Con la forza di chi ha perso tutto tranne la dignità, si alzò.

«Ehi, tu! Dove sei?» tuonò in quello spazio di cui non riusciva a dedurre le dimensioni.

Gli occhi si abituarono a quel buio pesto e iniziò a scorgere delle ombre. Sembrava finita in una grotta. Il nano doveva conoscere un passaggio sotterraneo per uscire dalla villa.

Vide una luce in lontananza. Tastando sempre bene il terreno prima di ogni passo, si diresse in quella direzione. A mano a mano che si avvicinava all'uscita di quello che doveva essere un passaggio segreto, la luce divenne sempre più chiara e abbagliante e... rosa. Nel giro di pochi istanti, l'interno di quella piccola statua, che si rivelò un luogo sconfinato, fu illuminato da un bagliore potente come un'alba.

Uscì dalla grotta incapace di tenere gli occhi aperti. C'era troppa luce. Sentì il pavimento divenire caldo e soffice. Aveva appoggiato un piede su una distesa di sabbia. Provò ad aprire gli occhi, guardò verso il basso. Non era proprio sabbia, sembrava più polvere rosa simile alla cipria. Cadde in ginocchio sulla morbida distesa, sprofondò con le mani in quel tappeto di velluto che aveva il potere di consolare. Non poteva essere naturale. Sollevò gli occhi al cielo, un cielo color lavanda illuminato da un sole più piccolo del normale, accanto al quale splendevano due pianeti.

Il mondo che aveva davanti, non poteva trovarsi fuori dalla villa di Malibu. Si guardò intorno, sembrava non finire più. Sabbia, sabbia a perdita d'occhio. Si mise in piedi, fece un giro su se stessa senza riuscire a scorgere l'orizzonte. Sparse in quel paesaggio, c'erano delle piccole rocce che ricordavano la grotta da cui era appena stata partorita. Si voltò a cercarla. Non c'era più.

Da una di esse emerse il nano della camera degli ospiti di Paul; con un cenno della mano la invitò a entrare.

Si avvicinò con la sensazione di trovarsi in un sogno. In uno di quei sogni in cui si sta così bene da non volerne uscire più. L'aria era leggera, aveva un profumo intenso e struggente che la riempiva di malinconia; il piccolo sole che illuminava il cielo in maniera così singolare, emanava un lieve tepore. Il cielo era di un limpido mai visto prima.

Rosa si avvicinò alla grotta del nano.

«Cosa aspetti?» disse Tim, con voce rauca.

Lei entrò.

«Come... come hai fatto a uscire dalla statua di marmo?» balbettò Rosa.

Era abituata a vedere riproduzioni di persone reali, e non incarnazioni di statue.

«Come hai fatto tu a entrare.»

«Entrare dove?» si guardò intorno allibita. «Che posto è mai questo? Io ero entrata in una statua, in un nascondiglio! Un luogo angusto, mica un mondo! Come fa tutto questo a essere contenuto in una... in una statua?»

«Come fa, l'universo che hai dentro, a vivere dentro di te?»

Rosa osservò il proprio corpo. Percepì l'infinito che aveva sempre portato dentro. Ebbe una vertigine.

«La statua, come la chiami tu, è una porta. È laggiù, guardala» disse il nano indicando una delle piccole rocce.

«Non posso essere uscita da quel buco.»

«Sei entrata da un'apertura ben più piccola di quella» riferì con aria compunta.

«Sì ma poi si è... dilatata, credo. Avrebbe potuto essere attraversata da un elefante.»

«Quando smetterai di fermarti alle apparenze?»

Trascorsero qualche minuto in silenzio.

«Dunque le rocce sono delle porte spaziali?»

«Spazio-temporali. Sono le nostre porte sul mondo. I nostri occhi su di voi. In situazioni del tutto eccezionali ci è concesso di uscire. In casi che nemmeno noi conosciamo bene. Non si potrebbe, ma ogni tanto accade. E credo che questo sia uno dei rari eventi in cui qualcuno di noi porta qualcuno di voi qui. Nel vostro mondo, lo definireste un miracolo. Ero disperato, Rose. Hai corso un grave pericolo.»

«Quindi qualcuno è già stato qui! Perché allora... perché nessuno ne ha mai parlato?!»

«Credo che una volta uscita da qui, dimenticherai ogni cosa, o quasi. Adesso ascoltami, potrebbe finire tutto da un momento all'altro. Non permettere a nessuno di portarti via il colore che porti dentro. Sei una custode, lo capisci? E ora... questa è la porta del tuo appartamento. Adesso entrerai lì, uscirai dalla flamenquita, farai le valigie e andrai dritta all'aeroporto. Quell'uomo è pericoloso. Rosa, devi scappare.»

«Scappare? Ma io voglio restare qui.»

«Non puoi. Non avresti neanche dovuto conoscere questo posto. Non così presto.»

Rosa era sempre più confusa.

«Fammi restare ancora un po', ti prego. Questo mondo è favoloso. Si respira la pace.»

«Il tempo che trascorrerai qui dentro, là fuori non sarà mai passato. Ti terrei se potessi, ma più resterai qui, più correrai un immane rischio.»


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