«What is the purpose of your life?» chiese Rosa appena salì sull'auto.
Era veramente demoralizzata.
«Portarti al mare» rispose Marius senza tergiversare.
Aprì il tetto di quella vecchia Buick e partì senza guardarla in viso.
Rosa poté arrossire senza essere notata.
«Dico davvero» continuò dopo qualche minuto di silenzio, nel migliore inglese che le riuscì. Al primo semaforo rosso, lui poté guardarla bene in volto. «Anch'io» disse serio.
Il viaggio fino a Santa Monica durò una mezz'ora. Un lasso di tempo in cui Rosa non pensò nemmeno una volta alla sua famiglia, né a David che sembrava impazzito, né alla sua ennesima delusione. Si trovava su un'auto con un uomo di cui non sapeva nulla, che le stava dando quelle attenzioni che David continuava a negarle.
«Lo scriverai sul tema che Kate ci ha dato per fine mese?» continuò ironica.
«Certo» sorrise Marius, mostrandole dei denti perfetti.
L'auto sfrecciava sulla freeway. Rosa si scoprì felice mentre ammirava Down Town da lontano. Iniziò a provare affetto per quella città, con quei grattacieli sempre visibili, di giorno e di notte. Paragonò quella presenza costante a uno sguardo materno. Come se quei colossi di cristallo vegliassero su di lei, con gli occhi attenti e luminosi di una madre.
Inspirò a pieni polmoni; quell'aria, così asettica e inodore, profumava di libertà. Aveva ragione David.
«E tu, cosa scriverai?» le domandò distogliendola dai suoi pensieri.
Scriverai... forse era davvero quello lo scopo della sua vita.
«Un romanzo. E parlerà anche di te» disse senza perdere di vista Down Town che si allontanava alla sua destra.
Arrivarono al mare.
L'oceano era come sempre agitato, qualcuno faceva surf, qualcun altro provava a entrarci con le solite mute improvvisate.
Rosa respirò la libertà.
«C'è una cosa che non riesco a capire. Dove vanno a finire tutti gli odori di Los Angeles?»
Lui le indicò la curva dell'orizzonte, visibile per tre quarti del cielo. Finiva tutto lì. Finiva tutto nel vento che da qualunque parte spirasse puntava sempre verso quell'orizzonte sconfinato.
«Grazie» sussurrò. «Grazie per avermelo detto.»
«Vuoi vedere dove trascorro i miei fine settimana?» le domandò sottovoce.
Rosa annuì.
La accompagnò in una zona periferica di Venice Beach, non distante dalla spiaggia. Los Angeles le mostrò un altro dei suoi mille volti. Quella zona era così diversa dalla Venice Beach che aveva conosciuto fino ad allora, e Venice era diversa da Santa Monica, Santa Monica era un altro mondo rispetto a West Hollywood, e West Hollywood non c'entrava nulla con Beverly Hills.
La struttura che si trovò davanti era composta da piccoli appartamenti ubicati tutti al piano terra, con gli ingressi attigui l'uno all'altro. Ma non era il solito stabile. Sembrava un arcobaleno in muratura, di cui ogni colore rappresentava l'estensione in larghezza di ogni singolo appartamento. Marius la condusse verso quello color cobalto. Rosa lo seguì con lieve disagio. Stava per entrare nella dimora di un uomo che conosceva appena. Pensò a David, si fermò sulla porta d'ingresso. Fece un piccolo, impercettibile passo indietro.
«Non temere» le disse Marius offrendole la mano. «Voglio solo mostrarti i miei tesori.»
A un primo colpo d'occhio, l'appartamento risultò più grande di quanto appariva dall'esterno. O forse si era a tal punto abituata alla sua microscopica cameretta, che un monolocale le sarebbe sembrato una reggia. Si estendeva per lo più in lunghezza e dalla vetrata frontale, visibile dalla porta d'ingresso, si scorgeva il mare.
«Che meraviglia» sussurrò estasiata.
Si diresse verso quella finestra che offriva uno dei paesaggi più esclusivi del luogo. Sedette su una poltroncina consumata, rivolta verso il mare. Marius doveva trascorrere molte ore in quella incantevole posizione sul mondo. Contemplò per qualche istante l'oceano prima di notare la piccola libreria proprio lì accanto, che non offriva certo spettacoli meno eclatanti: Hemingway, Hugo, King, Dostoevskij. Guardò piena di ammirazione quell'uomo che amava i suoi stessi autori; si era messo a scongelare sul fuoco delle linguine allo scoglio.
Le trangugiarono in silenzio, accompagnate dal rumore del mare e un tè.
Marius ripose le stoviglie nella piccola lavapiatti e le propose di guardare un film. Come la libreria, anche la cineteca offriva film di altissima qualità. Affidandosi al buon gusto dell'amico, scelse un titolo che non aveva mai sentito nominare.
Tim: «Per forza, uscirà nelle sale tra un anno.»
Tom: «Il tempo non è mai stato un limite per noi.»
Il regista era tra i suoi preferiti: Tim Burton. Il film si intitolava 'Big Fish' ed era il racconto fantastico di un uomo che aveva sottratto la sua vita normale, alla banalità. Gli era bastato non fermarsi alle apparenze nude e crude della realtà, ma condire ciò che gli accadeva con la fantasia. Così due gemelle che lo avevano incantato su un palcoscenico, in tempo di guerra, erano divenute siamesi. Un amico spilungone, fu trasformato in un gigante buono, alto cinque metri. Il paesino di montagna dove si rifugiava quando aveva bisogno di staccare, diveniva un luogo magico in cui l'insegnante di pianoforte era una maga con un occhio di vetro. E quando il giorno in cui nacque suo figlio non solo non era presente, ma tornò a casa senza fede nuziale, narrò la cattura del più grande pesce fluviale di tutti i tempi, che nella lotta per la sopravvivenza aveva inghiottito il suo prezioso anello.
Superata la commozione che il finale suscitò in entrambi, Rosa decise di raccontargli dei due nani a casa di Paul. Forse le loro voci, le loro espressioni, altro non erano che un prodotto della sua fantasia per sopravvivere a quel mondo che si era rivelato l'opposto di ciò che sperava. Anche lei era un po' Big Fish. Dopo aver visto quel film, non ebbe paura di parlarne. Tim Burton le ricordò che si poteva andare fieri della propria follia, dopo tutto.
Marius si godette il racconto delle sue avventure fantasy, dei nani parlanti, di Nikita e Capone, della minuscola ballerina che ogni tanto faceva due passi di flamenco. E intanto il cielo iniziava a imbrunirsi; il clima ancora estivo, tiepido come la strana stagione appena trascorsa, poteva trarre in inganno durante il giorno, ma le ore di luce diminuivano e alle sei di sera si potevano già ammirare i colori del tramonto. Che anche se un paesaggio del genere poteva ammorbidirne gli effetti, quella malinconia che accompagnava inesorabile l'autunno si fece sentire.
Chiese a Marius se anche a lui l'inizio dell'autunno infondeva tristezza, ma quando si voltò lo vide rovistare nell'altra, più grande libreria che occupava entrambe le pareti del corridoio.
Appena trovò ciò che cercava, tornò da lei.
«Io vengo da qui» disse orgoglioso.
Rosa lo osservò incuriosita, mentre lui le appoggiava sulle gambe due pesanti album fotografici.
«La Transilvania» continuò. «Sono un lontano parente del conte Dracula!»
Rosa finse di trasalire. «Fai vedere i denti...» disse trattenendo la risata che le stava salendo in gola.
Marius le mostrò le foto della sua famiglia. Quelle di suo padre, un noto direttore d'orchestra romeno, quelle di sua madre, una bellissima ateniese trasferitasi a Bucarest per amore, e quelle più recenti di sua sorella vestita da sposa.
«Quella fu l'ultima volta che tornai in Romania. Sono già passati cinque anni. È che sto così bene qui... e tu invece cosa combini?»
Rosa sospirò. «Sono qui da quattro mesi e la mia vita è un inferno.»
Marius sedette accanto a lei, pronto ad ascoltarla.
«Mi dispiace. È colpa del tuo... di quello che si spaccia per tuo fratello?»
«Mio fratello!» sorrise amareggiata. «Era l'uomo che amavo.»
Si fermò ad ascoltare la propria voce che parlava al passato. Tutto quell'amore, che l'aveva portata fin lì, iniziava ad appartenere a un tempo che non era più quello in cui stava vivendo.
«L'ha voluto lui, capisci? Ha fatto di tutto per farsi odiare» continuò. «Forse non era amore. Forse...»
Marius la baciò.
Il cuore di Rosa ebbe un sussulto. Non si aspettava quel bacio, non così presto; non era pronta. Si ritrasse all'istante. Guardò fuori dalla finestra.
«Non era amore, Rose» le sussurrò Marius cercando di riconquistare i suoi occhi.
Uscirono sulla spiaggia; avrebbero continuato il discorso se in quel momento la sua conoscenza della lingua inglese non avesse subito una regressione di qualche anno. Marius si fece in quattro per comunicare con lei come prima del bacio. Le parlò in inglese, in francese, abbozzò qualche parola perfino in latino, ma Rosa si era chiusa a riccio. Sembrava non capire più nulla; nello stato confusionale in cui era piombata, le sarebbe risultato incomprensibile perfino l'italiano.
«Se vuoi ti riaccompagno a casa» disse Marius in tono sommesso.
Rosa pronunciò un flebile sì.
«Prima però promettimi che starai attenta a lui, non mi è piaciuto come ti ha guardato oggi.»
«È uno stronzo innocuo, non preoccuparti per me.» Ritrovò le parole.
La freeway era deserta, doveva essersi fatto molto tardi. Non così tardi da trovare David già a casa. Avrebbero discusso il giorno dopo, a mente fredda. La vista di Down Town le infuse coraggio; c'era lei a proteggerla dall'alto dei suoi grattacieli illuminati.
Arrivarono sotto casa in silenzio. Rosa gli baciò una guancia.
«Grazie. Ho trascorso una giornata indimenticabile» disse con un filo di voce.
Alzò appena gli occhi e incrociò i suoi, che la osservavano preoccupati.
«Ti prego, ti scongiuro, stai attenta a lui.»
Le carezzò il viso.
«Starò attenta, te lo prometto.»
«A domani» le disse Marius, aspettando una risposta che non arrivò. Aspettò che percorresse il vialetto di casa e giungesse al portone.
Rosa lo salutò a più riprese, voltandosi di tanto in tanto in quel breve tragitto. Scomparve nel portone che com'era ovvio – grazie all'alto tasso di ladri imbecilli - trovò aperto, così come la porta di casa.
Meno ovvio fu trovare David a casa, alle undici di sera.