Gli acrobati d'inverno [dispo...

By ElaineAnneMarley

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**WATTYS 2018 WINNER** Camelie Venice Lambert ha tutto quello che una diciassettenne dell'era ultramoderna po... More

Prefazione
Prologo
1. L'annuncio di un matrimonio felice (I)
2. L'annuncio di un matrimonio felice (II)
3. L'affascinante uomo dietro la maschera (I)
4. L'affascinante uomo dietro la maschera (II)
5. Il premio più prestigioso (I)
6. Il premio più prestigioso (II)
❄️ Cover Reveal: copertina cartaceo ❄️
❄️ DOVE CONTINUARE A LEGGERE LA STORIA ❄️
❄️ NEWS SPIN-OFF/SEQUEL degli ACROBATI D'INVERNO ❄️
🍬 FanArt #1
7. L'angelo del ghetto (I)
9. Tarocchi propizi (I)
10. Tarocchi propizi (II)
🍬 FanArt #2
🍬 FanArt #3
EXTRA - GADI vince ai Wattys: cosa ne pensano i protagonisti di LUDD?
🍬 FanArt #4
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🌃 Nuova Storia! 🥀

8. L'angelo del ghetto (II)

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By ElaineAnneMarley

Camelie fu svegliata dal borbottio di una teiera. Di quella che doveva essere una teiera gigante, considerata la veemenza degli scoppi e del gorgoglio dell'acqua.

Non c'era niente di familiare in quel risveglio e la ragazza tentò di ricordare in quale delle sue stanze si fosse addormentata la sera prima. Le stanze lavanda dove si rintanava quando non voleva essere disturbata? Impossibile, c'era troppa confusione. Le calde stanze corallo? Neanche, dal momento che aveva i piedi congelati. Ma allora non poteva che trattarsi delle sterminate stanze ardesia, dove crollava ogni qualvolta organizzava un party. Il mal di testa lancinante poteva essere una spia di un festino che aveva preso una piega inaspettata, ma il profumo intenso di orchidee era decisamente fuori posto. Era talmente avvolgente che offuscò per un attimo gli altri sensi, tanto che la ragazza fu costretta a domandarsi come mai fosse in grado di associare con precisione quell'aroma a una pianta che sua madre non aveva mai voluto coltivare. Graziella Lambert aveva infatti sempre avuto una forte repulsione per gli eleganti fiori che...

I ricordi terrificanti della notte precedente le crollarono addosso, e Camelie spalancò gli occhi in preda al panico. Non era nella tenuta Lambert, non era affatto in una delle sue camere da letto. Ricordava distintamente di essere svenuta su un marciapiede ghiacciato del ghetto.

Mentre si guardava attorno allarmata, tentò di sollevarsi, ricadendo però all'indietro. Capì subito il motivo della difficoltà a muoversi: non era stesa in un letto, ma in una grossa amaca che la fasciava come il bozzolo di una crisalide.

Un paio di braccia scure la afferrarono per le spalle, aiutandola a sedersi.

Nell'incrociare lo sguardo cristallino del ragazzo dai tratti latini che l'aveva salvata dai malviventi, Camelie sentì il cuore balzarle in gola. L'angelo del ghetto non era dunque il protagonista dell'incubo più reale che avesse mai avuto, ma una persona in carne e ossa.

Era talmente attraente che Camelie non riuscì a non divorarne con lo sguardo ogni dettaglio. Una chioma ebano, di ciocche mosse, gli incorniciava le mandibole squadrate, ricoperte da un accenno di barba che gli donava un'aria deliziosamente trascurata. Gli occhi acquamarina avevano un magnetismo che Camelie, abituata alle iridi rosse dei suoi coetanei - tutte artificialmente simili - non aveva mai sperimentato. Ovviamente c'erano svariate persone con gli occhi chiari tra i suoi conoscenti, dal momento che i tratti albini erano un'esclusiva della sua generazione, ma era la prima volta che scovava una tonalità tanto seducente di smeraldo.

Incapace di darsi un tono, la ragazza abbassò lo sguardo sulle spalle scoperte e sui bicipiti in bella mostra. Non le sembrava facesse tanto caldo in quell'ampia camera... o meglio sala... in quello spiazzo riparato... insomma, ovunque fossero.

«Come ti senti?» le domandò divertito il giovane. «Hai dormito almeno venti ore di fila e ti starai chiedendo dove sei capitata».

«Dove sono capitata?» gli fece eco lei alzando il capo su un soffitto apparentemente di cerata. Persino la voce del ragazzo le piaceva, era sicura e ammaliante.

«Sei ancora nel ghetto di Nilemouth. In uno dei tendoni del circo».

«Dove?!» sobbalzò Camelie tornando a fissare il suo interlocutore.

«Come ti chiami?» sorrise l'altro.

La ragazza aprì la bocca, pronta a rivelare il suo nome al suo personale angelo del ghetto, quando fortunatamente si ricordò dove fosse e un senso di allerta le suggerì di non svelare troppo.

«Venice».

«E non ce l'hai un cognome, Venice?»

La ragazza sapeva bene che i suoi capelli nivei e le iridi rubino erano un segnale inconfutabile dell'appartenenza al ceto borghese di Nilemouth. Sarebbe stato inutile tentare di nasconderlo, ma ciò non significava dover rivelare il suo vero cognome.

«Venice Winters» rispose di getto. Stranamente, tra tutti i cognomi tra cui avrebbe potuto scegliere, le venne in mente proprio quello dei suoi vicini.

«Piacere, Venice Winters. Io sono Xavi».

«E non ce l'hai un cognome, Xavi?» lo provocò la ragazza, arricciando le labbra furbescamente.

L'altro sogghignò. «Xavi Karev. Non è di certo un cognome che ho piacere a svelare, ma probabilmente a te non dice nulla».

Camelie scosse il capo confusa.

«Meglio così. Vuol dire che non hai pregiudizi nei miei confronti».

Qualsiasi pregiudizio difficilmente avrebbe offuscato l'effetto che il fascino di Xavi Karev aveva su di lei. In quel momento, Camelie non si sarebbe stupita se un paio di ali nere fossero spuntate improvvisamente dalla sua schiena muscolosa. Nere, perché si trovavano pur sempre nel ghetto. La ragazza non poteva di certo dimenticare in dieci minuti i racconti che aveva sentito per anni su quel luogo sospeso tra terra e inferno.

Una persona per bene non avrebbe mai accettato di vivere nel quartiere più malfamato dei Nilemouth, Xavi Karev non poteva di certo essere l'eccezione. Eppure non sembrava pericoloso. Ed era divinamente bello.

«Avrai però una marea di pregiudizi sul circo» riprese il ragazzo facendosi serio.

«Beh... Come tutti conosco le voci che girano....» Camelie tentò di prenderla alla larga.

«Le voci che girano tra i borghesi, intendi» la corresse lui. «Non tutti vedono il mondo come lo vedono gli schiavisti in cima alla piramide, Venice. Ti assicuro che quando hai i piedi per terra, la prospettiva è molto diversa. Magari avrai l'occasione anche tu di osservare finalmente il mondo da vicino».

Non sapendo come controbattere, senza accusare il bell'angelo di essere un poco di buono, Camelie prese a guardarsi intorno con attenzione.

Si trovavano effettivamente in un tendone. La cerata, che riparava un'area di qualche centinaio di metri quadri, non era un pezzo unico, ma un telo cucito insieme alla meglio. Il risultato era un mosaico di variopinta causalità. Non c'era alcun criterio nell'accostamento dei colori di quel soffitto nato evidentemente solo per necessità.

L'ambiente era riscaldato da stufe di svariate dimensioni e tipologie: c'erano macchinari elettrici, alimentati da cavi che entravano e uscivano dal pavimento come serpenti dalle loro tane; caloriferi che bruciavano legname sintetico e stoffe; turbinette a vapore che emettevano gli sbuffi da cui Camelie era stata svegliata.

Non era chiaro se il tendone fosse un riparo provvisorio oppure un enorme accampamento stabile, dal momento che oltre alle numerose amache erano state montante anche tende da campeggio. Si poteva davvero vivere stabilmente in un posto così?

Camelie non riusciva inoltre a capire se tutta quella gente appartenesse al circo. C'erano centinaia di persone ammassate lì dentro. I pettegolezzi che riguardavano il circo dipingevano la problematica comunità come l'amalgama dei tratti peggiori del genere umano. Ladri, spacciatori, violentatori, contrabbandieri, tutti che portavano avanti le proprie losche attività dietro alla facciata di spettacoli grotteschi che una volta a settimana richiamavano un numero incredibile di abitanti di Nilemouth. Il circo era infatti l'unica forma di divertimento per coloro che non potevano permettersi il teatro, i concerti o il cinema esperienziale.

Sollevandosi meglio nell'amaca, Camelie scorse l'area in lungo e in largo, aspettandosi di vedere le gabbie degli animali. Non si sarebbe stupita se uomini e bestie avessero dormito insieme.

Non c'era però neanche l'ombra delle belve che costituivano l'attrazione principale del circo.

«Cosa darei per essere nella tua testa, in questo momento» la richiamò Xavi e Camelie dovette mordersi la lingua per non ribattere che non aveva nulla in contrario a farlo sbirciale tra le sue sinapsi. E non solo.

Non si era mai sentita così attratta da un uomo. Quello che aveva provato fino a pochi giorni prima per Kennedy Holsen impallidiva al confronto.

Di certo non si sarebbe messa a dire stupidaggini come quella che le era appena venuta in mente. Nessuno le impediva però di continuare a immaginare che Xavi avesse un paio d'ali di morbide piume nere che mostrava solo alle persone fidate.

Ridacchiando tra sé e sé, scese dallo scomodo giaciglio.

«Grazie per avermi salvato ieri notte. Perdonami per non averti ringraziato prima» disse invece seriamente e Xavi parve apprezzare la sua gratitudine sincera.

«Non c'è di che, Venice. Nel ghetto bisogna sapersi muovere e ti assicuro che è difficile persino se ci sei cresciuto. Una figlia albina delle piantagioni non avrebbe mai dovuto avventurarsi nei vicoli da sola».

«C'è qualcuno che può farmi del male, qui?»

«Oh sì, molte persone. Ma nessuno te ne farà. Ho già sparso la voce che sei ospite di Ozzie».

«Ozzie?»

«Non hai mai sentito nominare neanche Ozzie?» chiese lui, visibilmente sorpreso.

L'altra scosse ancora il capo.

«Ozzie è il nostro leader. È il capo del circo da quando si è insediato a Nilemouth, più di dieci anni fa. Tutti rispettano la sua autorità, quindi cerca di portargli rispetto anche tu, visto che lo incontrerai a breve».

La ragazza stava per protestare, ma Xavi le poggiò un dito sulle labbra per zittirla. Il gesto ebbe l'effetto di farle dimenticare completamente chi fosse e soprattutto che motivo avesse di non incontrare quell'Ozzie.

«Ti ha invitato a pranzare con lui. E mi sembra una buona occasione per sancire che sei davvero sua ospite. Vedilo come un modo per rimanere al sicuro finché sarai qui».

«Ci sarai anche tu? Al pranzo con Ozzie, intendo» precisò abbassando lo sguardo imbarazzata.

«Se mi chiederai di rimanere, rimarrò».

Camelie non si fece di certo pregare. «Rimani» lo supplicò sbattendo nervosamente le ciglia di zucchero.

La tenda di Ozzie era da qualche parte al centro dell'accampamento coperto. Camelie seguì Xavi attraverso una folla informe di etnie diverse, abiti logori, odori penetranti, sguardi rancorosi e risate spensierate. Era uno spettacolo umano talmente diverso da quello a cui era abituata, che faceva fatica a fissarne i dettagli. Forse in parte dipendeva dal fatto che non era particolarmente interessata. Si trattava di gente troppo diversa da lei. Non aveva mai considerato degni della sua attenzione neanche i ragazzi che, come Sybil Greenfield, presentavano dei tratti albini a metà. Se i più poveri tra i ricchi non erano alla sua altezza, i più poveri tra i poveri erano alieni con cui non voleva avere niente a che fare. Con l'eccezione di Xavi Karev. Xavi era chiaramente un'anima pura, capitata per sbaglio in mezzo alla marmaglia degli inferi di Nilemouth.

In molti puntavano il dito, commentavano i suoi occhi color del sangue e i suoi capelli che, sotto le luci artificiali che pendevano dal soffitto di cerata, diventavano di un bianco ancor più lucente. Ma la ragazza non aveva alcuna paura di quella gente disperata; aveva il presentimento che finché Xavi fosse stato al suo fianco, non le sarebbe accaduto nulla.

Non sarebbe mai riuscita a orientarsi da sola in quello sterminato spiazzo riparato; le persone erano accampate le une sulle altre ed era estremamente difficile ancorarsi a dei punti di riferimento. Il suo cicerone si fermò improvvisamente e le fece cenno di entrare in una tenda più grande delle altre. Facendosi coraggio la ragazza allargò titubante la fessura. Una zaffata di sigaro le portò una melodia blues e Camelie cozzò violentemente con il corpo d'acciaio dell'uomo che stava uscendo.

Un gelo simile a quello della sera precedente la paralizzò sull'uscio. L'occhiata del ragazzo che la sovrastava la mise talmente a disagio che Camelie si rintanò dietro a Xavi. Mai nessuno l'aveva guardata con un disgusto tanto abissale.

Lo sconosciuto la studiò con attenzione e sul suo volto si dipinsero fastidio, scherno, ripugnanza, e infine odio. Un odio ingiustificato e cieco, che non poteva che essere rivolto a ciò che Camelie rappresentava, più che alla persona in sé.

Non era la prima volta che qualcuno la guardava con disprezzo, ma l'espressione che il ragazzo del circo le rivolse era più potente di tutte le occhiate derisorie dei suoi genitori, dei professori e di Kennedy Holsen messe insieme.

Eppure l'odio che lo sconosciuto aveva riversato su di lei non era niente in confronto a quello che riempì i suoi occhi verdi quando si spostarono su Xavi Karev.

I due chiaramente si conoscevano, ma nessuno dei due aprì bocca. Si limitarono a scrutarsi in cagnesco finché il teppista non si decise finalmente ad allontanarsi.

Ignorando quanto era appena successo, o non successo, Xavi la spinse delicatamente all'interno della tenda.

«Ozzie, ti presento Venice Winters».

Camelie sbatté le palpebre nel tentativo di vedere oltre la coltre di tabacco che aleggiava nell'improvvisata abitazione.

Un barilotto d'uomo giaceva stravaccato in una poltrona consunta. Non fece neanche finta di alzarsi per accoglierla, ma dondolò la testa e fece schioccare la lingua incuriosito dalla sua presenza.

«Avvicinati, bambina».

Camelie si guardò attorno per capire chi avesse parlato. Sicuramente né l'ometto nella poltrona, la cui bocca era ancora serrata in un sorriso compiaciuto, né Xavi, di cui aveva già imparato a riconoscere la voce avvolgente.

«Non mordo, tranquilla. Beh, non i miei ospiti perlomeno. Avvicinati pure, Venice. Voglio osservarti meglio».

Non c'era nessun altro nella tenda e non capire da dove provenisse quella voce gutturale la agitava terribilmente, così Camelie cercò lo sguardo rassicurante di Xavi.

«La stai spaventando, Ozzie» intervenne il ragazzo, rivolgendo un sorriso complice all'uomo seduto.

Una risata esplose sulle labbra mute del leader del circo. «Non hai mai visto un ventriloquo, bambina?» disse ancora tramite lo stomaco.

Ozzie si protese in avanti e spense il sigaro in un portacenere che era in realtà il coperchio di un barattolo. Man mano che il fumo di sigaro si diradava, Camelie fu in grado di notare le innumerevoli stranezze dell'arredamento: abiti, sia da uomo che da donna, appesi a uno stendino a più piani; un angolo toeletta con più trucchi di quelli che possedeva lei; uno specchio su cui erano appiccicati talmente tanti adesivi di marchi di liquore da rendere l'oggetto praticamente inutilizzabile; una dispensa sulle cui mensole ammaccate erano disposti ordinatamente contenitori di plastica ricolmi di pillole colorate.

Camelie si soffermò a guardare i misteriosi barattoli, chiedendosi cosa ci facesse Ozzie con tutti quei medicinali.

«Devi avere proprio fame, eh. C'è qualcosa che ti ispira particolarmente? Sono tipicamente molto ferreo con il regime alimentare di chi vive nei i miei tendoni, ma considerato che è il nostro primo pasto insieme, direi che posso fare un'eccezione» commentò l'uomo, questa volta parlando normalmente.

La ragazza si guardò attorno perplessa. Non vedeva ombra di cibo nella tenda; di cosa stava parlando il ventriloquo?

«Non, non capisco...»

Ozzie non dava l'aria di volersi alzare e così fu Xavi ad avvicinarsi alla dispensa.

«Qualcosa di sostanzioso» valutò il ragazzo bruno. «Non si nutre da chissà quante ore» continuò, armeggiando con i contenitori.

La smorfia perplessa sul volto di Camelie doveva essere talmente eloquente, che Ozzie capì infine il nocciolo del fraintendimento. «Non dirmi che non ti sei mai nutrita di cibo artificiale».

Camelie spalancò gli espressivi occhi rubino e si accostò a uno dei barattoli di plastica. Non solo non aveva mai assaggiato uno di quei concentrati sintetici di nutrimento, ma non li aveva neanche mai visti dal vivo.

Xavi Karev la osservava incredulo. «Voi borghesi vivete davvero in un altro mondo, non è così?» commentò con una punta di stizza e Camelie chinò il capo mortificata.

«Non ho scelto io di nascere dove sono nata» sussurrò tra i denti.

«Cosa hai detto? Alza la voce, bambina» chiese Ozzie, sollevandosi finalmente dalla poltrona.

«Non ho scelto io di nascere dove sono nata» ripeté Camelie, puntando con fermezza il suo sguardo sanguigno in quello acquamarina di Xavi Karev.

Dietro le quinte

Camelie forse non ha capito che non si trova in una di quelle fanfiction dove tutto ruota intorno a una paio di bicipiti scolpiti. La sua superficialità tocca i massimi storici in questo capitolo. Abbiamo cambiato location, ma la nostra protagonista è pur sempre lei: basta un bel ragazzo a farle perdere la bussola.

Tranquilli, ho in serbo grandi cose per farla maturare un po'...

Chi dei nuovi personaggi vi ispira di più? Ditemi, ditemi.

Questo era l'ultimo capitolo di GADI prima della pausa estiva. Come ogni anno ho bisogno di prendermi una pausa anche da Wattpad, che ormai è quasi un secondo lavoro. Un lavoro che amo, ma che assorbe davvero tante energie.

Approfitterò delle vacanze per portare avanti le mie storie e spero che l'attesa ne valga la pena! Ci si rivede da queste parti domenica 19 Agosto.

Se proprio non sapete cosa leggere sotto l'ombrellone (cosa di cui dubito fortemente) magari potete vedere se l'altra mia storia vi ispira. ^~^

Vi lascio con una piccola sorpresa... c'è una persona che ci teneva a salutarvi prima delle vacanze...

Elaine

PS Per chi è in pari con IPDA, c'è un ultimo capitolo prima della pausa estiva. Conto di pubblicare come al solito mercoledì o giovedì.

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