Ai confini del vuoto 1 - Prog...

Galing kay smallcactusstories

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La guerra tra Alleanza di Mu e Federazione di Lemuria si protende ormai da quasi dodici anni, dato che nessun... Higit pa

Premessa
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22 (Erix)
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30 (Aesta)
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35 (Nayla)
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Note
Extra 2: Personaggi
Extra 3: Playlist
Extra 4: Cose varie ed eventuali
Extra 5: disegno
Ringraziamenti

19

157 23 35
Galing kay smallcactusstories

Mi sveglio in un bagno di sudore, con il respiro affannato. Appoggio le mani ai lati del corpo, c'è il materasso, non il freddo pavimento.

Non c'è nessun altro a parte me nella stanza.

Non c'è nessuno. Nessuno.

Continuo a ripetermelo, ma non riesco a convincermi.

Non faccio altro che sognare quei momenti su Minerva da quando siamo tornati, ma quei ricordi vanno a sovrapporsi a tutti gli altri che ho di Brunnos. Vorrei dimenticarlo, ma più cerco di farlo, più lui mi torna in mente.

Mi metto a sedere, guardo la sveglia: è la nuova alba è lontana, ma non riuscirò a dormire di nuovo.

Scosto la coperta, rabbrividendo appena, poi appoggio i piedi a terra, passandomi una mano tra i capelli; afferro il cappotto, gettandomelo sulle spalle, infilo gli stivali al volo, prendo una torcia e poi corro fuori dalla stanza. I miei passi rimbombano nel corridoio, debolmente illuminato dalla lampada che ho in mano.

Non ho una meta, non so dove andare.

Dormire mi procura solo dolore, odio il fatto che sia così necessario; ne farei a meno in questo frangente. Imbocco la scala che porta verso il tetto, sento le gambe tremare a ogni passo sui gradini di metallo che non nascondono il buio della notte non appena si abbarbicano sul muro esterno. Stringo il cappotto con una mano, tenendo la torcia con l'altra: non oso guardare in basso, non voglio vedere il vuoto che sembra inghiottirmi.

Tiro un sospiro di sollievo quando arrivo in cima, sul tetto, quando finalmente è l'aria fresca a circondarmi e non la sensazione di oppressione della coperta: le luci di Nova hanno preso il posto delle costellazioni che non riesco a vedere alzando gli occhi al cielo. L'illuminazione delle strade, bianca e pallida, si mischia a quella dei cartelloni pubblicitari che avvolgono alcuni piani dei palazzi più alti: sono colorate, ma non mi appaiono altro che come macchie colorate adesso che non ho preso le lenti. Ho evitato il centro, ho evitato la vita che porta con sé: i ricordi di quando la guerra era solo una notizia che sentivo lontana si accavallano al presente. Odio questo pianeta, non vorrei stare qui.

Mi siedo con la schiena appoggiata al palo al centro del tetto, sopra a cui lampeggia ritmicamente una lucina rossa, un segnale di avvertimento per le astronavi private di passaggio. Appoggio la testa contro il metallo, guardando in alto: le luci creano un alone luminoso che mi impedisce di sprofondare nel buio, nell'oblio, nel vuoto.

Non riesco a sentirmi a casa nella confusione di Nova, nelle sue strada sempre trafficate nonostante i segni dell'ultima battaglia: sembra che gli abitanti non facciano caso alle ferite negli edifici, ai detriti che si trovano di tanto in tanto. Non sono mai stati toccati davvero dal conflitto, al massimo li ha sfiorati. Non hanno reagito come pensavo alla presa di comando della Federazione: nessuna reazione da parte loro; forse pensano che tutto questo non li riguardi da vicino.

Lascio scivolare le gambe in avanti, appoggiando le mani ai lati del corpo. Dovremmo creare un'altra flotta, ma dove potremmo trovare delle astronavi in così poco tempo? Il re non era qui, non sappiamo se sia fuggito prima della battaglia o se comandi da un luogo diverso dall'Atlantis.

Mi volto verso sinistra, sentendo dei passi provenire dalle scalette. Afferro la torcia, puntandola verso quella direzione: c'è una donna, si protegge il volto dal fascio di luce e non riesco a capire chi sia.

«Non ho intenzione di farti del male».

Annuisco, abbasso la torcia e mi alzo in piedi; lei si avvicina: riesco solo a distinguere i capelli scuri che le ricadono sulle spalle e la forma, ma non il colore, dell'abito che indossa; lo tiene sollevato con una mano, non deve essere abituata a venire da queste parti.

«Immaginavo fossi qui: Isbel ci veniva spesso quando era di malumore».

«Conoscevate mia madre?»

Si ferma a poca distanza da me e annuisce. «Mi ha parlato spesso di te, ero certa che avresti fatto qualcosa di grandioso nella vita – ne eravamo certi tutti, io, Alyce e Kyllen. Solo che... non pensavamo che avresti mandato i nostri figli in galera».

Scuoto la testa. Sono bastati quei nomi a farmi capire di chi si tratta: Reesha Orlan, la moglie di Shayn Brunnos, la madre di Erix.

«Non è stato lui a mandarmi» mi dice dopo qualche attimo di silenzio, allungando una mano per sfiorarmi la guancia. «Ti ho solo visto di sfuggita nei ol scorsi, ma immagino che ci sia qualcosa ti turba. Si tratta di mio figlio, non è vero?»

Rimango immobile, con lo sguardo fisso in terra, in silenzio. Non so nemmeno io cos'è che non vada, cos'è che mi distrae dalla guerra.

«Ho saputo quel che ti ha fatto. Avrei dovuto tirargli qualche schiaffo in più da piccolo, piuttosto che lasciarlo andare con suo padre. Speravo di non vedere una sua copia, ma a quanto pare mi ha deluso». Continua a sfiorarmi la guancia – anche lei ha le mani fredde.

«Non aver timore di sfogarti: non dirò niente a Erix, è ora che capisca da solo dove ha sbagliato».

«Non lo farà» rispondo in un sussurro. «Ma non ho intenzione di dargli un'altra possibilità».

Reesha sospira, appoggia entrambe le mani sulle mie spalle; non riesco a guardarla negli occhi, mi sento così indifesa in sua presenza. «Non voglio forzarti a farlo, ma credo di conoscere bene mio figlio: non è mai stato in grado di decidere da solo, ha solo paura di deludere gli altri».

«Lui vuole il potere, io non sono altro che una delle pedine che ha scelto».

«Credo debba solo capire cosa vuole davvero. È stato... plasmato da suo padre con quell'idea, ma non credo che faccia davvero per lui. Non dargli un'altra possibilità, ma dagli tempo. Prova a parlarci: credo che... che possa fare bene a entrambi».

«Non voglio più averci a che fare, non dopo quello che mi ha fatto. Ho il ribrezzo al solo pensiero di quel che gli ho permesso di farmi. Preferirei fosse morto».

Senza dire niente, Reesha mi abbraccia, accarezzandomi lentamente i capelli. «Voglio solo aiutarti, so che Isbel l'avrebbe voluto» mi sussurra.

«Puoi... puoi parlarmi di lei?»

Annuisce, continuando a stringermi; sto tremando, ma non per il freddo. Mia madre non è altro che una presenza eterea ormai, i pochi ricordi stanno svanendo.

«L'ho conosciuta durante uno dei suoi tanti esperimenti, quando con Kyllen e Alyce visitammo la base di Kalea. Mi fermai a parlare con lei, adoravo quei pochi momenti in cui riuscivo a parlare di scienza. Era una cosa che mi era stata preclusa da quando avevo sposato Shayn... non è mai stato un matrimonio felice il nostro e la nascita di Erix non ha risolto niente».

Mentirei a dire che mi dispiace aver ucciso l'uomo che ha distrutto la mia famiglia.

«Parlammo per bakif... o meglio, parlò: mi spiegò nei minimi dettagli il suo ultimo lavoro, le cavie di quelli che avrebbero dovuto essere dei soldati fenomenali. Mi dispiace per quel che le è successo, ma non darti la colpa, non è assolutamente a causa tua che fu condannata. Sappi solo che le assomigli davvero tanto: in alcuni momenti mi sembrava che fosse tornata in vita».

«Hanno sempre detto che assomigliavo di più a mio padre».

«Non ho mai conosciuto per bene Kayel... e non credo che i racconti di Shayn fossero corrispondenti al vero. Doveva essere uno dei migliori per aver progettato Minerva. Fa paura sapere di avere tutto quel potere nelle proprie mani?»

«Dipende: se si sa come usarlo, no. È un'arma per me, nient'altro».

Reesha annuisce, continua a stringermi. «Isbel sarebbe fiera di te, Vivi» sussurra.

Singhiozzo senza volerlo – era da troppo tempo che non mi sentivo così indifesa. Vorrei che continuasse per ore a parlare di Isbel, vorrei poter avere qualcosa di più rispetto a vaghi ricordi. Vorrei che ci fosse lei a stringermi così e non una perfetta sconosciuta.

Lascio cadere la torcia, rimbalza con un suono metallico e la luce sfarfalla per la botta; stringo le mani sulla stoffa ricamata del suo vestito, mordendomi il labbro per non lasciarmi sfuggire i singhiozzi.

Mi sento così... vuota. È come se qualcosa si fosse rotto, ma non so cosa. Le ferite del suo coltello sono rimarginate, ma le altre non sembrano volersene andare dal mio corpo, continuano a stringermi dall'interno. Sono come morsi, lacerazioni di cui non posso liberarmi. Singhiozzo, sento le lacrime bruciare ai lati degli occhi, non riesco più a trattenerle: odio sentirmi così debole, odio mostrarmi così indifesa.

«Va tutto bene, va tutto bene» sussurra stringendomi a sé. «Ogni tanto fa bene crollare così, non puoi essere un punto di riferimento per gli altri se hai perso la tua strada».

«Io...» La gola mi brucia per i singhiozzi, non riesco a mettere in fila due parole. «Io lo odio».

«Stai cercando di convincerti? Se davvero lo odiassi, non saresti qui a guardare Nova, saresti a guardarlo sul patibolo» mi dice allontanandomi da sé dopo che ho ripetuto quella frase. «Non voglio che il mio sia un rimprovero, ma cerca davvero di chiarirti con mio figlio. Non posso prometterti che non farà male, ma vivresti senza questo peso sul cuore» aggiunge asciugandomi le lacrime.

Si allontana in silenzio, così come era arrivata. Sospiro, raccogliendo la torcia; la sbatto sul palmo finché non riprende a funzionare. Ho bisogno di una doccia, voglio che ci sia qualche rumore a coprire il rimbombo delle sue parole.

Scendo le scalette a corsa, ma quando arrivo a svoltare l'angolo sento qualcuno che mi afferra il braccio; senza pensarci due volte, colpisco la mano con la torcia quando un odore acre di alcol mi investe.

«Ma quanto sei pericolosa?» urla Axel stringendola nell'altra. «Ammettilo che vuoi uccidermi per risparmiare sugli stipendi».

«Scusami... non ti avevo visto».

«Si può sapere che ti prende? È notte fonda, domani c'è il processo e te ne vai a giro in pigiama».

«Potrei farti la stessa domanda, visto che hai bevuto. Palesemente» rispondo incrociando le braccia.

Sbuffa. «Volevo dormire, ma poi ti ho sentito urlare sul tetto e ho aspettato che scendessi... lo speravo, ho provato a salire, ma ho bevuto troppo e sarei volato di sotto. Non posso permetterti di infilarti ancora nei guai... e hai contribuito a peggiorare il mio mal di testa. Andiamo, torna a letto».

«Non darmi ordini. E lasciami stare, voglio trovare una cosa!»

«Cosa?»

«Non lo so!» Io lo so benissimo adesso.

«Torna a dormire, per favore. Sono notti che non fai altro che singhiozzare fino a che non ti addormenti. Io sono seriamente preoccupato per te, Vivi. Non puoi continuare ad andare avanti così, finirai per crollare a tenerti tutto dentro... ho parlato con Aesta – so che non avrei dovuto, ma passaci sopra per favore, era l'unica persona a cui mi potessi rivolgere – siamo preoccupati entrambi. Non hai parlato apertamente con nessuno, non puoi farcela da sola, non questa volta».

«Credi che ne abbia voglia? Lasciami stare, per favore. Va' a dormire».

«Non ti lascio andare a giro da sola adesso su questo pianeta».

«Non provare a fermarmi».

«Infatti te lo chiedo per favore. Non credo tu possa trovare qualunque cosa tu stia cercando adesso».

«Parla per te. Quando credi che abbia trovato il coraggio di mettere su carta il progetto della Starfall? In pieno luce? No, durante una pioggia di meteoriti sull'At5. Quando credi che abbia avuto l'idea per ogni cosa che ho progettato?»

«Anche tutto l'intreccio che hai con Brunnos è nato di notte?»

«Non ne voglio sentir parlare di lui. Lo voglio solo vedere morto».

Scuote la testa. «Dovreste chiarirvi di persona: non avete affatto le idee chiare l'uno sull'altra».

«Non iniziare pure tu come sua madre, è la volta buona che ti butto fuori dalla nave».

«Dovresti parlarci».

«Mai» sibilo, togliendo il braccio dalla sua presa con un gesto secco. «Merita solo la morte».

Axel allunga una mano, mi sistema una ciocca di capelli dietro l'orecchio. «Va' a dormire».

«Smettila, mi hai già fatto perdere troppo tempo!»

«Perdere tempo per cosa? Metterti alla ricerca di qualcosa che non sai nemmeno cosa sia?

«Sempre meglio che avere gli incubi».

«Non hai fatto niente per evitarli. Sei sparita subito dopo la battaglia, non ti abbiamo mai visto ridere a pranzo o cena, continuavi a fissare il piatto, mangiavi poco. Sparivi per ore, non hai pensato a chiedere l'aiuto di qualcuno. Credevi di poter superare tutto ciò da sola? Seriamente?»

Incrocio le braccia. «Sono scelte personali».

«Finirai per esplodere visto che ti stai solo facendo del male».

«Credi sia facile parlarne? Credi che mi faccia piacere far sanguinare di nuovo quelle ferite che ha causato lui? Sogno quelle scene ogni volta che dormo, mi sveglio in un bagno di sudore, ho la nausea ogni giorno e non riesco a togliermele dalla testa. Ne ho provate di tutti i colori, ma mi ritrovo sempre a soffocare le lacrime in un angolo, contro il cuscino, la manica».

«Stai solo cercando di salvare l'onore. Non certo i tuoi amici».

«Axel...»

«No. Qui sei tu a non capire: non vuoi affrontare la realtà, vuoi dare l'idea di potercela fare da sola anche quando è impossibile, ma stai fallendo miseramente. Nessuno ti rimprovera per quello che è successo, nessuno ne ha parlato fuori dalla Starfall. Nessuno. Sappiamo che la colpa è di Erixe noi vogliamo aiutarti, tutto qui. Hai sempre messo noi prima di tutto, perfino di te stessa. È arrivato il momento di cambiare le tue priorità. Per favore... fallo per me almeno».

Guardo da una parte, il fascio di luce illumina il corridoio. Forse ha ragione.

«Andiamo, domani sarà un lungo ol».

«Sì... purtroppo. Quello che non avrei mai voluto arrivasse».

«Perché?»

«Credi sia facile convivere con l'idea di aver dovuto condannare tre persone anche se colpevoli? Di cui una è Aesta. Non so nemmeno cosa dire, il discorso l'ho scritto, ma non so come fare a parlare guardandola in faccia».

Axel mi mette un braccio sulle spalle.

«Non credo sia Aesta il problema».

«Lo è. Caso chiuso» sibilo.

«Così continui a negare».

«Negare cosa? Ciò che provo per Er... per quello stronzo? Hai la minima idea di quanto mi abbia fatto soffrire? Mi ha solo ingannato, preso in giro per wakin. A lui di me non frega niente, vuole solo vendetta e potere!»

«Se davvero non gliele fregasse credi che ti avrebbe lasciato in vita? Seriamente? Ero preda della rabbia, ma non credo di averlo mai visto così distrutto quando gli ho detto che lo schiaffo era da parte tua. Forse era sincero, in minima parte».

«Ha fatto in modo di mettermi con le spalle al muro perché sapeva che in queste condizioni non posso prendere una decisione che non mi faccia stare male. È per questo che avevo passato tutto al consiglio... io volevo togliermi il caso dalle mani».

«È il modo con cui l'hai fatto, troppo precipitoso. Li ha messi in sospetto che ci fosse qualcosa dietro e vogliono sentire la tua accusa».

Annuisco, sono stata veramente cretina.

Continuiamo a camminare in silenzio, le uniche parole che diciamo sono quelle compongono i nostri codici di riconoscimento. Axel non ha mai tolto, nemmeno per un attimo, il braccio dalla mia spalla.

«Puoi anche levarti di torno ora» gli sibilo quando arrivo davanti alla porta della camera.

«Sei comoda, come appoggio per il braccio dico».

Mi tolgo il cappotto, lanciandolo all'attaccapanni.

«Va' a farti fottere» gli dico abbassandomi per riprenderlo – ovviamente è caduto in terra.

Ride, scompigliandomi i capelli. «Non è colpa mia se hai l'altezza perfetta».

Lo appendo, incrocio le braccia e lo guardo. «Ti picchio se continui».

«Non ci arrivi».

«Ti spezzo il collo in settantacinque maniere diverse, fidati».

«Non ci arrivi».

«Fatti sotto».

Si piega in avanti, quanto basta per arrivare ad avere i visi alla stessa altezza. Sorride sornione. Che vuole fare?

Arriva fino al letto, afferrando un cuscino e un attimo dopo me lo ritrovo in faccia.

«Che scemo che sei» gli dico rilanciandoglielo, ma cade a poca distanza da lui che lo raccoglie e lo risistema al suo posto.

Ride, sedendosi sul bordo del letto, qualche molla scricchiola. Sospiro, faccio il giro del letto e mi sistemo sotto le coperte dalla parte opposta. Allungo una mano, voltando la sveglia verso di me. «Sono quasi le quattro. Tra nemmeno sei ore c'è il processo, intendi andartene?»

Gira appena la testa. «Bah, a questo punto potrei anche continuare a darti noia». Si alza, strappandomi le coperte di dosso.

«Giuro che ti metto a pulire i pavimenti per tre centinaia di wakin».

«Mai» mi sussurra iniziando a farmi il solletico.

«Sei un bastardo» gli urlo con le lacrime agli occhi – ho il fiato corto. Sa quanto lo soffra.

Cerco di tirargli una gomitata, uno schiaffo, qualsiasi cosa che lo possa far allontanare da me, ma non gli faccio nulla. Una mosca contro un elefante, è così la situazione.

Sembra veramente un bambino.

Sembriamo due bambini.

Continuo a ridere, finché non realizzo che l'ho praticamente addosso.

«Vuoi toglierti di torno?»

Continua a fissarmi, senza dire nulla.

«Axel? Ci sei?»

Sembra riscuotersi. «Eh? No, stavo pensando a... niente».

Si siede in fondo al letto a gambe incrociate, mi puntello sui gomiti.

«Quale idea idiota hai stavolta? Sostituire di nuovo il tuo caffè al mio tè?»

«No, però fu divertente vedere la tua faccia». Lasciamo stare: ho ancora i brividi al ricordo di quel saporaccio amaro.

«E allora cosa?»

«Era veramente un'idea stupida, lascia stare».

«Axel, ora lo voglio sapere».

«No che poi mi uccidi».

«Non ti uccido, non posso cambiare primo ufficiale per la terza volta in nemmeno tre mesi. Che ci metto come scusa? Vederci proprio la scritta deceduto accanto al tuo nome sarebbe veramente la volta in cui danno il comando a qualcun altro».

«Non riesco ad immaginarmi qualcun altro a comandare la Starfall. Insomma, quella è letteralmente la tua nave».

«Sì, ma a cosa stavi pensando?»

Mi tira un cuscino in faccia, cogliendomi totalmente di sorpresa e quando si allontana subito, rimaniamo a fissarci.

«Vivi...io...»

«Sta' zitto per una volta, è la guerra di cuscini che vuoi? E che guerra sia!»

«Non credo sia una buona idea. Ma quando ne abbiamo combinata una giusta noi due?»

«Mai».



L'angolino buio e misterioso

Reesha è adorabile. Scriverei il prequel solo per il suo personaggio.

Ho appena realizzato di aver usato 576435 volte il nome Nova: la capitale, il sottotitolo del 3 e un nuovo racconto scifi in stesura. Che bello.

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