Gli acrobati d'inverno [dispo...

By ElaineAnneMarley

257K 7.3K 6.7K

**WATTYS 2018 WINNER** Camelie Venice Lambert ha tutto quello che una diciassettenne dell'era ultramoderna po... More

Prefazione
Prologo
1. L'annuncio di un matrimonio felice (I)
2. L'annuncio di un matrimonio felice (II)
3. L'affascinante uomo dietro la maschera (I)
4. L'affascinante uomo dietro la maschera (II)
5. Il premio più prestigioso (I)
❄️ Cover Reveal: copertina cartaceo ❄️
❄️ DOVE CONTINUARE A LEGGERE LA STORIA ❄️
❄️ NEWS SPIN-OFF/SEQUEL degli ACROBATI D'INVERNO ❄️
🍬 FanArt #1
7. L'angelo del ghetto (I)
8. L'angelo del ghetto (II)
9. Tarocchi propizi (I)
10. Tarocchi propizi (II)
🍬 FanArt #2
🍬 FanArt #3
EXTRA - GADI vince ai Wattys: cosa ne pensano i protagonisti di LUDD?
🍬 FanArt #4
🍬 FanArt #5
🍬 FanArt #6
🍬 FanArt #7
🍬 FanArt #8
🍬 FanArt #9
🍬 FanArt #10
🌃 Nuova Storia! 🥀

6. Il premio più prestigioso (II)

4.4K 467 588
By ElaineAnneMarley

«Ci tengo a fare i complimenti a Sybil Greenfield per aver approfondito un argomento tanto spinoso. Non solo il suo coraggio intellettuale è encomiabile, ma, come avete sentito, è stata in grado di presentarlo con un'imparzialità invidiabile, persino per accademici con molta più esperienza alle spalle» stava dicendo in quel momento il preside, sorridendo impressionato alla ragazza.

Sybil, quello dunque era il suo nome, inclinò graziosamente il capo e ringraziò profusamente per i complimenti, come la più umile delle studentesse modello. Ma il preside non aveva ancora finito di lodarla.

«Il tuo progetto, Sybil, è chiaramente una spanna sopra gli altri».

Camelie si torturò il labbro inferiore e sbatté le palpebre freneticamente, aggrappandosi alla poca lucidità che aveva quel giorno. La fidanzata segreta di Kennedy Holsen non era dunque una sciacquetta qualunque, ma una secchiona che aveva presentato il progetto migliore della scuola? E soprattutto, perché, perché le loro presentazioni erano dovute capitare una dopo l'altra?

Non aveva ancora capito quale fosse l'argomento scelto da Sybil Greenfield e così picchiettò l'unghia dipinta di nero sull'elenco degli interventi. Fu costretta a rileggere il titolo due volte, perché non capiva come mai il preside avesse definito la ragazza coraggiosa. Il titolo del suo lavoro era infatti: "La ricomparsa degli schiavi: un'economia senza schiavitù è sostenibile?"

Stizzita, Camelie scoppiò a ridere. Sybil era dunque una di quelle ragazzine borghesi finte intellettuali che si riempivano la bocca di opinioni pretenziose sulla schiavitù, quando le sue piantagioni di famiglia, tanto quanto quelle dei Lambert, degli Holsen e di ogni altro studente della New Hope sarebbero fallite nel giro di mezza giornata se non fosse stato per le centinaia di schiavi che coltivavano la terra. Gli schiavi erano infinitamente più economici di qualsiasi altra forza lavoro, lo sapeva persino lei che non ne capiva niente - come aveva tenuto a sottolineare suo padre quella mattina.

Camelie considerava estremamente ipocrita sfoggiare certe opinioni per vincere un premio, quando, dietro ai recinti della sua proprietà, Sybil trattava probabilmente gli schiavi come qualunque ragazzo di buona famiglia: ignorandoli.

Livida dall'invidia per le lusinghe del preside e preoccupata che il suo progetto sarebbe sembrato estremamente triviale in confronto, Camelie si avviò giù per la scalinata dell'anfiteatro.

Proprio mentre incrociava Sybil sotto il palco, il preside prese nuovamente la parola per introdurre il suo lavoro.

«Il progetto successivo è di tutt'altro tenore. Camelie Venice Lambert è la testimonianza vivente che anche gli studenti meno dotati possono eccellere in qualcosa. Certo, ci tengo a ricordare a Camelie Venice e agli altri alunni poco studiosi, che alla vostra età coltivare gli hobby non dovrebbe però essere d'intralcio ai risultati scolastici».

Sybil mugugnò una risatina di scherno e scoccò all'altra ragazza uno sguardo di puro disprezzo.

Senza rendersi conto che avrebbe dovuto raggiungere il pulpito, invece che continuare a fissare la fidanzata segreta di Kennedy, Camelie rimase imbambolata, con decine di occhi puntati addosso. Vide Sybil Greenfield accomodarsi qualche fila davanti a dove era seduto Kennedy e voltarsi una frazione di secondo per rivolgergli un cenno di intesa. Nel cogliere l'occhiata lampo, ma molto intensa, tra i due, Camelie realizzò perché non si era mai accorta che Kennedy e Sybil fossero una coppia: a scuola avevano giri diversi ed erano estremamente attenti a non farsi vedere insieme. Camelie aveva osservato da lontano Kennedy Holsen per quattro anni e non le era sfuggita nessuna delle ragazze che gli ronzava intorno. Eppure, fino a qualche giorno prima, non aveva mai visto né sentito nominare Sybil Greenfield.

La New Hope Academy era piena di studenti i cui geni erano stati manipolati goffamente, lasciandoli con capelli giallognoli e occhi color anguria sporca. Erano gli alunni di serie B, quelli appartenenti alle famiglie meno facoltose; Camelie aveva rivolto la parola a qualcuno di loro, ma preferiva circondarsi di persone del suo stesso ceto sociale, persone i cui genitori potevano permettersi un chirurgo genetico di un certo livello.

«Signorina Lambert, il tempo scorre» la sgridò il responsabile dell'istituto, asciugandosi la barba rossiccia con un fazzoletto appallottolato.

Cercando di non lasciar trasparire il subbuglio emotivo in cui l'affermazione poco lusinghiera del preside l'aveva gettata, Camelie lo raggiunse a testa bassa sul palco. Le parole striminzite che l'uomo scelse per presentare la categoria Germogli di Talento riflettevano l'opinione che doveva avere del contesto artistico che Camelie amava.

La ragazza immaginò gli occhi piccoli e arguti della professoressa De Graaf trapassarle la nuca, mentre, con un ghigno di scherno sul volto stirato dal botulino di cellule staminali, commentava con il vicino l'inettitudine della sua alunna peggiore.

Si aggrappò al pulpito, per evitare che qualcuno notasse il tremore delle mani. Dal momento che non riusciva a ricordare come avrebbe dovuto iniziare la presentazione, rimase in silenzio finché il preside non le ricordò ancora una volta che aveva già perso ben cinque dei quindici minuti a disposizione, e che imparare a gestire il tempo quando si parlava in pubblico era di fondamentale importanza.

Partendo da un punto a caso, Camelie ripeté a macchinetta il discorso che conosceva a memoria, balbettando di tanto in tanto, quando non le veniva in mente la parola giusta. Sentì in lontananza la propria voce concludere la presentazione, come se provenisse dall'altro capo dell'anfiteatro.

Non se l'era cavata neanche tanto male, considerato lo stato in cui si trovava quel giorno, ma desiderava a tal punto scendere da quel maledetto palco che si dimenticò che doveva ancora ritirare la statuetta d'oro, consegnata agli altri ragazzi la sera precedente alla festa.

Strinse al petto l'omino dalla forma stilizzata, biascicò un ringraziamento poco sentito e si precipitò lontano dai riflettori.

«Camelie Venice» la richiamò il preside. «Il puntatore laser ci serve ancora»

«Cosa...»

La ragazza lo guardò confusa; in un altro momento avrebbe realizzato subito il problema, ma quella mattina era talmente stanca...

Un vocio divertito si sollevò dalla platea e Camelie controllò imbarazzata i nascondigli dove era solita riporre gli oggetti che arraffava inconsciamente: le maniche, le tasche dei pantaloni... Sperò di non esserselo infilato nelle scarpe; non avrebbe saputo come controllare, con gli occhi di ottocento studenti puntati addosso.

Passandosi meccanicamente la mano sulla schiena, trovò con sollievo la placca metallica infilata tra la camicia e il pantalone.

«Non-non me ne ero accorta» si giustificò inciampando mentre risaliva le scale di vetro per consegnare l'oggetto rubato.

Il preside non era ovviamente a conoscenza della sua cleptomania; Camelie aveva fatto di tutto per tenerlo nascosto a professori e compagni. Solo Mei Chen aveva notato la sua disfunzione comportamentale, ma Camelie le aveva fatto giurare di non parlarne neanche con Sheila. Sheila, al contrario di Mei, non sarebbe stata infatti in grado di mantenere il segreto.

Quando raggiunse finalmente il suo posto nelle ultime file, lo studente successivo aveva cominciato a parlare di come fosse sbocciata una nuova corrente esoterica subito dopo l'inizio della glaciazione, tredici anni prima.

Cercando di ignorare i battiti impazziti del suo cuore ed evitando accuratamente di guardare in direzione di Kennedy Holsen e della sua cricca, Camelie infilò il premio nella sua cartella di cuoio ricoperta di stencil colorati. Mormorò poi una scusa nell'orecchio di Sheila e si catapultò fuori dall'anfiteatro attraverso una delle uscite di sicurezza.

***

Una patina di nevischio aveva ricoperto la vetrina che Camelie aveva appena allestito. Neanche dedicarsi all'attività che preferiva, lo staging d'interni, riusciva a distrarla dalle umiliazioni che aveva subìto quel giorno: prima la conversazione mattutina con suo padre, poi il modo impietoso in cui il preside aveva paragonato il suo lavoro a quello di Sybil Greenfiel.

«Allora? Quando andiamo a cercare il vestito da sposa, Cam?»

La ragazza rivolse uno sguardo truce a Mei Chen. L'amica le dava in quel momento le spalle, occupata a fotografare la composizione di borse e fiori che avevano appena sistemato. La chioma avorio era raccolta come al solito in una coda alta da cui sfuggivano due boccoli a incorniciare il volto e sulla nuca una cascata di riccioli lunghi un dito mignolo. Al contrario di Camelie, che ci teneva a variare look quotidianamente, Mei continuava a sfoggiare lo stesso da anni. Era talmente testarda che si rifiutava di accettare le critiche costruttive di Camelie, che in fatto di stile era considerata il guru della NHA.

Sheila e Mei non lavoravano ufficialmente nello showroom, ma avevano l'abitudine di imbucarsi quando volevano spettegolare su qualcosa accaduto a scuola.

Seguendo le indicazioni sempre molto precise di Camelie, Sheila spolverò una manciata di polvere fluo sui petali indaco, che erano stati incollati con minuzia sulla mensola di legno tortora.

«Si può sapere che stai combinando?! Non vedi che non c'è armonia?» la sgridò Camelie strappandole di mano il sacchetto di plastica biodegradabile.

La ragazza si pentì subito di aver riversato su Sheila la frustrazione per la domanda che Mei le aveva appena rivolto. Sospirando, depose pazientemente i brillantini, facendo attenzione a evitare i costosi accessori di pelle. L'obiettivo era farne risaltare il design elegante e i materiali pregiati, non ricoprirli di un velo sbrilluccicante.

Non aveva voglia di parlare delle nozze quando il suo unico pensiero era svincolarsi da un accordo che avrebbe rovinato il resto della sua vita. Era facile per suo padre affermare che la felicità di una persona non dipendeva dalla buona riuscita del proprio matrimonio; le ulcere perforanti di sua madre indicavano il contrario.

A cosa poteva aspirare lei, nella vita? Non aveva altri sogni da inseguire, né altre strade da percorrere per suscitare l'invidia dei suoi amici. L'annuncio del matrimonio con il ragazzo più ammirato della scuola aveva rappresentato l'apice della sua popolarità. Sapeva fin troppo bene che non sarebbe rimasta incolume se fosse caduta dalla più alta delle piramidi.

Come decine di altre ragazze, Camelie aveva subìto il fascino di Kennedy Holsen senza il coraggio di farsi avanti. Il suo atteggiamento sprezzante nei confronti del mondo, il fatto che fosse imbattibile in qualsiasi sport e riuscisse a prendere voti di tutto rispetto nonostante dedicasse gran parte del tempo ai giochi in realtà aumentata, il fatto che fosse in cima a tutte le classifiche dei suddetti giochi, e ovviamente il suo aspetto mozzafiato, lo rendevano il ragazzo perfetto.

E, dopo averlo desiderato nell'ombra come tante altre, Camelie era riuscita ad averlo. O almeno così aveva creduto.

«Che sciocca che sono» riprese Mei Chen. «Il vestito da sposa te lo disegnerai da sola. Anzi, scommetto che l'hai già disegnato!»

«Oh, faccelo vedere, Cam» saltò su Sheila con voce stridula.

Per la seconda volta, Camelie ebbe l'impulso di umiliare Sheila per vendicarsi delle domande insistenti di Mei. Forse l'ingenuità di Sheila quella sera la innervosiva più del solito. O forse, a infastidirla, era semplicemente l'abbinamento di colori con cui l'amica aveva osato presentarsi nello showroom. Se non avesse saputo che il gusto estetico di Sheila McGowan era pari a quello di un settantenne daltonico, Camelie avrebbe sospettato che l'amica volesse metterla in imbarazzo con il suo datore di lavoro, la leggenda della moda di Nilemouth: Eric Bloom Surperry.

Lo stilista praticamente viveva nello showroom e Camelie era sicura di averlo visto storcere la bocca quando le sue amiche erano entrate rumorosamente nell'open space in cui tutti erano soliti bisbigliare. Sheila era avvolta in una tutina canarino di feltro, su cui aveva pensato bene di indossare un gilet viola e una minigonna arancione. Grazie al cielo aveva lasciato a casa l'inguardabile cerchietto di castagne che aveva sfoggiato al ballo in maschera.

La verità era che Camelie preferiva prendersela con Sheila perché l'amica era un muro di gomma, mentre Mei si sarebbe offesa e avrebbe scavato per capire come mai l'altra evadesse di proposito le sue domande; avrebbe scavato con tenacia finché non fosse arrivata a fondo della questione.

«Peccato che stamattina non eri a scuola, Cam. Tutti parlavano di te e Kennedy. Tutti. Persino i prof in sala docenti!» ridacchiò Sheila, pulendosi le mani dalla polverina.

«E tu che ne sai di cosa succede in sala docenti? Mamma mia, Sheila, lo sai che odio quando esageri» la interruppe Mei.

«L'ho sentito dire in corridoio da un gruppo di bulletti dell'Irrigazione che erano stati portati lì perché avevano appeso un loro compagno a testa in giù in palestra».

«Chi?» intervenne Camelie, sollevata che Sheila avesse cambiato discorso.

«Lance-magia-concime-Winters probabilmente. Solo lui è così ritardato da farsi beccare ogni volta» commentò con cattiveria Mei Chen.

«Vorrei vedere cosa faresti tu, se fossi presa di mira da un gruppo di bulli» sibilò Camelie tra i denti. Dopo quanto era accaduto alla festa di Carnevale, si sentiva in debito nei confronti di Lance Winters e profondamente a disagio a prenderlo in giro come al solito.

Piccata, Mei Chen incrociò le braccia sul petto. «Si può sapere che ti prende oggi, Cam?»

«Mi sta salendo l'emicrania, ragazze. Vi dispiace se continuiamo a lavorare in silenzio?»

Ma Sheila e Mei non erano di certo venute per lavorare in silenzio e così presto si stufarono del muso dell'amica.

«Sai, Cam?» rifletté la più sveglia delle due mentre provava una pelliccia di code di volpe. «È dalla sera del fidanzamento che ti comporti in modo strano. Sei sicura che vada tutto bene con Kennedy?»

«Tra qualche mese sposerò il ragazzo di cui sono innamorata da quattro anni. Sono invidiata dall'intera popolazione femminile della New Hope. Sto pianificando il matrimonio nei minimi dettagli perché tutto deve essere perfetto, per questo sono nervosa: perché basta un nonnulla a rovinare tutto! Continua con queste domande petulanti, Mei, e ti assicuro che non riceverai alcuna partecipazione di nozze!»

Il tono di voce era convincente, lo sguardo era altezzoso a sufficienza e la giustificazione perfettamente in linea con la sua personalità. Camelie aveva risposto a Mei per le rime, eppure si sentiva più angosciata di prima.

Riconobbe i segni di un attacco di panico e si sedette a terra per timore di avere un mancamento di fronte alle amiche.

Mei Chen le appoggiò una mano sulla spallina di raso imbottito. «Perdonami, Cam. Se l'organizzazione del matrimonio ti stressa tanto, perché non ti fai aiutare? Potresti ingaggiare un AI wedding planner, recentemente ne hanno lanciato uno sul mercato che...»

«Non metterei mai il mio matrimonio nelle mani di un'altra persona, né tantomeno di uno eMotionLess

«Ma è quello che stavo cercando di dirti, Cam. È un nuovo modello eMotionPlus! Terrebbe conto del tuo stato d'animo, persino dei desideri che non sai neanche di avere...»

«A differenza di te, che non puoi permettertelo, io un eMotionPlus l'ho avuto a casa, cara. Mio padre ha provato ad affidargli una partita di schiavi particolarmente indisciplinati e ti assicuro che non è finita bene».

L'altra abbassò lo sguardo mortificata, ingoiando l'umiliazione per il modo rude con cui l'amica le aveva ricordato che la sua famiglia non poteva permettersi la tecnologia più all'avanguardia.

Camelie ignorò la punta di rabbia nello sguardo di Mei Chen; soddisfatta per aver vinto la discussione, tornò a occuparsi dell'allestimento della vetrina.

Non si era mai sentita tanto stanca in vita sua. Era al tempo stesso una spossatezza fisica e un affaticamento mentale che provocava gli stessi sintomi dell'ebbrezza alcolica: non riusciva neanche a seguire la conversazione e la vista era appannata da scotomi pulsanti. Continuava a rivivere in un loop ossessivo il momento in cui aveva presentato il suo progetto scolastico sotto lo sguardo canzonatorio del preside, dei professori, dei suoi compagni, di Kennedy Holsen...

Possibile che le medicine per l'emicrania avessero solo peggiorato la situazione? Il mal di testa era passato, ma era in preda a tremori e sudori freddi. Nonostante fosse sicura che la sua cagionevolezza dipendesse dalle manipolazioni genetiche che aveva subito quando era ancora un embrione, i suoi genitori erano fermamente convinti che avesse qualche disturbo psicologico. Con la scusa della cleptomania la costringevano ad andare da uno psicoterapeuta da quando era una bambina e in quel momento, dopo anni che non ci pensava, Camelie ebbe nostalgia del primo dei terapisti che l'avevano seguita: il Dottor Piotrowski indossava un'esilarante coccarda parlante sul petto, le faceva sempre trovare un nuovo album da colorare e non cercava mai di convincerla a raccontargli tutto come invece facevano gli stramaledetti eMotionPlus della serie H-Sphere. Il Dottor Piotroski si preoccupava soltanto che i suoi problemi non la facessero sentire diversa dagli altri e non si stancava mai di ripeterle che tutto si sarebbe risolto...

«Cam, tutto OK? La pasticca sta facendo effetto?» Sheila le aveva appoggiato la mano sulla fronte, facendola trasalire.

«Non riesco a concentrarmi sul lavoro con questo brusio di sottofondo».

«Sono già le sette e mezza. Perché non andiamo?» le propose Sheila, mentre Mei continuava a osservarla con rancore.

«Perché non andate voi, così magari riesco a finire in santa pace l'allestimento?»

Le altre due si scambiarono uno sguardo eloquente; nonostante fossero abituate all'atteggiamento di superiorità dell'amica, quella sera il suo comportamento era più aggressivo del solito. Da due giorni la ragazza non faceva che ripetere che era al settimo cielo per la formalizzazione dell'accordo matrimoniale con gli Holsen, eppure non una volta quell'affermazione era stata accompagnata da un sorriso.

Quando fu finalmente sola, Camelie si lasciò cadere sulle ginocchia. Massaggiandosi le tempie tentò di cancellare il ricordo di Sybil Greenfield che arrossiva ai complimenti del preside, per poi voltarsi orgogliosa verso Kennedy.

Ma quando riuscì a liberarsi dell'immagine di Sybil, comparve quella del ragazzo mascherato che alla festa di Carnevale l'aveva sbattuta contro un muro nel tentativo di forzarle un bacio. La percezione della mano di lui, che curiosava sul suo corsetto, era ancora così disgustosamente vivida.

Come poteva suo padre, l'uomo che l'aveva messa al mondo, abbandonarla in quell'arena di belve? Kennedy non si sarebbe accontentato di quegli scherzi cattivi, avrebbe reso la sua vita un inferno per punirla di averlo incastrato in un matrimonio combinato che non avrebbe mai cercato, ma da cui sarebbe stato assurdo tirarsi indietro. Kennedy non era uno sciocco, non avrebbe mai rinunciato a mettere le mani sulla fortuna dei Lambert. Magari l'avrebbe tenuta al suo fianco per anni, portandosi in casa i figli delle amanti e screditando i suoi tentativi di avere una vita indipendente, finché tutte le proprietà non fossero passate a lui. E solo allora avrebbe trovato il modo di liberarsi di lei: con un divorzio, nel migliore dei casi; nel peggiore, contaminando i suoi pasti con l'U.D.R., il batterio artificiale che ogni anno mieteva migliaia di vittime. Nessuno investigava mai i decessi causati dall'Unified Depopulation Regime, l'epidemia controllata che aveva il compito di mantenere costante la popolazione delle poche terre che l'oceano aveva risparmiato.

L'idea di convincere sua madre a intercedere per lei non le era neanche passata per la mente. Antoine Lambert non solo reputava il parere della moglie irrilevante, ma spesso si divertiva a scontentarla di proposito. Portare la madre dalla sua parte, anche qualora ci fosse riuscita, sarebbe stato solo controproducente.

Ancora una volta, nell'oscurità asfissiante in cui la mente esausta di Camelie si trovava, comparve il volto di Sybil Greenfield. Gli slavati occhi rossastri della compagna di Kennedy la squadravano con sufficienza, le labbra sottili erano socchiuse in un ghigno canzonatorio e i capelli sabbia erano raccolti nella stessa pettinatura che aveva Mei Chen quel pomeriggio. Sybil Greenfield prese a ridere sguaiatamente di lei, ma la voce non era la sua, era quella di sua madre, Graziella Lambert.

«Smettila! Smettila!» gridò la ragazza nello showroom deserto. Il resto dello staff era chiuso nello studio di Eric Bloom Surperry per una riunione e fortunatamente nessuno di loro si affacciò per controllare chi avesse urlato.

Camelie avrebbe voluto piangere, avrebbe voluto gridare di nuovo, e invece si limitò ad afferrare le sue cose per andarsene. Il tintinnio della statuetta d'oro, il premio tanto agognato che non valeva più nulla per lei, le fece perdere l'ultimo briciolo di lucidità e la ragazza, in preda a una rabbia accecante, fece roteare la cartella di cuoio colpendo l'allestimento su cui aveva lavorato pazientemente per oltre tre ore. Il pavimento di parquet si ricopri di petali e brillantini, mentre le borse della collezione venivano scaraventate in tutte le direzioni. Non ancora soddisfatta, Camelie continuò ad agitare con veemenza la cartella, accanendosi contro la struttura portante finché non rimase più in piedi nulla della composizione certosina che aveva studiato per giorni.

Si premette il pugno sul petto, incapace di distinguere la realtà dagli incubi, e barcollando lasciò la sala.

Una volta che fu sulla strada, sul marciapiede costantemente riscaldato per evitare che si depositasse la neve, Camelie si ricordò che era arrivata a bordo dell'aeromobile di Sheila e che si era dimenticata di chiamarne una per sé, dopo che le amiche se ne erano andate. Aveva due possibilità: mettersi in contatto con l'hangar delle piantagioni Lambert e aspettare che una delle proprie navicelle la recuperasse, oppure prendere un trasporto privato. Nel giro di qualche minuto dalla chiamata, una delle compagnie che gestiva gli aerotaxi della città avrebbe inviato un velivolo.

Camelie detestava salire sui mezzi di trasporto presi da chissà chi, all'interno dei quali poteva essere successa praticamente qualsiasi cosa, così optò per la prima opzione, anche se avrebbe dovuto aspettare più a lungo. Con fatica estrasse dalla cartella il tablet, per scoprire che, nella foga distruttiva di poco prima, la statuetta d'oro aveva spaccato lo schermo di cristalli liquidi e cellulosa, rendendo l'oggetto inutilizzabile.

La ragazza si passò una mano sul volto, esasperata dall'ennesimo imprevisto di quella sfortunata giornata. Si trascinò fino alla colonnina MultiService più vicina, una delle postazioni disseminate per la città da cui i cittadini liberi potevano accedere a un gran numero di servizi, e si accostò allo schermo spento, in modo che il sensore potesse scansionare la sua iride.

Un bip stonato la avvertì che qualcosa era andato storto e Camelie non si stupì del messaggio d'errore; non era la prima volta che il suo occhio, così simile a tanti altri occhi manipolati geneticamente, non veniva riconosciuto dal sistema di verifica dell'identità. Provò di nuovo, una seconda, una terza e una quarta volta, finché non fu costretta a desistere. Non c'era niente che andasse per il verso giusto quel giorno. Niente.

Rabbrividì per una folata di vento improvvisa, una raffica di nevischio che la costrinse a ripararsi sotto la tettoia del grattacielo signorile che ospitava lo showroom di Eric Bloom Surperry. Si appoggiò al vetro freddo e chiuse gli occhi, incapace di trovare una soluzione al problema imminente di tornare a casa. Anche se i veri problemi erano quelli che avrebbe dovuto affrontare proprio una volta a casa. L'idea di incrociare suo padre la atterriva, l'idea di doversi presentare a scuola la mattina successiva la atterriva, l'idea di dover prendere accordi con Kennedy Holsen per invitarlo a trascorrere il weekend nella tenuta Lambert la atterriva.

Quando aprì nuovamente gli occhi, era ormai buio pesto, e così si decise infine a rientrare nell'edificio. Dall'interno sarebbe stato più facile prenotare un velivolo o chiamare l'AI che governava ogni questione meramente operativa delle piantagioni.

Aveva quasi raggiunto l'ingresso che notò due figure ferme sul marciapiede opposto. Si trattava di due bambini vestiti di stracci: la più grande, una ragazzina di forse dieci, undici anni, teneva per mano un bimbetto di pressappoco sei. Nonostante l'aspetto da mendicanti, i due sembravano alquanto spensierati. La più grande stava indicando al piccino qualcosa, con un sorriso radioso dipinto sul volto bruciato dal sole. L'altro, in preda a un attacco di risatine, la strattonava nella direzione opposta.

Camelie rimase incantata a osservare quei due bimbi che non possedevano probabilmente nulla: né un tetto, né un pasto caldo, né una famiglia convenzionale; e che eppure sembravano più felici di lei.

Fu presa dal desiderio sconsiderato di sapere cosa rendesse la loro vita degna di essere vissuta, al contrario della sua, che aveva perso ogni valore quattro giorni prima.

Senza pensare, confusa dal troppo poco sonno, Camelie si incamminò dietro ai bambini. Procedeva, come in trance, su strade che non conosceva, stregata dalle loro risate e dalla sicurezza con cui si muovevano per gli isolati per lei tutti uguali di Nilemouth.

Gli occhi albini, appannati dalla stanchezza, non vedevano altro che le due figure che in quel momento rappresentavano tutto ciò che lei non avrebbe mai più potuto avere.

Corrosa dall'invidia per un concetto contorto di libertà, Camelie Venice Lambert seguì i due bambini nel ghetto.

Dietro le quinte

Non so voi, ma io sono davvero contenta di mettere momentaneamente da parte i "problemi non problemi" di questa massa di ragazzini viziati della New Hope Academy.

Camelie (che btw si pronuncia Camelìe con l'accento sulla i) ha dato spettacolo in questo capitolo, in tutti i sensi. E vista la sua personalità smidollata - ovviamente solo di fronte ai più forti - capisco che in questo momento tutto le possa sembrare meglio che tornare a casa.

Perché non è mai stata nel ghetto di Nilemouth! Io sì e se fossi in lei tornerei sui miei passi ASAP!

Non siate lettori silenti, se il capitolo vi è piaciuto fate capolino! 👀

Elaine

Continue Reading

You'll Also Like

1.3K 85 69
La parte più oscura dell essere umano.. la mafia che non guarda in faccia nessuno neanche l essere più innocente. *****Si sconsiglia la lettura di qu...
IGNI By Vals

Mystery / Thriller

625K 28.7K 55
[In riscrittura] Qual è il vostro posto nel mondo? Cassie non ne ha uno. Viene costantemente sballottata da un Paese all'altro da quando, all'età di...
201K 1.8K 9
Brys ha sedici anni e una vita perfetta: è una famosa modella, invidiata da tutti, e la figlia prediletta del ricco Amministratore Europeo della Spid...
45K 2.4K 124
PRIMO VOLUME - Una ragazza dal passato difficile, degli incontri che le cambieranno la vita. Sullo sfondo del campionato maschile di pallavolo una s...