Falling for a Challange

By ravenxblood

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La Temperance High School è conosciuta per le sue famose Challenges e questo Mavis Hopkins lo sa benissimo pe... More

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▷ tre
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▷ nove
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▷ quattordici
▷ quindici
▷ sedici
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▷ diciassette
▷ diciotto
▷ diciannove
▷ venti
◇ Maryse 💔
▷ ventuno
▷ ventidue
◇ Jeremy 👊
▷ ventitre
◇ Morgan 💣
▷ ventiquattro
▷ venticinque
◇ Maryse 💏
▷ ventisei
▷ ventisette
▷ ventotto
▷ ventinove
◇ Tyler 🌈
▷ trenta
▷ trentuno
▷ trentadue
◇ James 🚬
▷ trentatré
▷ trentaquattro

▷ cinque

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By ravenxblood

Mi svegliai con un mal di testa pazzesco e con delle meravigliose occhiaie che mi facevano sembrare uno zombie.

La notte precedente avevo dormito poco e niente, pensando a cosa ci avrebbero obbligati a fare gli organizzatori della challenge quest'oggi.

Ero davvero tentata di saltare il secondo giorno, ma conoscendo le segretarie della mia scuola, sapevo che se non mi avessero vista arrivare entro le otto, avrebbero chiamato all'istante i miei genitori per chiedere dove mi fossi cacciata.

E non avevo alcuna intenzione di subirmi un'altra ramanzina da parte di mia madre, la quale mi paragonava sempre a mio fratello, rinfacciandomi costantemente quanto fossimo diversi e quanto li mettessi in imbarazzo con i miei comportamenti. Però Jeremy che si portava a casa una ragazza ogni sera, si ubriacava fino a non riconoscersi, andava bene per loro.

Ovviamente io ero la pecora nera della casa, nonostante mi impegnassi più di mio fratello, anche se a scuola non seguivo attentamente le lezioni.

Entrai nel mio bagno personale, trascinando a forza le gambe stanche poi girai la manopola della doccia verso l'acqua calda e aspettai, continuando a sbadigliare come se non dormissi da secoli.

Mi spogliai con la lentezza degna di un bradipo poi entrai in doccia, venendo quasi ustionata dall'acqua bollente. Gridai come una pazza, spegnendo all'istante il getto poi lo regolai meglio, riuscendo finalmente a farmi una normalissima doccia.

Poco prima di entrare in bagno avevo controllato il mio cellulare, ma per fortuna non avevo ancora ricevuto nessun messaggio dagli organizzatori, anche se la cosa un po' mi spaventava.

Forse volevano aspettare che tutti fossimo a scuola prima di inviarlo... O forse si stavano preparando a sganciare una bomba. Oppure mi stavo facendo tante di quelle seghe mentali degne di un Oscar.

Be', era meglio se smettevo di pensarci sennò mi sarei uccisa col tubo del doccino.

Una volta uscita dalla doccia, mi avvolsi un grande asciugamano rosa intorno al corpo infreddolito dalla differenza di temperatura e con uno più piccolo mi feci un turbante per intrappolare i miei capelli zuppi d'acqua.

Andai davanti alla specchiera appannata dal vapore, la quale sembrava volermi dire "tranquilla, ti risparmiamo lo spavento" e, prendendo lo spazzolino sui cui spalmai un po' di dentifricio, incominciai a lavarmi i denti senza nemmeno dare un'occhiata al mio aspetto.

Non avevo tutta quella gran voglia di specchiarmi. Magari facendo così mi sarei tenuta alla larga Morgan, anche se ne dubitavo fortemente. Soprattutto dopo quello che mi aveva detto Cassidy.

Sospirai pesantemente con lo spazzolino in bocca e con tutta la sfiga che avevo in corpo, mi strozzai con la mia saliva al gusto di menta.

Incominciai a tossire, picchiettandomi sul petto una mano, ma peggiorai solamente le cose.

Meraviglioso. Sarei morta per essermi strozzata con la schiuma del mio dentifricio. Ma almeno una morte normale, no?

Con velocità mi sciacquai il viso, riuscendo finalmente a riprendere fiato mentre dai miei occhi, rossi dal pianto, continuavano ad uscire lacrime per via del soffocamento di poco prima.

Mi tamponai il viso con un asciugamano pulito, pensando che se avessi fatto finta di svenire, magari sarei riuscita a saltare il secondo giorno.

Ma abbassando lo sguardo verso il mio corpo, vidi che era ancora avvolto dal grande asciugamano quindi era meglio se evitavo di farmi trovare "svenuta" in questo stato.

Non volevo finire, che so, in ospedale con solo un asciugamano addosso, quindi accantonando l'idea, uscii dal bagno e incominciai a vestirmi, sentendo la musica a tutto volume uscire dalla camera di mio fratello, proprio di fronte alla mia.

Alzai gli occhi al cielo. Era sempre il solito coglione, ma quel giorno avrei avuto bisogno di un suo passaggio a scuola perché a quanto pare il carrettino di Maryse stava iniziando a dare i primi segni di cedimento.

Dopo essermi asciugata anche la paglia azzurra che avevo in testa, bussai ripetutamente alla porta della camera di mio fratello, fin quando quest'ultima non venne finalmente aperta.

«Che cazzo vuoi, Mavs?», sbraitò Jeremy, fissandomi in cagnesco e incrociando le braccia al petto.

Solo in quel momento notai che mio fratello non indossava la maglietta, mettendo così in mostra i suoi addominali, ma era unicamente in boxer.

Dei boxer azzurri con stampati su dei cagnolini. Oh Cristo! Ma che roba era?

Mi coprii all'istante il viso, emettendo un verso di disgusto, «Ma vestirti, no?»

«Non è colpa mia se non hai mai visto un ragazzo mezzo nudo, sorellina.»

«E non ci tengo nemmeno, soprattutto se indossano boxer come i tuoi.»

Feci finta di vomitare poi scrollando le spalle, lo fissai negli occhi lucidi e assonnati, «Oggi mi devi accompagnare a scuola tu.»

«Che? Perché non vai con la Walker?»

«Maryse. Mary. E comunque non posso perché la sua macchina la sta lentamente abbandonando.»

Mio fratello ghignò. «Va bene, testa di cazzo, ma sei in debito con me quindi quando avrò bisogno di qualcosa, tu dovrai farlo senza lamentarti.»

Ah... Ecco a cosa voleva arrivare. Voleva ricattarmi per avere qualcosa da me, ma cosa esattamente?

«Ci stai oppure prendi il bus? Anche se penso sia passato meno di cinque minuti fa, oops.»

Digrignai i denti, per evitare di saltargli al collo come un bulldog con la rabbia, «Ci sto, pezzo di stronzo.»

«Bene. Io mi cambio, tu ingozzati pure di nutella.»

Gli mostrai il dito medio poi feci una pernacchia e nel frattempo incominciai a scendere i gradini, pensando a come poter uccidere mio fratello senza far ricadere i sospetti su di me. Ma era quasi impossibile che non capissero che ero stata io, anche perché nonostante seguissi molte serie TV crime, non sarei mai riuscita a nascondere un cadavere o le mie tracce.

«Mavis, buongiorno», mio padre mi salutò da dietro il suo giornale mentre mia madre era ai fornelli che preparava la colazione.

«Buongiorno papà», gli baciai una guancia pungente di peluria poi lasciando cadere lo zaino ai piedi della sedia, mi ci sedetti sopra e afferrai il barattolo di nutella.

«Sto preparando i pancakes quindi potresti aspettare ad ingozzarti di nutella? Mi servirebbe», mi ammonì severamente mia madre quindi lasciai stare la testa e appoggiai sconsolata il viso sul tavolo.

Sbuffai stancamente, magari così avrei attirato l'attenzione di mio padre, ma lui inarcò semplicemente un sopracciglio poi tornò a leggere il suo giornale, facendo finta di niente.

Tradita da mio padre, dall'unico di cui mi fidavo in questa casa. Che colpo duro da digerire e sarà così anche dopo aver mangiato i pancakes di mia madre.

Mia madre si ostinava a cucinarli, anche se li faceva veramente schifosi e duri da mandar giù e, nessuno aveva il coraggio di farglielo notare per paura della sua furia incontrollata.

«Oggi mi accompagna a scuola, J. A Mary non funziona più il suo catorcio», annunciai dopo essermi riempita una tazza di latte.

«È anche ora che cambi quella macchina», borbottò mia madre, servendo i pancakes.

Mia madre aveva costantemente paura che una volta salita sulla macchina di Mary, non avrei più fatto ritorno a casa o peggio ancora sarei finita in una bara o in ospedale gravemente ferita.

Avevamo tutti il terrore di quella macchina mentre la mia migliore amica la venerava, neanche fosse bella e utilizzabile senza problemi.

«Gliel'ho detto anche io», borbottai, infilandomi in bocca un enorme pezzo di pancake che avrei digerito quella sera.

Jeremy entrò in cucina in quell'istante e si sedette al mio fianco, evitando accuratamente i pancakes di mamma poi si prese una fetta biscottata e ci spalmò sopra un po' di nutella.

Gli rifilai un'occhiataccia e lui in risposta alzò entrambe le sopracciglia, mostrandomi un ghigno soddisfatto poi fece spallucce e incominciò a mangiarsi la fetta biscottata.

Perché lui poteva mangiarsi quello mentre io dovevo farmi rimanere sullo stomaco un mattone che non poteva venir definito un pancake?

Gonfiando le guance, spostai il piatto in avanti e afferrai il barattolo di nutella poi ci affondai dentro un cucchiaio, fingendo di non aver visto lo sguardo scioccato con cui mi stava fissando mia madre.

Io volevo la nutella e non dei pancakes più duri del marmo, dannazione!

«Sei una ragazza! Un po' di contegno, Mavis.»

«Cosa sto facendo di male?», leccai per bene il cucchiaio poi lo rinfilai, con nonchalance, nel barattolo e presi un'altra cucchiaiata di nutella che velocemente portai alla bocca.

Mia madre spalancò la bocca per dirmi qualcosa, ma poi la richiuse pochi secondi dopo, scuotendo il capo e tornando a lavare la padella che aveva usato per cucinare.

Alzai le spalle poi pulendomi la bocca con il dorso della mano, sorrise malignamente a mio fratello, «Mi passi un tovagliolo o devo usare te per pulirmi le mani?»

Jeremy alzò gli occhi al cielo poi mi passò un tovagliolo, lanciandomelo in faccia, «Sei un porco, Mavs.»

«Lo prendo come un complimento, soprattutto detto da uno che entra nella mia stanza, scoreggia e poi esci come se non avesse fatto nulla.»

Mio fratello mi fece il verso poi alzandosi da tavola, salutò i nostri genitori e mi ordinò di muovermi se non volevo essere lasciata a casa.

Non era una pessima idea, ma con davanti mia madre non potevo di certo dirgli "certo, vai pure, io me ne starò a letto tutto il giorno" quindi brontolando quanto fosse un rompiscatole, lo raggiunsi.

Mi aggiustai lo zaino in spalla poi con un cenno della mano salutai i miei genitori ed infine uscii di casa, correndo verso la macchina di mio fratello.

«Questa è e sarà la prima e unica volta in cui ti porterò a scuola.»

«Se non l'avessi capito, la macchina di Mary è da rottamare quindi non ho più un passaggio, idiota.»

«Prendi l'autobus.»

«E rischiare di venir molestata da qualche ragazzo che allunga un po' troppo le mani? No, grazie, passo.»

«Vacci in bici allora.»

Scoppiai a ridere, lanciando lo zaino sui sedili posteriori, «Ma se non ce l'ho più da quando me l'hai rotta due anni fa, coglione.»

«Che rottura di coglioni che sei.»

Gli mostrai il dito medio poi accesi la radio e una canzone che non conoscevo riempì l'abitacolo mentre mio fratello iniziò a cantarla convinto, anche se faceva pena e stonava ad ogni strofa.

Io e Jeremy non avevamo quel grande rapporto, ma nel momento del bisogno c'eravamo sempre uno per l'altro.

Come quando durante il primo anno scolastico corsi da mio fratello, dopo che un ragazzo di terza continuava a tirarmi i capelli e a minacciarmi di tagliarmeli, e scoppiai in lacrime. Jeremy non disse nulla, mi abbracciò stretta a sé poi nel pomeriggio venni a sapere che aveva minacciato di rasare a zero i capelli a quel ragazzo di terza che non mi lasciava stare. Be', da quel momento non lo fece più.

D'altro canto, quando il quarterback della squadra avversaria della nostra, insultò mio fratello e nostra madre ― si perché solo quello sapevano dire, scordandosi loro stessi di essere nati da una donna ―, gli tirai un calcio nelle palle senza pensarci due volte, subendo poi una settimana di detenzione, ma almeno salvai Jeremy dalla sospensione ed evitò di perdere la borsa di studio per il football per una stupida lite.

Il mio motto era "un calcio nelle palle al giorno, toglie il medico di torno" e funzionava. Non vedevo un medico da anni.

A volte lo beccavo a fissarmi e poi sorridermi, come se facendo così non sembrasse un pazzo che stava pensando ad un modo per uccidermi mentre ero distratta.

Mentre a volte avevo bisogno di un suo abbraccio, ma non avrei mai avuto il coraggio di ammetterlo perché ne andava della mia dignità.

Gli volevo bene, questo era certo, ma difficilmente ce lo dicevamo perché entrambi non volevamo ammetterlo.

«Ti è già arrivato il messaggio di quella dannata challenge?», chiesi poi mi impensierii, appoggiando la testa contro il finestrino e sbuffando quando vidi che il cielo stava diventando sempre più grigio.

Con chi diavolo era in coppia mio fratello?

E quel giorno avrebbe piovuto? No, perché non avevo dietro l'ombrello e non avevo voglia di prendermi una lavata.

«Di quella singola sì, ma di quella a coppie no.»

«Con chi sei in coppia tu?»

Lui mi fissò di sottecchi poi fece spallucce, «James.»

Era in coppia con James? Quindi loro due si erano baciati per la prima sfida?

Giuro che non stavo morendo, no. Sembravo solamente una scrofa col raffreddore mentre ridevo con una mano spiaccicata sulla mia bocca per non farmi sentire da Jeremy.

Emise un sospiro snervato, «Sembri una scrofa che si sta soffocando.»

«Scusa, ma non ce la faccio», tolsi la mano dalla bocca e scoppiai in una risata liberatoria poi riprendendo fiato, tornai seria, «Tu e James che vi baciate? Avrei tanto voluto vedervi! Perché non c'è la vostra foto? Voglio assolutamente vedervi.»

«C'è quella dannata foto, ma se dovesse circolare, ridurrò in cenere ogni fottuta oggetto prezioso di quei nerd sfigati della challenge.»

«Io sono tua sorella quindi ho il diritto di vederla!», ribattei, battendo i pugni sulle mie stesse cosce.

«Scordatelo, cretina. E ora sta' zitta, per favore.»

Gonfiai le guance, sentendomi profondamente offesa poi gli mostrai il dito medio, pensando a chi dei nostri compagni di scuola potesse avere ancora la foto e la prima che mi saltò alla mente fu Cassidy.

Avrei potuto chiedere a lei, tanto me l'avrebbe fatta vedere sicuramente, o almeno così speravo.

«Però sei uno stronzo», borbottai atona, ritornando poi con la testa sul finestrino e emettendo un sospiro stanco, per nulla pronta a quel secondo giorno di scuola.

Notai con la coda dell'occhio, Jeremy picchiettare l'indice e il medio sul volante mentre seguiva il ritmo della musica che stava passando in radio.

Mio fratello era sempre così. Quando non voleva parlare, metteva la musica e fingeva di non sentire quello che gli altri avevano da dire. Un po' come me quando non volevo sentire le grida di mia madre, dopo avermi sbraitato addosso una delle sue solite ramanzine che ascoltavo a stento.

All'improvviso incominciai a provare questa strana sensazione, come se da un momento all'altro dovesse succedere qualcosa di brutto, che mi stava attanagliando con forza lo stomaco e ad ogni passo che ci avvicinava alla scuola, la presa diventava sempre più dolorosa e da togliere il fiato.

Avevo una fortissima nausea e un soffocante groppo, pieno di ansia, in gola che mi impediva di respirare normalmente.

Per cercare di placare almeno un po' il dolore che provavo allo stomaco, stritolai con forza le mani intorno alle mie stesse cosce, facendomi diventare le nocche bianche e le dita incominciarono a tremolare per la tensione.

Non ce la facevo più. Avevo bisogno di scendere da quella macchina e prendere una lunga boccata d'aria.

«Jeremy, ferma la macchina!», gridai in preda al panico mentre la mia salivazione aumentava drasticamente.

«Che cazzo dici, Mavs?», sbraitò scioccato.

«Ho detto: ferma la macchina, dannazione! Sto avendo un attacco di panico», strillai ancora per poi tapparmi all'istante la bocca per non rimettere.

«Cazzo!», sbraitò lui, fermando bruscamente la macchina sul ciglio della strada, mettendo poi le quattro frecce.

Mi catapultai fuori dalla macchina, senza più fiato nel corpo. Le mie gambe cedettero pochi attimi dopo, ritrovandomi così a cozzare le ginocchia sull'asfalto e a gemere dal dolore.

«Mavis, porca troia!»

Sentivo la bile salirmi su per la gola e bruciarmi coi suoi succhi gastrici le pareti. Strizzai con violenza gli occhi, incominciando a vedere macchioline verdi e azzurre nel nero assoluto, davanti alle mie palpebre chiuse.

«Mavis, piccola, ti prego fai lunghi e profondi respiri», sentii la voce di mio fratello ovattata alle mie orecchie mentre mi accarezzava dolcemente la schiena.

Provai a fare un lungo respiro, ma nuovamente sentii l'acidità salirmi alla gola quindi scossi il capo, «N-non ci r-riesco», ansimai pesantemente tra una parola e l'altra.

«Invece sì perché sei forte, Mavs e perché sei sempre riuscita a superare questi attacchi», Jeremy avvolse le sue braccia intorno alla mia schiena, facendomi abbozzare un sorriso che uscì più una smorfia per colpa del dolore e delle schifose sensazioni che stavo provando.

Mi sbilanciai in avanti e finii letteralmente col viso nel suo petto. E stranamente solo quello riuscì a calmarmi. Solo il calore dell'abbraccio di mio fratello riuscì a calmarmi e a farmi passare quell'orribile attacco di panico.

In quell'istante capii che era proprio vero, anche se ci insultavamo, ci facevamo dispetti a vicenda, lui era sempre pronto ad aiutarmi.

Lui c'era sempre. Ad ogni mio attacco di panico, lui era lì a cercare di calmarmi, di consolarmi e, mai una volta aveva usato questa cosa contro di me durante le nostre litigate.

Gli volevo bene, ma non lo avrei ammesso, nemmeno sotto tortura.

«Grazie J.»

«Sempre e comunque, ma ora dobbiamo proprio andare. Se arriviamo tardi, mamma e papà ci uccidono.»

Dalle labbra uscì un sospiro pesante poi annuì, sconsolata, «Va bene, andiamo.»

Anche se avrei tanto preferito ritornare a casa, ma a quanto pare ero proprio costretta ad andare a scuola e a subirmi il secondo giorno della challenge.

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