Falling for a Challange

By ravenxblood

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La Temperance High School è conosciuta per le sue famose Challenges e questo Mavis Hopkins lo sa benissimo pe... More

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▷ uno

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By ravenxblood

"É possibile arrivare ad odiare così tanto un fratello, da desiderare che sparisca dalla faccia della terra?"

Era quella la domanda che continuava a frullarmi nella testa, da quando quella stessa mattina mi ero svegliata con Jeremy ― mio fratello maggiore ― intento a provarsi uno dei miei reggiseni mentre si scattava foto con le labbra arricciate a mo' di culo di gallina.

Ora vi starete chiedendo: "perché quel troglodita di tuo fratello si sta provando uno dei tuoi bellissimi e costosissimi reggipoppe ― come lui amava chiamarli?".

La risposta era semplice, perché quel coso che purtroppo per me era mio fratello, stava facendo una delle tante challenge che la mia scuola, la Temperance High School, organizzava ogni santissimo mese. Se ti arrivava un messaggio in cui ti dicevano che eri stato scelto per la nuova ed entusiasmante challenge, eri fottuto. Per fortuna, a me non era ancora mai arrivati e speravo vivamente fosse sempre così.

Le challenges erano una cosa assai stupida. Odiavo quelle sfide. Erano infantili e inutili, soprattutto perché quasi tutte le prove erano incentrate sul fare, prendere qualcosa alle ragazze, come in quel caso. "Scattarsi una foto col reggiseno di una ragazza che conosci e inviarla sulla chat di gruppo", era quella la prima prova della settimana.

Divertente, vero? Forse solo per i ragazzi, perché per le ragazze con un po' di cervello - quindi erano da escludere molte cheerleaders - era una cosa molto, ma molto fastidiosa.

«Ehi, cesso ambulante, ti alzi oppure vuoi rimanere a letto tutto il giorno?», quella bastarda e inutile creatura chiamata fratello, mi lanciò svogliatamente il reggiseno sul letto poi scrollando le spalle, uscì dalla mia stanza.

«Qui l'unico cesso sei tu, caro il mio Jeremy», lo rimbeccai gridando a pieni polmoni e chissene frega se svegliavo i nostri vicini, tanto quei vecchi rincitrulliti non sentivano nulla talmente erano sordi.

Dopo aver urlato altri insulti verso mio fratello, mi alzai dal letto e con passi degni di un elefante, mi chiusi in bagno a prepararmi per quell'estenuante giornata di scuola. La prima di molte, purtroppo. E il bello era che il primo giorno di scuola lo avrei iniziato di merda per il semplice fatto che la sera prima ero stata sveglia fino a tardi per finirmi in tempo record tutta la sesta stagione di Teen Wolf quindi ora ero stanchissima.

Mi piazzai davanti alla specchiera e accesi le luci, abbagliandomi per alcuni secondi. Odiavo quando succedeva, ovvero quasi tutte le mattina, se non tutte.

Sbattei ripetitivamente le chilometriche ciglia bionde e mi spaventai nel vedere la mia immagine riflessa.

«Ma ciao bellissimo e sexy zombie, come ti va la vita?», ammiccai alla mia stessa immagine, sentendomi abbastanza cretina, ma era quello l'effetto che mi faceva svegliarmi presto dopo tre mesi passati a dormire fino all'una o alle due del pomeriggio.

Non ero proprio un cesso, ma nemmeno bellissima. Ero ― diciamo ― nella norma. Avevo lunghi capelli di un blu acceso e sarebbero potuti venir definiti belli, se solo non fossero stati così crespi, che molto spesso mi ero chiesta se non vi ci vivesse una famiglia di uccellini al suo interno. E, già, quella era la potenza distruttiva delle tinte.

I miei occhi ― spesso definiti da tutti a palla ― erano enormi e di un normalissimo azzurro che non faceva invidia nemmeno al gatto del vicino, il quale aveva dei splendidi occhi color ghiaccio. Molto spesso dovevo indossare gli occhiali da sole perché i raggi solari mi facevano lacrimare. E quello perché i miei dannatissimi occhi erano così grandi da sembrare delle palle da calcio. Grazie mamma, proprio da te avevo dovuto prendere la grandezza degli occhi. Ma non potevo invece prendere la grandezza del tuo seno, no, eh?!

Poi avevo un piccolo naso all'insù che stonava in un modo pazzesco con la grandezza dei miei occhi. Le proporzioni del mio viso se l'era mangiate Chips ― non domandate il perché di quel nome ―, il mio gatto di nove anni, una grande palla di lardo rossiccia.

Le labbra erano molto fini e quando sorridevo sembravano scomparire mentre quelle di quel cretino di mio fratello erano abbastanza carnose e di una forma simmetrica. Tutte le fortune agli altri. La forma del mio viso - per fortuna - era ovale e non a diamante come quello di mia madre. Se lo avessi avuto con quella forma, il mio viso sarebbe sembrato come se me lo avessero risucchiato con l'aspirapolvere dal mento.

La mia pelle era pallida e molto spesso lucida e, sulla fronte avevo una voglia al caffè latte, enorme quanto il Texas, che ne occupava la metà. Una cosa che odiavo perché sin da bambina mi avevano sempre presa in giro, dicendo che sembravo malata o che avevo qualche malattia contagiosa, motivo per cui d'allora portavo il ciuffo in quella parte del viso.

Purtroppo a scuola ― nonostante il mio aspetto da non modella di Victoria's Secret ― non passavo inosservata. L'essere la "piccola sorellina" di Jeremy Hopkins faceva si che a scuola tutti sapessero chi fossi, quello che facevo, le amicizie che frequentavo e che corsi seguivo. Ogni cosa. Tutti parlavano di me, ma nessuno provava minimamente a parlami alle spalle, erano troppo terrorizzati da mio fratello, uno dei migliori amici del quarterback della squadra di football ― anche lui giocava in essa ―, e da quello che avrebbe potuto fare. Solo quelle oche delle cheerleaders osavano prendersi gioco di me e mio fratello ai loro insulti rideva, rideva come un cretino ― ah, no, lo era per davvero. Non che mi importasse qualcosa di quello che dicevano quelle stupide ragazze fatte con lo stampino; d'altronde, il loro quoziente intellettivo sommato insieme non arrivava nemmeno a sfiorare il mio.

«Mostro, vuoi muoverti?! Le tue amiche sono già di sotto che ti aspettano», sbraitò mio fratello entrando senza avvisarmi nel bagno e facendomi sobbalzare per lo spavento e stritolare il tubicino mezzo vuoto del dentifricio che schizzò tutto il contenuto nel lavandino. Maledetto Jeremy!

Lo fulminai con lo sguardo. Bastardo, lo aveva fatto apposta. «Sì, mi muovo. Ora smamma, prima che ti rifili un calcio nelle palle», sibilai, mostrandogli il dito medio per poi spingerlo a suon di calci del sedere fuori dal bagno.

━ ━

Non feci in tempo ad appoggiare entrambi i piedi sul pavimento di mattonelle color crema del salotto che Maryse e Megan ― le mie migliori amiche ― mi saltarono al collo, stritolandomi in un abbraccio affettuoso che stava a significare "mi sei mancata durante le vacanze".

«Ciao ragazza schianto», mi salutò calorosamente Maryse una volta sciolto l'abbraccio. Roteai gli occhi per quel soprannome che Mary mi aveva affibbiato l'anno scorso dopo essermi schiantata al suolo davanti alla mia cotta centenaria. Una figura di merda che avrei voluto tanto dimenticare, ma a cosa servivano le migliori amiche se non a ricordarti delle tue figuracce più orribili per tutta la tua vita?

La mia cotta non era altro che James Sullivan, il migliore amico di Morgan Cooper ― il quarterback per eccellenza ― e a differenza di quello che si potrebbe pensare, lui era un bravo ragazzo. Era molto gentile, o almeno quando era da solo si comportava gentilmente mentre quando era con Morgan sfoggiava la sua parte da bastardo strafottente. A volte mi chiedevo quale delle due personalità potesse essere quella vera. Magari gentile o magari strafottente oppure entrambe. Solo lui lo sapeva, era molto bravo a camuffare le sue emozioni.

«Ciao Mavis, tutto bene?», Megan la più apprensiva delle due, mi sorrise affettuosamente mentre appoggiava una mano sulla mia spalla e mi fissava con circospezione. Sì, lo sapevo anche io di avere un aspetto orribile e che le mie occhiaie sembravano rispendere anzi sparire grazie al correttore. Facevo altamente schifo a truccarmi e quelle due lo sapevano benissimo, ecco perché quasi sempre uscivo struccata.

Feci spallucce. «Sì, tutto bene. Come sono andate le vostre vacanze?», le mie uno schifo quindi era meglio se evitavano di chiedermelo. Passare tre mesi dalla mia cara nonnina non era mai stata la mia idea di vacanza da sedicenne. Era stata più una vacanza da "rimpinzati di mangiare fin quando non scoppi", infatti avevo messo su almeno tre chili. Grazie nonna, ti amo anche io.

Vidi mia madre entrare con le braccia conserte in salotto e con uno sguardo severo che mi fece rabbrividire, «Ne parlerete dopo essere salite in auto e partite per andare a scuola. Fuori da questa casa. Non vorrete arrivare tardi il primo giorno di scuola, vero?».

Sia io che le mie migliori amiche scuotemmo il capo mentre con la coda dell'occhio vidi mio fratello ghignare. Ma cosa ghignava a fare? Che tra i due quello più terrorizzato da nostra madre era lui.

«No, signora», esclamai poi strattonando Maryse e Megan da un braccio, uscimmo di casa, salutando un'ultima volta mia madre.

Uscite da casa mia, ci dirigemmo subito alla macchina di Maryse. No, definirla in quel modo era veramente eccessivo. La cara auto della mia migliore amica era un catorcio che si reggeva a malapena in piedi. Non so come nell'ultimo anno aveva fatto a sopravvivere senza venir controllata nemmeno una volta. Quando pioveva le si accendevano tutte le spie senza un motivo preciso e quando facevi scendere giù i finestrini perché volevi prenderti un po' d'aria, difficilmente riuscivi a farli risalire senza dover aiutarsi con le mani. Ogni tanto pensavo che prima o poi ci avremmo lasciato le penne in quella carretta.

Con una voglia pari a zeri, aprii lo sportello posteriore dell'auto, temendo potesse rimanermi in mano, ma grazie agli Dei non fu così e ci entrai dentro, sistemandomi al centro. Pochi attimi dopo entrarono anche le mie migliori amiche.

Maryse si sistemò gli occhiali che l'erano scesi sino alla punta del suo naso aquilino poi inserì la chiave nel nottolino, cercando di accendere la macchina e stranamente, senza grandi intoppi il motore incominciò a brontolare furiosamente. Megan invece borbottò qualcosa di incomprensibile alle mie orecchie, allacciandosi immediatamente le cinture di sicurezza poi si passò entrambe le mani tra i capelli biondicci e li spostò tutti indietro, mettendo in mostra la sua fronte alta che adoravo con tutta me stessa.

«Ora voglio assolutamente sapere delle vostre vacanze», strillai, appoggiando entrambe le braccia sui sedili anteriori e sporgendo il viso in avanti, così da averlo in corrispondenza di quelli delle mie migliori amiche.

Notai Maryse inumidirsi le labbra, segno che era pronta per raccontare la sua strabiliante vacanza ― be', sicuramente migliore della mia ― poi mi sorrise attraverso lo specchietto mentre continuava a tenere le mani salde sul volante e con una velocità pari a quella di una tartaruga, ci stavamo dirigendo a scuola.

«Sapete no che sono andata in vacanza in Brasile?», io e Megan annuimmo contemporaneamente, pronte ad ascoltare il lungo racconto della nostra migliore amica, «Be', ho conosciuto un ragazzo altissimo, muscoloso e dalla pelle così scura da poterla paragonare al cioccolato fondente...».

Ora le esce la bava dalla bocca, sicuro, pensai roteando gli occhi e sforzandomi di sorridere. Se c'era una cosa che avevo imparato da quando conoscevo Maryse, era che tendeva ad ingigantire le cose e a renderle più passionali di quanto poi erano state.

«Va' avanti, Mary», borbottò Megan, legandosi i lunghi capelli biondi e setosi in una coda alta. Quanto invidiavo la sua chioma perfettamente liscia e in salute. I miei facevano paura talmente erano rovinati e crespi.

«Okay, si chiama Jorge e abbiamo passato tutti i tre mesi insieme al mare, in spiaggia, nei pub, ovunque. Lui veniva a trovarmi persino in hotel e mamma mia, i suoi muscoli ricoperti di gocce scintillanti d'acqua mi hanno fatto più volte desiderare di leccargl-»

«Okay, okay, stop, abbiamo capito», strillai, tappandole la bocca per evitare di farla continuare a parlare.

Come avevo già detto, Maryse tendeva sempre a rendere più passionali e molto spesso volgari i suoi racconti amorosi di una o più notti.

«Be', quando alla fine delle vacanze dovevo tornare a casa, lui mi ha chiesto il numero di telefono e io gli ho detto che non ero interessata ad una relazione a distanza. C'è rimasto molto male, ma io cosa posso farci se lui abita in Brasile e io negli Stati uniti?», Maryse scrollò le spalle con nonchalance poi fece spallucce quando Megan provò a dirle che avrebbe dovuto dargli una possibilità.

Una relazione a distanza... Be', non era un granché come cosa, soprattutto se per vederlo doveva aspettare i mesi estivi.

«Voi come le avete passate le vacanze, verginelle?», ghignò maliziosamente la mora.

La domanda che più temevo.

Megan sbuffò, seccata da quel soprannome che ci aveva affibbiato la nostra migliore amica poi strinse le braccia al petto, mettendo in risalto il seno prosperoso che faceva girare la testa a molti ragazzi a scuola, nonostante l'avessero etichettata come la sfigata perché si chiudeva per ore e ore in biblioteca.

Quanto invidiavo il suo corpo. Aveva un corpicino magro, con delle forme da capogiro. Un seno grosso, dei bei fianchi larghi, un sedere a mandolino e sodo e delle gambe chilometriche. Praticamente aveva il corpo che desideravo io, dato che avevo un piccolo seno, un sedere poco pronunciato e le gambe, be', grazie a Dio quelle erano nella norma.

«Mav!», gridò Megan, arricciando in una smorfia seccata le sottili labbra rosee.

Sbattei le palpebre un paio di volte poi inclinai il capo verso destra impensierendomi, «Eh?», chiesi leggermente confusa. Che mi ero persa?

«Non hai ascoltato nemmeno una parola di quello che ho detto, vero?», domandò retoricamente e stizzita Megan, voltandosi verso di me e puntando i suoi occhi marroni nei miei azzurri leggermente spaesati.

Mi sforzai di sorridere, sentendo un lato della mia bocca tremolare per lo sforzo, «Forse...», ammisi infine, beccandomi un'occhiataccia da parte sua.

«Ho detto che in vacanza a Roma ho conosciuto un ragazzo davvero dolce che mi ha regalato questo bracciale,» mi mostrò un bracciale di pelle azzurra con un ciondolo a forma di delfino - lei adorava i delfini - «E mi ha promesso che mi sarebbe venuto a trovare durante le vacanze natalizie, infatti ancora adesso ci sentiamo tutti i giorni.»

E poi c'ero io che avevo ricevuto solamente sempre più dolci da parte di mia nonna e prese in giro da parte di quel cretino di mio fratello. Nessun ragazzo figo a corteggiarmi o a regalarmi gioielli come alle mie migliori amiche.

Maryse emise un verso pieno di disgusto, fermandosi poi in un parcheggio libero della Temperance High School, «Come puoi stare insieme ad una persona che abita in un altro continente e che vedrai raramente?»

Il caro e vecchio edificio scolastico dalle mura di un grigio tristissimo, non mi era mancato per niente, ad essere sincera. Così come non mi erano mancati i miei compagni o qualunque essere vivente frequentasse quella scuola.

Non sentii nemmeno la risposta che Megan dette a Maryse, troppo concentrata a maledire tutti i miei compagni di classe, fin quando il mio sguardo non cadde su mio fratello che sghignazzava come una papera e Morgan Cooper che sorrideva come un Dio greco e per poco non mi strozzai con la mia stessa saliva.

Quand'è che quel cretino di Morgan è diventato ancora più alto e bello? E tutti quei fighissimi tatuaggi?

«Perdindirindina, quello è davvero Morgan Cooper?», domandò scioccata Megan, fissandolo con la faccia attaccata al finestrino. La cosa che mi scioccò maggiormente era che la mia migliore amica usava ancora "perdindirindina" al posto di dire qualcosa di più volgare come-

«Cazzo, che figo che è», strillò Maryse, fischiettando con apprezzamento. Ecco, intendevo questo.

Spiaccicai la faccia contro il finestrino, iniziando a fissare, come una psicopatica, Morgan ridere con quel cretino di mio fratello poi li raggiunse anche quel pezzo di manzo di James, la mia cotta, che li salutò con una pacca sulla schiena.

«Quanto è bello», commentai sognante, pigiando maggiormente il viso contro il vetro freddo.

Maryse emise un verso disgustato per poi tirarmi una sberla sulla schiena che mi fece picchiare la testa contro il tettuccio dell'auto.

Gemetti per il dolore, incominciando a massaggiarmi la parte colpita poi la fulminai con lo sguardo ed infine uscii dalla macchina, inciampando sui miei stessi piedi. Chiusi con violenza lo sportello e ovviamente, con tutta la sfiga che possedevo, il mio zaino rimase incastrato nella portiera e finii di stomaco sull'asfalto per aver provato a strattonarlo.

Uno schiamazzo di risata si alzò nell'aria, facendomi desiderare di venir inghiottita da un buco, ma tutto ciò non accadde e fu la mia migliore amica ad aiutarmi a rialzarmi.

«Mavis, stai bene?» Benissimo, guarda. Ho solo voluto abbracciare l'asfalto della nostra scuola che mi era mancato così tanto.

Era questo quello che avrei voluto rispondere a Megan, ma alla fine scrollai semplicemente le spalle, spolverandomi i vestiti sporchi di qualsiasi schifezza ci fosse sull'asfalto, «Sì, bene.»

«E la tua prima figura di merda dell'anno è andata, Hopkins», mi gridò Morgan con un ghigno sulle labbra dall'altra parte del parcheggio, facendo scoppiare nuovamente a ridere la sua cerchia di amici.

Piegai le labbra in un sorriso strafottente poi gli mostrai il dito medio, fregandomene altamente degli sghignazzi di quelle papere e quei maiali che giravano intorno a Morgan, a James e a mio fratello, «Fottiti, Cooper.»

🌈 Angolo Autrice
Spero che questo primo capitolo vi sia piaciuto, lasciate qualche commento e fatemi sapere che ne pensate 💖
Ci vediamo al prossimo aggiornamento tra due/tre settimane.

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