Non abbiamo armi {MetaMoro}

By AngieMonroe92

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[CONCLUSA] Come difendersi quando non si hanno armi? Si innalzano muri , si puntano mirini, nell'inizio di... More

❇ Introduzione ❇
❇ 1) Fabrizio
❇ 1) Ermal
❇ 2) Mi salvi chi può
❇ 3) Blue Room
❇ 3) Seconda Parte
❇ 4) La sera dei miracoli
❇ 4) Seconda parte
❇ 5) Le luci di Roma
❇ 5) Seconda Parte
❇ 5) Terza Parte
❇ 6) Un cuore in due
❇ 7) Completamente
❇ 8) Perfetti sconosciuti
❇ 8) Seconda Parte
❇ 9) Il conforto
❇ 10) Piccola Anima
❇ 11) Farfalla Bianca
❇ 12) Pace
❇ 13) Niente che ti assomigli
❇ 15) Schegge
❇ 15) Seconda Parte
❇) Epilogo
Avviso!
▪ AVVISO

❇ 14) Dall'alba al tramonto

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By AngieMonroe92

L'unica primavera che mi esplodeva addosso, era rappresentata dalle continue farfalle che mi opprimevano lo stomaco.
Quelle che svolazzavano da quando, avevo smesso di considerare Ermal, solo come un buon caro amico.

Bari, quello che eravamo stati noi in quella terra, me ne avevano dato la conferma.

Eravamo fuggiti insieme, io ed Ermal, quasi subito, dopo quell'incontro al mare.
Avevamo passato la notte, in viaggio verso la nostra vita di sempre: fatta di impegni, che ci avrebbero dato modo di staccare da quel pensiero, che attanagliava la mente di entrambi.

Avevamo diviso lo stesso vagone di quel treno, per nove ore, osservando lo stesso panorama, tra qualche soffocato silenzio e qualche battuta d'evenienza.
Il senso di colpa stava divorando entrambi probabilmente, ma non era giusto parlarne.

Dopotutto, un presunto interesse si poteva frenare sul nascere, un incendio si poteva spegnere.
Ed era la prerogativa di entrambi, soffocare tutto quello che pensavamo potesse farci perdere il controllo di noi stessi.

Eravamo due eterni razionali, io ed Ermal, che cercavano di trovare sempre le parole giuste per uscire vincitori, senza cadere in stupide guerre.

Due che combattevano controcorrente, per non ferire nessuno.

«Allora, buona giornata.»
Aveva esclamato Ermal all'arrivo, in quella fresca e uggiosa Milano, nelle prime luci dell'alba.

Non avevo risposto a quell'augurio , che aveva lo stesso sapore amaro di un addio.
Gli impegni che ci obbligavano a stare insieme erano finiti, così come i presupposti di non farci ingoiare dalla paura, rinunciando a quella amicizia, che a piccoli passi, stavamo costruendo.

Ermal non si sarebbe accertato di vedermi rientrare a casa, non mi avrebbe aiutato a caricare la valigia, dicendo all'autista del taxi di turno, che preferiva occuparsene lui.
Ermal, non si sarebbe preoccupato di non ricevere un mio messaggio della buona notte.

E detestavo l'idea, di non poter avvolgere quei suoi ricci ribelli fra le mani, col desiderio di domarli, senza mai riuscirci.

L'unica primavera che mi esplodeva addosso, era il mio cuore che non riuscivo a domare.

Correva all'impazzata, e non per via della stanchezza, ma per il senso di irrisolto che lo stava ingoiando.

Mi catapultai fra le lenzuola pulite del mio letto ancora intatto, cadendo in un sonno profondo, pronto a calmare il mio equilibrio instabile.
Ma quando aprì gli occhi, ero ancora più confusa di prima.

Vidi Marta al mio capezzale, aveva cercato di svegliarmi lei, ma non me ne ero neanche accorta.
Sapeva che non era da me, fare finta di non esistere, eppure quando succedeva, probabilmente volevo solo fuggire da ciò che non avevo il coraggio di affrontare.

Fabrizio era il primo di quella ipotetica lista, piazzata in cima alla mia testa.

«Ti ha chiamata chiunque...» Disse, passandomi il telefono.

«Anche Ermal Chiesi, spontaneamente.

«No ma lo ha fatto Fabrizio.» Rispose, stranita dalla mia domanda.
«Alla decima chiamata non ho resistito e ho risposto al posto tuo. Sta venendo qui.»

«Gli hai dato l'indirizzo?»
Chiesi, saltando fuori dalle coperte, iniziando ad agitarmi.

«Credevo ti facesse piacere.» Rispose Marta sulla difensiva.
Ero certa che tra poco avrebbe avuto inizio il suo interrogatorio, in cui mi chiedeva il perché, di quella mia reazione ingiustificata.

«Non sai un cazzo di quello che è successo nelle ultime settimane, non dovevi invitarlo qui.»
Dissi innervosita, indossando degli indumenti puliti e legando i capelli in una leggera coda bassa.

«Non è un mio problema, se ultimamente hai deciso di non condividere più nemmeno con me, ciò che succede nella tua vita!» Rispose, con la sua solita durezza , che io sapevo in realtà nascondeva tutto il suo dispiacere.

«Forse perché non lo so neanche io quello che mi sta succedendo!» Risposi a mia volta, talmente colma di rabbia, da essere sul punto di esplodere in un liberatorio pianto nervoso.

«Hai paura perché ti stai innamorando di qualcuno che non è Fabrizio e non sai come uscirne!»
Un pugno in pieno volto, avrebbe fatto meno male, di quello che mi aveva appena urlato contro Marta, dritto in faccia.

Annuì, ma senza replicare.
Mi diressi in bagno, sciacquando il viso dal trucco sbavato della sera prima e mi truccai nuovamente, cercando di rimuovere i segni dei miei tormenti.
Ma quello che mi logorava, era dentro di me e non sarebbe bastato un buon struccante, per rimuoverlo.

«Che intendi fare?»
Esclamò Marta, raggiungendomi e passandomi il mio rossetto preferito, il Teddy Velvet di Mac, come un invito a metterlo.

«Intendo essere gentile.
Intendo vivermi tutto quello che Fabrizio può offrirmi senza precludermi nulla.»

«Vivi dei momenti con lui, solo se pensi che ne valga veramente la pena.»

« Tu non hai la minima idea di quello che quell'uomo racchiude in sé.»

«Guarda che io l'ho capito, che è cotto al puntino. Solo tu non riesci a leggerlo nel modo giusto.»

Avevano appena suonato al citofono, e almeno che non fosse uno dei corrieri per le consegne dei nostri acquisti online, attendevamo solo l'arrivo di Moro.

«È lui!»
Esclamò Marta, più in fibrillazione di me.

Le chiesi se il mio abbigliamento andava bene e lei agitò il pollice, intimandomi ad aprire.

Fabrizio, e i suoi sensuali e penetranti occhi neri, erano di nuovo di fronte a me.
Per un attimo, ebbi la sensazione di non sapere più dove mi trovassi.
Era riuscito a catapultare tutto il mio interesse su di lui.

«Cos'è quel faccino?»
Chiese, avvolgendomi in un abbraccio, che aveva spezzato in due il mio respiro.

«Sono solo molto stanca.»
Avevo riposato ma non era servito a molto, se anche Fabrizio continuava a vedermi sotto tono.

Decisi di farlo entrare in casa, di presentargli Marta che lo aveva accolto con un sorriso.
Quest'ultima doveva recarsi a lavoro e quindi, avremmo anche potuto rimanere da soli a casa, senza decidere di andare in giro per avere un po di intimità.

La vidi come una buona idea.

Famme vede un po...
Esclamò Fabrizio, prendendomi per mano, desideroso di vedere il resto della casa.

Gli mostrai la piccola cucina inutilizzata, il salotto abitabile, dando poca importanza ai due bagni e alla camera di Marta.
Ci soffermammo sulla mia di stanza.
Era decisamente più ampia di quella di Marta, che in questo era stata proprio adorabile, permettendomi di avere una piccola scrivania in cui lavorare anche fino a notte tarda.

«È così è questo il tuo piccolo mondo?»

«I miei scritti migliori nascono sempre qui.»

«È qui che uccidi la gente con le tue parole? »
Fabrizio aveva gettato quella battuta con sarcasmo, senza pensare al peso, che poteva assumere per me.
Rimasi stranita, e mi voltai, per non farglielo capire, continuando a fare da cicerone in quelle quattro mura.

«Ho detto qualcosa che non va? Guarda che stavo a scherzà
Disse, trascinandomi da un braccio, verso di lui.

Ero talmente a terra che anche una banale frase gettata lì, diventava un ostacolo insormontabile a cui non poter ribattere a dovere.
Stavo cercando di capire dove fosse finita tutta la mia maestria nel farlo.

Iniziò ad accarezzarmi i capelli e spontaneamente chiusi gli occhi, tentando di lasciarmi andare.
Ci riuscì.
Ero di nuovo fra le sue braccia, in silenzio, a fare la cosa che ci riusciva meglio: scambiarci la pelle.

L'unica primavera che mi esplodeva addosso era il suo profumo, che mi guidava, verso la ricerca di una piacevole sensazione di benessere.
Le sue mani su di me, si facevano largo, per scoprirmi da quella stoffa di troppo, che mi copriva.

Mi stesi su di lui, ormai a coprirmi, c'era solo un completino d'intimo per niente sexy, mentre lui, era quasi del tutto vestito.
Iniziai a vagare sui suoi pettorali, sfiorandoli con le labbra, mentre Fabrizio accarezzava ancora i miei capelli.
Lo privai di ciò che lo copriva e iniziai a danzare su di lui.
Sorrise, soddisfatto, prima di decidere di invertire la posizione.
Ora, era lui a proteggermi col suo corpo.

Lo squillo insistente del suo cellulare, lo indusse a doversi staccare da me, dopo esserci consumati vicendevolmente, di focosa passione.

Dal tono della sua voce, capì che si trattava di suo figlio, che quasi lo implorava di raggiungerlo.
Fabrizio, non appena quella telefonata fu interrotta, si sedette nuovamente sul letto, ancora a petto nudo, sostenendosi la testa con le mani, poggiato alle sue ginocchia.

«Forse, dovresti trascorrere più tempo con loro.»
Dissi, cercando di essere il meno irruenta possibile, nella speranza di trovare il modo per farlo sfogare.
Era quello di cui aveva bisogno.

«Vorrei tanto non aver distrutto la mia famiglia...»

«Una famiglia non si distrugge solo perché una madre e un padre smettono di amarsi.»

«Io e Gisella, la madre dei miei figli, abbiamo smesso di rispettarci. E questo, inevitabilmente, si è ripercorso sul mio rapporto con i bambini.
Lei gli trasmette tutta la rabbia che prova nei miei confronti e il più delle volte, inventa mille scuse per non farmeli vedere. Quindi, anche se decidessi follemente di tornare a Roma, non servirebbe a nulla, serve sempre il suo consenso.»

«Mi stai dicendo che non ti permette, che so, di fare un improvvisata ai tuoi bambini?»

«Non sono ammesse sorprese improvvise, ma solo incontri prestabiliti.»

«Mi sono sempre chiesta quali tormenti nascondevi in fondo al cuore, adesso ho capito.»

Fabrizio stese una mano verso di me, io la afferrai, trascinandolo sotto le mie coperte, pronte ad accoglierlo di nuovo.
Eravamo ancora svestiti, ma la voglia di consumarsi, aveva lasciato spazio al piacere di riscoprirsi fragili e senza difese.
Quel barlume di insicurezza, che riuscivo a scorgere nel suo sguardo devastato da quella chiamata d'imploro, mi fece desistere dal pormi delle domande su quello che potevo provare per lui.

Non aveva bisogno di ulteriori dubbi ma di qualcosa di certo.
Io ero cumulo di situazioni irrisolte, ed ero la certezza più improbabile a cui affidarsi, ma potevo essere la sua ancora di salvezza.
La sua via di fuga.
Perché lui, era stata la mia.

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