Nel mio studio, al ministero.
Guardo fuori dalla finestra.
Distratta, immersa nel fumoso grigiore di un inverno che sta emettendo i primi vagiti.
Pioggia fine che cade, punge i passanti e le auto, le antenne sopra i tetti, gli infissi. Gocce sottili, come aghi di pino, che s'infrangono un po' ovunque.
Seguo i loro corpi frantumati contro il vetro della finestra accanto alla mia scrivania. Le osservo gareggiare quelle gocce, giocano a chi riesce a scivolare giù prima delle altre. Il podio è un posto sul gradino più alto di una pozzanghera.
Si accontentano di poco.
Beate loro...
Un pensiero.
Uno solo.
Un chiodo fisso.
Una scheggia che non vuol sapere di abbandonarmi, che si diverte a trafiggermi.
Lui...
«Avvocato?»
Sono sicurissima di non averlo mai visto prima. Maledettamente sicura.
«Ehm... avvocato?»
No, non ti conosco affatto, è poco ma sicuro.
Ma allora chi sei, tu?
Perché ti permetti di invadere i sogni miei?
Di violare con la tua sfrontata arroganza i miei più intimi spazi?
Di violentare i miei sonni la notte, i miei pensieri di giorno, la mia mente con quel tuo sguardo misterioso.
Nocche che bussano forte sulla porta.
Qualcuno che varca una soglia già aperta, disturbando la mia volteggiante fantasia.
Lorena, la mia segretaria.
Compare dal nulla, parte anch'ella del resto del mondo che ho chiuso fuori dalla porta del mio studio, oggi.
«Sì... Sì, Lorè, dimmi»
Esalo quelle parole tornando alla realtà. Lasciando che i miei pensieri scivolino via, su quello stesso vetro delle gocce, a contendersi con la pioggia un posto in quella pozzanghera sul marciapiede.
Spero almeno di vincere un bronzo...
«Il dottor Tancredi mi ha chiesto la sua relazione sul blocco abusivo a Corcolle. Che gli dico?»
Sbuffo.
Torno a guardare fuori, poggiando il mento s'un palmo.
«Digli di farsela da solo, se ha tanta fretta...»
Lorena oltrepassa la porta, chiudendola alle spalle, sicura di aver isolato le nostre presenze al mondo esterno. Prende la confidenza che le ho sempre chiesto, ma che non riesce mai a esprimere in pubblico. O anche quando un pubblico non c'è, ma che però potrebbe esserci.
«Qualcosa non va, Gali?»
Sorrido con la mente.
Gali...
Mi chiama così solo quando siamo sole. Altrimenti è tutta un avvocato e dottoressa.
Le parlo attraverso le dita della mano con cui reggo la testa, ma senza distogliere gli occhi dalla finestra.
«Vieni. Siediti a guardare la pioggia che cade fuori, qui con me...»
La sento avvicinarsi titubante.
Prende posto, ma non guarda la finestra.
Guarda me.
«Sei più malinconica del solito, oggi. Ancora quel tizio del sogno?»
Annuisco.
«Non sei riuscita a ricordarti chi possa essere?»
«Il problema non è ricordarlo. Il problema è che sono sicura di non averlo mai conosciuto. Mai visto, nemmeno di sfuggita»
Faccio una pausa, richiamandolo alla mente.
Lui...
«Eppure i suoi occhi, quelle labbra, quel suo viso... Potrei disegnarlo, se solo non fossi rimasta a un livello da prima elementare»
Lei ride.
Poi qualcosa le brilla sul viso.
Un'idea.
Un'idea malsana.
«Vai a denunciarlo!»
La fisso esterrefatta.
«Cosa? E perché mai?»
«Ma sì, dai. Gli fai fare un identikit dalla polizia e quando scoprono chi è ritiri la denuncia»
«Sei matta? Come se alla polizia non avessero già tanto da fare a cercare i criminali veri. E poi...»
Alza un sopracciglio, incuriosita dalla frase lasciata in sospeso.
«Non credo sarebbe il modo migliore di conoscere qualcuno, questo»
«E perché no? Gli dici che non sapevi in che altro modo trovarlo. Ai maschi queste cose assurde da agenti segreti piacciono. Credo...»
Le sorrido.
«Ci penserò su»
Mi accarezza una mano, prima di alzarsi e dirigersi alla porta.
Lorena lascia la stanza e io, molto malvolentieri, m'immergo in quella relazione che tengo in sospeso da giorni.
Forse il lavoro riuscirà ad allontanarti dai miei pensieri...
* * *
Pausa pranzo, nel mio solito bistrot.
Vengo qui a scrivere, tra sandwich al tonno e una bibita al limone.
Osservo la gente che passa, che vive.
Vivendo io stessa le loro vite.
Immaginando le loro case, le loro famiglie, le loro storie. Le butto giu, trasformandole in carta e inchiostro digitale sul mio portatile, divertendomi a descrivere situazioni reali, situazioni possibili, situazioni assurde. Sognando come faccio sempre, ma con gli occhi aperti.
Le parole di Lorena sono un eco in loop nella testa, un disco rotto che fa compiere alla puntina sempre lo stesso giro, da questa mattina.
Ci ho pensato su senza sosta.
Alla fine mi sono lasciata convincere da quella idea assurda. Niente polizia, però. Un ritrattista comune invece, uno di quelli che lavorano per strada.
La ricerca è stata facile quanto breve.
Ne ho trovato uno, una ragazza sulla ventina, che disegnava caricature ai turisti vicino Piazza Navona. Studia all'Accademia delle Belle Arti, ultimo anno. Arrotonda facendo ritratti per i passanti, cercando di pesare il meno possibile sulle spalle dei genitori.
Lo ho dato appuntamento qui, nel mio bistrot preferito.
A momenti dovrebbe...
Toh! Eccola.
«Ciao»
Martina. È il suo nome.
Ha un bel sorriso, piercing sul sopracciglio destro, sguardo da bambina, occhi timidi. E i capelli blu, nascosti parzialmente da un cappello nero in lana finissima.
Sotto braccio, con una mano sporca di carboncino, stringe un largo blocco da disegno e una borsa, piena di matite e colori tagliuzzati in modo grezzo.
«Ciao a te. Vuoi favorire?»
Le avvicino il piatto con i sandwich.
«Grazie, sto letteralmente morendo di fame»
È meno timida di quanto sembri.
Parla mentre mastica.
«Quindi... ti serve un ritratto? Avrei potuto fartelo lì, in piazza. Ci metto poco, sai?»
«Sì, ne sono certa. Ma non è a me che devi fare il ritratto»
Mi osserva curiosa.
«Ti darò dei dettagli, descrivendoti il soggetto da ritrarre. Come una specie di identikit»
Annuisce entusiasta.
«Fico. Mai fatta una cosa del genere...»
Ingoia l'ultimo boccone, prima di riprendere a parlare.
«Quando cominciamo?»
«Adesso?»
Sorride, insieme a me.
* * *
Osservo il risultato finale. È perfetto.
Lui.
Fatto di carta e carboncino, ma è proprio lui.
«Senti, ma chi è? Il tuo ragazzo? È carino»
Rispondo a quella piccola sfacciata con uno schizzo di ammaliante mistero, strizzandole l'occhio.
«Non ancora...»
Fisso i suoi occhi.
Quelli di Lui.
Chi sei, tu?
«Se vuoi posso colorartelo. Non ci vorrà molto, sono veloce...»
La interrompo.
«No, questo lo voglio così. Ma mi è venuta un'idea migliore»
Strizza quei suoi occhietti vispi, sempre più curiosa.
«Sei capace di riprodurlo s'una parete?»
Ci pensa su.
«Sì, ma devo usare un'altra tecnica, però. Ho bisogno di materiali diversi, che non credo di avere...»
Colgo al volo ciò che mi sta velatamente dicendo. Prendo il portafogli e le piazzo una banconota davanti. Verde e con due zeri.
«Questo è per il ritratto a carboncino e come anticipo per i materiali necessari al prossimo lavoro. Basta?»
Raccoglie la banconota con delicatezza, fissandola come se non avesse mai visto tanto denaro in vita sua.
«Se il lavoro mi soddisfa te ne darò il doppio. Allora, ci stai?»
Le tendo la mano.
Lei la fissa un attimo, prima di stringerla con decisione.
«Ci sto!»
Le passo un bigliettino da visita.
«Procurati tutto ciò di cui hai bisogno e fammi un colpo di telefono a questo numero. Non farmi aspettare troppo, però»
Ripone il denaro nella sua borsetta.
«Domani va bene?»
Mi dice.
«Domani è perfetto»
Sì, domani è perfetto!
* * *
Il giorno dopo. Di sera...
Martina ci ha messo quattro ore a completare l'opera. La fisso incantata, è venuta anche meglio del previsto.
Mi è costato, ma il risultato è meraviglioso. Lo ha disegnato seduto di spalle, s'una roccia. Proprio come l'ultima volta che l'ho sognato.
Il suo sguardo profondo, girato verso di me. Che mi fissa. Un accenno di sorriso.
Enigmatico, come quello della Monna Lisa.
Sono le ventuno.
Osservo quel ritratto ancora fresco, da minuti interminabili, sul divano del salotto. Abbracciata a un cuscino e stesa s'un fianco. L'odore piacevole e pungente dei colori da disegno pervade la stanza. Mi lascio incantare, stregare dalla chimica che producono.
Qual è il tuo nome, uomo del mistero?
Dove sei, adesso? Cosa starai facendo?
Mi addormento dolcemente, pensando a Lui. Mi sento diversa, questa sera.
Qualcosa sta cambiando, dentro di me. Per la prima volta.
Spero di sognarti, questa notte.