Zahira dorme sul sedile passeggero, avvolta nella giacca del mio completo.
La mantiene stretta come se qualcuno dovesse portargliela via da un momento all'altro, come Linus fa con la sua copertina.
Alla fine, come avevo previsto, tornare sobri da una festa a casa di Dio è impossibile.
Il Ferrari Riserva Lunelli è un nettare troppo squisito per donargli soltanto un assaggio. È un'epifania di sapori e profumi, il vecchio ha saputo il fatto suo nella scelta. Del resto, quando hai la sua liquidità, avere gusto o no è solo una questione di scelte. Giuste o sbagliate, dipendono solo da te.
Però si è divertita molto.
L'ho fatta scatenare più di quanto s'aspettasse, probabilmente non ci sperava minimamente. Durante l'ultimo pezzo, un lento che nemmeno nei film, mi sono reso conto che era stanca.
Ballava, aggrappata al mio collo come fosse una questione di vita o di morte, come mi stesse implorando di qualcosa.
Non è molto tardi, sono appena le ventuno, ma la strada è completamente deserta. Il fuori stagione, da queste parti, causa una meravigliosa desertificazione del turismo. Rende tutto molto più intimo, specie per chi, come me, in questi posti è cresciuto.
La litoranea scorre lenta, non ho fretta e guido sul filo del limite, molto basso per la verità. Nonostante questo è piacevole. Ti permette di godere di panorami da sogno.
La luna è cresciuta un po', da quando l'ho incontrata l'ultima volta, e vederla riflettersi nel mare, su mille pieghe argentate, è qualcosa che emoziona sempre. Anche quando la vedi per la milionesima volta.
Zahira emette un suono, uno di quei dolci lamenti del sonno, tipici di chi sta sognando.
Cosa sogni, amica mia?
Penso, aggiustandole una ciocca di capelli. La malandrina s'era azzardata a coprire il suo bellissimo viso.
Lascio alle spalle le dune della Marina di Lizzano, con i suoi muretti a secco che dividono la strada dalle ripidi spiagge. Spiagge che in pochi metri si tuffano in un mare meraviglioso, adesso nero come petrolio e lievemente mosso dal vento.
C'è spuma tra le onde, che se ti scordi la temperatura ti viene persino la voglia di tuffartici in mezzo. E farti trasportare via, lontano, dalla risacca.
Prendo la strada interna, quella che costeggia i paesini della provincia. Filari di vigne che ti salutano al passaggio, che ti chiedono di tornare quando i loro frutti saranno diventati maturi. Abbasso appena il finestrino, l'aria qui sa di uva e mosto in tutte le stagioni. E poi gli ulivi, le loro fronde secolari, il riflettersi luminoso della luna sulle piccole foglie, la loro imponenza solenne.
Questi posti, questi luoghi, sono il distillato della nostalgia. Un'ambrosia dal sapore divino, quel sapore che prima ancora di provare, sai già che sarai condannato a sentirne la mancanza per il resto della vita.
Questa è la mia terra.
* * *
Non potevo riportare Zahira a casa sua, in queste condizioni. Così ho preso la strada di casa mia. Dormirà da me, il letto è abbastanza grande per entrambi.
Apro porta e cancelletto, prima di prendere tra le braccia la bella addormentata dal prosecco.
Con i piedi serro l'uscio e mi dirigo al piano di sopra.
In casa c'è la temperatura perfetta, anzi potrei dire che fa quasi appena caldo. Prodigi della domotica: il termostato si aziona da solo, in modo da avere le condizioni ambientali sempre perfette, in qualsiasi stagione. Costicchia, ma il comfort ne vale davvero la pena.
Adagio Zahira sul letto. Non ha sentito nulla, continua a dormire beatamente.
Mi cambio in fretta, togliendomi di dosso il completo che sa di vino e sigaro. Non ho saputo resistere: l'ho fregato al vecchio, dalla sua riserva privata di sigari cubani.
Io dormo così: intimo e basta, in qualsiasi stagione. Ma Zahira?
Oddio... dovrei spogliarla?
Ci rifletto un momento, massaggiandomi il mento.
Vabbè, almeno le scarpe...
L'intreccio sembra complicato, ma sciogliendo la piccola fibbia posta all'altezza del polpaccio, vengono via facilmente. Entrambe.
E adesso?
Probabilmente non indossa intimo, sicuramente non il reggiseno.
Dovrei continuare comunque?
Osservo il suo vestito, sarebbe un vero peccato se nel sonno dovesse sgualcirsi. O peggio ancora, strapparsi.
Mi decido, glielo tolgo.
Tiro delicatamente la zip che dal lato sinistro del torace, scende giù verso il fianco.
Chiudo gli occhi, per rispetto, e le sfilo il più piano possibile le maniche. Sfilo via dal suo corpo ciò che resta del vestito. Arrivo fino ai fianchi e mi blocco.
Ho gli occhi chiusi, ancora. Lei è sotto di me, con il vestito scostato. L'ho sentito sotto le mani, involontariamente, non ha alcuna altra protezione da sguardi indiscreti.
Non dovrei farlo.
No, non dovrei nemmeno pensarci. Ma maledizione la carne è debole e io, maledetto me, sono umano.
Troppo umano...
Apro appena un occhio, una piccola fenditura. Più per intravedere che per vedere propriamente.
Lei è sotto di me. Il suo seno scoperto è un invitante banchetto, un invito di quelli che non si possono proprio rifiutare. Apro entrambi gli occhi, mi lascio guidare dalla luce fioca dell'abat jour posto sul mio comodino, dall'altro capo del letto. Seguo con lo sguardo le sue forme, dolci curve che come un ottovolante ti portano in giro a perdere la testa. Le seguo fino al suo viso e...
Cazzo!
Ha gli occhi aperti. Spalancati.
Mi fissa inespressiva.
«Scusa... no-non volevo svegliarti...»
Balbetto, imbarazzatissimo.
«E cosa volevi fare?»
Dice, senza cambiare espressione.
«Io... avevo paura ti rovinassi il vestito... non...»
Mi pianta l'indice di traverso alle labbra, serrandole con due mandate di chiave.
Mi guarda in modo diverso ora.
Sembra voler dire tante cose.
Sembra voler dire che devo tacere.
Che le parole adesso non servono.
Che parlare adesso rovinerebbe solo tutto.
Mi guarda con gli stessi occhi di stamattina. Come quando, dopo avergli proposto le bottiglie di vino, mi ha detto dammi tutto quello che hai...
È questo che mi stai dicendo, Zahira? Vuoi tutto quello che ho?
Mi fissa in quel modo, ancora e ancora.
Sì, quello è lo sguardo di chi ti sta chiedendo tutto, lasciando a te la scelta di darle tutto il tuo mondo, oppure fuggire via e lasciarla stare lì, sola, su quel letto.
Tento di parlare, ma non riesco.
Le parole escono mute dalla bocca.
Non penso più.
In realtà ho smesso di pensare non appena ho aperto gli occhi.
Sono un maledetto. Un maledetto peccatore. E anche se non credo in Dio, è così che mi sento. Colpevole.
Non l'ho nemmeno sfiorata, non ho nemmeno minimamente goduto delle sue grazie, eppure mi ha già macchiato l'anima indelebilmente.
Sono umano. Maledettamente umano.
Chiudo gli occhi, soffio tutto il fiato che ho in corpo. Tutto.
E la bacio.
Faccio quella che sento essere la stronzata più grossa della mia vita, ma adesso non riesco a resistere al suo canto.
Lei è una sirena e io un baldanzoso Ulisse che ha dimenticato di farsi legare all'albero maestro.
Lei è Circe, una maga a cui ho lasciato la libertà di stregarmi.
Lei è un fiore di loto, che ho colto ignaramente facendomi condurre alla dimenticanza e all'abbandono.
Lei è tutta la stramaledettissima Odissea.
La mia stramaledettissima Odissea.
Mi tuffo sul suo corpo, sono ormai completamente inebriato dal suo profumo. Lo divoro, lo bacio, me ne nutro. Il mattino mi porterà una nefasta novella, già lo so, ma l'alba è lontana e la passione, quando esplode, è una forza inarrestabile.
E non so se si tratta di desiderio, di esclusiva carnalità, oppure di profondo sentimento. Ma ora...
Non m'importa nient'altro.
La guardo negli occhi. L'inchiodo ai miei. Mi mescolo a lei in un walzer di sensazioni. Mi libero di tutte le cose tenute dentro, taciute e mai dette.
E facciamo tutto l'amore del mondo.
Tutto l'amore che non eravamo mai stati capaci di fare.
Tutto l'amore possibile.
Balliamo ritmicamente. Onde del mare, l'uno sull'altra. È il calore del suo abbraccio attorno al mio, le sue gambe che mi stringono i fianchi.
Lei m'avvolge e stravolge.
È un'inebriante perdizione.
I suoi gemiti sono note celestiali, che nemmeno il più geniale dei pianisti potrebbe sperare d'eguagliare.
Le sue mani sono graffianti e spinose rampicanti, che mi strisciano sulla schiena alimentando il mio desiderio.
È lei, tutto.
Lei è, tutto.
Esigente. Voluttuosa. Ammaliante.
Mi spinge contro il suo corpo a ogni mio affondo, il suo fuoco è lontano dall'essere domato e io ho ancora voglia da vendere.
Le inforco i capelli con una mano, sulla nuca, li tiro appena. Lei asseconda quel movimento, gettando indietro la testa, inarcando la schiena.
E mi rendo conto che non avevo mai visto tanta bellezza in tutta la mia vita. E mi rendo conto che quella era la prima volta che facevo l'amore anche con l'anima.
Tu, mia sirena.
Tu, mia maga Circe.
Tu, mio fiore di loto.
Tu, mia Odissea.
Tu, hai rubato la verginità al mio cuore.
E non c'è fine a questa spirale.
E non c'è terreno sotto i nostri corpi.
E non c'è riparo da questa caduta.
E siamo fortunati, perché...
Il mattino è lontano, ancora.