Intrusa

By -ciliegia-

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Vincitrice WATTYS 2018 categoria Astri Nascenti! "Forse sarà meglio spiegare che non sono qui per parlarvi d... More

0. Foglio bianco
1. I postulati
2. Tangenti
3. Punto non allineato
5. Nuova incognita
6. Teorema
7. Incognite
8. Problemi
9. Metodi alternativi
10. Numeri e parole
11. Numeri periodici
12. Rette parallele
13. Sbagliare è facile
14. Errori
15. Linee chiuse
16. Soluzioni impossibili
17. Mente sbagliata
18. Vista simmetrica
19. Numeri reali
20. I numeri sono infiniti
21. Leggi sbagliate
22. Pensiero libero
23. Logica
24. Mente vuota
25. Certezze
26. Una piccola verità
27. Luce nuova
28. Soluzione
29. L'ultimo danno
30. Storie
0. Il punto
Postfazione & ringraziamenti
Un anno di Intrusa & qualche curiosità

4. Risultato uno

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By -ciliegia-

Una settimana dopo l'arrivo di Emma, a scuola, qualcuno mi chiamò.
Ero nel cortile, le lezioni non erano ancora cominciate e tutti cercavano un modo per ingannare l'attesa.
Il fatto quindi che qualcuno mi stesse cercando non avrebbe dovuto stupirmi, anche io mi stavo annoiando, ma capitemi: nessuno voleva passare del tempo con me, a meno che non ci fosse stata una verifica o un'interrogazione: in quel caso mi ritrovavo anche tre o quattro persone attorno, impegnate a espormi lezioni minuziosamente studiate a memoria e ripetute solo per aumentare l'autostima o magari per vantarsi.

Ma anche quelle conversazioni, se davvero erano tali, duravano pochi minuti, dopodiché i miei compagni, prevalentemente ragazzi, mi lasciavano sola per andare a parlare con altre persone, tra cui Adele e Carola.
Questo mi faceva male. Io ero la ragazza con cui ripetere le lezioni, non quella con cui scambiare due parole anche su argomenti stupidi e banali. Caterina era la ragazza seria e inevitabilmente noiosa, forse non mi parlavano perché credevano che i loro argomenti non mi sarebbero nemmeno interessati.
Ma non era così... Se solo una delle tante volte in cui ci eravamo ritrovati tutti assieme alla mattina, prima di entrare, mi avessero chiesto un parere o un giudizio su ciò di cui stavano discutendo, io mi sarei inserita nella conversazione con piacere. Ma nessuno l'aveva mai fatto e io mi ero messa in testa la convinzione che fossi per loro solo un peso, un'intrusa antipatica e noiosa che si intrometteva nelle loro vite.
Intrusa. Quante volte mi ero sentita così.

Ma quella mattina a cercarmi non era qualcuno pronto per ripetere la lezione.
Lo avevo riconosciuto solo dalla sua voce, distinguibile fra mille altre.
Davide.

Egli era stato, in quei tre anni, il mio angelo custode. Quello che nelle giornate buie riusciva a farmi sorridere anche solo offrendomi una caramella e un sorriso. Perché si dimostrava gentile quando tutti gli altri non lo erano.
E le giornate nere non erano causate solo dal mio umore o da un litigio a casa, ma soprattutto da qualche battuta o sguardo di troppo. Forse sono sempre stata eccessiva, ma tutti i miei problemi in quegli anni erano dovuti a come gli altri mi trattavano. Se quel pomeriggio Carola e Adele avessero semplicemente accettato la mia opinione, io sarei stata diversa. E anche la mia vita.

— Davide, ciao — lo salutai a mio volta, avvicinandomi e sedendomi sul muretto accanto a lui.
— Allora, con una nuova amica ti stai già dimenticando di me? — mi disse lui, sorridendomi mentre inclinava la testa leggermente di lato, spostando il ciuffo ribelle di capelli biondi.
Alzai gli occhi al cielo: — Anche se ti dimenticassi, tu ti faresti ricordare di nuovo, giusto?
— Esattamente.
— Allora rinuncio in partenza. E poi con Emma non ci conosciamo ancora bene. È presto per definirla un'amica.
Evitai di dirgli che lei l'aveva già fatto nei miei riguardi. L'avrebbe giudicata in partenza una persona poco seria.

Davide stava guardando un gruppo di ragazze che attraversavano il cortile: — Se mai doveste diventare amiche per la pelle, falle sapere che le sarò sempre grato. I tuoi problemi sono a volte insostenibili per una persona sola, sai?
Risi della sua battuta, sapendo che non vi era malvagità nelle sue parole.
— Quindi, com'è Emma? Mi ha fatto una buona impressione — continuò lui, curioso di saperne di più, guardandomi con i suoi grandi occhi blu.
Io annuii: — Sì, mi sembra simpatica... Ma c'è qualcosa in lei che non riesco a capire.
Lui mi guardò negli occhi: — Escluso il fatto che non potrai mai capire nessuno fino in fondo, è perché non senti di poterti fidare di lei? È questo, Cat?
— La conosco solo da pochi giorni, è ovvio che non abbia piena fiducia in lei. Dammi tempo.
Lui scosse la testa: — Ma io non ti sto certo invogliando a rivelarle tutti i tuoi segreti. Anzi, volevo solo dirti che... insomma Cat, fai attenzione. Sappiamo già a cosa porta la frenesia del momento. E non vorrei che tu ti ritrovassi nella stessa situazione di qualche anno fa.

Anche quella volta Davide era stato l'unico ad aiutarmi. Da lì, sembrava quasi che la mia vita si fosse divisa da quella delle altre persone: io e Davide in una bolla, gli altri nel mondo reale.
— Sai, sembri mio padre. No, ho sbagliato, lui nemmeno mi fa questi discorsi — dissi alla fine.
In realtà, la frase era più rivolta a un utopico genitore che al mio in prima persona: negli ultimi tempi papà era diventato sempre più irascibile, mamma sempre più lunatica e il silenzio sempre più rumoroso.
E io, in mezzo a tutta quella confusione, non sapevo più cosa fare.

Davide mi sorrise ancora, forse capendo dove i miei pensieri stessero andando a parare: — Alla fine aiutarti sta diventando una sfida, no? E io adoro le competizioni.
— Peccato che tu non ne abbia mai vinta una. Neanche la mia — lo corressi.
Lui alzò le spalle: — Non esagerare, sei complicata ma fino a un certo punto. Come un'espressione difficile che poi ha risultato uno.
— Lo prendo come un complimento — commentai. — Perché altrimenti mi offenderei.
Davide si sgranchì le dita con un sonoro rumore: — Siamo allo scientifico, Cat. Dovrebbe piacerti il linguaggio matematico.
Alzai gli occhi al cielo: — Non ho parole.

Davide ridacchiò, probabilmente orgoglioso della sua stupida uscita. Lui era così: piuttosto che dirti qualcosa in modo chiaro e serio, preferiva usare frasi ironiche, che però gli altri non gradivano mai.
— Quando nella tua vita impegnata avrai un po' di tempo — aggiunse poi, ritornando serio. — Ci troviamo da qualche parte, mangiamo e parliamo come ai vecchi tempi. Ci stai?
— Sempre.
Davide aprì la bocca per continuare il discorso, ma le sue labbra si aprirono in un ghigno: — Arriva la tua migliore amica, Cat.

Sorvolai il modo in cui aveva definito Emma, senza però correggerlo, e mi voltai verso il cancello.
— Caterina!
Negli ultimi giorni, come Davide mi aveva abbondantemente ricordato, io ed Emma ci eravamo incontrate parecchie volte per studiare latino e, uno di quei pomeriggi, dopo lo studio, eravamo andate insieme in città.
Era stata una passeggiata piacevole, parlando di musica e di vari cantanti.
Avevamo preso un gelato al parco ed eravamo ritornate a casa sua. Niente di che, sicuramente le altre ragazze nei pomeriggi liberi facevano cose molto più divertenti, ma per me era già stato qualcosa di ardito e diverso.

— Sai, alla fine ho comprato quel libro di cui ti ho parlato ieri. Mi sono fermata in libreria prima di venire qui! Se vuoi te lo presto, quando lo finisco.
Annuii, sistemandomi la cartella sulle spalle. A dire la verità, non amavo gli scambi di libri, ero alquanto gelosa dei miei volumi. Quella volta, però, non dovevo dire la cosa sbagliata: se Emma avesse voluto darmi il suo libro, io lo avrei accettato senza dire nulla.
— Ma non è finita qui... In libreria ho conosciuto una persona. Un ragazzo, per essere precisi. Si chiama Lorenzo.
La guardai negli occhi, non capendo quello a cui si riferiva: — E cos'è successo?
Emma rise: — Nulla di che. Stava guardando il mio stesso scaffale e abbiamo parlato degli ultimi libri usciti. Mi ha sorriso e fine della storia... Ma è stato davvero simpatico. Forse frequenta questa scuola.

In quel momento vacillai. Davvero Emma era così colpita da quelle frivolezze? Da un ragazzo che le sorrideva ma che, con ogni probabilità, era semplicemente educato?
Ancora una volta non aprii bocca, credendo di rovinare per la seconda volta un'amicizia appena cominciata. Forse era proprio quello che mi terrorizzava: commettere due volte lo stesso errore e ricadere nella medesima situazione di qualche anno fa.

Inoltre pesavo che, da qualche parte nel mondo, esistesse una persona capace di capirmi in ogni dettaglio e così ero costantemente alla ricerca di essa, escludendo tutte le altre che non corrispondevano a quelle caratteristiche. Non mi ero resa ancora conto che, con ogni probabilità, l'amica ideale non sarebbe mai esistita.
Entrammo in classe continuando a parlare di libri. Per fortuna, Emma aveva subito tralasciato il discorso di quel ragazzo.
Dopodiché, ognuna si diresse al proprio posto.

Quando si sedette, Emma salutò Adele, che ricambiò rivolgendole un sorriso smagliante.
Non sapevo ancora, nonostante il tempo passato insieme, che opinione Emma avesse di lei. Mi ripromisi di chiederglielo, ovviamente con discrezione.
Le ore passarono tranquille, questa volta tra formule algebriche e date di storia.

All'intervallo, Emma si accomodò nel posto accanto a me che il mio vicino di banco, Valerio, aveva lasciato vuoto.
— Ma da voi le lezioni di matematica sono sempre così...
— Noiose e monotone? — suggerii mentre scartavo la mia brioche.
Lei annuì ridendo: — Esattamente! Se non fossi indietro con il programma anche in questa materia, mi prenderei la briga di non stare attenta, ma...
— Emma! Ti stavo cercando, pensavo fossi in cortile!

Entrambe ci girammo verso la voce. A parlare era stata Francesca, la ragazza che aveva proposto, quel lontano pomeriggio di settembre, di uscire tutte assieme. E che, come la maggior parte delle mie compagne, mi rivolgeva la parola il meno possibile.
Avanzò fino a noi, sorridendo a Emma e non degnandomi nemmeno di uno sguardo.
— Volevo invitarti a una festa, la organizzo con una mia amica... Vedrai, sarà a dir poco fantastica! Verrai, vero?
Emma si rigirò fra le mani il cartoncino rosso che la nostra compagna le aveva dato, l'invito per la festa. — Sabato non ho nulla da fare, per me va bene.

Devo ammettere che in quel momento, provai una stretta al cuore; se Emma avesse partecipato alla festa, le altre le avrebbero riempito la testa di così tante sciocchezze su di me che non mi avrebbe più parlato. Ma era normale che, avendo passato la maggior parte del tempo insieme, volesse conoscere anche le altre ragazze.
— E tu cosa ne dici, Caterina? Verrai?
La guardai senza crederci. Francesca non mi aveva nemmeno considerato, poco prima... Ed Emma, come se nulla fosse, mi aveva coinvolto.
— Puoi darle lo stesso l'invito, Cesca? Devo solo convincerla.
Francesca era basita quanto me: — Ehm... in realtà ...

— Va tutto bene? Non ne hai più? Non importa, condividerò il mio con lei — le disse Emma; non riuscii a capire se avesse notato o meno la causa dell'indecisione di Francesca.
Quest'ultima scosse la testa: — No, ne ho ancora. Tieni, Caterina.
Presi tra le dita il mio invito tenendolo con i polpastrelli, quasi fosse pericoloso.
Emma sorrise a Francesca, che senza ricambiare ritornò dalle sue amiche.

— Lo sai, vero, che non mi avrebbe mai invitata? — le dissi piano, riponendo però il biglietto fra le pagine del diario. Non seppi nemmeno dire perché lo feci, sembrava quasi che avessi già accettato nonostante tutti i miei dubbi.
Lei scosse la testa, senza riuscire a capire: — E perché?

Quelle domande inutili mi facevano solo male: era così palese l'odio che quelle persone provavano verso di me. Lo si vedeva in ogni loro gesto, in ogni parola... e in tutte le volte in cui io abbassavo lo sguardo.
Decisi si essere sincera: — Guardale, Emma. Se non te ne sei accorta, non mi sopportano, sono probabilmente l'ultima persona con cui vorrebbero passare la serata.
— Questo mi sembra solo un motivo in più per andarci, non credi? E poi, cosa vuoi che ti succeda? Ci divertiremo e conosceremo gente nuova, tutto qui. O meglio, io conoscerò gente nuova, tu approfondirai rapporti superficiali — ribatté lei, sorridendomi e porgendomi il sacchetto di biscotti che teneva fra le mani, invitandomi a prenderne uno.
Esitai a risponderle ma, alla fine, annuii. Presi un biscotto.

— Tutto a posto, Cat? Hai un'espressione strana — mi disse dopo pochi secondi.
Ed era il minimo, pensai. Avevo appena accettato una proposta che senza Emma non avrei nemmeno preso in considerazione.
Scossi la testa: — Va tutto bene. Ero solo sovrappensiero.
Emma mi sorrise: — E...
Sospirai, ricambiando il sorriso: —... verrò a quella festa.
Lei annuì compiaciuta: — Ecco, è così che si fa! Sai, Caterina, tu potresti essere molto di più, se solo lo volessi!

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