Nothing Compares 2U

By Storie_EFP

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Harry non avrebbe mai pensato di ritrovarsi, un giorno, a provare odio e rancore per quella vita che tanto av... More

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By Storie_EFP

La seconda serata che tutti e sei trascorsero insieme, avvenne su iniziativa di Gemma e, quella volta, gli amici si trovarono a casa di Harry.

La ragazza sapeva che il fratello era stato bene durante l'uscita al pub di Niall; il giovane pittore non aveva mai espresso alcun giudizio negativo e non le aveva rinfacciato la sua insistenza nel fargli accettare l'invito di Louis. Ma sapeva anche che era meglio non forzare troppo la mano. Vedere suo fratello più sereno, e di nuovo vicino all'arte, le bastava. Inoltre, potevano benissimo trascorrere una bella serata senza la necessità di uscire: ciò che contava davvero era la compagnia, non certo il posto.

Louis, dal canto suo, aveva accolto la proposta di Gemma con decisamente molta più tranquillità rispetto alla precedente. Finalmente poteva dire di essere riuscito a instaurare una sorta di rapporto con Harry e questa consapevolezza rendeva ogni cosa più semplice.

Arrivò a casa Styles attorno alle 20:00, con Niall e Barbara al suo seguito, portando le pizze che avevano insistito per ordinare alla pizzeria poco distante dall'abitazione.

Dal momento che la maggiore degli Styles non era una grande esperta di cucina, sarebbe toccato a Harry preparare le pietanze, con vero disappunto di Barbara che aveva insistito per poterlo aiutare. Vedendo però come i due non riuscissero a raggiungere un accordo, Niall aveva pensato di risolvere la situazione optando per delle semplici pizze.

La cena si era svolta in allegria e le birre erano state d'aiuto per rendere l'atmosfera più leggera e goliardica.

Credendo di fare cosa gradita agli altri uomini della casa, Harry, aveva poi proposto di guardare alla televisione la partita di calcio del campionato inglese che, quella sera, vedeva in campo il derby di Manchester. Essendo tutti dei convinti sostenitori dello United, i ragazzi avevano accolto la proposta con delle vere e proprie urla da stadio, affrettandosi a sedersi sul comodo divano del salotto, mentre il padrone di casa si apprestava a sintonizzare il grande schermo a led sul canale interessato.

Tuttavia «Mi dispiace smorzare il vostro entusiasmo, ma questa sera il calcio è bandito».

Proprio mentre i ragazzi stavano commentando le prime immagini di gioco, Gemma aveva recuperato il telecomando posato sul tavolino, spegnendo il televisore.

«Ma che cavolo fai, Gems? È del derby che stiamo parlando».

«Scusa fratellino, ma non ho organizzato questa serata per lasciare che voi vi isolaste, facendo gli esaltati nel guardare 22 ragazzi calciare un pallone» gli rispose, non lasciandosi convincere dalle lamentele di tutti quanti.

«Liam, ti decidi a fare qualcosa?» sbottò Harry, incitando l'amico.

«Che dovrei fare, scusa?»

Harry alzò gli occhi al cielo «Siete sempre dietro a fare i cretini tra voi e adesso che serve tu lo faccia, non ci arrivi?»

Liam guardava l'amico con espressione stralunata, mentre il resto della comitiva rideva per quel siparietto.

«Ma... che avete tutti? Io non capisco...» mormorò sconsolato, prima che Gemma gli si avvicinasse, circondandogli il volto con le mani

«Non preoccuparti, Lì. Lasciali perdere» lo rassicurò, posandogli un piccolo bacio sulle labbra. «E adesso, giochiamo!» esordì poi, sollevando le braccia al cielo.

Un coro frastornato si alzò nell'intera stanza.

«Giochiamo?!?»

«Sì. Ci dividiamo in due gruppi e giochiamo a mimare titoli di film» batté le mani eccitata, supportata da Barbara che accolse la notizia con entusiasmo.

Un po' sconsolati, dopo alcuni istanti di piccole proteste che risultarono inutili, anche gli altri quattro si videro costretti ad accettare la decisione della ragazza.

«Quindi come si gioca? Quali sono le regole?» domandò allora Louis.

«Formeremo due gruppi da tre. A turno, una persona per gruppo mimerà il titolo di un film, che verrà scelto dal gruppo avversario, alla propria squadra. Ci diamo un limite e vince il gruppo che indovina il maggior numero di film».

«Ok, non sembra poi così difficile» le sorrise il maggiore, ora impaziente di iniziare quel gioco.

«Mi piace questa positività. Direi di cominciare e, dato che il gioco l'ho proposto io, scelgo che nella mia squadra ci siano Harry e Barbara. L'altra sarà quindi formata da voi tre» decise Gemma, indicando di seguito Liam, Louis e Niall.

«Non ho capito perché avresti questo diritto, comunque non c'è problema. Iniziamo?» propose eccitato il maggiore.

Gemma annuì, prima di correre in cucina e prendere il timer, spiegando che ogni gruppo aveva a disposizione un massimo di cinque minuti ogni volta per indovinare il titolo del film mimato.

Fu il gruppo dei tre ragazzi a scegliere per primo un titolo che comunicarono a Gemma, impostando poi il timer sul cinque e dando inizio al gioco.

Non appena ebbe il via libera, la bionda indicò quattro con le dita, per far capire ai propri compagni che il titolo fosse formato da quattro parole e, subito dopo, si accovacciò piegando le ginocchia e iniziando a grattarsi la testa con una mano e l'ascella con l'altra.

Mentre Louis, Niall e Liam se la ridevano, Barbara «Scimmia» pronunciò, ricevendo un cenno d'assenso da parte dell'amica, che le sorrise alzando il pollice.

Poi, Gemma iniziò a alzare un dito alla volta e «Contare» disse di nuovo Barbara, ma quella volta l'amica negò con il capo.

Ripeté ancora il gesto un paio di volte, finché «Dodici» asserì Harry capendo che, la sorella, stesse indicando proprio quel numero.

Quando anche quella parola fu indovinata, Gemma prese a mimarne una terza, fingendo d'imbracciare un fucile e sparare.

«Oddio, scimmia, dodici, guerra?» tentò Barbara, guardando Harry pensierosa e «Non capisco» aggiungendo.

«Ce l'ho sulla punta della lingua» rispose invece il ragazzo, mentre la bionda ripeteva i gesti precedenti per cercare di aiutarli.

Quando poi, pochi secondi prima che il timer suonasse per decretare la fine del tempo, «''L'esercito delle 12 scimmie''» annunciò Harry sicuro, Gemma si lasciò andare a un urletto di gioia, facendo capire che il titolo fosse proprio quello, e battendo un cinque a entrambi i suoi compagni.

Louis capì subito che non sarebbe stato così facile come credeva, quando si accorse che i suoi compagni fossero palesemente negati a quel gioco: Liam nel mimare e Niall nell'indovinare i titoli. Sembrava quasi che il biondo si divertisse a pronunciare parole senza alcun senso e a inventarsi titoli di film immaginari, perché non era possibile che non ne azzeccasse uno.

Quando poi il maggiore si mise sulle spalle il cappotto nero di Liam, per iniziare il suo mimo e Niall se ne uscì con «''Cinquanta sfumature di nero''!» provocando l'ilarità della squadra avversaria, Louis fu quasi sul punto di arrendersi.

«Scusate, fermate un secondo il tempo perché questa me la deve spiegare» chiese, adagiando le mani sui fianchi «Si può sapere come può, il fatto che io mi sia messo un cappotto sulle spalle, averti fatto pensare che il titolo del film fosse ''Cinquanta sfumature di nero''?» domandò basito.

«Beh, è nero. Il cappotto, intendo» spiegò semplicemente, indicando il soprabito con l'indice e guardando il resto della comitiva, in cerca di sostegno.

«In effetti, Louis, poteva anche essere» tentò di spalleggiarlo Barbara, mordendosi subito dopo le labbra per trattenere le risa. Risate che, però, furono incapaci di trattenere Harry e Gemma, e che coinvolsero immediatamente anche la mora.

«La verità è che la mia mente è superiore alla vostra, per questo voi non ci avreste mai pensato» sentenziò allora il biondo, un poco offeso.

«Va bene dai, lasciamo perdere. Riprendiamo e no, non è quello il film, quindi concentratevi» li ammonì Louis, indossando quella volta il cappotto e correndo da una parte all'altra della stanza, tenendolo aperto e facendolo svolazzare, cercando di dare l'impressione che stesse indossando un mantello.

Mimò poi alcune mosse di lotta con le braccia e alzando prima una e poi l'altra gamba, fingendo di colpire qualcuno con dei calci.

Fu a quel punto che Liam spalancò gli occhi, alzandosi in piedi, e «''Il Cavaliere Oscuro''» disse con sicurezza, facendo sospirare di sollievo Louis, che s'inginocchiò a terra, sollevando i pugni in aria.

Quando toccò assegnare a Harry il film da mimare, i tre amici impiegarono un po' più di tempo per decidere un titolo non troppo facile, ma che il ragazzo sarebbe riuscito a mimare senza avere difficoltà.

Una volta appreso il titolo, Harry si posizionò di fronte alle due ragazze, pronto per iniziare.

Assunse un'espressione triste, quasi dolorante, e si portò una mano alla fronte, togliendola subito dopo e scuotendola come se scottasse. In un primo momento, né Gemma, né Barbara, capirono cosa volesse intendere, così Harry s'indicò l'indice per poi posizionarlo sotto un'ascella e guardarsi il polso, come se fissasse un orologio.

«Febbre?» ipotizzò allora la sorella, sorridendo a Barbara quando Harry annuì in risposta.

Successivamente Harry posizionò entrambe le mani chiuse a pugno davanti al petto, per poi alzare le dita indicando il numero sette, come indicato da Barbara. Il ragazzo allora fece segno di aspettare, indicò di nuovo il numero sette con le dita, per stringere poi, tra pollice e indice, il pollice destro che indicava il numero sei.

«Sei quindi non sette».

Harry annuì a Barbara, cercando poi di far capire che non era però il numero la parola che dovevano indovinare.

«È un giorno?» immaginò allora la bionda, facendo sorridere il fratello.

Avendo indovinato, Gemma e Barbara capirono che la parola fosse il sesto giorno della settimana, perciò «Sabato» dissero in coro e poi «''La Febbre del Sabato Sera''» urlò Barbara con convinzione, facendo esultare anche Harry e Gemma.

Inutile dire che fu proprio quella formata dai fratelli Styles con Barbara, la squadra che si aggiudicò la vittoria, con uno schiacciante 10 a 3.

Louis s'imbronciò mentre assisteva alle esultanze dei tre e «Ok, siete stati bravi però non è valido così. Le squadre erano notevolmente squilibrate» borbottò, rammaricato per la pesante sconfitta e con una piccola vena polemica.

La sorella sollevò gli occhi al cielo perché quello era proprio l'atteggiamento tipico di Louis.

Sapeva bene quanto il fratello fosse competitivo, così come sapeva che gli avrebbe rinfacciato la vittoria per i giorni successivi. Perciò, onde evitare di sorbirsi le sue continue lamentele, propose una rivincita, invitandolo a prendere il suo posto con Harry e Gemma, mentre lei si univa a Niall e Liam.

Il maggiore accettò soddisfatto la proposta, azzittendo con un gesto della mano le proteste dei due amici, che sostenevano fosse anche lui l'artefice della loro sconfitta.

Anche con la presenza di Louis, i fratelli Styles si dimostrarono ancora una volta affiatati e vincenti e, proprio quando mancava un solo film da indovinare per aggiudicarsi anche quella manche, Barbara decise di prendersi una piccola rivincita sul fratello, con l'unica arma a sua disposizione.

«No, B, non esiste. Non lo farò, sceglietene un altro» protestò contrariato Louis, quando gli venne comunicato il film da mimare, ma la ragazza non era propensa a cedere, così come gli altri due.

«Avanti, Tommo. Ti lamentavi di noi, mentre tu eri il genio del gruppo. Vuoi per caso tirarti indietro e ammettere di non essere in grado?»

Così come Barbara, anche Niall conosceva molto bene il suo migliore amico: sapeva che, stuzzicato, non si sarebbe mai tirato indietro nel dimostrare le sue capacità, in qualsiasi campo. Infatti «Ok, va bene. Lo faccio, cosa volete che sia. Sarà una passeggiata» commentò, posizionandosi di fronte a Harry e Gemma. Pensò per alcuni istanti come mimare al meglio il titolo, per poi dare l'ok agli altri.

Barbara fece partire il timer, ma quando una musica provocante si diffuse nella stanza, selezionata da Liam attraverso il suo cellulare, Louis rimase immobile, incapace di muovere un muscolo.

Harry e Gemma si guardarono confusi, non capendo se l'immobilità del ragazzo fosse un indizio per loro o se fosse semplicemente bloccato.

«Avanti Lou, lasciati andare» lo incitò Barbara, subito seguita da Niall e Liam. Louis lanciò a tutti un'occhiataccia omicida, facendoli soltanto ridere di più; dopodiché si decise a compiere le prime mosse.

Si guardò attorno, andando a recuperare una sedia e portandola con sé, prima di sfilarsi con gesti calcolati la felpa blu. La fece roteare sopra il capo, per poi lanciarla verso Gemma, che se la rise e «''Striptease''?» tentò d'indovinare, divertita.

Louis scosse il capo, riprendendo da dove si era fermato. Prese tra le dita i lembi della t-shirt bianca, sollevandola e riabbassandola, scoprendo ogni volta sempre un po' più di pelle.

Mentre compiva quei gesti, Louis decise di provare un azzardo. Non sapeva nemmeno lui da dove arrivava tutto quel coraggio, ma cercò di non lasciarsi frenare troppo dal timore di stare per commettere un passo falso. Così, senza troppi se o ma, puntò i suoi occhi dritti su Harry. Sollevò di nuovo la maglia, quella volta molto più lentamente, osservando l'espressione del ragazzo di fronte a sé, che sembrava via via sempre più irrequieto.

Il più giovane, infatti, stava provando un po' d'imbarazzo di fronte a quella scena, nonostante cercasse di camuffarlo, spostando lo sguardo da Louis. Inutile dire che, un po' perché doveva guardarlo se voleva indovinare il film e un po' perché faticava a non osservare quei movimenti calcolati e sensuali, stava fallendo miseramente.

Il corpo di Louis sembrava calamita per i suoi occhi, tanto che dovette chiuderli per qualche istante, sfregandoseli con una mano, prima di riposarli su di lui.

Quando si fu sfilato anche quell'indumento, Louis si avvicinò a Harry – un ghigno sfrontato sulle labbra – e gli strofinò la maglia sul viso, prima di lasciargliela scivolare sulle gambe e tornare verso la sedia. La voltò, in modo che fosse lo schienale ad essere rivolto verso gli altri, e vi si sedette, allargando le gambe e accarezzandosi il petto nudo.

I gridolini di approvazione del gruppo avversario che si sprecavano, fecero sorridere anche lui; mentre Gemma, che aveva indovinato da un pezzo il titolo «''Nove settimane e mezzo''?», domandò, sbagliando appositamente.

Aveva notato il modo in cui suo fratello stesse osservando il più grande: era un misto tra stupore, incredulità e, ne era certa, un pizzico di eccitazione.

Sicuramente Louis l'aveva sorpreso nel mostrare quel lato di sé, dimostrandogli di essere anche capace di giocarsi la carta della provocazione. E, doveva ammetterlo, ci stava riuscendo alla grande.

«Uffa, ho sbagliato. Harry tu hai qualche idea?» chiese, rivolta al fratello, il quale scosse il capo, improvvisamente non più in grado di proferire parola e non distogliendo gli occhi dal maggiore e dalle sue mani, che si muovevano lascive lungo tutto il suo busto.

Deglutì a vuoto quando Louis si alzò nuovamente in piedi, sfilando dall'asola il bottone dei jeans e abbassando piano la cerniera, rivelando il colore nero dei boxer.

Gemma alternò rapidamente lo sguardo tra i due finché, certa che Harry fosse troppo preso dallo spettacolino del maggiore per pensare al gioco, «''Magic Mike''» si decise a indovinare, decretando la loro vittoria.

Alla consapevolezza di aver vinto, Louis si alzò in piedi esultando a squarciagola e, senza pensarci, si avvicinò a Harry, lanciandosi su di lui e abbracciandolo.

Non pensò di aver fatto una mossa avventata, di poter far pensare che il suo gesto fosse decisamente esagerato, o di quello che Harry potesse pensare nel ritrovarselo tra le braccia seminudo, tanto era genuinamente felice di essersi aggiudicato quel secondo scontro.

Solo quando percepì il tocco appena accennato dei polpastrelli del più giovane sulla sua schiena nuda, che gli provocarono un tremito lungo la spina dorsale, si rese conto di ciò che aveva fatto. Spostò le mani sulle spalle dell'altro, scostandosi dal suo corpo e guardandolo per un attimo in viso, notando la sua espressione incredula.

Si lasciò andare ad una piccola risata nervosa, scostandosi il ciuffo con una mano, prima di sollevarsi e voltarsi poi verso Gemma, andando ad abbracciare anche lei e cercando di essere il più disinvolto possibile, per dare l'impressione che la sua idea iniziale fosse proprio quella; subito dopo, corse a recuperare la maglia e a coprire il suo torso nudo.

Si sentiva decisamente accaldato in viso, era sicuro di aver assunto un colorito tendente al rosso fuoco, mentre non poteva far a meno di notare come la sua pelle si fosse ricoperta di brividi, reagendo così al tocco gentile di Harry.

Continuò a rivestirsi cercando di fare finta di nulla e mantenendo lo sguardo basso, sperando che nessuno degli amici, decidesse di fare battutine in merito a ciò a cui avevano appena assistito. Non si sentiva in grado di dare giustificazioni sul suo comportamento, il gioco e il suo spirito competitivo, avevano preso il sopravvento, togliendogli la capacità di ragionare.

Fortunatamente le sue preghiere furono esaudite quando Niall «Perfetto quindi, ora che abbiamo appurato che io e Liam siamo delle schiappe in questo gioco, chi è che si prende il compito di consolarci?» esordì, spezzando il silenzio e provocando le risa di tutti.

Dopodiché Barbara, già al suo fianco, si voltò nella sua direzione, avvicinandosi al suo viso e «Ovviamente, ci penso io a questo, amore» sussurrando sulle sue labbra, prima di baciarlo.

Liam, seduto accanto a loro, rivolse loro un tenero sorriso, per poi spostare lo sguardo su Gemma che, come se non aspettasse altro, accolse la sua tacita richiesta, andandosi a sedere sulle sue gambe e imitando l'altra coppia.

Louis rimase per alcuni secondi a guardare le due coppie scambiarsi gesti di tenerezza, accorgendosi in seguito come Harry si fosse allontanato. Lo raggiunse in cucina, dove stava recuperando qualcosa dal frigorifero, appoggiandosi di schiena al bancone. Facendo leva con le mani, si diede una spinta e vi si sedette sopra.

«Grazie» sorrise poi a Harry, quando gli porse una delle due lattine di birra che aveva tra le mani, sollevando la linguetta e prendendone subito un sorso.

«Credi che ne avranno per molto?» si sentì poi chiedere.

Voltò per un attimo il capo, tornando a guardare le due coppie che sembravano non avere alcuna intenzione di staccarsi, sorridendo poi al più giovane.

«Ho paura di sì. Non sai quante volte capita che ci stiamo godendo un film tutti e tre insieme sul divano e poi, senza alcun preavviso, Niall e Barbara iniziano a baciarsi, mettendomi nella condizione di dover chiudermi in camera mia per non restare a fare il terzo incomodo».

«Perfetto proprio» brontolò Harry, sbuffando.

«Sono carini però insieme, non trovi?»

«Non lo so» si limitò a rispondere il giovane artista.

«Dovresti essere contento che il ragazzo di tua sorella sia il tuo migliore amico. Io lo ero quando Barbara mi ha confessato di essersi innamorata di Niall e lo sono ancora oggi perché mi fido di lui e so che anche lui la ama e non la farebbe mai soffrire».

Harry tornò a guardare la scena che si stava svolgendo nel suo salotto, dove Gemma e Liam ora alternavano i baci, con carezze e risate.

«Non so spiegare come mi sento, per me è solo strano al momento. Forse è perché non avrei mai immaginato che si potessero piacere, non avevo mai considerato questa possibilità, anche perché Gems è più grande di noi e, quando eravamo più piccoli, la differenza di tre anni pesava; per lei eravamo solo dei marmocchi. Non avevo messo in conto che, crescendo, le cose sarebbero potute cambiare. O forse è anche perché non stanno davvero insieme; loro non sono una coppia come Niall e Barbara, sono un qualcosa d'indefinito e a me, le cose indefinite non sono mai piaciute» gli spiegò.

«Vedrai che sarà solo questione di tempo. Io li vedo già felicemente fidanzati, perciò inizia a pensarla come me, vedrai che tutto poi ti apparirà migliore» concluse Louis, scendendo dal bancone e gettando la lattina, ormai vuota, nel secchio dei rifiuti.

«Comunque... devo ammettere che sei davvero pieno di sorprese» cambiò argomento Harry, facendogli capire si stesse riferendo allo spogliarello improvvisato di poco prima.

«Oh beh quello... quello è stato per gioco. Diciamo che so improvvisare» minimizzò, schiarendosi prima la voce.

«Mi sembravi piuttosto serio» insistette, sollevando un angolo della bocca «C'è qualcosa che devo sapere, per caso?»

Louis deglutì a vuoto.

«Stavamo giocando, Harry. E io sono gay, quindi non sarebbe stato credibile rivolgere lo spogliarello a Gemma».

La sua risposta piccata fece sorridere il giovane pittore che annuì, concedendogli quel piccolo sfizio.

«Comunque, oggi mi chiedevo dove avresti intenzione di portarmi durante il nostro prossimo incontro».

Louis lo guardò con un sorriso irriverente sulle labbra «Mi sa che dovrai tenere a freno la tua curiosità, Styles, perché non ho alcuna intenzione di svelarti nulla».

Harry sollevò gli occhi al cielo, fingendosi infastidito.

«Eddai. Non fare il bambino, Louis».

«Non se ne parla».

Il maggiore balzò già dal bancone, piegando il busto verso di lui e sfiorandogli la punta del naso con l'indice.

«E ricorda che la compagnia di questo bambino, l'hai voluta tu».

E fu così che la sua smorfia imbronciata lasciò lo spazio a un genuino sorriso.

«Lo sai che non me ne pento affatto di averti praticamente supplicato di tornare, vero?»

I suoi occhi erano così seri che, per qualche istante, a Louis parve di perdere il fiato.

Decise di concedergli la sua più sincera verità, abbassando lo sguardo e sorridendo.

«Sono contento di averti conosciuto, Styles» sussurrò, quasi timoroso che altri potessero sentirlo.

Quelle parole dovevano rimanere solo loro.

Harry posò le dita sotto il suo mento, risollevandogli il volto. Sorrise a sua volta, ammaliato da quegli occhi limpidi.

«Sono molto più della persona che vedi adesso, Louis. A volte mi sento così lontano da quella che è la mia natura tanto da stentare a riconoscermi. Quando sto con te, però, ci sono momenti in cui sembra che tu riesca a riportare in superficie il vecchio Harry» gli confidò, sfiorandogli la guancia «Mi manca, quell'Harry».

Louis non ci pensò due volte a stringergli le braccia intorno al collo, accarezzandogli i ricci corti che ricadevano sulla nuca. Il suo cuore tremò appena quando percepì le braccia del ragazzo stringerlo a sua volta e le mani impugnare il tessuto dei suoi abiti, mentre rilasciava un sospiro tremante.

Si domandò quanto bello sarebbe potuto essere quel vecchio Harry se quello di adesso, nonostante i momenti no, cominciava già ad apparirgli bellissimo.

Amarlo, poi, diventerà spontaneo.

Sorrise.

Stava decisamente cominciando a capire.

****

° When the pressure's coming down like lightning;

it's like they want me to be perfect. °

Se c'era una cosa che Louis amava, oltre a leggere e far sorridere le altre persone, era andare sullo skateboard. A causa di quella ''tavola maledetta con le ruote'' – come era solita definirla sua madre – le sue ginocchia e le sue mani si erano sbucciate davvero parecchie volte nel corso degli anni. Una volta era caduto a terra così rovinosamente, che ancora oggi ne portava il segno: una piccola cicatrice bianca sulla rotula. Non aveva pianto, tuttavia, perché ''Mamma, se non cado, non imparerò mai''. Alla fine, quella tavola aveva smesso di avere la meglio su di lui, era diventata la sua migliore amica, e lui aveva imparato a controllare ogni mossa, ogni piccolo salto da compiere.

Proprio qualche giorno prima aveva rivelato a Harry quella sua passione e, siccome quello gli aveva detto che gli sarebbe piaciuto vederlo all'opera, aveva pensato che un giro allo skatepark di South Bank, non sarebbe stato male.

«Sei sicuro che non creerò alcun fastidio?» esordì Harry, ammirando i giovani che già sfidavano le rampe in cemento.

«La gente è qua per divertirsi con lo skateboard, Harry. Nessuno baderà a te che sei buono e tranquillo in disparte» lo rassicurò.

Il più giovane corrucciò la fronte e «Mi stai dicendo che mi hai portato qui solo per starti a guardare mentre compi le tue acrobazie?» lo guardò di sottecchi.

Louis gli pizzicò una guancia. Non gli sarebbe dispiaciuto avere gli occhi dell'artista su di sé per tutto il tempo, ma... no, non erano lì per quello.

Decisamente.

Altrimenti non avrebbe faticato così tanto per portarsi appresso anche tutti i suoi strumenti di lavoro.

Perciò «Concentrati, Harry. Trova l'ispirazione nei colori» fece schioccare la lingua, prima di allontanarsi con il proprio skateboard.

Harry rimase a guardarlo interdetto: come poteva trovare la concentrazione in un posto così caotico? E, soprattutto, come poteva non aver capito che a lui, vedere quei graffiti colorati riempire ogni spazio di cemento, provocava il voltastomaco? Troppi colori mischiati assieme gli ricordavano quando era lui a cercare le sfumature della vita in ogni cosa che lo circondava.

Il nero, allora, non esisteva nemmeno per lui.

Adesso non poteva farne a meno.

Scosse il capo, aggiustando l'album da disegno e impugnando il carboncino fra le dita.

Lasciò poi vagare lo sguardo in mezzo alla pista, percependo la scintilla scoccare nei propri occhi una volta trovato ciò di cui aveva bisogno.

Intrappolò il labbro inferiore fra i denti e cominciò a sporcare il foglio candido.

Doveva ammettere, comunque, che la sensazione che provava ogni qualvolta aveva a che fare con il disegno e la pittura, era unica al mondo. Niente riusciva mai ad eguagliarla e, sotto sotto, era certo niente sarebbe mai riuscito anche solo ad avvicinarvisi.

Sussultò quando, dopo almeno un'ora, vista la posizione calante del sole, qualcuno gli si avvicinò alle spalle.

«Figo. Studi arte?» una voce femminile gli perforò le orecchie, mentre lasciava a terra lo zaino che – Harry ne era sicuro – aveva visto tempi migliori.

Cercò di non badare molto a lei, proseguendo nel suo lavoro e «L'ho fatto per molto tempo» rispondendole apatico.

«Anche io volevo studiare arte, ma la scuola costava troppo e i miei genitori non avevano abbastanza soldi per permettermi di frequentarla» gli confidò la ragazza dai capelli biondi, sporcati di rosa qua e là.

«Mi spiace» si limitò a risponderle, leggermente infastidito da quell'invasione di privacy. Quando disegnava, non aveva mai voluto distrazioni attorno a sé; cercava sempre di estraniarsi dal contesto, come se il mondo si mettesse in pausa, ma quella ragazza gli stava rendendo il compito piuttosto arduo.

«Anche a me» scrollò le spalle quella, «Ma continuo a disegnare. Appena trovo un muro libero lo riempio con le mie bombolette» rispose fiera, con un sorriso in volto che venne subito smorzato dalla freddezza di Harry.

«Senti, io sto cercando di concentrarmi e tu sei davvero fastidiosa. Se puoi allontanarti, te ne sarei grato» la inchiodò con lo sguardo «E, per la cronaca, imbrattare i muri, è illegale».

La giovane si alzò stizzita da terra, dove poco prima si era lasciata cadere a gambe incrociate.

«Sai cosa? Preferisco di gran lunga imbrattare i muri, piuttosto che disegnare come te».

«Non sai nemmeno con chi stai parlando».

«Non m'importa. Basta vedere quanto è anonimo ciò che stai creando» ribatté lei «Non sgarri mai nella tua vita? Non provi mai l'ebrezza di fare qualcosa di sbagliato, solo per sentirti di nuovo vivo?»

Harry chiuse rumorosamente l'album da disegno, lasciando cadere a terra il carboncino che si frantumò in mille pezzi. E proprio così, era come si sentiva lui stesso: in mille e più pezzi rotti. Tutti da ricomporre e aggiustare.

Stava davvero tentando di farlo, ma le persone dovevano capire che non era facile incollare di nuovo tutto. Non dopo ciò che aveva subìto e lo aveva segnato così profondamente. Il vecchio Harry, avrebbe raccontato a quella ragazza i numerosi viaggi che aveva avuto la fortuna d'intraprendere in giro per il mondo; le avrebbe svelato come lui era sempre stato il primo a volersi mettere alla prova, a superare i propri limiti. Le avrebbe raccontato tutto con la voce pregna di quell'amore per la vita che da sempre lo aveva contraddistinto, sperando di affascinarla e regalarle un po' di ciò che lui aveva imparato da tutte le sue esperienze.

Ma questo Harry, ormai, aveva solo imparato a scappare.

Per quello chiamò a gran voce Louis, il cui sorriso smagliante scomparve quando probabilmente notò la sua espressione scura.

«È successo qualcosa?» si accertò subito, non appena lo raggiunse, lanciando poi un rapido sguardo in direzione della giovane ragazza che si era già allontanata da loro.

«Voglio andare via da qui» rispose categorico l'artista «Subito».

«Qual è il problema?» insistette il maggiore, sistemando lo skateboard contro la propria schiena, al riparo sotto lo zaino, e prendendo sotto braccio il cavalletto in legno «Mi sembra stesse andando tutto bene. Quella ragazza - »

«Io non sono pronto, okay?» Harry arrestò la carrozzina, interrompendolo con veemenza «Vi aspettate tutti che io ritorni a disegnare come prima, ma non succederà. Io non voglio avere niente a che fare con i colori. Io non ho altro che il nero dentro di me e voi... » scosse il capo, stringendosi nelle spalle «Voi dovete smetterla di pretendere tutto questo da me».

Louis rimase a fissarlo per qualche istante, in silenzio, completamente spiazzato. Sapeva che vi era ancora tanto lavoro da fare con Harry, ma a volte sembrava tutto così difficile.

Camminò a testa china lungo tutto il viale che costeggiava il Tamigi, restando al suo fianco, ma senza mai rivolgergli uno sguardo. Tante cose affollavano la sua mente, ma non era certo di quanta voce in capitolo avesse nella sua vita. Vi erano momenti in cui Harry sembrava lasciargli libero accesso nella sua quotidianità e nei suoi pensieri, ma in altri, aveva la sensazione di aver cucito addosso ancora troppo l'abito da estraneo per permettersi di parlargli come avrebbe voluto.

Tuttavia, come se lo stesse leggendo nel pensiero, «Parla, Louis» lo incoraggiò Harry, insistendo nel vederlo tentennare nonostante il suo permesso «Se non volessi sapere ciò che pensi di tutta questa storia, nemmeno te lo chiederei. Lo sai».

Sì, lo sapeva. Aveva cominciato a capire e conoscere quel ragazzo che, da settimane, affiancava con costanza.

Sbuffò, roteando gli occhi al cielo, prima di «Io ho capito quanto ti pesa usare i colori, davvero, ma tu hai capito che noi non vogliamo obbligarti a fare ciò che non vuoi?» lo incalzò piano «L'arte è il tuo mondo e non è giusto che tu te ne priva solamente perché hai avuto un incidente. Sei sempre tu, Harry. E se vuoi disegnare solo con il carboncino...» scrollò le spalle, voltandosi a guardarlo «Va bene. A noi interessa solo che tu torni a fare ciò che da sempre ami. Il come farlo...beh, quello spetta unicamente a te deciderlo. A volte un tratto nero dice più di mille colori».

«I miei dipinti erano sempre così pieni di colori» mormorò l'artista, rammaricato.

«Perché, anziché viverlo come un peso, non provi a vederne il lato positivo?» propose allora il maggiore, spiegandosi meglio. «Magari avresti cambiato modo di disegnare lo stesso, indipendentemente dall'incidente. Col tempo si cambia, Harry. Ieri eri una persona con determinati pensieri e desideri, domani potrebbe già essere cambiato tutto. Ma questo non deve necessariamente essere negativo. Ritroverai i tuoi colori, ne sono certo».

L'artista sbatté le palpebre sorpreso, mentre riprendevano entrambi ad avanzare lungo la strada «Come puoi esserne così sicuro?»

«Perché io già li vedo» rispose tranquillamente Louis «Devi solo guardarti con gli occhi giusti. Sei pieno di colori, Harry. Colori bellissimi» gli rivelò, regalandogli un timido sorriso e tornando ad assaporare il silenzio attorno a loro.

Colori bellissimi.

Ricorda, Harry: un passo alla volta.

Sei pieno di colori.

****

Era dal giorno dell'incidente che Harry non varcava la soglia dell'ospedale senza avvertire quell'ormai famoso senso di oppressione e nausea che lo attanagliava ogni volta. Sapeva che il motivo stava nel fatto che quella volta non si trovasse lì per sottoporsi all'ennesima visita di routine, ma per ben altro scopo.

Scopo decisamente più piacevole.

O, almeno, lo sperava.

Più i giorni passavano, più si sentiva vicino a Louis.

Si era reso conto di apprezzare la sua compagnia e la delicatezza con la quale stava cercando di farlo tornare a dipingere; senza pressioni - proprio come lui stesso gli aveva chiesto - ma semplicemente provando a donargli nuove fonti d'ispirazione e trovando sempre le parole giuste per farlo reagire e rincuorarlo.

Si era accorto di come quel ragazzo fosse in grado di smuovere qualcosa in lui, di farlo sentire apprezzato, compreso e, perché no, ogni tanto anche desiderato. Tutte cose che non provava più da tempo.

Si trovava talmente bene con lui, da rendersi conto di attendere con piacevole aspettativa ogni loro incontro, per scoprire quale nuovo luogo della sua amata Londra, che ancora non conosceva, gli avrebbe fatto scoprire. Viveva in quella città da ventitré anni e, anche se gli sembrava impossibile da credere, doveva ammettere che esistevano luoghi dei quali non aveva nemmeno mai sentito parlare.

Nell'ultimo periodo si era ritrovato spesso a pensare che tutto quello non sarebbe mai successo, se non si fosse deciso a seguire il consiglio che Liam gli aveva dato proprio quando si trovavano in quello stesso luogo, alcune settimane prima.

Liam sembrava capire sempre cosa fosse meglio per lui e non per niente lo aveva da sempre considerato il suo migliore amico. Solo, Harry era un tantino troppo orgoglioso per ammetterlo.

Prima di iniziare a percorrere l'ultimo corridoio che lo avrebbe portato nel reparto dove lo stavano aspettando, verificò l'orario sul display del suo iPhone. Indicava le 4.59 del pomeriggio e lui sorrise compiaciuto della sua proverbiale puntualità.

Nonostante avesse sempre cercato di evitare di approfittare delle sue conoscenze per poter ottenere dei trattamenti di favore - in qualsiasi situazione - quella volta non si era fatto troppi problemi a chiedere al dottor Corden di fargli ottenere il permesso per assistere Louis durante uno dei suoi turni di volontariato.

Il medico aveva opposto un minimo di resistenza, spiegandogli l'importanza del rispetto delle regole in un ospedale, soprattutto nel reparto di pediatria, ma Harry sapeva essere molto convincente quando ci si metteva e, in fondo, non era stato poi così difficile convincere l'uomo.

Anne e Robin sarebbero stati molto felici di averlo come ospite a cena e poi sapeva bene che l'uomo avesse un debole per lui. Lo conosceva da parecchi anni, lo aveva visto crescere e non aveva mai nascosto il bene che provava nei suoi confronti.

Come raggiunse il reparto, la giovane infermiera dai capelli rosa che aveva visto la volta precedente – Perrie se non aveva capito male – lo accolse con un sorriso gentile.

«Harry, ciao. Ti stavo aspettando. Io sono Perrie e il dottor Corden mi ha informata che ti saresti aggiunto a Louis e ai ragazzi oggi» lo salutò, porgendogli la mano.

Harry ricambiò la stretta, annuendo con decisione.

«Proprio così. Spero ti abbia anche detto che non volevo Louis fosse avvisato di tutto questo» si sincerò.

«Ovviamente. Louis non sa nulla, così come i bambini. Ti accompagno da loro» e così dicendo, l'infermiera gli fece strada lungo la corsia dalle pareti variopinte.

«Mi fa piacere conoscere un nuovo amico di Louis. È un ragazzo speciale, non c'è nemmeno un paziente che non lo adori, qui dentro» cinguettò, mentre scostava un carrello contro la parete, per facilitargli il passaggio.

«Lo conosci bene?»

«Beh, abbastanza direi. Sono due anni che presto servizio in questo ospedale e Louis è stato una delle prime persone che ho conosciuto. Ero l'infermiera nuova e imbranata che doveva imparare i nomi dei medici e capire come era organizzato il reparto; devo avergli fatto talmente pena, che si è sentito in dovere di darmi una mano ad ambientarmi» gli spiegò, continuando a camminare, ma voltando il capo verso di lui.

«Siamo andati subito d'accordo e quando posso, turni permettendo, ci ritroviamo a bere qualcosa la sera al pub del suo amico Niall. Lo conoscerai immagino: è un posto alla mano, Niall è un ottimo padrone di casa e, quando riesce a unirsi anche Barbara, la riuscita della serata è sempre assicurata».

Harry la seguì senza proferire parola, ma sorridendo tra sé e sé. Non gli era difficile credere a tutto ciò. Gli era ormai chiaro che se esisteva una persona sempre disposta ad aiutare gli altri, disinteressatamente, quella era proprio Louis.

«Siamo arrivati, Louis è qui dentro» disse Perrie, arrestando il passo di fronte ad una porta con applicata una grande faccina sorridente e tanti fiori colorati tutti attorno. «Buon divertimento» gli augurò, ammiccando, prima che una collega richiamasse la sua attenzione.

Restò alcuni istanti a fissare il pomello nero, improvvisamente preoccupato che la sua idea potesse rivelarsi completamente sbagliata, fino a quando non sentì una vocina provenire dall'interno della stanza.

«Non sei proprio capace Louis» udì, prima che uno scroscio di risa risuonasse oltre la parete.

Quello bastò a smuovere la sua curiosità e a spingerlo ad aprire la porta.

«Disturbo?»

Al suono della sua voce, tutti i presenti nella stanza si voltarono verso di lui. Guardò i volti di ognuno e nessuna delle espressioni che lesse sui visi dei piccoli, batteva quella di Louis: un misto tra stupore, incredulità e confusione. Gli occhi spalancati e la mano che reggeva un pennarello, ferma a mezz'aria.

«Harry... che ci fai qui?» gli chiese, dopo alcuni attimi di smarrimento, balzando in piedi e togliendosi il naso rosso finto di gomma .

«Avevo voglia di vedere cosa combini quando sei qui» sollevò le spalle, avanzando con la sedia a rotelle.

Louis si grattò la nuca in imbarazzo.

«Oh, capisco. Beh, è stato un bel pensiero ma, non credo tu possa fermarti» mormorò tristemente.

«In realtà sì» lo corresse «Mi sono fatto dare un permesso speciale» ammiccò nella sua direzione «Ma se per te è un problema - »

«No!» si affrettò a rispondergli allora il maggiore «Nessun problema, davvero».

Poi gli sorrise allegramente, affiancandolo e rivolgendosi a tutti i suoi piccoli amici «Lui è il mio amico Harry, ragazzi. Oggi ci farà compagnia».

I bambini salutarono subito in coro il nuovo arrivato.

«Io ti conosco. Ci siamo già incontrati, ricordi?»

Harry si voltò verso il bambino che aveva pronunciato quella frase, già immaginando di chi potesse trattarsi.

«Certo che ti riconosco. Kadi, vero?»

Un enorme sorriso si dipinse sulle labbra scure del ragazzino, che annuì, felice che Harry si ricordasse di lui.

«Cosa stavate facendo?» domandò poi, a nessuno in particolare.

«Stavamo disegnando, ma LouLou non è capace» lo informò una bambina bionda, che scoprì chiamarsi Katy.

Rivolse lo sguardo divertito verso il maggiore trovandolo mentre, imbarazzato, si strofinava nuovamente la nuca.

«Vedo» lo prese in giro, sollevando un braccio e afferrando il lembo della maglia di Louis, un tempo bianca, e ora ricoperta di macchie di vernice.

«Purtroppo, tra le mie tante doti» esordì poi quello, gonfiando platealmente il petto e facendoli ridacchiare «Non c'è quella del disegno. Ma» posò le mani sulle spalle dell'altro «Oggi siete davvero fortunati piccoli perché Harry, invece, è bravissimo in questo».

Gli occhi dei bambini si illuminarono a quella realizzazione e, senza farsi alcun tipo di problema, iniziarono a richiamare l'attenzione del giovane artista, chiedendo il suo aiuto; il velo d'imbarazzo iniziale completamente dimenticato.

Harry sembrò valutare per un istante l'ipotesi di squagliarsela, ma ben presto si riscosse. Si trattava solamente di aiutare dei bambini con il disegno e non c'era nulla di male in quello. Perciò si avvicinò ad ognuno di loro e, pazientemente, li aiutò nella realizzazione dei loro disegni, elargendo piccoli consigli ed elogiandoli per le loro capacità.

Louis si perse facilmente nei suoi pensieri, guardando felice Harry interagire con tutti i suoi piccoli amici. Non si sarebbe mai aspettato di vederlo arrivare lì, di sua spontanea iniziativa, e assistere alla scena che si presentava in quel momento davanti ai suoi occhi.

Era adorabile il modo in cui Harry aveva stretto la sua grande mano attorno a quella di Kadi, inghiottendola completamente e aiutandolo a riprodurre la figura di Spiderman, copiandola dal giocattolo che il bambino portava sempre con sé da quando glielo aveva regalato.

O come aveva spiegato a Jonah a realizzare delle nuvole, semplicemente utilizzando la gomma e cancellando, con piccoli tocchi, un po' di azzurro del cielo qua e là. Lui aveva provato a disegnargliele con la matita, ma era riuscito soltanto ad ottenere dei piccoli sgorbi che avevano fatto imbronciare il ragazzino.

O, ancora, come aveva fatto adagiare Katy sulle sue gambe, lasciando che, con le sue piccole dita sporche di tempera lavabile, disegnasse delle strane forme colorate sul suo viso.

Quello era un altro volto di Harry che stava scoprendo, un'altra sfaccettatura del suo carattere che gli stava mostrando e che lo rendeva ancora più bello ai suoi occhi.

Arrossì all'istante quando il più giovane sollevò lo sguardo, sorprendendolo a fissarlo.

Era un suo difetto quello, non si poteva certo dire che fosse una persona discreta. Niall glielo aveva ripetuto innumerevoli volte, soprattutto a scuola: non era capace di fare qualcosa, senza farsi scoprire con le mani nel sacco; per quello nessuno gli chiedeva mai di fargli copiare nei compiti in classe: erano certi che Louis li avrebbe fatti scoprire.

Fortunatamente per lui, però, Harry si limitò solamente a sorridergli felice; le fossette che scavavano piccoli solchi sulle sue guance pitturate e gli occhi che risplendevano solo per lui.

«Lou, guarda come è uscito bene».

Kadi sollevò il suo foglio, mostrando al ragazzo il supereroe che Harry lo aveva aiutato a disegnare.

«È veramente bellissimo, campione. Questo sì che è un vero Spiderman. Ora non ti resta che colorarlo» si complimentò Louis, sedendosi sul letto al suo fianco.

«Sai che Spiderman era il supereroe preferito di Louis? Ma ora non lo è più» continuò poi il ragazzino, rivolgendosi a Harry.

«Non lo sapevo. E come mai ora non lo è più?»

«Perché da quando ha conosciuto me, lo sono diventato io» spiegò, sorridendo orgoglioso e voltandosi verso il maggiore, che lo intrappolò in un abbraccio.

Harry aveva capito che Louis avesse stretto un profondo legame con Kadi; l'aveva intuito dal modo in cui lo sguardo del maggiore si era illuminato alla vista di quel piccolo ragazzo, dai grandi occhi color cioccolato e dal sorriso contagioso, la prima volta che li aveva visti insieme.

E, ancora di più, poteva constatarlo in quel momento.

Si guardò intorno, realizzando solo in quel momento come solamente Kadi si trovasse in un letto, nonostante nella stanza ce ne fossero un altro paio. Non sapeva quale fosse la sua malattia. Il ragazzino gli aveva detto di avere il cancro, ma lui non aveva mai chiesto precisazioni e Louis non gliene aveva mai parlato, probabilmente perché non aveva più osato farlo dopo che lui se ne era lamentato. Si ripromise di informarsene, sperando sinceramente di sentirsi dire che il piccolo avesse buone speranze di guarigione.

Comunque, più osservava quella scena, più una voglia irrefrenabile di immortalarla si faceva strada dentro di lui. Così, dopo aver lasciato che la piccola Katy raggiungesse i suoi amici, prese uno dei fogli bianchi che si trovavano sul tavolo al centro della stanza, insieme ad una matita.

Si mise in disparte, posizionandosi in un punto dove poteva avere la migliore prospettiva di ciò che voleva rappresentare; poi si estraniò da tutto, lasciando scorrere la mina sul foglio bianco.

Le voci stridule dei bambini erano ormai diventate un semplice brusio di sottofondo che nemmeno percepiva, mentre le sue iridi verdi saettavano senza sosta dal foglio ai due ragazzi sul letto.

Intrappolò il labbro inferiore tra i denti quando vide Louis posare un bacio sulla testa di Kadi, prima di aiutarlo a colorare il disegno.

Non si sentiva così felice da tanto tempo.

****

Quando Louis si ritrovò Gemma sull'uscio di casa di Harry, quel tardo pomeriggio, rimase inizialmente sorpreso di vedersela di fronte, ma poco dopo, la sua espressione si tramutò in un largo sorriso.

In quei mesi aveva sviluppato un forte feeling verso la maggiore dei fratelli Styles, apprezzando molto il suo aiuto nell'instaurare un rapporto con Harry, oltre che per la sua spontanea simpatia e costante allegria.

«Gemma! Mi fa piacere vederti. Come va?» le domandò felice, mentre la ragazza lo accoglieva nell'appartamento.

«Tutto bene, grazie. Non pensavo dovessi venire oggi».

Louis posò il suo immancabile zaino su una sedia del soggiorno, voltandosi poi a guardarla «Non dovevo, infatti, l'ho deciso solo all'ultimo. Mi andava di vedere come stava Harry».

«Beh, tempismo perfetto, direi» ironizzò, passandosi una mano tra i capelli biondi.

Louis corrucciò la fronte «Per quale motivo?» chiese, non capendo la sua affermazione.

«Oggi ha la seduta di fisioterapia» spiegò, indicando con la mano verso il corridoio «E non è mai troppo di buon umore quando finisce» continuò, incurvando le labbra in una smorfia.

Louis si sporse appena, puntando lo sguardo verso la porta, ora chiusa, della stanza che sapeva fosse stata adibita per la fisioterapia, cercando di carpire qualche suono. Non gli era mai capitato di vedere Harry in uno di quei giorni, nè tantomeno assistere ad una seduta ma, ora che ci faceva caso, poteva udire una voce sconosciuta provenire da lontano.

«Dici che sarà così terribile?» mormorò poi, la voce che tradiva una punta di preoccupazione. Era ormai abituato al carattere scontroso del più giovane, ma ciò non significava che non ne fosse ancora un po' intimorito.

«Ti dico solamente che, l'ultima volta, quasi m'investiva con quella dannata sedia a rotelle. Quindi...» lasciò la frase in sospeso Gemma, dirigendosi poi in cucina e versando un bicchiere d'acqua per sé e per Louis.

«Mmm...forse è il caso che ripassi un altro giorno, allora».

«Assolutamente no!» lo contraddisse subito «Sono curiosa di vedere come si comporterà con te, ultimamente mi sembra andiate piuttosto d'accordo».

Lo sguardo carico di malizia che gli lanciò Gemma, gli fece andare l'acqua di traverso, costringendolo a battersi alcuni colpi sul petto con la mano e a tossire per evitare di soffocare. Si ricompose il più velocemente possibile, cercando di non alimentare ulteriormente le fantasie che, era sicuro, la ragazza si era già fatta su di loro.

«Se per andare d'accordo intendi dire che ci scontriamo meno di una decina di volte al giorno, allora ti do ragione».

Gemma, di tutta risposta, alzò gli occhi al cielo.

«Non fare il modesto, Louis. È chiaro a tutti, ormai, che hai capito come prendere il mio fratellino. E questo non può che farci piacere, quindi non tentare di negarlo» lo ammonì.

Louis alzò le mani in segno di resa.

«Come vuoi. E per questo, quindi, ti diverti a mandarmi al macello?»

Gemma si coprì la bocca con una mano, soffocando una risata.

«Che ci vuoi fare, sono un po' sadica. Ma, se ti può tranquillizzare, resterò in casa, pronta a guardarti le spalle» lo prese in giro, allungandogli un pugno che Louis si affrettò a far scontrare con il suo, in segno di alleanza.

Pochi istanti dopo, le loro chiacchiere furono interrotte dal cigolio di una porta che si apriva e da una voce, chiara e forte, che Louis non aveva mai sentito prima.

«Ricordati di fare gli esercizi per la respirazione tutti i giorni. Il che vuol dire ogni giorno, non uno sì e l'altro forse. È importante Harry, mi raccomando. Ora riposati, ci vediamo giovedì».

A quelle parole, seguirono dei borbottii poco distinguibili da parte del ragazzo, prima che l'uomo apparisse davanti ai loro occhi.

«Finito anche per oggi, Paul?»

«Sì, anche questa sessione è andata. Gemma, lo dico anche a te: assicurati che esegua gli esercizi respiratori. Lui tende a non darci peso, ma ne va della sua salute».

La ragazza annuì col capo.

«Lo so, Paul, hai ragione. Prometto che me ne accerterò sempre, se però mi ritroverò presto con qualche osso rotto, sappi che le sedute, a me, le dovrai fare gratis» scherzò poi, salutandolo prima che uscisse di casa, dopo aver fatto un cenno di saluto anche a Louis con il capo, subito ricambiato dal ragazzo.

«Presumo che mio fratello si sia ritirato nella sua stanza. È piuttosto affaticato dopo la ginnastica» comunicò Gemma, una volta che furono di nuovo soli «A te l'onore di scoprire di che umore sia» lo spronò poi, incoraggiandolo a raggiungere Harry.

Louis prese un profondo respiro e, dopo aver lanciato un'occhiata complice alla ragazza, incrociando le dita, s'incamminò verso la stanza del pittore.

Si affacciò di poco oltre la soglia, adocchiando la figura di Harry che, con non poca fatica, sollevava con le mani le gambe, una alla volta, sul materasso, per poi scivolare all'indietro, fino a raggiungere la testiera, adornata di cuscini, e appoggiarsi con la schiena, esausto, chiudendo gli occhi.

Pensò, allora, che non fosse il caso di disturbarlo, facendo attenzione a ritrarsi senza fare alcun rumore, ma non riuscì a trattenere un urlo di spavento quando, qualcuno alle sue spalle, lo spinse all'interno della camera.

«Guarda un po' chi c'è qui, Haz» esordì entusiasta Gemma, facendo accorgere Harry della loro presenza. «Louis è passato a trovarti, non sei contento?» evitò appositamente lo sguardo arrabbiato che Louis le rivolse, avvicinandosi al letto e stampandosi un sorriso fintissimo sul volto.

«Oh, Louis...che ci fai qui oggi?».

Quando Harry gli rivolse la parola, il maggiore si decise a guardarlo, lasciando perdere di maledire Gemma, ma appuntandosi mentalmente che avrebbe trovato il modo per vendicarsi.

«Mi andava di passare a trovarti» rispose, schioccando nervosamente le dita della mano. «Non sapevo avessi la fisioterapia, ma se non sei dell'umore giusto, me ne vado».

Seguirono alcuni istanti di silenzio, durante i quali Louis sviluppò un improvviso interesse per le punte delle sue Vans, scolorite dal tempo.

«No, certo che no. Puoi restare».

Non fu in grado di spiegarsi come riuscì a non rompersi l'osso del collo, data la violenza con la quale aveva risollevato il capo, stupito dalle parole di Harry che non solo non lo aveva cacciato, ma nemmeno sembrava irritato dalla sua presenza.

Se l'espressione che vide dipinta sul volto di Gemma non lo ingannava, anche la ragazza era rimasta sorpresa quanto lui dall'atteggiamento del fratello. Ben presto, però, il suo stupore si tramutò in piacevole consapevolezza quando spostò lo sguardo su Louis, riservandogli un sorriso compiaciuto, come a volergli dire ''te l'avevo detto''.

«Bene, allora io torno di là» si congedò di tutta fretta, lasciandoli soli.

Harry sorrise.

«Avanti, avvicinati» lo incoraggiò il più giovane, accompagnando le parole con un cenno della mano.

«Davvero, guarda che se non ti va, non devi farti problemi a dirmelo, non mi offendo. Dopotutto, non ti ho nemmeno avvisato e - »

«Louis» lo interruppe «Da quando in qua mi sono mai fatto problemi a dirti che la tua presenza non era gradita?»

Louis sollevò un angolo della bocca, divertito, perché in effetti il tatto non era certo uno dei pregi di Harry.

«Ok, allora. Come ti senti? Seduta pesante?» raggiunse il letto, sedendosi sul lato opposto a quello occupato dal più giovane, che sospirò profondamente.

«Sfinito. Come ogni volta».

Il maggiore intrappolò il labbro inferiore tra gli incisivi, mentre esaminava Harry che, effettivamente, appariva evidentemente affaticato.

Fece per avvicinarsi maggiormente a lui, ma il braccio dell'altro che improvvisamente si sollevò nella sua direzione, lo fece arrestare.

«Non ti avvicinare. Sono tutto sudato e non emano certo un buon odore» si giustificò; una smorfia che increspava le sue labbra.

Osservandolo meglio, Louis notò come la t-shirt grigia del pittore fosse chiazzata da macchie più scure, che evidenziavano il suo sudore insieme alle goccioline che imperlavano la sua fronte.

«Preferisci allora andare a lavarti?» domandò scrupoloso, ma Harry negò con il capo.

«Sono troppo stanco persino per raggiungere il bagno. Lo farò più tardi, prima ho bisogno di riposarmi e recuperare un poco le forze».

Louis arricciò il naso.

«Ma così il sudore ti si asciugherà addosso e non ti fa bene».

Detto ciò, si alzò dal letto, uscendo a passo spedito dalla camera e lasciando Harry interdetto, che restò a fissare per alcuni istanti la porta aperta dalla quale era appena uscito il ragazzo, sollevando poi le spalle e abbassando le palpebre, pensando che Louis avesse voluto lasciarlo riposare.

Fu però costretto a risollevarle ben presto, quando lo udì parlare con Gemma e, di seguito, rumori strani iniziarono a giungere dalla cucina.

Fu un attimo prima che vide entrambi passare davanti alla porta e oltrepassarla per recarsi, pensò, in bagno, se il rumore dell'acqua che scorreva poteva essere un chiaro indizio. Dopodiché i rumori cessarono, così come le loro voci, e i due fecero ritorno nella stanza, armati di una bacinella a testa.

Louis posò la sua a terra, prima di recuperare le due sedie che si trovavano nella stanza e portarle di fianco al suo letto, posandovi poi sopra i recipienti colmi d'acqua. Poi, Gemma si allontanò nuovamente per alcuni istanti, per ritornare portando con sé alcuni teli da bagno.

«Potrei sapere cosa state combinando?» chiese a quel punto il più giovane, guardandoli confuso.

«Ti farò delle spugnature, così non sarai costretto ad andare a lavarti in bagno, ma nemmeno a restare qui sporco. Ti potrai sempre fare una doccia più tardi, se te la sentirai» gli spiegò Louis, sorridente e fiero di sé per aver trovato la soluzione più adatta al problema.

«Decisamente no. Non esiste» protestò il più giovane.

«Avanti Styles, smettila di fare il bambino capriccioso. Gemma, mi daresti una mano un attimo?»

La ragazza accorse immediatamente in suo aiuto, posizionandosi al suo fianco.

«Per prima cosa, devo stendere i teli sotto di lui, in modo da non bagnare il letto. Quindi aiutalo a mettersi su un fianco, per favore».

Senza farselo ripetere due volte, Gemma si sporse verso il fratello, non badando alle sue deboli resistenze, e guidandolo a voltarsi su di un fianco, mantenendolo in posizione con le braccia. Nel frattempo, Louis aprì due dei teli di spugna, li distese accuratamente sul materasso e poi fece sdraiare Harry su di esso.

«Perfetto. Ora possiamo iniziare. Via maglia e pantaloni».

«Non credo sia il caso di dovermi togliere anche i pantaloni» borbottò Harry, incrociando le braccia al petto.

«Se preferisci essere lavato solo per metà, per me non è un problema. Non sono io quello che, piuttosto di accettare di farsi aiutare da qualcuno, sceglie di restarsene a letto consapevole di essere mezzo sporco e puzzolente».

Harry lo guardò scioccato, spalancando occhi e bocca, risentito dal fatto che il maggiore lo avesse accusato di essere uno che tiene poco all'igiene personale. Aveva il diritto di essere un po' in soggezione a rimanere quasi completamente nudo, di fronte a lui.

Ok che non ci sarebbe stato nulla di sessuale in ciò che il maggiore si apprestava a fare, ma.

«Bene, mentre voi due vi divertite a punzecchiarvi, io vado a fare qualcosa di più produttivo: come ad esempio, telefonare a Liam».

Detto ciò, Gemma uscì dalla stanza, socchiudendo la porta.

«Allora? Ci diamo una mossa?»

Harry guardò imbronciato Louis, ancora per qualche secondo, dopodiché sbuffò sconfitto e iniziò a sfilarsi i vestiti.

Non era ancora completamente convinto di quello che stava per succedere, ma era davvero troppo stanco per discutere. Inoltre aveva imparato a proprie spese come Louis fosse testardo almeno quanto lui, quando si metteva in testa una cosa, perciò, per quella volta, decise di arrendersi al suo volere.

«Oh, finalmente si inizia a ragionare» sospirò soddisfatto il maggiore, mentre Harry sfilava la t-shirt, gettandola a terra.

«Ce la fai da solo con quelli, o...» disse, alludendo alla parte inferiore dei suoi abiti.

Il più giovane annuì. «Sì. Solo...» avendo indosso dei comodi pantaloni della tuta, Harry riuscì, senza troppa difficoltà, ad abbassarseli fino a metà cosce, per poi «Puoi ora sfilarmeli dai piedi?» chiedere e lasciare che Louis, così facendo, lo liberasse anche di quelli.

Con un altro telo, Louis si premurò di coprire il corpo seminudo dell'artista, in modo che non prendesse freddo, prima di immergere un panno nella bacinella con l'acqua calda e insaponata.

«Ok, cominciamo. Inizierò dal viso».

Così dicendo, spostò con la mano libera i capelli che gli ricadevano sulla fronte e iniziò a passare, delicatamente, il panno bagnato su tutto il viso. Si accertò di pulire per bene ogni parte e, al termine, diede un'altra passata, quella volta utilizzando un panno imbevuto solamente di acqua, in modo da togliere il sapone, e infine utilizzò un asciugamano asciutto per detergerlo.

«Quindi... tua sorella e Liam sono ufficialmente una coppia o insistono con la definizione di amici con benefici?»

«Macché. Chi li capisce è bravo. Se vi piacete e siete ormai diventati esclusivi, mettetevi assieme e stop. Cosa significa tenere insieme questa commedia?» sbuffò il più giovane, contrariato. Proprio non riusciva a spiegarsi perché quei due non si comportassero come tutte le persone normali che capiscono di provare dei sentimenti per un'altra persona.

Che senso aveva?

«Magari teme un tuo giudizio negativo o che tu, insomma, non possa approvare» buttò lì.

«A parte il fatto che, ormai, non si nascondono nemmeno più e me li ritrovo ad amoreggiare davanti agli occhi, ogni volta che li vedo assieme. E comunque, Gemma ti sembra veramente il tipo che si farebbe spaventare da me?» negò Harry, arcuando un sopracciglio.

«No, effettivamente hai ragione. Sarà che li spaventa dover rendere il tutto ufficiale, chissà. Staremo a vedere» concluse.

«E tu, invece?» cambiò argomento il pittore.

«Io che?»

«Dove hai imparato a farlo?» chiese, quando fu libero di riaprire gli occhi, mentre il maggiore risciacquava il panno nell'acqua insaponata, per ripetere i passaggi sul suo torace.

In un primo momento aveva pensato che Louis stesse improvvisando ma, dopo aver assistito ai primi passaggi, aveva capito che sapeva ciò che stava facendo.

«In ospedale».

«Non pensavo che tra i compiti di un volontario, rientrasse anche quello di lavare i pazienti» domandò stranito il più giovane.

«No, infatti».

Louis non riuscì a trattenere un sorriso, prima di continuare a parlare, e Harry era certo che, ancora una volta, c'entrasse Kadi con ciò che stava per dirgli.

«È successo che, un giorno, la chemioterapia avesse talmente prosciugato le forze di Kadi che non riusciva nemmeno a restare seduto. Solamente che lui è un bambino molto orgoglioso, e si era impuntato che non voleva essere lavato così, e non c'era nessun modo per convincerlo. Finché Perrie, l'infermiera che hai conosciuto, è venuta a cercarmi disperata, chiedendomi di provare a parlargli e vedere se riuscivo a farmi ascoltare da lui. Ce l'ho fatta, ma la condizione era che fossi io a lavarlo, perciò...» sollevò le spalle, lasciando intendere a Harry che avesse ceduto alla richiesta del ragazzino.

«Ah, e comunque sappi che continua a chiedermi di te. Non vede l'ora che torni a trovare tutti in ospedale, quindi sei obbligato a farti vedere ancora da quelle parti».

Harry sorrise, annuendo con il capo.

«Lo farò, mi sono divertito molto. Spero solamente che James me lo permetta ancora. Come sta Kadi, a proposito?»

Di fronte a quella domanda, l'artista non poté non notare come sul volto di Louis si dipinse un espressione preoccupata.

«Hey, tutto ok?»

Louis scosse il capo.

«E' solo che oggi era una giornata no. Stava troppo male a causa della chemio, per aver voglia di fare qualcosa» spiegò, mordendosi il labbro inferiore e socchiudendo gli occhi.

Le immagini di Kadi raggomitolato sotto le coperte, che aveva perfino faticato a salutarlo, quel pomeriggio, erano ancora vivide nella sua mente; era anche per quel motivo che aveva deciso di fermarsi da Harry. Se fosse tornato a casa, non avrebbe fatto altro che pensare al piccolo, invece aveva bisogno di distrarsi, di pensare ad altro.

Fu solamente un momento, però. Si riscosse in fretta, tornando a sedersi di fianco a Harry e incominciando a passare il panno insaponato sul suo torace.

«Purtroppo capitano anche giorni così, domani andrà meglio».

Sforzò un sorriso, cercando di non far trasparire ulteriormente la sua preoccupazione, ma Harry non era del suo stesso avviso.

«Alcune volte, ci succedono cose che sono più grandi di noi e, per quanto ci sforziamo a combattere e credere di poterle superare, non è così e non ci resta che arrenderci all'evidenza».

Il maggiore interruppe la sua azione, incrociando gli occhi di Harry.

«E questo cosa vorrebbe dire? Kadi è forte, ok? Lui guarirà e tornerà a stare bene e a essere un bambino come tutti gli altri» asserì convinto, prima di riprendere a strofinare il petto del più giovane.

«Louis».

Harry, afferrò i suoi polsi, interrompendolo di nuovo e obbligandolo a tornare a guardarlo. «Kadi è malato e non è uno scherzo la sua malattia. Forse guarirà come dici tu e - »

«Sì, esatto, guarirà» lo interruppe.

«Forse. Ma devi anche mettere in conto che potrebbe non andare così. C'è la seria possibilità che il cancro abbia la meglio e se tu non entri nell'ottica che, per quanto sia forte, potrebbe non farcela... se davvero dovesse accadere, ne usciresti distrutto. Non puoi pensare che tutto si risolva, che ci sia sempre una soluzione perché, guarda un po', a volte non è così».

Louis, non volle sentir ragioni.

Scosse il capo e strattonò i polsi, liberandoli dalla stretta di Harry; i suoi occhi celesti ora erano minacciosi, come un mare in tempesta.

«Tu non lo conosci, non sai com'è. Se dico che è forte è perché lo so, lo vedo. Ogni giorno. Lui è un supereroe, lotta, combatte. Non è come - »

Si morse la lingua e smise di parlare, accorgendosi di star per dire qualcosa che non avrebbe dovuto.

«Non è come me, vero? È questo che stavi dicendo» capì però Harry e Louis si maledì mentalmente per non essere riuscito a frenare la sua boccaccia.

«Mi dispiace... non volevo. Tu... è una cosa diversa la tua, scusami».

«Non importa. In fondo, in parte è vero».

Dopo quelle parole, Harry distolse lo sguardo da lui voltando il collo verso la finestra.

Louis restò immobile alcuni istanti, pensando se fosse il caso di dire ancora qualcosa. Magari scusarsi ulteriormente, per fargli capire che erano parole dette in un momento di rabbia. Poi, però, lasciò perdere, perché in fondo sapeva benissimo che ci fosse un fondo di verità in ciò che si era lasciato sfuggire.

Non capiva come Harry avesse potuto pensare che la sua non fosse più una vita che valesse la pena di essere vissuta, quando c'era gente che avrebbe fatto carte false per avere avuto la sua ''fortuna'' di essere ancora in vita. Una vita che doveva sicuramente essere riadattata alle sue nuove condizioni, ma comunque una vita che gli permetteva di fare ancora molte cose.

Così, si limitò a risciacquare nuovamente la pezzuola e continuare nel suo lavoro, nonostante vedere la sua espressione ora spenta e tormentata, gli causasse dolore.

Si sorprese quando sentì il più giovane cercare un punto d'incontro. Come se fosse importante risolvere la questione, non lasciare nulla in sospeso tra loro.

«Mi dispiace, Louis. Davvero. Ho capito quanto tu sia affezionato a quel bambino e le mie parole vogliono solo aiutarti».

«Non sei d'aiuto, così».

«So cosa significa perdere qualcosa di importante a cui tieni da morire, per questo voglio che tu tenga sempre bene in mente anche l'altra faccia della medaglia» continuò imperterrito, senza farsi intimorire dalla rigidità del viso del maggiore.

Allungò una mano, posandola su quella libera di Louis che premeva contro il suo petto.

«Louis, per favore, guardami» insistette «Non ti sto dicendo che devi smettere di sperare. Quello mai. Solo, ricordati che ci sono due possibilità e tu devi essere pronto ad affrontarle entrambe».

«Ma io non sono ancora pronto, Harry».

«Lo so. Per questo te lo sto dicendo» gli sorrise docilmente «Non è per ferirti. Al contrario, è solo per proteggerti almeno quel poco che mi è concesso tentare».

Louis voltò il palmo della mano, stringendola la presa attorno alla sua in una stretta di sincera gratitudine. Era bello sentire Harry rivolgergli quelle parole, percepire la preoccupazione nella sua voce per lui.

«Deduco di doverti ringraziare, a questo punto» mormorò.

Il più giovane sorrise.

«Dovresti».

«Allora, grazie. E scusa per ciò che ho insinuato nei tuoi confronti» gli rivolse uno sguardo sinceramente dispiaciuto «Non dovevo».

Harry annuì, portandosi poi le mani dietro la testa e e chiudendo gli occhi, dopo aver rilasciato un lungo sospiro.

«Adesso puoi continuare nel tuo lavoro, grazie» lo prese in giro.

La risata cristallina di Louis lo fece ridacchiare a sua volta, certo che quel suono non se lo sarebbe dimenticato tanto facilmente.

Louis stava finendo di asciugargli i piedi quando una raggiante Anne, fece irruzione nella stanza.

Come se fosse stato sorpreso a fare qualcosa di proibito, Louis balzò in piedi agitato e nascondendo le mani dietro la schiena.

«Signora Styles...Anne...i-io...noi, ecco...».

Era talmente in panico che gli risultò persino impossibile formulare una frase; le parole gli uscivano dalla bocca in un balbettio senza senso e le sue guance si imporporarono come telecomandate.

«Non ti preoccupare, Louis. Gemma mi ha spiegato tutto e sei stato molto gentile a fare questo per Harry» lo ringraziò la donna, cercando di togliere dall'imbarazzo. «Ero salita per chiedere a mio figlio se gli andasse di cenare tutti insieme stasera e, dato che ci sei anche tu, sarei molto felice se ti unissi a noi» propose con un sorriso materno.

Subito gli occhi del maggiore corsero a cercare quelli di Harry, per capire se quell'invito potesse fargli piacere o se la sua presenza sarebbe stata poco gradita, dato il loro breve diverbio di poco prima.

Anne era sempre molto carina con lui, spesso gli dava una teglia con qualche pietanza, da portare a casa e dividere con Barbara e Niall e a niente servivano le sue proteste. Per questo, odiava dover rifiutare la sua offerta e deluderla, ma non era giusto che imponesse la sua presenza a Harry, se non fosse desiderato.

«Ti ringrazio molto, Anne, ma non posso fermarmi. Mia sorella e Niall mi staranno sicuramente aspettando e - ».

«Louis, accetta per favore, o mi toccherà sorbirmi le lamentele di mia madre per tutta la serata. Perché ovviamente sarebbe colpa mia il tuo rifiuto, o sbaglio?» intervenne Harry, rivolgendosi prima al maggiore e poi a sua madre.

«Beh, non sarebbe la prima volta, mio caro. Quindi non puoi biasimarmi se lo pensassi» spiegò, per poi «Allora apparecchio per quattro. Gemma mi ha detto che ha già un impegno. Vi aspetto giù, non tardate».

Quando Anne fu uscita, Louis si sincerò delle parole di Harry.

«Se non ti va, Harry, non sei obbligato...insomma, va bene così, tua madre capirà».

Il giovane pittore, fece forza con le braccia per sollevarsi e tornare seduto, dopodiché afferrò la mano di Louis, guardandolo con convinzione.

«Ho detto che sono d'accordo, quindi è così. Non pensare sempre che decida di fare cose controvoglia. Ti ho detto di restare, perché voglio che resti, ok?»

Strinse maggiormente la mano del maggiore, in modo da dare più convinzione alle sue parole.

Louis, dopo un attimo di esitazione, ricambiò la stretta, aprendosi in un piccolo sorriso.

«Ok, sì. Grazie».

«Bene. Allora direi che sarà meglio io mi rivesta ora, così poi possiamo raggiungere i miei al piano di sotto».

Louis annuì «Certo. Libero la stanza da tutta questa roba e ti lascio cambiare».

Così dicendo, raccattò i teli facendone un unico mucchio e, unendoli ai vestiti sporchi di Harry, li portò nel bagno, gettandoli nella cesta delle cose da lavare. Fece avanti e indietro tra la camera e il bagno per altre due volte per trasportare le bacinelle d'acqua e poi gli diede il tempo per rivestirsi.

Consumarono la cena con Anne e Robin, e Louis fu piacevolmente sorpreso di constatare come Harry sembrasse veramente sereno e rilassato quella sera. Vederlo interagire amorevolmente con sua madre e il suo patrigno, era una gioia per gli occhi e per il cuore; stava finalmente vedendo l'Harry Styles di cui Anne e Gemma gli avevano tanto decantato le lodi: un figlio affettuoso e dolce, che non si faceva problemi a dimostrarlo anche di fronte ad altre persone.

Quando terminarono di cenare – non prima di aver ceduto all'insistenza della donna di mangiare una doppia porzione di torta alle mele – Louis salutò i due genitori e si apprestò a tornare a casa.

Fu quando si trovò accanto all'ascensore, che Harry gli chiese se potesse seguirlo un istante nel suo appartamento. Salì al piano superiore insieme a lui, curioso di scoprire cosa l'artista volesse dirgli o mostrargli.

Il più giovane non proferì alcuna parola, limitandosi a fargli segno di seguirlo lungo il corridoio. Lo vide poi entrare nella sua camera e recuperare una chiave da una scatoletta che estrasse dall'armadio a muro. Sempre rimanendo in silenzio, Harry, tornò sui suoi passi fino a raggiungere quella porta che Louis aveva sempre visto chiusa, sin dalla prima volta che aveva messo piede in quella casa. Non gli aveva mai chiesto cosa ci fosse al di là, timoroso di invadere troppo la sua privacy e, in quel momento, si sentiva decisamente emozionato a scoprire cosa si sarebbe rivelato davanti ai suoi occhi.

Harry ruotò la chiave facendo scattare la serratura.

«Entra prima tu. Il tasto della luce lo trovi alla tua sinistra» lo istruì, facendosi da parte e permettendogli il passaggio.

Louis posò, titubante, la mano sulla maniglia della porta, abbassandola e aprendola. Entrò lentamente al suo interno, allungando il braccio sinistro lungo la parete per cercare il tasto di accensione, come Harry gli aveva spiegato. Mantenne lo sguardo dritto davanti a sé, pronto a scoprire cosa la luce gli avrebbe rivelato.

Non appena la stanza si illuminò, il maggiore spalancò gli occhi e prese un profondo respiro portandosi poi le mani alle bocca per lo stupore. La stanza conteneva tutti gli strumenti di lavoro necessari ad un pittore: una vasta quantità di pennelli che riempivano diversi contenitori di ceramica e vetro, tele, colori di ogni tipo, tavolozze e solventi.

Camminò fino a trovarsi al centro esatto della stanza, guardandosi attorno e ammirandone ogni particolare. Riconobbe il cavalletto che gli aveva regalato tempo prima, probabilmente la parte che si era rotta con la caduta, era stata aggiustata. Quegli oggetti erano stati, per gran parte della vita del più giovane, il centro di tutto il suo mondo e vederli ora riempire quello spazio, era un'emozione immensa.

«Questi...» mormorò poi quando, trascorsi alcuni minuti, si sentì in grado di parlare «Li hai comprati?»

«No, sono i miei».

Louis corrugò la fronte, confuso «Credevo di aver capito che li avessi buttati».

Un leggero sorriso, increspò le labbra rosse dell'artista «Lo so, è ciò che credevano tutti, io per primo» rivelò. Si spinse con la sedia a rotelle, fino a raggiungere un grande tavolo posto contro la parete di destra.

«Volevo sbarazzarmene perché la mia vita era stata completamente stravolta e, pensare di dipingere, era l'ultimo dei miei pensieri. Ci avevo provato» confessò, riportando lo sguardo su Louis, che già lo stava osservando «Avevo provato a prendere in mano un pennello e disegnare, dopo il periodo in ospedale, ma non ce l'ho fatta. Mi sembrava di non essere più in grado non solo di reggermi in piedi, ma nemmeno di fare ciò che nella vita avevo sempre amato di più. Intingevo il pennello nel colore, ma finiva lì. Non riuscivo a stenderlo sulla tela. Ho provato con il carboncino, con una matita, ma niente. La mano non si muoveva, non riuscivo a rappresentare nulla perché non sentivo dentro di me quel trasporto, quell'emozione, che mi aveva sempre smosso e inspirato».

Arrestò per un attimo il corso delle sue parole; ricordare quei momenti non era facile, gli sembrava di provare ancora la sensazione di sconfitta e incapacità di allora. Rendersi conto che tutto ciò che aveva sempre sognato di fare, e di essere, era stato distrutto, era stato talmente doloroso, da portarlo perfino a pensare che niente valesse più la pena di esser vissuto.

«Faceva male avere la consapevolezza di non essere più in grado di dipingere, soprattutto quando avevo creduto che la pittura sarebbe stata la mia sola alleata in quei momenti bui, dovuti alla non accettazione delle mie nuove condizioni, e non volevo avere davanti agli occhi, ogni giorno, quegli strumenti che, inevitabilmente, mi avrebbero ricordato sempre il mio fallimento. Così chiesi a Liam di portare via tutto, perché sapevo che lui mi avrebbe capito, senza opporsi più di tanto al mio volere. E lui lo fece: tornai a casa dopo una visita in ospedale, un giorno, e non c'era più nulla. Questa stanza era completamente vuota, e così la chiusi a chiave, stavo mettendo la parola fine al mio talento. Allora pensavo davvero che sarebbe stato per sempre, che la mia carriera artistica e il mio amore sconfinato per l'arte, fosse finito».

Fece vagare gli occhi su ogni angolo, osservando ogni oggetto e sentendo di riuscire a tornare a respirare.

«Poi, hai iniziato a portarmi in tutti quei posti che non conoscevo e ad incoraggiarmi e spronarmi a trarre da essi la mia ispirazione e le mie mani, poco a poco, hanno ripreso a funzionare finché, alcuni giorni fa, ho espresso a Liam il dubbio che avessi sbagliato tutto. Mi mancava... mi sentivo come se avessi perso un pezzo di me e, forse, non avevo lottato abbastanza per evitare che accadesse. Così lui mi ha rivelato che non aveva buttato nulla, che tutto era ancora ben conservato nel suo garage perché era certo che ci avrei ripensato».

«E aveva ragione» intervenì a quel punto Louis, grato a Liam per aver fatto quella scelta.

Harry annuì piano, abbassando gli occhi sulle proprie mani; le dita che giocavano nervosamente con gli anelli che era solito portare.

Poi si avvicinò a lui, guardandolo intensamente negli occhi.

«Ha avuto ragione, sì, e con l'aiuto di Gemma, ha riportato tutto qui, ma... non so come sarebbe andata a finire se non fossi intervenuto tu».

Louis accennò un sorriso impacciato.

«Io non c'entro nulla, è solo merito tuo. Avevi solamente bisogno di tempo per capire che, quando una cosa fa parte di te, non puoi semplicemente accantonarla e pensare di poterne fare a meno», si massaggiò la nuca, nel tentativo di dissimulare il suo imbarazzo, ma con la voce che tradiva una certa emozione.

«Probabilmente è così, anzi, sicuramente. Ma Louis, tu... Io sento che tu sei stato un componente fondamentale per comprendere tutto questo. Tu, con la tua dedizione, la tua voglia di vivere e la forza e la gioia con cui affronti la vita, sei riuscito a smuovermi dentro, a riaccendere quel fuoco che pensavo si fosse assopito per sempre. Non ti sei fatto abbattere dai miei malumori e dal mio essere scontroso. Hai capito come prendermi, hai saputo toccare le corde giuste. Quindi grazie, grazie per non esserti arreso con me» gli rivelò, con il cuore in mano.

Louis, di fronte a quella confessione, a quelle parole pronunciate con vera gratitudine, non riuscì a frenare le proprie emozioni. Perché se lui era stato in grado di stimolare Harry a tal punto da fargli tornare la voglia di dipingere, Harry era in grado di risvegliare in lui sensazioni che non provava da tempo, o forse, che mai aveva provato, non con quell'intensità, e cercare di negarle o nasconderle stava diventando ogni giorno più difficile.

Ma, in quel momento, decise di non ribellarsi ai suoi sentimenti e, senza alcuna esitazione, si abbassò circondando il viso di Harry con le mani e fiondandosi sulle sue labbra.

Il momento di coraggio, però, durò lo spazio di un secondo perché, ben presto, il timore di aver fatto una mossa azzardata e non gradita, lo travolse, portandolo a scostarsi dal viso del più giovane, interrompendo quell'intimo contatto.

«Io... scusa, perdonami, non so cosa mi sia preso e... ti chiedo scusa» mormorò a pochi centimetri di distanza dal suo viso, posando le mani sui braccioli della sedia a rotelle e puntando gli occhi verso il basso, incapace di guardare l'espressione sul viso di Harry.

Stava per allontanarsi del tutto quando, la mano dell'artista lo afferrò dalla nuca, spingendoselo contro e congiungendo nuovamente le loro bocche.

Louis sbarrò gli occhi incredulo dal gesto del più giovane che, percependo la sua rigidità, premette la mano libera sulla sua schiena, guidandolo a sedersi sulle sue gambe, mentre continuava a rilasciargli morbidi baci. Solo quando percepì la lingua di Harry solleticargli le labbra, e poi cercare di separarle per introdursi al suo interno, Louis si lasciò andare, incrociando le braccia dietro il collo del ragazzo e dischiudendo la bocca, che Harry invase senza alcuna indecisione.

La lingua del più giovane, andò subito alla ricerca della sua gemella, accarezzandola e danzando con lei senza sosta.

Il bacio era talmente intenso che Louis si ritrovò ad inclinare il capo per approfondirlo sempre di più, mentre entrambe le mani di Harry si erano spostate sulla sua schiena, stringendola possessivamente. Il maggiore si sentiva totalmente in un'altra dimensione, le labbra morbide e gonfie di Harry lo stavano completamente stordendo, così come il suo profumo di sapone che gli invadeva le narici.

Stava succedendo veramente. Stava baciando Harry e, nonostante la paura per il significato di quel gesto, niente gli sembrava più perfetto.

Non seppe quantificare per quanto tempo durò il bacio, sapeva solo che, quando si staccarono, il suo respiro era decisamente irregolare, così come il battito incessante del suo cuore.

Mantenne gli occhi chiusi per alcuni istanti, troppo insicuro sulle sue facoltà, per tornare subito a contatto con la realtà. Quando si fu completamente ripreso, e sollevò le palpebre, le iridi verdissime e profonde di Harry, erano già puntate su di lui.

Restarono in silenzio ad osservarsi, occhi negli occhi, finché «Grazie» soffiò ancora piano il più giovane, prima di posare il capo sul suo petto e abbracciarlo.

Louis non proferì più alcuna parola, si limitò a ricambiare l'abbraccio; lo stomaco sottosopra e l'incertezza di quello che sarebbe stato il loro rapporto, da quel momento in poi.

****

Quando Louis era nervoso e agitato, conosceva un unico modo per scaricare la tensione: andare sullo skateboard. Per quel motivo, era da una settimana che, ogni tardo pomeriggio al termine dell'orario di lavoro o di volontariato, si recava allo Skatepark per scivolare e compiere alcune acrobazie con la sua fidata tavola a quattro ruote.

Gli bastava trascorrere del tempo su quelle rampe, che tanto amava, perché ogni pensiero che affollava la sua mente e che lo rendeva inquieto scomparisse completamente.

Puntualmente, quando rientrava a casa, la fame lo assaliva. Se il fatto che corresse immediatamente in cucina a sbocconcellare pane e crema al formaggio, ancora prima d'infilarsi sotto la doccia per lavare via sudore e stanchezza, poteva essere di qualche indicazione in tal senso.

La sfortuna di Louis, se così si poteva definire, era che Barbara e Niall sapevano benissimo che, quando il ragazzo si comportava in quel modo, era perché c'era qualcosa che lo turbava; così, dopo sette giorni di skateboarding e abbuffate di cibo, decisero di intervenire. Lo lasciarono mangiare e lavarsi per bene, poi lo prelevarono letteralmente dalla sua camera e lo portarono di peso in soggiorno.

«Ma che vi è preso, si può sapere?» Louis si sedette composto sul divano dopo che i due ce lo avevano gettato di peso, senza troppo riguardo.

«No, caro. Siamo noi che chiediamo a te cosa c'è che non va» iniziò Barbara, parandosi in piedi di fronte a lui e incrociando le braccia al petto.

«Non capisco».

Niall sbuffò sonoramente «Tommo, ti prego, non fare il finto tonto. Ti conosciamo come le nostre tasche e lo capiamo quando c'è qualcosa che ti frulla nella testa. Avanti, parla. O hai intenzione di andare avanti ancora per molto in questo modo, fino a quando non te la romperai definitivamente la testa scivolando su e giù da quelle dannate rampe?»

Il maggiore strofinò le mani, congiungendole poi davanti alla bocca, mentre prendeva tempo per pensare a cosa inventarsi con i due coinquilini, per evitare di dir loro la verità.

«Ma non è nulla, solo uno stupido pensiero. Passerà» decise di dire alla fine, sperando di soddisfare la loro curiosità.

Ovviamente, però, non aveva fatto i conti con la furbizia di sua sorella che «Avanti, Lou, cosa è successo con Harry da sconvolgerti così tanto?» lo sorprese, andando dritta al punto. Louis si irrigidì all'istante, deglutendo a vuoto e muovendosi a disagio sul sofà.

«Perché mai dovrebbe c'entrare Harry» rispose imbarazzato, cercando di camuffare l'agitazione con una risata nervosa, che non sortì però l'effetto desiderato, uscendo come uno stridio fastidioso.

Quando tornò a guardare verso gli altri due, sia Barbara che Niall lo stavano già osservando con delle espressioni decisamente eloquenti. Capendo di non avere scampo, Louis si arrese, sospirando frustrato.

«Ok, va bene, avete vinto. C'entra Harry».

I due fidanzati si diedero un cinque, prima di sedersi anche loro sul divano, uno alla sua destra e l'altra alla sinistra.

Era decisamente accerchiato.

Il biondo circondò le spalle dell'amico con un braccio «Cosa avete combinato, di nuovo, per farti stare in questo stato?»

Ormai rassegnato a dover ammettere la verità «Ci siamo baciati» rivelò tutto d'un fiato, rilassando le spalle e abbassando lo sguardo sulle proprie mani.

Restò in quella posizione pronto a ricevere la raffica di domande che si aspettava dai due ma, dopo alcuni secondi di innaturale silenzio, si decise a risollevarlo, voltando il collo prima verso la sorella e poi verso Niall, stupendosi del fatto che, a quanto sembrava, erano rimasti più stupiti di lui: Barbara che si copriva la bocca con le mani e Niall che invece l'aveva completamente spalancata.

«Beh? Ora non dite nulla?» chiese allora, quasi risentito.

Quello bastò per riscuotere entrambi e far emettere alla ragazza piccole urla di gioia.

«Lo sapevo, me lo sentivo che sarebbe successo, prima o poi. È una cosa bellissima, Lou».

«È così, Tommo. Scusa per la reazione ma mi hai lasciato di stucco. Pensavo te ne saresti uscito ammettendo la tua colossale cotta per lui, invece sei passato addirittura al bacio. E bravo il mio amico» si complimentò il biondo, stringendo la presa sulla sua spalla.

«A parte il fatto che non capisco perché siete certi che io provi qualcosa per Harry ma, comunque, non credo ci sia poi molto di cui esaltarsi».

«Starai scherzando, spero! Siete così palesi, Louis. Anche Gemma lo dice da una vita» confessò Barbara, come se fosse la cosa più ovvia del mondo.

«Ha ragione B, Tommo. Ne ho parlato con Liam e anche lui - » Niall smise di parlare quando una mano del maggiore, si parò di fronte al suo viso.

«Gemma, Liam... da quando in qua voi quattro vi mettete a parl- sparlare di me e Harry?» domandò incredulo.

«Io non lo definirei sparlare» protestò la ragazza, calcando sull'ultima parola «Semplicemente confrontiamo le nostre opinioni per verificare se la pensiamo nello stesso modo, e così è» concluse, scrollando le spalle «Piuttosto, spiegami perché non mi sembri per nulla entusiasta di ciò che è successo tra voi».

Louis sollevò le gambe, incrociandole sul cuscino «Perché penso sia stato un caso».

«Tommo, non si baciano le persone ''per caso''» ironizzò Niall, roteando gli occhi al cielo.

«Beh, questa volta sì, ok?»

«Ma perché?» insistette Barbara, confusa.

Il fratello prese un profondo respiro «Perché era una sorta di ringraziamento... credo. Insomma, ve l'ho detto che, durante i nostri incontri, ha ripreso a dipingere, no?» chiese retorico, mentre gli altri due annuivano col capo «Ecco. La settimana scorsa mi ha mostrato la stanza che era un po' il suo studio, diciamo. L'aveva svuotata di tutto e chiusa a chiave dopo l'incidente e ora, invece, l'ha arredata di nuovo. Liam non aveva buttato via i suoi strumenti di lavoro come Harry gli aveva chiesto, ma li aveva tenuti a casa sua nella speranza di poterglieli restituire, un giorno. E così è stato. Dovevate vederlo, i suoi occhi brillavano mentre mi spiegava che voleva tornare a dipingere seriamente».

Louis riviveva quel momento ogni giorno da quando era accaduto, sarebbe stato impossibile dimenticarsi della luce che aveva illuminato il viso del più giovane, mentre gli confessava che la voglia di tornare a fare ciò che da sempre amava, era ricomparsa prepotentemente.

Anzi, non se n'era mai andata.

Era così orgoglioso di lui, del coraggio che aveva avuto nel combattere lo sconforto e la depressione che lo attanagliavano. Aveva imparato a capire il carattere di Harry e non era stato sicuramente facile entrare nell'ottica di dover ricominciare da capo.

«Alla fine mi ha ringraziato. Ha iniziato a dire che era merito mio se le cose erano cambiate, se lui era cambiato, e mi ha detto delle parole così belle e sentite che non ho potuto trattenermi. L'ho baciato» soffiò piano «L'ho baciato spinto dalla voglia di farlo veramente, di trasmettergli tutto il turbinio di emozioni che lui mi fa provare ogni giorno».

Barbara scosse il capo interdetta «Ma se sei stato tu a prendere l'iniziativa, e non il contrario, perché dici che è stato un gesto per ringraziarti?» domandò, guardando poi Niall e capendo, dalla sua espressione, che quella era la stessa domanda che si stava ponendo anche lui.

«Perché io poi mi sono scostato, temendo di aver fatto un errore, ma lui mi ha ribaciato, per poi ringraziarmi di nuovo. Perciò è così, è stato un gesto per esprimermi la sua gratitudine, nient'altro» terminò di spiegare, Louis, realmente convinto di quelle parole.

A quel punto, la sorella si alzò nuovamente in piedi «Louis William Tomlinson, certo che sei veramente stupido. E io che mi vantavo di avere un fratello intelligente» sbottò irritata, lasciando Louis completamente allibito. «Cioè, tu mi stai dicendo che per una settimana, un'intera settimana, hai evitato di andare da Harry perché, dopo che l'hai baciato, temendo di aver fatto una mossa azzardata, lui ha ricambiato il bacio e tu ti sei convinto che fosse solamente un ringraziamento?»

«Sì?» mormorò incerto quello, ora non più così convinto del suo pensiero.

«Dio mio, Louis. Harry ti ha baciato perché voleva farlo! Il tuo gesto l'ha talmente apprezzato, da avere finalmente anche lui il coraggio di ricambiare. Avrai provato qualcosa in quel momento, no? Quasi mi rifiuto di credere che tu sia arrivato a una conclusione del genere, senza pensare alla cosa più ovvia».

Louis voltò il collo verso il suo migliore amico, cercando un po' di conforto ma, anche quello, era d'accordo con le parole della ragazza.

«B ha ragione, amico. Voglio dire, stiamo parlando di Harry Styles, il ragazzo più scorbutico e intrattabile che io abbia mai incontrato. Non penso proprio che sia solito ringraziare le persone baciandole; non l'Harry Styles che abbiamo conosciuto noi, almeno».

Dopo le parole dei due ragazzi, Louis iniziò seriamente a credere di aver frainteso ogni cosa, coprendosi il viso con le mani.

Come aveva fatto a non pensarci?

Niall aveva ragione: l'artista non era proprio il tipo da ringraziare le persone con un bacio; per non parlare di ciò che aveva detto sua sorella. Il loro non era stato un bacetto da nulla, ma un bacio vero, sentito e voluto da parte di entrambi.

Ora che si soffermava a pensarci veramente, era certo di poter affermare che Harry fosse coinvolto tanto quanto lui in quel momento; la sua bocca l'aveva cercato con ardore e le sue braccia l'avevano stretto a sé come fosse una cosa preziosa da proteggere.

«Ok, forse potrei aver dato un'interpretazione sbagliata» ammise.

«Togli pure il forse» lo ammonì, nuovamente Barbara, intrecciando una mano tra i capelli del fratello e scompigliandoglieli con un sorriso dolce sulle labbra.

«E...mmm...cosa..insomma che ti ha detto di noi Gemma?» trovò il coraggio di chiedere, mentre le sue mani torturavano il bordo della sua felpa.

«Ah, quindi adesso lo vuoi sapere» esclamò la ragazza, con un espressione gongolante in viso.

Louis sollevò gli occhi al cielo perché figuriamoci se sua sorella si perdeva l'occasione di metterlo in imbarazzo.

«Senti, se non me lo vuoi dire non importa. Mi vergogno già abbastanza per la discussione che stiamo avendo, non c'è bisogno che mi metti ancora più in difficoltà» borbottò, imbronciando le labbra.

«Avanti, piccola. Non tenerlo sulle spine» corse in suo aiuto l'amico, incitando la sua ragazza a parlare.

«Va bene» non si fece pregare ulteriormente, desiderosa in realtà, di rivelare tutto al fratello. «Come immagino avrai capito, a Gemma sei piaciuto non appena ti ha conosciuto e, dato il tuo modo di fare e di approcciarti con Harry, è sempre stata certa che avresti potuto attirare il suo interesse. Sai tenergli testa e, a detta sua, suo fratello ama persone del genere; le trova stimolanti, nonostante faccia credere di considerarle solamente irritanti».

La bocca di Louis si distese in un piccolo sorriso, a quelle parole. Ricordava benissimo tutte le volte che il più giovane si era lamentato di lui, affibbiandogli quell'aggettivo: irritante.

«Dice che il suo modo di guardarti è cambiato, con il trascorrere del tempo, e che, anche se cerca di non darlo troppo a vedere, trova sempre il modo di nominarti durante qualsiasi conversazione. Per non parlare dell'attrazione fisica: dice che vi scambiate occhiate infuocate e che spesso si sente di troppo quando è in una stanza con voi».

Louis avvampò vistosamente a quella rivelazione. Sapeva bene che gli capitava di incantarsi a osservare Harry, così come sapeva che spesso i pensieri che gli ronzavano in testa in quei momenti erano tutt'altro che casti, ma non si era mai accorto che per il più giovane poteva essere lo stesso.

«Liam dice le stesse cose» intervenì Niall, per confermare le affermazioni di Barbara e Louis, sentiva quasi la testa girare; una sensazione simile a quella che aveva provato durante e dopo il bacio.

«Quindi Tommo, direi che ora hai solo una cosa da fare» parlò di nuovo il biondo, attirando la sua curiosità.

«E sarebbe?»

«Chiamarlo e fissare un nuovo appuntamento, ovviamente».

«E magari scusarti per essere stato così idiota» aggiunse Barbara, rifilandogli un pugno sulla spalla.

Sì, forse doveva farlo.

**° I was her, she was me.

We were one, we were free. °

Da quando aveva capito di essersi innamorato di Barbara, Niall era sempre stato certo di aver trovato la donna della sua vita, la persona giusta con la quale sposarsi, avere dei figli e costruirsi un futuro che sarebbe durato per sempre.

Era successo tutto il 13 settembre di sei anni prima.

Era il suo diciannovesimo compleanno e, per festeggiarlo, Louis aveva organizzato una gita a Brighton con alcuni loro amici - compagni di scuola per lo più - e Barbara, allora appena diciassettenne, aveva insistito per essere inserita nel gruppo.

A lui era sempre piaciuta, la trovava una ragazza intelligente, spiritosa e soprattutto bellissima. Ma era la sorella di Louis e, per quel motivo, Niall si era sempre imposto di non perdere la testa per lei. Non voleva certo rovinare l'amicizia più importante che aveva.

Sapeva quanto il suo migliore amico fosse protettivo con lei, di come cercasse di tenere alla larga qualsiasi ragazzo che vedeva le ronzasse troppo attorno perché nessuno di loro, a detta sua, era abbastanza per meritarsi la sua sorellina e Niall, si era sempre convinto che, anche per lui, valesse quel discorso.

Quindi si era limitato ad esserle amico e a guardarla da lontano, aiutando Louis in quel compito, quando l'amico lo richiedeva.

Comunque.

Quella sorpresa, fu il miglior regalo di compleanno che avesse mai ricevuto: appena arrivati sul posto, avevano trascorso l'intera giornata sulla spiaggia, divertendosi tra giochi, risate e, per i più intrepidi, qualche nuotata. L'estate stava quasi finendo e, nonostante la giornata fosse ancora calda, l'acqua del mare non lo era poi così tanto. Fu per quel motivo che, dopo essere uscito dall'acqua, seguito da Barbara, gli venne spontaneo avvicinarsi a lei e aiutarla ad asciugarsi, frizionandole le braccia e la schiena avvolte dal telo di spugna.

Barbara gli aveva sorriso per poi prenderlo per mano e trascinarlo dietro una struttura semi-diroccata, poco più in là. L'aveva guardato negli occhi mordendosi il labbro inferiore, improvvisamente non più così sicura della sua decisione. Ma era stata solo una piccola esitazione perché, subito dopo, si era sollevata sulle punte dei piedi e l'aveva baciato.

Era stato un bacio semplice, veloce. Un piccolo sfioramento di labbra al sapore di acqua salata ma, per entrambi, era stato il bacio più importante che avessero, rispettivamente, mai dato e ricevuto.

Barbara era poi fuggita tornando dagli altri, ma per tutta la durata del viaggio di ritorno, non aveva fatto altro che lanciargli occhiate e dolci sorrisi.

Da quel giorno era iniziato tutto, con buona pace di Louis ovviamente; anche perché Barbara non gli aveva dato alternative visto che ''Si tratta di Niall, Lou. Se non lui, chi altri?''

Essere riusciti ad andare a vivere insieme, seguendo il maggiore a Londra, era stata per entrambi la miglior decisione possibile. Condividere una casa, non aveva fatto altro che rafforzare il loro rapporto, ed era stato bello avere anche Louis con loro, dal momento che spesso si era rivelato essere un ottimo alleato contro le ire della ragazza che, in ogni caso, riusciva sempre ad avere la meglio su entrambi.

Erano passati però alcuni anni da quando si erano stabiliti in quel appartamento e ora, era forse arrivato il momento di fare qualche piccolo cambiamento.

Proprio per quella ragione, quel tardo pomeriggio di giovedì, approfittando della serata di chiusura del pub, Niall si era fatto trovare fuori dalla palestra dove Barbara lavorava, pronto a portarla in un posto speciale.

«Hey, ciao. Come mai qui? Non dirmi che avevamo un appuntamento e me ne sono scordata».

«No, tranquilla. Non avevamo nulla in programma. Questa è... una sorpresa»

Niall le schioccò un bacio sulle labbra morbide, decorate con un velo di gloss, prima di invitarla a salire in auto e prendere posto anche lui sulla vettura.

«Ma dove andiamo? Non sono nemmeno vestita bene» piagnucolò, guardando sconsolata i leggins neri e la canottiera lunga rosa che stava indossando, sotto ad un leggero coprispalle scuro.

«A parte il fatto che sei sempre bellissima, non ti devi preoccupare perché, dove stiamo andando, non importa come sei vestita. Vai benissimo così».

Detto ciò, mise in moto l'auto e, per tutto il tragitto, non ci fu modo che la ragazza riuscisse a strappargli qualche indizio su dove fossero diretti.

A causa del traffico sempre presente a Londra, arrivare a destinazione fu più impegnativo del previsto e Barbara stava diventando impaziente e nervosa. Quando si fermarono e Niall le chiese di scendere, si guardò attorno e la sua confusione non fece altro che aumentare. Non c'erano ristoranti, né locali o teatri nei dintorni; solamente case su case.

«Da questa parte» la voce profonda del ragazzo la fece voltare verso di lui, seguendolo lungo il marciapiede. Lo vide poi svoltare lungo un vialetto che portava all'ingresso di una palazzina in stile moderno. Che le volesse presentare qualcuno?

No, decisamente no. A meno che, questo fantomatico qualcuno, non avesse dato a Niall le sue chiavi di casa.

Si stava dirigendo verso l'ascensore, ma il biondo la fermò, guidandola sulle scale dato che avrebbero dovuto fare solamente un paio di rampe. Sentì il cuore battere freneticamente nel petto, quando Niall si fermò di fronte alla porta a destra con una nuova chiave in mano.

Aprì la porta e la lasciò passare richiudendola dietro di loro. Non accese alcuna luce, dirigendosi invece verso la parte opposta della stanza che li ospitava e aprendo le serrande delle finestre.

Non appena la luce esterna entrò ad illuminare l'appartamento, Barbara capì perfettamente dove si stava trovando.

O, almeno, lo pensava.

L'appartamento era completamente vuoto e il bianco delle pareti spoglie, lo rendeva ancora più luminoso.

Barbara era ancora ferma nel punto in cui Niall l'aveva lasciata. Non si era mossa nemmeno di un millimetro, incerta del fatto che le sue gambe fossero state in grado di muoversi. Aveva persino timore a parlare, sentiva come un nodo alla gola che non si scioglieva nemmeno deglutendo a vuoto. Si strinse le mani al petto, per fermarne il tremore, e fissò lo sguardo su Niall, implorandolo con gli occhi di parlare.

Il ragazzo le sorrise, capendo le sue emozioni. La conosceva troppo bene e sapeva che la parlantina della sua fidanzata, scompariva magicamente quando era troppo emozionata.

«Beh, mmm... penso tu abbia intuito il perché ti ho portata qui» esordì affiancandola e stringendole le mani tra le sue.

«So di averti preso alla sprovvista perché non ne abbiamo mai parlato. O meglio, lo abbiamo fatto una volta, ma eravamo mezzi ubriachi e forse non l'avevi presa nemmeno troppo sul serio» riuscì a farla ridere «Ma io è da un po' che ci penso. Anzi, credo di averci sempre pensato perché, in fondo, è quello che ho sempre voluto, no? Vivere con te. E insomma, sono trascorsi un po' di anni da quando siamo arrivati in questa città e abbiamo iniziato la nostra avventura con Louis e io mi sento pronto, Babs. Sono pronto a condividere una casa solo io e te, perciò ho iniziato a guardarmi in giro. Mi sono affidato a persone competenti, stai tranquilla, e quando mi hanno mostrato questo appartamento, l'ho trovato perfetto. Perfetto per noi due».

La guardò esaustivo, stringendole maggiormente le mani e accarezzandone il dorso con i pollici per tranquillizzarla maggiormente.

«E... ce lo possiamo permettere?»

La voce di Barbara era appena udibile, sottile, ancora insicura delle sue capacità.

«Sì, davvero. Ovviamente avremo bisogno di un prestito dalla banca e poi ne ho accennato a mia madre e ha già detto che ci darà una mano anche lei» sollevò gli occhi al cielo «Non avrei voluto, ma sai bene anche tu com'è fatta. E poi, ci farà comodo, quindi non ho protestato più di tanto» ridacchiò.

Barbara scosse il capo, unendosi alle sue risa. Maura era una futura suocera fantastica, loro due erano andate sempre d'accordo; lo stesso spirito battagliero, la stessa determinazione ma, soprattutto, lo stesso amore sconfinato per Niall. Poteva benissimo immaginare la sua euforia, quando il figlio le aveva confidato quella notizia, e il suo non voler sentire ragioni in fatto di dar loro un aiuto economico.

Si prese del tempo per far vagare di nuovo gli occhi lungo quegli spazi vuoti. Immaginarsi lei e Niall soli, tra quelle quattro mura, a dare inizio ad un nuovo capitolo della loro vita, non era poi così difficile. Così come era facile pensare che, in un futuro non troppo lontano, un'altra piccola vita avrebbe potuto unirsi a loro. Quella casa poteva davvero essere il loro nido d'amore e il suo cuore stava scoppiando di gioia per quella consapevolezza.

Niall aveva ragione: era perfetta.

«Facciamolo» affermò allora, finalmente di nuovo sicura, riportando l'attenzione su Niall e sorridendogli raggiante.

«Sì? Ne sei certa? Perché se non te la senti ancora o preferisci parlarne meglio, possiamo aspettare. O se ne vuoi vedere delle altre e - »

«No, amore, sono sicura. Voglio questa casa, voglio la nostra vita assieme. E grazie per essere come sei. Ti amo».

Niall non perse tempo a sollevarla tra le sue braccia e il bacio che si scambiarono subito dopo, sarebbe stato soltanto il primo dei tanti di cui quell'appartamento sarebbe stato testimone, nel corso degli anni.

****

Presentarsi nuovamente a casa Styles, dopo quello che era successo, non era stato affatto facile.

Louis era certo di essersi impappinato almeno una decina di volte durante il suo discorso di scuse a Harry, il quale era rimasto ad ascoltarlo in religioso silenzio, con le mani sulle gambe e il capo leggermente inclinato. Era certo che, alla fine del suo monologo paranoico, il giovane artista sarebbe scoppiato fragorosamente a ridere, prendendolo in giro per l'assurdità dei suoi timori.

Harry, invece, aveva avvicinato la sedia a rotelle al divano, sporgendo leggermente il busto in avanti e prendendogli le mani. Aveva osservato con attenzione le sue mani, sfiorando delicatamente il dorso di ogni dito, con un leggero broncio a dipingerli il volto e un solco tra le due sopracciglia. Poi aveva sorriso, portandosi la sua mano destra vicino alla bocca e sfiorandone piano i polpastrelli con le labbra.

«Vorrei baciarti ancora» gli aveva confidato in un mormorio roco, nascosto dietro la sua piccola mano. Louis aveva schiuso le labbra secche, preso totalmente in contropiede. Ma era bastato un lieve cenno da parte sua, prima che Harry gli strattonasse un poco le braccia, attirandolo a sé.

Baciare Harry Styles sarebbe potuto diventare il suo passatempo preferito, doveva ammetterlo.

Si domandò chi altro avesse avuto la fortuna di assaggiare quelle labbra morbide, di percepire il tocco delicato, ma al tempo stesso deciso, delle sue mani; chi altro avesse avuto la fortuna di avere su di sé la sua totale attenzione.

Louis si sentiva quasi lusingato quando Harry dimostrava reale interesse per tutto ciò che lui diceva, indipendentemente dal fatto che stessero affrontando un argomento profondo o futile. Harry ti faceva sentire al centro del mondo per qualche minuto e Louis cominciava a sentire dentro di sé come quel ragazzo stesse occupando sempre di più il centro del suo mondo.

Una mente come quella di Harry era rara. Così aperta, acuta e perspicace. A modo suo divertente e criptica al punto giusto. Louis aveva imparato ad apprezzarla giorno dopo giorno, con calma, senza metterle fretta. Aveva deciso di rispettare i suoi tempi di fioritura nel momento esatto in cui aveva capito che si trovava di fronte a una mente geniale e unica, che sarebbe sbocciata per lui solo se il suo proprietario glielo avesse concesso.

Solo se lui sarebbe stato ritenuto degno di conoscerla.

Dal canto suo, Harry, non aveva potuto impedire a quel tornado pieno di vita di entrare nella propria e buttargliela nuovamente, e rovinosamente, a soqquadro. Louis aveva riportato nelle sue giornate ciò che tutti avevano provato a trasmettergli, ma che non erano mai riusciti a superare fino in fondo le sue barriere: la speranza.

Louis, a differenza degli altri, non aveva cercato di abbattere il muro di mattoni che Harry aveva costruito in difesa del mondo esterno; lui aveva, prima di tutto, cercato di capirlo, di conoscere i motivi che lo avevano portato ad essere così duro e severo sia con gli altri che con se stesso. Dopodiché, aveva deciso di aggirare quel muro, di superarlo senza distruggerlo, consapevole che quello non avrebbe fatto altro che ferirlo e farlo sentire ancora più debole; gli aveva offerto la sua mano e invitato a girare attorno a quel muro, mostrandogli come a volte i fiori più belli crescono anche in un terreno povero, ai piedi di mattoni vecchi e rovinati che sembravano abbandonati.

Quella mano, Harry, l'aveva afferrata, inizialmente scettico e incerto; ricredendosi solo quando Louis gli dimostrò con i fatti di averlo capito. Non gli metteva pressioni, cercando semplicemente di stargli accanto durante il percorso.

Essere riuscito anche solo ad impugnare nuovamente un carboncino, per lui equivaleva a mille passi avanti. Una piccola conquista nella sua nuova vita e Louis era stato un aiuto fondamentale.

Per quello aveva ricambiato il suo bacio, quella sera; per quello si ritrovava a sorridere da solo quando pensava a lui; per quello aveva deciso che era giunto il momento di regalare anche lui qualcosa al ragazzo.

Quando gli aveva chiesto di scappare con lui per il weekend, nella tenuta di famiglia in mezzo alle campagne dello Yorkshire, Louis aveva strabuzzato gli occhi.

Per lui, così metodico e abitudinario, era difficile non agitarsi a causa di uno sconvolgimento tale dei piani. Quel weekend aveva promesso a Barbara che sarebbero passati da casa a salutare la famiglia, a Niall che lo avrebbe aiutato con il bar e alla madre di Harry che avrebbe convinto il figlio a passare più tempo con lei. Niente di tutto quello sarebbe stato compiuto se lui avesse mollato tutto e, senza avvisare, avesse seguito Harry.

Tuttavia, bastò quel «Ne ho davvero bisogno, Louis» mormorato dall'artista, con gli occhi supplichevoli ,per mandare tutto al diavolo e mettersi in moto.

Se serviva ad Harry per compiere sempre più passi avanti, allora non c'era scusa che poteva reggere.

**

Louis amava le campagne dello Yorkshire.

Le distese verdeggianti e l'aria fresca gli ricordavano casa; quella casa che lui e Barbara si erano lasciati alla spalle quando avevano sentito il bisogno di avere una propria indipendenza.

Sorrise, passando la lingua sul labbro inferiore per catturare la goccia di the che stava colando lungo il mento.

Doveva ammettere che non poter vedere sua madre ogni giorno, era qualcosa di cui sentiva davvero una forte mancanza. Lei non mancava di telefonargli e interessarsi alla sua vita, ma non era come quando rientrava a casa e, insieme, si sedevano al tavolo della cucina, raccontandosi la propria giornata e dispensando consigli.

Johannah, a sua insaputa, gli era stata molto d'aiuto con Harry. Cercare di instaurare un rapporto con quel ragazzo, così apparentemente scontroso all'inizio, non era stato facile e Louis aveva sempre cercato di immaginare come si sarebbe comportata sua madre in una situazione del genere. Ciò di cui era certo era che lei non avrebbe desistito ancora prima di almeno provare a conoscere Harry veramente.

E così lui aveva fatto.

In quelle settimane aveva sempre cercato di mettere da parte l'orgoglio e concedere ad Harry tutta la sua pazienza, nella speranza di raccogliere buoni frutti. Per non parlare di come fosse sicuro che quegli smeraldi verdi, avrebbero fatto capitolare anche sua madre.

Stava giusto pensando di chiamarla, quando la porta finestra del terrazzo, che affacciava sul giardino, si aprì.

Harry, con i suoi pantaloni azzurri del pigiama e il torso nudo, gli regalò uno dei suoi sorrisi più belli.

«Buongiorno. Dormito bene?» s'informò, avvicinandosi a Louis, il quale annuì prendendo un altro sorso dalla sua tazza e muovendo i piedi a disagio.

Forse doveva ascoltare sua sorella Barbara quando gli aveva suggerito di portarsi il pigiama blu. Di sicuro, a quel punto non si sarebbe trovato in imbarazzo a stare di fronte ad Harry, però non era colpa sua se a quel pigiama grigio con le api ci era affezionato.

E poi, a sua discolpa, poteva assicurare fosse comodo.

«Non mi hai aspettato per la colazione» constatò l'artista, adocchiandolo dal basso.

«Di solito vuoi sempre farla da solo».

«Mi sarebbe piaciuto farla assieme, oggi» lo informò, afferrando la caraffa piena di succo di arancia e riempiendo il proprio bicchiere.

Louis alzò gli occhi al cielo; era estenuante stare al passo con i suoi sbalzi d'umore. Decise, però, di lasciar scivolare il discorso e «Ho recuperato dalla credenza questi biscotti» lo avvisò, indicando la scatola di latta al centro del tavolo «Non so da quanto tempo siano qui, ma non ho trovato di meglio. Bisognerà fare la spesa».

Notò Harry storcere la bocca nel vederli, prima di scegliere di non aggiungere altro al suo bicchiere di spremuta.

«Cosa stavi osservando prima?» la voce roca del più giovane lo strappò ai suoi pensieri «Stavi scegliendo il fiore su cui posarti?»

Lo guardò interdetto, non afferrando immediatamente la sua insinuazione, finché gli occhi verdi di Harry non lo squadrarono da capo a piedi.

Davvero simpatico.

Sollevò le gambe, portandosi le ginocchia al petto e rannicchiandosi sulla sedia «Ha proprio ragione Gemma quando dice che le tue battute sono pessime».

«Mai quanto il tuo pigiama, credimi» schioccò la lingua, ghignando nel vedere l'espressione risentita di Louis che «È un bellissimo pigiama» si difese, lisciandosi la maglia.

«Già, peccato che sull'etichetta ci sarà indicata la fascia d'età tra gli 8 e i 10 anni» lo stuzzicò di nuovo, allungando una mano per afferrargli il colletto della maglia grigia.

Louis si divincolò concitato dalla sua presa, scacciandogli la mano «Sempre meglio di te e dei tuoi pantaloni anonimi. Non esisteva una maglia nel completo?»

Harry si passò una mano fra i ricci corti, socchiudendo le palpebre e lasciandosi colpire dai tiepidi raggi del sole «Mi sembrava uno spreco acquistarla, dal momento che solitamente dormo nudo. Questi li ho indossati solo perché ci sei tu».

Louis rimase a guardarlo per qualche secondo, optando poi per non aggiungere altro e sorseggiare rumorosamente il suo the ormai freddo.

Harry gongolò internamente per la sua reazione, consapevole di essere riuscito nell'intento di metterlo in difficoltà.

Tuttavia «Comunque stavo scherzando. Sei molto carino» si complimentò, aprendo un occhio e riportando lo sguardo su di lui.

«Lo so, Styles. Ritieniti fortunato a godere della mia compagnia» ammiccò nella sua direzione «Non stuzzicarmi troppo, perché pungo» lo avvisò poi, facendolo sorridere.

Trascorsero qualche minuto in silenzio, poi fu Louis a riprendere a parlare.

«Quindi, mi è parso di capire che sei molto affezionato a questo posto» domandò, sinceramente interessato all'argomento. Quel weekend poteva aiutarlo ad avvicinarsi maggiormente ad Harry e quella domanda, gli sembrava un buon punto di partenza da dove iniziare.

Gli occhi del più giovane s'illuminarono, mentre i ricordi investivano la sua mente.

«Sì, molto» annuì «Questa tenuta apparteneva ai miei nonni materni. Qui, io e Gemma, abbiamo passato molto tempo da bambini. Ci divertivamo a correre per i prati e a far impazzire i nonni, nascondendoci in tutti gli angoli possibili ed immaginabili di questa casa».

Ridacchiò appena a quel ricordo e Louis pensò che quando rideva sembrava ancora più giovane di quanto non fosse.

«Eri molto legato a loro, vero?»

«Tantissimo. A mia nonna particolarmente... lei ha sempre appoggiato la mia passione nel dipingere» spiegò Harry «Era la mia prima fan e la mia modella preferita: le ho fatto molti ritratti».

«Un aspirante Jack Dawson» lo canzonò Louis, facendolo sorridere nuovamente. Nessuno dei due si soffermò a sottolineare che entrambi sapevano che Jack Dawson era il nome del personaggio interpretato da Leonardo DiCaprio in Titanic.

«E com'è nata questa passione per il disegno?»

Harry raddrizzò la sedia a rotelle per poter fronteggiare meglio il ragazzo seduto accanto a lui.

«Ho sempre amato l'arte e ogni sua espressione» spiegò, massaggiandosi il mento con una mano «Fin da piccolo adoravo pasticciare con i colori. Credo sia stata una passione tramandatami da mio nonno, con la differenza che lui non ha mai voluto fare di essa una professione. Però é stato colui che mi ha regalato i miei primi strumenti di lavoro».

Si schiarì la voce, riprendendo poi nel racconto «Ne ero talmente appassionato che scegliere l'indirizzo di arte al college è stata una decisione automatica e, proprio lì, ho capito che questo mio amore poteva diventare qualcosa di più; lo volevo. Perciò, mentre ancora studiavo, avevo iniziato a presentare qualche mio disegno in giro, ma non era facile trovare qualcuno disposto a dare un'opportunità a un ragazzo giovane e alle prime armi».

Louis lo ascoltava, annuendo ogni tanto per fargli capire che stava seguendo il suo discorso, anche se gli sembrava surreale vedere Harry così disponibile a raccontargli di sé.

Era quasi strano, ma uno strano bello.

«Un giorno, il professore ci affidò il compito di dipingere un sentimento – la solitudine, per la precisione – e io mi recai al Farm Girl, un piccolo e delizioso bar vicino a Portobello».

«Non credo di esserci mai stato» intervenne Louis, corrucciando la fronte.

Harry sorrise «Non è molto frequentato, per questo lo adoro e sono sempre stato solito andare lì, quando avevo bisogno di particolare concentrazione. Non so, sarà stata l'atmosfera di intimità che emanava quel posto a inspirarmi».

Louis annuì «Ed è stata quella precisa richiesta che ti ha fatto capire quanto talento avessi?» ipotizzò «Effettivamente non è semplice disegnare la solitudine. Voglio dire... io non ne sarei certamente in grado» borbottò imbarazzato, strofinandosi la nuca.

Harry rise di nuovo, prendendogli la mano e baciandone il dorso, mentre Louis arrossiva all'istante.

In quegli ultimi giorni, dopo il loro primo bacio precisamente, l'artista sembrava non perdere occasione per riservagli carinerie e gesti affettuosi, lasciandolo completamente spiazzato ogni volta. Era probabilmente riuscito a toccare le corde giuste del ragazzo e si trovava a dover avere a che fare, a tratti, con un Harry diverso da quello che aveva conosciuto fino a quel momento.

Non che gli dispiacesse, tutt'altro, ma doveva ancora farsene l'abitudine.

«E' stata una richiesta che metteva a dura prova, però solo in parte è merito di quel compito. Quel giorno, mentre ero seduto al mio tavolo concentrato nel lavoro, venni distratto dal click di una macchina fotografica».

«Qualcuno si è messo a scattarti foto all'improvviso?» strabuzzò gli occhi Louis.

«Proprio così» confermò l'artista «In un primo momento fui spaesato, poi quel tipo mi disse che era un fotografo e che non aveva potuto fare a meno d'immortalarmi perché trasudavo arte».

Scosse il capo sorridendo, mentre le immagini di quella scena erano vivide dentro di lui e il suo cuore cominciava a battere con maggiore frenesia. Gli capitava spesso di tornare indietro nel tempo per ricordare con felicità quei momenti, che avevano segnato positivamente la sua vita. Quello, così come tanti altri sprazzi di vita vissuti, lo custodiva come un tesoro prezioso. Gelosamente. Perché, proprio da quel giorno, la sua vita cambiò drasticamente.

A Louis non sfuggirono di certo i suoi occhi brillanti, mentre si stava perdendo fra i ricordi.

«L'ho lasciato fare perché chi ero io per impedire all'arte di esprimersi? Purché non mi disturbasse. E, così, mentre io disegnavo, lui mi fotografava» riprese a spiegare «Poi, prima di andarsene, mi consegnò il suo biglietto da visita, chiedendomi di contattarlo e assicurandomi che non me ne sarei pentito. Lo feci alcuni giorni dopo. Quasi me ne stavo dimenticando, troppo preso dallo studio. Quella fu la mia fortuna: mi fece conoscere la gente giusta, che mi aiutò a trasformare in lavoro la mia passione. E il resto è storia» concluse, bevendo l'ultimo sorso di succo.

«Oh, capisco. Decisamente un colpo di fortuna anche se, sono certo, saresti riuscito a sfondare anche senza il suo aiuto. Magari ci sarebbe voluto un po' più di tempo, ma ce l'avresti fatta» constatò Louis con entusiasmo «Comunque, aveva proprio visto giusto. Mi piacerebbe conoscere questa persona. Me lo presenterai prima o poi?» chiese curioso.

«Mi dispiace, ma credo proprio non sarà possibile. Abbiamo perso i contatti da un po'» si affrettò però a rispondergli Harry, con un tono di voce ora più freddo e distaccato.

La rigidità dei suoi muscoli non passò inosservata al maggiore. Fino a quel momento, aveva parlato tranquillamente e, dalle sue parole, traspariva la sensazione che ricordasse quei momenti del suo passato con sincera nostalgia. Poi, di punto in bianco, la sua espressione era cambiata, quasi come se non volesse raccontargli troppo di quell'uomo.

Incapace di placare la sua innata curiosità, Louis fece per insistere sull'argomento, ma Harry giocò d'anticipo.

«E tu invece? Ho parlato solo di me, fino ad ora, e direi che sai molte cose sul sottoscritto. Di te, invece, che mi racconti?»

No, decisamente l'artista non voleva proseguire nel discorso, aveva chiaramente cambiato argomento e Louis, non intenzionato a farlo diventare di cattivo umore, si arrese.

Scosse il capo, accennando un piccolo sorriso «Cosa vuoi sapere?» domandò.

«Di te, di ciò che sognavi di diventare da piccolo e se ti senti realizzato ora che sei adulto».

Il maggiore si raddrizzò, sollevando una gamba e piegandola, posando il piede sulla sulla seduta della sedia «Il mio sogno da bambino era piuttosto comune, credo: volevo diventare un calciatore professionista. Mi ero iscritto alla scuola calcio del mio paese, come tanti altri miei coetanei, e desideravo entrare a far parte di qualche squadra del maggiore campionato inglese. Crescendo, però, questo sogno si è tramutato semplicemente in una bella passione da soddisfare con qualche partitella sporadica con gli amici» spiegò, sollevando le spalle. «Per il resto, non ho mai avuto grandi ambizioni. Non amavo la scuola, studiare mi pesava; Niall era il secchione, tra i due, e quello che mi ha aiutato a terminare il liceo. So che non posso considerarlo un vanto, ma non possiamo essere perfetti in ogni cosa» si giustificò, trovando Harry d'accordo con lui.

Continuò a raccontare, spiegandogli come si era sempre dato da fare con qualche lavoretto nei fine settimana, per aiutare in casa e per avere a disposizione una piccola somma che gli permettesse di togliersi qualche soddisfazione, senza dover sempre dipendere dalla sua famiglia. L'indipendenza era una cosa alla quale aveva sempre ambito e, per quello, una volta terminati gli studi, non aveva perso tempo a mettersi alla ricerca di un lavoro più stabile.

Aveva fatto un po' di tutto, dal momento che non aveva pretese o pregiudizio alcuno: ogni lavoro era da considerarsi al pari di un altro e quella sua dedizione gli aveva permesso di trasferirsi a Londra, che era poi il suo desiderio più grande.

Da quando l'aveva visitata per la prima volta da ragazzino, in gita scolastica, ne era rimasto affascinato e si era ripromesso che quella sarebbe diventata la sua città.

Così, quando Barbara aveva iniziato il college proprio nella capitale inglese, aveva avanzato la proposta a lei e Niall – che si frequentavano già da un paio d'anni – di trasferirsi assieme a lui. In tre non era stato così difficile riuscire a trovare un appartamento che li soddisfacesse e fosse alla loro portata. Non risiedevano nella zona più chic della città, ma non avevano chissà che pretese e con l'affitto riuscivano a cavarsela egregiamente.

«E l'idea di fare volontariato in ospedale, invece?»

«Quello è stato decisamente un caso. Ero ricoverato lì per una semplice appendicite e mi sono ritrovato a girovagare per i reparti durante la convalescenza. Mi sono imbattuto in questi volontari e... non so come spiegarlo, ma è stato un po' come una folgorazione. Quando sono tornato nella mia stanza, non facevo che pensare a tutti quei bambini, che, a causa delle loro malattie, erano costretti a vivere in un posto infelice come l'ospedale; immaginare di poter essere una di quelle persone, che riuscivano a regalare loro qualche attimo di pura felicità, era tutto ciò che riuscivo a fare. Così, appena mi hanno dimesso, sono andato a interessarmi e sono diventato uno di loro».

Harry notò, negli occhi di Louis, la stessa gioia e lo stesso calore che aveva percepito nelle due occasioni che l'aveva visto durante il suo ruolo di volontario. La felicità che provava nel donare a quei bambini dei momenti di spensieratezza, traspariva da ogni poro.

Tutto di Louis faceva capire quanto lo rendesse orgoglioso di se stesso svolgere quel compito e, Harry, non poteva far altro che provare ammirazione.

La giornata trascorse piacevole e tranquilla.

Harry si fece scortare da Louis al paese vicino, per poter acquistare le cibarie per i pasti di quel giorno e per il pranzo del giorno successivo, dal momento che avevano concordato sarebbero ripartiti nel pomeriggio, e quindi, ognuno avrebbe poi cenato a casa propria.

Approfittando del bel tempo dovuto all'avanzata stagione estiva, avevano poi trascorso il pomeriggio all'aperto.

Harry aveva mostrato al maggiore le immense distese di prati verdi lungo i quali era solito fare delle lunghe corse con sua sorella e, spesso, anche con Liam. L'amico, infatti, era solito raggiungerlo con la sua famiglia durante le vacanze estive: trascorrevano la domenica in loro compagnia poi, ogni volta, riuscivano a convincere i rispettivi genitori a permettere al ragazzo di fermarsi per tutta la settimana e, Harry, ricorda quei giorni come alcuni dei momenti più felici e spensierati della sua infanzia e inizio adolescenza.

Louis aveva ammirato con enorme stupore il bellissimo paesaggio che decorava quel luogo e aveva convinto il più giovane a fare un piccolo pic-nic il giorno seguente, proprio come Harry gli aveva raccontato fosse solito fare.

Erano rientrati solamente quando il sole era calato oltre le colline e la temperatura si era abbassata, anche a causa del vento fresco della sera.

Si erano lavati e concordato di indossare poi il pigiama, dato che avrebbero trascorso la serata in casa, comodamente seduti in salotto a guardare il film che avevano noleggiato alla videoteca del paese.

Era stato proprio Harry ad insistere per noleggiare un dvd, una cosa che in città non faceva più a seguito della comodità della tecnologia, di Netflix e delle pay tv, che permettevano di avere a portata di mano una vasta selezione di film e serie tv, restando comodamente a casa. Louis aveva esaudito, senza alcun problema, la sua idea.

Fortunatamente per la sua salute mentale, Harry aveva pensato bene di indossare anche una maglia comoda, oltre ai pantaloni del pigiama, così Louis riuscì a gustarsi la cena senza il timore d'ingozzarsi ogni qual volta il suo sguardo si fosse posato sul petto nudo dell'altro.

A tavola, Harry si lasciò trasportare ancora dai ricordi, rivelandogli altri episodi della sua vita passata legati a quella casa e non. In particolare, si soffermò maggiormente a raccontargli delle avventure intraprese con Liam, degli innumerevoli sport estremi che avevano praticato e dei loro viaggi.

Il loro rapporto di amicizia, gli ricordava molto il suo con Niall: essendo amici fin da piccoli, anche loro avevano condiviso moltissimi momenti memorabili, che Louis avrebbe custodito per sempre nel suo cuore con enorme affetto.

Al termine del pasto, il maggiore insistette per lavare le stoviglie, dato che era stato Harry a cucinare, obbligando quest'ultimo ad andare a rilassarsi e ad aspettarlo in salotto.

Quando decideva di trascorrere una serata in casa, di fronte alla televisione, Louis aveva dei rituali ben precisi da rispettare, li considerava quasi sacri, e chiunque decidesse di fargli compagnia, era tenuto ad assecondarlo. Se doveva guardare una partita di calcio, non poteva mai mancare una fresca bottiglia di birra tra le sue mani; una confezione di biscotti Oreo – i suoi preferiti – quando si trattava di una serie televisiva; un'enorme ciotola di pop-corn se invece si trattava di vedere un film.

Perciò, dopo aver ripulito la cucina, s'incamminò verso il salotto, stringendo tra le mani il contenitore ricolmo di fiocchi di mais che aveva preparato nel mentre. Si sorprese, però, quando lo trovò in silenzio e al buio.

Che Harry avesse cambiato idea?

Intravide una luce provenire dalla stanza dell'artista, così decise di raggiungerlo.

«Credevo mi stessi aspettando sul divano» esordì una volta messo piede nella camera.

Harry si stava accomodando sul suo letto e sollevò il volto verso di lui «La mia schiena chiede pietà. Mi capita, quando resto tutto il giorno appoggiato allo schienale rigido della sedia a rotelle. Avevo bisogno di sdraiarmi su qualcosa di più morbido» spiegò; una smorfia di dolore si formò sulle sue labbra, mentre trovava la posizione migliore sul materasso.

«Oh, mi dispiace. Avresti potuto dirmelo che ti faceva male, saremmo rientrati prima».

«Va bene così, Louis, non importa. Mi ha fatto piacere restare all'aria aperta» lo tranquillizzò, accompagnando le sue parole con un sorriso.

«Ok. Allora ti lascio riposare, buonanotte» lo salutò, pensando che il ragazzo volesse riposare, ma «Dove stai andando? Abbiamo un film da vedere noi due» lo richiamò, facendolo arrestare.

«Ma io credevo che - »

«Credevi male. Ho solo detto che preferisco sdraiarmi sul letto piuttosto che sul divano. Come puoi vedere, c'è un televisore anche qui» disse, indicandogli il grande pannello nero posizionato sulla parete di fronte al letto, «Avanti, vieni qui» lo esortò poi, picchiettando il palmo della mano, sul materasso.

Louis sembrò valutare per un attimo quella proposta, dondolandosi da un piede all'altro, ma senza lasciar trascorrere troppo tempo prima di decidere che non fosse il caso di farsi troppe paranoie: se Harry avesse veramente preferito dormire e riposarsi, piuttosto che restare a letto ma ancora sveglio, lo avrebbe fatto senza problemi.

Raggiunse il materasso con una breve corsa, passò il contenitore con i pop-corn a Harry e si sistemò sotto le coperte, al suo fianco, sul lato destro.

«Il primo film, Ti Presento i Miei, l'avevo adorato» commentò, portandosi subito alla bocca una manciata di pop-corn.

Harry lo guardò allibito «Per essere così piccolo, mangi un sacco. Lo sai?» lo prese in giro, pizzicandogli un fianco mentre Louis masticava, guardandolo di sbieco. «Comunque questo è il mio preferito. I genitori di Greg sono fantastici e mi fanno morire dal ridere» proseguì l'artista «Dopo aver visto questo film per la prima volta, ho obbligato Liam ad andare in Sud America per provare un vero Chimichanga» svelò con fierezza.

«Sei serio?» domandò Louis, ricevendo subito in cambio un cenno d'assenso «E come era?»

«Buono. Anche se Liam pensava si trattasse di qualcosa inerente al sesso» confidò Harry con nonchalance.

Louis scoppiò a ridere rumorosamente, attento a non sputacchiare pezzi di cibo ovunque.

Nel vedere quel sorriso, le labbra del più piccolo si aprirono istintivamente ad imitare il gesto.

«Credeva fosse una nuova posizione del Kamasutra» soffiò piano al suo orecchio, notando le sue gote imporporarsi subito per l'imbarazzo. Si ritrasse, poi, rubandogli dalla ciotola qualche pop-corn e sgranocchiandolo soddisfatto, mentre Louis tossicchiava al suo fianco.

«Beh, poteva non sapere cosa fosse, ma pensare al Kamasutra...» mormorò piano, sistemandosi il ciuffo che era ricaduto davanti ai suoi occhi cristallini «Insomma, si sa che non ha niente a che vedere con quello».

Harry inclinò appena il capo, inarcando il sopracciglio «Ah sì... si sa?» insistette curioso «Conosci i nomi di tutte le posizioni?»

Solo così Louis si rese conto di come la sua frase potesse, effettivamente, dar adito a quei dubbi. Se avesse potuto, avrebbe voluto essere inghiottito da quel materasso.

«No! Affatto!» gracchiò agitato «Volevo solo dire che... oh, al diavolo» piagnucolò, coprendosi il volto con entrambe le mani e provocando in Harry una risata potente.

Per quel giorno l'aveva stuzzicato abbastanza, forse poteva lasciarlo tranquillo almeno a vedere il film.

Fu proprio quello che Harry fece, permettendo a Louis di guardare il film e commentandolo serenamente insieme a lui. Almeno fino a quando non aveva più ricevuto alcuna risposta da parte del castano.

Si era voltato, trovandolo addormentato al suo fianco. La ciotola di pop-corn, ormai mezza vuota, completamente abbandonata sul suo grembo.

Aveva sorriso, prendendola e posandola sul comodino vicino a lui. Poi era tornato ad osservarlo.

Una cosa che aveva sempre adorato era l'attenzione ai particolari. Secondo lui, proprio ciò che non era solito saltare agli occhi della gente era quello che rendeva unico il soggetto in questione.

E così, si prese il permesso di violare l'immagine di quel ragazzo accanto a lui con i proprio occhi verdi.

Notò la piccola cicatrice appena sopra al sopracciglio sinistro; come la punta del naso fosse leggermente rotonda; l'ombra che le lunghe e folte ciglia, che contornavano le sue palpebre, creavano sui suoi zigomi; i tre nei presenti sulla sua guancia sinistra, quasi a voler formare una costellazione.

Si morse un labbro, prima di chiudere gli occhi e inspirare a fondo: quando sentiva l'ispirazione crescere in lui, le sue mani sembravano fremere dal bisogno di creare. Una sensazione che da tempo aveva smesso di provare, certo che qualcosa di simile non sarebbe più ricapitato.

Non a lui.

Riaprì gli occhi, massaggiandosi il ponte del naso, poi drizzò il busto, allungandosi ad afferrare la sedia a rotelle affianco al letto.

Cercando di non svegliare Louis, si lasciò scivolare su di essa, raggiungendo poi l'angolo della stanza dove aveva il suo zaino nero. Estrasse l'album da disegno, allungando la mano per recuperare dal fondo il carboncino nero, ma fermandosi prima di riuscire a stringerlo tra le dita.

Lanciò ancora un rapido sguardo al ragazzo, riabbassando il capo e sorridendo appena tra sé e sé, prima di aprire il suo astuccio in legno e far ricadere sulle sue gambe le varie matite colorate.

Bentornato, Harry.

Il giorno successivo, all'ora di pranzo, uscirono di casa per il pic-nic che avevano concordato. Scelsero di fermarsi nel prato dietro la casa, salendo di poco la collinetta e raggiungendo un punto pianeggiante in cui un gruppo di betulle si stagliavano, una di fianco all'altra, a formare un piccolo cerchio. Si posizionarono esattamente al centro, godendo dell'ombra che gli alberi gli offriva schermando i raggi del sole che, anche quel giorno, splendeva alto nel cielo.

Quando la mattina si era svegliato, Louis aveva impiegato alcuni istanti a rendersi conto di non trovarsi nel letto della camera in cui aveva dormito in quel weekend, ma in quello di Harry.

Era ancora in una sorta di dormi-veglia, quando si era chiesto come mai il cuscino fosse diventato improvvisamente così duro e russasse.

Si era allora deciso ad aprire gli occhi, anche se controvoglia, accorgendosi che quello su cui stava sfregando la guancia non era il cuscino, ma la spalla di Harry; e sempre da lui provenivano quei piccoli rumori, tipici di chi dorme.

Immediatamente, aveva strisciato sul materasso, allontanandosi dal ragazzo, ma mantenendo lo sguardo puntato su di lui. Non appena si era sincerato di non averlo svegliato, era scivolato fuori dal letto e, in punta di piedi, era uscito dalla camera per raggiungere la cucina e preparare la colazione. Non era trascorso molto tempo prima che l'artista lo raggiungesse, impedendogli di scusarsi per essersi addormentato nel suo letto, dato che era grande abbastanza per ospitare entrambi; non aveva fatto nulla di male.

Louis si scusò comunque, senza però accennare al fatto che si fosse ritrovato avvinghiato a lui quel mattino: Harry non ne aveva fatto accenno e lui aveva preferito sperare che il ragazzo non se ne fosse accorto.

Avevano consumato piuttosto in fretta i sandwich che avevano preparato per il pranzo, accompagnandoli con delle bibite fresche, dopodiché si erano sdraiati sull'erba soffice a parlare o semplicemente a godere di quel silenzio e del calore del sole sui loro corpi.

Poco prima di rientrare in casa e preparare le borse per fare ritorno a Londra, il maggiore aveva deciso di avanzare una proposta.

«Se ti dicessi di rotolare giù per questa discesa, che mi risponderesti?»

Harry volse il capo nella sua direzione, guardandolo scettico con un sopracciglio inarcato. «Che ti hanno messo qualche sostanza strana nella coca cola» scherzò, senza prendere sul serio quella domanda.

Louis, però, non stava affatto scherzando.

«Sono serio, Styles. Avanti facciamolo» insistette, alzandosi in piedi e posizionandosi davanti alla coperta a scacchi bianchi e rossi, che avevano utilizzato come tovaglia.

«Se non ti fosse ancora chiaro, io sono praticamente paralizzato, Louis. Ho già perso l'uso delle gambe, non ho certo intenzione di rischiare di peggiorare la mia situazione».

«Ma non succederà nulla, Harry. La discesa è breve e il dislivello è minimo. Guarda, ti faccio vedere».

Detto ciò, Louis controllò che nel breve tratto non ci fossero sassi o altri ostacoli che avrebbero impedito la sua discesa e potuto fargli male, prima di tornare a sdraiarsi di schiena sul prato, incrociare le braccia al petto e, dandosi una piccola spinta, lasciarsi rotolare giù dalla discesa. Fece giusto cinque giri su se stesso, prima di fermarsi, ridendo sguaiatamente e battendo i piedi sul prato.

«Visto? Sono tutto intero» disse, alzandosi in piedi e allargando le braccia «E' bellissimo, devi farlo anche tu per forza» lo incitò, raggiungendolo.

«Non so Louis, non penso sia una buona idea».

«Hey, dov'è finito l'Harry Styles che mi ha raccontato di aver fatto parapendio, di aver sfidato le rapide facendo rafting e - »

«E' lo stesso che si è quasi rotto l'osso del collo sulla neve con uno snowboard» lo interruppe amareggiato.

Il maggiore gli rivolse un piccolo sorriso triste, dopodiché si inginocchiò di fronte a lui e gli prese le mani tra le sue. «Non ti metterei mai in pericolo, Harry. Se non vuoi, non ti costringerò a farlo, ma hai visto, no? Non è pericoloso. Voglio solo farti tornare a provare quel piccolo brivido che tanto amavi. Certo, rotolare da una discesa praticamente inesistente non è così adrenalinico, però si fa quel che si può» alzò le spalle, mentre gli accarezzava il dorso delle mani con i pollici.

Harry fece scorrere alternativamente gli occhi, tra il viso di Louis e la discesa alle sue spalle, insicuro sul da farsi, finché «Ti fidi di me?» si sentì domandare dal maggiore.

E sì, per quanto strano potesse sembrargli, lui sentiva di fidarsi di quel ragazzo che, in così poco tempo, era riuscito a smuoverlo dentro. Perciò annuì sorridente, anche se non del tutto sicuro. Louis lo mise in posizione, facendolo sdraiare sul prato, poi fece la stessa cosa, mettendosi al suo fianco e circondandolo con le braccia.

«Lo faremo assieme, ok? Al mio tre, andiamo. Uno, due, tre!» gridò, prima di lasciarsi rotolare. Come aveva già provato in precedenza, la discesa fu breve e in un attimo, si ritrovarono di nuovo fermi, distesi l'uno sopra l'altro.

Louis mantenne le braccia attorno alla vita di Harry, lasciando che il suo peso gravasse su di lui.. Sorrideva, ma il suo bel sorriso, si spense non appena mise a fuoco il viso del ragazzo sopra di sé. Aveva una smorfia dipinta in volto, che lo fece immediatamente allarmare.

«Oddio, Harry, ti sei fatto male? Dimmi che hai, ti prego!»

Scostò con una mano alcune ciocche che gli erano ricadute sul viso, mentre lo guardava con il cuore in gola. L'artista, dal canto suo, non rispondeva, si limitava solamente a mantenere l'espressione corrucciata e Louis stava davvero per avere un attacco di panico. Almeno fino a quando Harry non scoppiò in una risata sguaiata.

«Ci sei cascato!» urlò, continuando a ridere a crepapelle e burlandosi di lui.

Il maggiore spalancò la bocca attonito e «Non sei affatto simpatico!» lo rimproverò, rifilandogli un pugno sulla spalla.

«Non ho potuto evitarlo, perdonami» si scusò l'artista, mentre cercava di ricomporsi, facendo scemare le risa. «Comunque, grazie. È stato... liberatorio» asserì, rivolgendogli un sorriso sincero, di quelli che Louis aveva iniziato ad adorare e sperare di veder rivolti solo a lui.

Harry era felice, quel sorriso illuminava completamente il suo viso, facendo comparire anche le dolci fossette che lui prontamente accarezzò con le dita.

«Sei meraviglioso quando sorridi» ammise, incapace di tenere quella confessione per sé.

Un sussurro lieve, quasi impercettibile, che però arrivò forte e chiaro alle orecchie di Harry, il quale allungò a sua volta la mano destra, il cui braccio posavo sul petto del ragazzo steso sotto di lui. Accarezzò la pelle del collo, provocandogli dei brividi. Quella pelle che era sempre più abbronzata della sua.

Abbassò il volto, nascondendo la punta del naso proprio nell'incavo di quel collo, inspirandone a fondo l'odore.

«Non sono mai stato bravo a ricevere i complimenti».

Louis, che era rimasto col fiato sospeso fino a quel momento, sbatté le folte ciglia, interdetto.

«Come?»

«I complimenti mi mettono in difficoltà» proseguì con un filo di voce, lasciando che le labbra carnose continuassero a stuzzicare la pelle sensibile dell'altro. «Sono abbastanza vanitoso di natura. Ma quando sono gli altri ad apprezzarmi... li trovo sempre esagerati».

«Non ci credi mai?»

«Ho sempre creduto solo a quelli di una persona. Il resto non contava» fu la sua risposta sincera.

Louis corrucciò la fronte, ma non ebbe neanche il tempo di formulare la domanda per saziare la sua infinita curiosità.

«Vorrei baciarti. Ancora. Adesso» lo precedette Harry. La sua voce bassa e roca nascondeva malamente la voglia carnale che la impregnava.

Era la seconda volta che glielo chiedeva, quasi a volere un permesso. Peccato che fosse talmente irruento da non aspettare mai di riceverlo, quel permesso. Un'altra cosa che aveva imparato di Harry, infatti, era certamente che se voleva qualcosa, se la prendeva. Senza se, senza ma, senza attese, senza rimuginarci sopra troppo. Era in grado di essere la persona più razionale del mondo, con la sua facciata imponente e a tratti severa, ma al tempo stesso non si faceva troppi riguardi a spostare il piede un po' più in là e perdere l'equilibrio, gettandosi in balia delle sue emozioni. Amava la vita, nonostante ora si sforzasse a negarlo, e amava lasciarsi travolgere da essa.

Per questo, Louis, non si sorprese quando percepì quelle labbra carnose premere sulle sue ancora prima di aver mormorato un flebile sì che morì fra i loro respiri. Non si meravigliò nemmeno di sentire il proprio corpo scivolargli dal controllo, rispondendo con un gemito tremolante alla bocca di Harry che succhiò con bramosia il suo labbro inferiore.

Era come un veliero in balia della più forte tormenta che stesse agitando l'oceano.

Successe tutto talmente in fretta che Louis non seppe spiegarsi come, un attimo prima, fosse disteso sul prato verdeggiante della campagna e ora si trovasse completamente nudo nell'arioso salotto di quella tenuta, seduto a cavalcioni sulle gambe dell'altro.

La sua mente era veramente un casino, ma sentiva ancora chiaramente la voce ammaliante dell'artista che lo invitava a rientrare. Ma una volta raggiunta l'anticamera, il più giovane l'aveva preso per i fianchi, privandolo di ogni indumento – che erano stati gettati in terra chissà dove – e l'aveva poi guidato sulle proprie gambe, tornando ad impossessarsi delle sue labbra mentre muoveva la sedia a rotelle fino al salotto.

Louis pareva essere un burattino. Si limitava a rispondere a Harry, alle sue mani che lo accarezzavano ovunque e alle sue labbra che si posavano su ogni lembo di pelle che riuscivano a raggiungere. E non si sentiva nudo solamente perché, effettivamente, lo era, ma perché percepiva tutto il suo essere arrendersi vergognosamente a quel ragazzo.

Mai si lasciava condurre dagli altri. Che si trattasse di relazioni o scelte di vita comune, dalle questioni più semplici a quelle più complesse, Louis era sempre stato una persona che sapeva il fatto suo. Testardo e terribilmente cocciuto, come sempre ci teneva a specificare sua madre. Non c'era mai modo di convincerlo a farsi aiutare in qualcosa, o a farsi consigliare. E probabilmente in quest'ultima cosa sbagliava, perché i consigli erano preziosi e sua nonna lo rimproverava spesso e volentieri, quando era un bambino. Ma lui era fatto così. Erano gli altri, piuttosto, a piegarsi al suo volere per non terminare ogni volta in una discussione.

Harry, tuttavia, era tutt'altra storia. Decisamente tutt'altra storia. E tutto sommato, finché mostrava di trattarlo con cura, non gli dispiaceva nemmeno tanto lasciarsi ammaliare e spegnere la ragione.

«A cosa pensi?»

Si riscosse, abbassando subito lo sguardo e premendo la fronte contro la sua spalla.

«Sono felice di aver ceduto alla tua richiesta ed essere venuto qui».

«Non mi sembra tu sia ancora venuto, Louis».

«Il tuo senso dell'umorismo fa pena» lo riprese, mordendogli piano la spalla, mentre il ragazzo accarezzava il suo ventre.

La frenesia di poco prima sembrava aver lasciato spazio a una maggiore tranquillità.

«E il fatto che tu ti stia improvvisamente vergognando, fa ridere» replicò, lasciando scivolare una mano fra le sue ciocche color caramello e scostandogli i capelli dal volto. A prova di ciò che aveva appena detto, le sue gote erano rosse.

«Non mi vergogno» brontolò il maggiore «Sono solo timido».

«Balle» soffiò nel suo orecchio, mordicchiandogli il lobo «Sei impertinente e sfacciato, tanto che il tuo modo di fare mi irritava solo di più».

«Ci sono momenti in cui non riesco più ad esserlo, con te».

La sincerità era sempre stata il suo marchio di fabbrica. Era un libro aperto che, per quanto fosse positivo, sapeva bene essere anche molto pericoloso. La gente scopre subito i tuoi punti deboli ed è più facile ferirti. Lui sperava sempre nella loro buona fede.

«È un buon segno?»

«Non lo so».

E Harry sorrise, perché nonostante fosse lui il più giovane tra i due, in quel momento Louis gli sembrò piccolo e indifeso. Non ne fu sorpreso, anzi. Da sempre si sentiva dire di sembrare più maturo della sua età, diverso dai suoi coetanei, e la cosa non lo aveva mai disturbato particolarmente. Aveva sempre preferito il confronto con persone più adulte, con più esperienza, assaporando la cultura e arricchendosi più che poteva. Ed era anche consapevole che le scelte che aveva preso pochi anni prima, lo avevano costretto a crescere e cavarsela da solo. A prendere sulle spalle qualcosa più grande di lui, che tutti non vedevano di buon occhio, ma per cui lui aveva lottato.

Puntò nuovamente gli occhi sulle labbra del ragazzo seduto sulle sue gambe, lasciando scivolare la mano e accarezzando il membro già eccitato. A quel solo contatto, la bocca di Louis si schiuse, liberando un nuovo gemito di soddisfazione.

«Abbiamo tutto il tempo per scoprirlo» lo rassicurò, baciandogli il mento e cominciando a soddisfare la sua erezione con stoccate decise.

Sorrise nel bacio, quando Louis cominciò ad agitarsi sopra di lui, insaziabile e bisognoso di avere di più. Capriccioso, oserebbe dire, visto i continui lamenti che si lasciava sfuggire, pregandolo e supplicandolo.

«Harry» piagnucolò ancora «Ti prego, Harry. Ti prego».

Il volto ora nascosto tra i suoi capelli, mentre si aggrappava a lui, spalmandoglisi il più possibile addosso in cerca di una maggiore frizione che potesse soddisfarlo. Strinse i ricci corti, ondeggiando il bacino per far sfregare la cappella arrossata contro la stoffa della camicia del più giovane. Sfregamento che lo fece tremare dal piacere, prima che un forte gemito abbandonasse ancora la sua gola nel percepire il membro di Harry premere duro contro la sua coscia.

Cercò i suoi occhi, trovandoli colmi dello stesso piacere che ardeva in lui, e gli mancò il fiato di fronte alla sua bellezza sfacciata. Si avventò sulle sue labbra con bramosia, torturandole e stuzzicandole, mentre le loro lingue interrompevano di tanto in tanto quel dolce tormento, scontrandosi a metà strada in un'accozzaglia disordinata. Poi premette il palmo della mano sul cavallo dei suoi pantaloni, riuscendo finalmente a sentire anche lui perdere il controllo, liberando un verso gutturale e imprecando a denti stretti.

«Voglio che ti sdrai su quel divano» cercò di ricomporsi Harry, allontanando la sua mano e provando a staccarlo da lui.

Louis scosse la testa, sfregandosi maggiormente contro il suo corpo e baciandogli il collo.

«Sto impazzendo».

«Ti farò venire solo con le mie dita, Louis, ma ho bisogno che tu vada su quel divano» insistette, strattonandogli piano i capelli.

I suoi occhi erano chiusi.

«Guardami» lo richiamò, rilasciando poi un lamento roco nel ritrovare le sue iridi cristalline completamente inghiottite dalle pupille. «Su quel divano. Ora. Completamente esposto per me» insistette, leccandogli il collo e rubandogli un ultimo bacio, prima di farlo scivolare dalle proprie gambe.

Louis barcollò appena sul posto, non appena i suoi piedi toccarono nuovamente terra. La testa pesante e l'erezione dolorosa, bisognosa quanto lui di perdere il controllo. Raggiunse poi il divano, adagiando la schiena al cuscino e sollevando le gambe, stringendo le ginocchia al petto. Una mano a pompare continuamente il proprio membro.

Gli brillarono gli occhi quando vide Harry avvicinarsi a lui, con il membro svettante dai pantaloni appena calati e la bocca chiusa attorno a due dita della mano sinistra, mentre le succhiava con foga.

«Sei eccitato per me» asserì Louis, scostandosi dalla fronte imperlata di sudore i capelli «Solo per me».

«Potrei venire solo guardandoti, mentre ti doni piacere da solo» rispose, senza alcuna punta di imbarazzo nella voce. «Ti disegnerei così» continuò poi, accarezzandogli i testicoli, prima di sostituire la sua mano con la propria «In preda al piacere più carnale».

Quando le dita di Harry cominciarono a massaggiare il cerchio stretto di muscoli, Louis quasi urlò. Sentiva chiaramente le lacrime pizzicargli gli occhi e tutto ciò di cui aveva bisogno era venire. Per Harry.

Per quello «Fammi venire» lo supplicò di nuovo, bagnandosi un dito e stuzzicandosi il capezzolo, mentre l'altra mano era stretta intorno a quella dell'artista, incitandolo nelle stoccate.

Di fronte a quell'ennesima supplica, Harry si decise a lasciar scivolare l'indice al suo interno, allargando quel tanto che bastava il suo orifizio per potervi inserire anche il medio.

Non era facile non pensare alla dolorosa erezione tra le proprie gambe, ma tutto ciò che voleva era pensare al piacere di Louis, bello e vulnerabile, pieno di desiderio solo per lui.

Ghignò soddisfatto quando lo sentì urlare più forte del solito, con gli occhi spalancati e la schiena inarcata, mentre continuava a spingere, insaziabile, il bacino incontro alla sua mano. E non ci volle poi molto prima di vederlo scosso da spasmi violenti, mentre l'orgasmo si impossessava del suo corpo e il suo seme gli sporcava l'addome.

E mentre Louis ancora urlava per il piacere, Harry aveva dovuto stringere una mano intorno al proprio membro, abbandonando così quello del maggiore, stimolandosi senza pietà e urlando il suo nome, mentre veniva a fiotti caldi sulla sua mano, senza nemmeno sbattere gli occhi, dimostrando a Louis come gli fosse bastato vederlo in quello stato per perdere il controllo di sé.

E come se non bastasse, gettò la testa all'indietro, arrendevole, quando lo vide scivolare dal divano e inginocchiarsi tra le sue gambe, leccando lascivamente lo sperma e avvolgendogli la punta del pene con le sua labbra, ora calde e rosse.

«Louis» ripeté ancora, con il poco fiato rimastogli.

Il ragazzo si leccò le labbra, sorridendo soddisfatto e rialzandosi in piedi.

«Dimmi».

«Sono felice anche io che tu abbia accettato di venire qui».

****

° But ''just friends''

don't look at each other like that. °

Gemma entrò nello stabile dove si trovava la sede del giornale per cui lavorava, in anticipo di 15 minuti, come ogni mattina. Ci teneva molto a essere rigorosa sul lavoro e, presentarsi sempre puntale, era per lei una dimostrazione di serietà e rispetto. Salì le due rampe di scale, perché un po' di moto di prima mattina non faceva mai male – soprattutto dopo i quaranta minuti di metropolitana, schiacciata come una sardina – per poi attraversare con passo fermo e spedito, il corridoio che portava fino all'ingresso della redazione del giornale.

Aprì la porta e, salutando allegramente Jenny, la receptionist, si posizionò di fronte alla porta scorrevole che si aprì automaticamente, permettendole il passaggio. Superò velocemente le prime file di scrivanie, fino a raggiungere la sua postazione; non prima di aver rivolto un sorriso e un buongiorno ad ogni suo collega. Posò la borsa sul mobile di lato e appese il blazer nero allo schienale della sedia, per poi sedersi di fronte alla sua scrivania e usufruire dei minuti che le restavano prima dell'inizio dell'orario di lavoro, per gustarsi il suo Cinnamon Dolce Latte, che acquistava allo Starbucks all'angolo.

«Ciao Gem, passato bene il weekend?»

Sarah, la sua collega e vicina di postazione, nonché compagna di chiacchiere e pettegolezzi, la salutò, appoggiandosi alla sua scrivania.

«Sì, grazie. Un weekend di totale relax. Ogni tanto è proprio quello che ci vuole» rispose allegra.

«Tutto qui? Niente di intrigante da dirmi? Nessun fusto all'orizzonte che ti abbia intrattenuto in questi giorni?»

Gemma sorrise, nascondendo l'imbarazzo dietro il bicchiere di cartone

«No. Me ne sono stata a casa a riposare. La scorsa settimana è stata un inferno e avevo proprio bisogno di ricaricare le batterie».

Fortunatamente per lei, il loro capo, Greg, fece ingresso in quel momento in redazione e Sarah fu costretta a tenersi per sé la sua curiosità e prendere posto dietro la sua scrivania. La collega era una ragazza simpatica e piacevole, ma decisamente un po' troppo impicciona per i suoi gusti. Andava bene quando adottava quella tecnica con gli altri colleghi, per poi spifferarle tutto durante la pausa pranzo, ma quando voleva indagare troppo nella sua vita, beh quello era un altro discorso. Certe cose preferiva tenersele per sé. Non poteva certo dirle che in realtà aveva trascorso quei giorni a casa di Liam.

Liam.

Un dolce sorriso comparve sulle sue labbra al pensiero di quel weekend. Mentre aspettava che il computer si accendesse, ripensò a quei due giorni trascorsi con il ragazzo.

Non era mai capitato che entrambi riuscissero ad avere sia il sabato che la domenica liberi, a causa di impegni di lavoro che li tenevano occupati anche nei giorni di riposo o per restare con Harry. Ma, dal momento che proprio quest'ultimo aveva deciso di andare con Louis nello Yorkshire e che non avevano nessun altro impedimento, era stata ben felice di accettare la proposta del ragazzo e trascorrere del tempo da lui.

In verità, si doveva trattare solamente del sabato sera, poi però le cose erano sfuggite di mano ad entrambi e nessuno dei due aveva avuto voglia di trascorrere la domenica in modo diverso dal restare a letto, alzandosi solamente per cucinarsi qualcosa da mangiare.

Per quanto continuasse a ripetersi che tra loro fosse solo una questione di sesso, non aveva potuto fare a meno di riflettere su come stesse sempre meglio in compagnia di Liam. Era la prima volta che avevano trascorso così tanto tempo insieme ed era stato decisamente piacevole.

E, non si riferiva solamente al sesso. No, decisamente no.

Quello era stato grandioso, come sempre del resto, ma avevano anche parlato molto e di qualsiasi cosa. Chiacchierare con Liam, riguardo cose futili o di argomenti decisamente più impegnati, era stato stimolante e, senza che nemmeno se ne accorgessero, si era fatta sera un'altra volta. Non poteva nascondere che quella realizzazione, l'aveva un po' turbata ma, dopotutto, si era trattato solamente di un singolo weekend, di una situazione che si era creata per caso e che difficilmente ci sarebbe stata occasione di ripetere.

Quando lo schermo s'illumino, facendo comparire il desktop con l'immagine della sua gatta Olivia, decise che fosse arrivato il momento di mettere da parte tutti quei pensieri e concentrarsi nuovamente sul prossimo articolo da scrivere.

Il London Today, era un settimanale on-line che si occupava di trattare diversi argomenti: dalla cronaca alla politica; dall'economia allo sport, fino allo spettacolo. Nonostante non fosse un giornale popolare, Gemma era molto soddisfatta e orgogliosa di far parte di quello staff: lo considerava un ottimo punto di partenza per una giornalista in erba come lei, che le consentiva di mettersi alla prova. Non era facile, essendo il suo primo impiego, avere la possibilità di lavorare in una redazione che permettesse di scrivere già degli articoli e quindi approcciarsi immediatamente con quello che, era certa, sarebbe stato il suo lavoro anche per gli anni a venire. Inoltre, Greg, era una persona estremamente disponibile e sembrava essere molto soddisfatto del suo operato.

Alle 12.35, era già pronta per andare in pausa pranzo con Sarah, quando il telefono della sua postazione, iniziò a squillare.

«Sì, Jenny?»

«Gemma scusami se ti disturbo, so che avrai appena staccato, ma c'è qui un ragazzo che chiede di te».

Gemma fece segno a Sarah di aspettare un attimo, poi «Chi sarebbe?» chiese.

«Mi ha detto di chiamarsi Liam Payne. Posso farlo passare?»

«Sì...sì, certo, fallo venire».

Posò la cornetta, rimanendo a fissare l'apparecchio, interdetta. Per quale motivo Liam era venuto fin lì? E perché non avvisarla, soprattutto. Si voltò verso Sarah, quando la collega la richiamò per capire cosa stesse succedendo, ma non fece in tempo a risponderle perché Liam, ora era proprio di fianco a lei.

«Ciao. Stacchi ora giusto?»

Dio, possibile che ogni volta che lo rivedeva, gli sembrasse sempre più bello?

Forse era merito del completo grigio scuro da lavoro, dei capelli ben acconciati in un ciuffo alto o della barba ben curata, ma Gemma si sentiva all'improvviso debole e senza fiato.

«H-hey, ciao. Sì, proprio adesso» rispose titubante.

«Bene perché avevo pensato di pranzare assieme, se ti va. Mi sono fermato al ristorante cinese» spiegò, sollevando il sacchetto con il cibo take away. Gemma rimase a guardarlo imbambolata. Non si sarebbe mai aspettata una sua visita e non sapeva come interpretarla.

«Ehm, scusate se mi intrometto. Piacere, sono Sarah, una collega di Gemma» intervenì la ragazza, porgendo la mano a Liam.

«Oh, ciao. Liam» la salutò di rimando, spostando il sacchetto nell'altra mano e stringendo quella della ragazza. Sarah lo squadrò per bene, sorridendo sorniona, poi spostò lo sguardo su Gemma

«Beh, allora io vado Gem, ci vediamo dopo. Piacere di averti conosciuto, Liam».

Fece un occhiolino a Gemma, passando dietro a Liam per non farsi accorgere e sollevando il pollice in segno di apprezzamento, prima di lasciarli soli.

«Spero di non averti rovinato il pranzo tra colleghe. Se devi andare con lei, vado via».

Gemma si riscosse, scuotendo il capo e muovendo le mani davanti a sé. «Figurati, pranziamo assieme ogni giorno. E poi sei venuto apposta, no?» si alzò prendendo la sedia di Sarah e avvicinandola alla sua, facendolo accomodare.

«Allora, come mai questa pensata? Oddio adoro tutto» Le brillarono gli occhi non appena Liam iniziò a estrarre dal sacchetto le vaschette apposite per il cibo d'asporto.

«È stata una mattinata pesante e avevo bisogno di staccare un attimo. Spero di non averti infastidita».

«No, tranquillo. Poi mi hai portato queste prelibatezze, come potrei avercela con te?» lo tranquillizzò, addentando un involtino primavera. Anche Liam la imitò, iniziando a mangiare il cibo cinese. Restarono in silenzio a consumare il pasto per alcuni minuti, dopodiché fu ancora il ragazzo ad attirare l'attenzione su di sé, schiarendosi la voce «Ehm... non sono stato del tutto sincero poco fa».

Gemma lo guardò aggrottando la fronte, confusa.

«Sul perché sono venuto. È vero che non avevo voglia di stare in ufficio o di pranzare con i colleghi, ma sarei venuto in ogni caso perché... volevo vederti. Sono stato molto bene questo weekend e... ecco, sì, ci tenevo a dirtelo» le rivelò imbarazzato, sfregandosi la nuca.

Gemma ingurgitò un altro boccone, intenta a elaborare quelle parole. Si accorse che Liam, si era invece fermato e che attendeva una sua reazione, perciò prese un sorso d'acqua per aiutarsi a deglutire e si pulì la bocca con un tovagliolino di carta. «

Sì, beh, anche io, certo. Insomma... è stato carino».

Carino? Si maledì mentalmente per quella risposta piatta e insignificante, notando la delusione dipingersi sul volto del ragazzo, che distolse lo sguardo dal suo e annuì con il capo, sollevando un angolo della bocca in un accenno di sorriso. Ok, forse poteva dimostrarsi un pochino più entusiasta, ma era rimasta spiazzata da tutto, dal vederlo lì sul suo posto di lavoro, al sentirlo parlare in quel modo. Non sapeva cosa dire, però, ed era così frustrante perché lei sapeva sempre come gestire ogni situazione che le si presentava davanti; tutte ma non questa.

Tornò a guardarlo, quando lo sentì ridacchiare.

«Perché ridi?»

«Ti sei sporcata con la salsa di soia. Anche ieri è successo. La perfetta Gemma Styles in realtà è una sbrodolona» la prese in giro, divertito.

«Non sono affatto una sbrodolona!» rispose risentita «E poi ieri è stata colpa tua che hai messo troppo condimento sulla pasta» si giustificò, voltandosi per prendere la sua borsa e cercare lo specchietto per vedere dove si fosse sporcata.

«Aspetta, vieni qui»

Liam la trattenne per un braccio, avvicinandola a sé, e pulendole con il pollice l'angolo della bocca.

«Ok, ora sei perfetta» le sorrise e Gemma dovette deglutire a vuoto per la distanza esigua che li separava.

«Perfetta lo sarò dopo che mi sarò data una rinfrescata e ritoccato il trucco» precisò, rimettendo le giuste distanze tra loro.

«Comunque, dato che ti lamenti della mia cucina, potremmo provare il nuovo ristorante italiano che hanno aperto in centro, questo venerdì sera, ti va?»

Gemma deglutì a vuoto, spaventata da quelle parole. Cos'era quello, una specie di appuntamento? Loro non era così, non erano una coppia e non si davano appuntamenti.

«Non mi starai proponendo un appuntamento, spero».

Notò dell'incertezza sul volto di Liam, ma fu solo un attimo. «Io lo chiamerei più una semplice cena tra amici. Non ci vedo nulla di male».

Non era sicura che quello fosse effettivamente il pensiero di Liam o se l'avesse detto solo per tranquillizzarla, capendo il suo stato d'animo. Fatto sta che, mettendola sotto quel piano, non riusciva a trovare un valido motivo per declinare il suo invito, senza risultare scortese.

Così «Cena tra amici. Certo, perché no?» si trovò ad accettare, sorridendo nervosamente.

Dopo aver dato una rapida occhiata al suo orologio, Liam si alzò dalla sedia, rimettendo le vaschette vuote nel sacchetto per buttarle e riprendendo la valigetta di lavoro. «Perfetto, allora. Ora devo scappare, grazie per la compagnia. Ci sentiamo per accordarci per venerdì» disse e, senza darle il tempo di rendersi conto di cosa stava per fare, si abbassò a schioccarle un rapido bacio sulla bocca, prima di voltarle le spalle e uscire dall'ufficio.

Gemma rimase per alcuni istanti immobile, con la bocca socchiusa e lo sguardo puntato verso la porta da cui aveva appena visto sparire Liam; dopodiché si lasciò andare ad un lamento e, velocemente, fece partire una chiamata dal suo cellulare.

Pochi squilli, poi «Babs, sono Gemma. Credo di avere un problema!»



****

«Quindi, potresti ripetermi quale sarebbe il vero problema in tutta questa storia?»

Barbara posò sul tavolino il suo bicchiere colmo di Green Juice, lasciando andare la schiena contro lo schienale della sedia.

Aveva scoperto quel delizioso posticino durante la sua prima uscita con Gemma. Dopo un intero pomeriggio caotico immerso nello shopping, avevano cercato un bar per riposarsi e la bionda le aveva proposto il The Ivy Chelsea Garden. L'ambiente era così elegante e raffinato, con i fiori che abbellivano il giardino esterno, che Barbara se ne era innamorata immediatamente.

Ogni volta che decidevano di incontrarsi, le due ragazze sceglievano ormai sempre quel posto.

«Il problema è che Liam mi piace, Barbara» specificò Gemma, con un cipiglio ovvio sul volto.

«Continuo a non capire».

La bionda le lanciò uno sguardo traverso, sbuffando e passandosi una mano fra i capelli lisci.

«Non doveva succedere. Non in questo senso, almeno» precisò allora, agitata «Liam è... Liam e io... noi abbiamo iniziato tutto per gioco, per divertimento. Volevamo avere qualcuno con cui sfogare le nostre voglie e basta».

«Peccato che tutto questo, Gems, sia cambiato quando avete iniziato a darvi l'esclusività» spiegò pacatamente l'amica «Era ovvio che sareste arrivati a questo punto».

«A che punto, scusa?».

Barbara scosse il capo, ridacchiando.

«Al punto di voler rendere seria la vostra relazione».

Gemma spalancò la bocca indignata.

«Io e Liam non abbiamo una relazione» specificò, posando le braccia sul tavolino e sporgendosi in avanti, abbassando poi la voce «Noi scopiamo e basta».

Barbara la imitò, avvicinandosi a lei.

«Ti ha chiesto un appuntamento».

«Che io ho prontamente disdetto quando sono rinsavita».

Barbara le diede un buffetto sulla guancia, prima di raccogliersi i lunghi capelli in uno chignon disordinato.

«Questo perché chiaramente sei stupida. Ma, per tua fortuna, hai un'amica che ti vuole bene e risolve i casini che fai».

Gemma si drizzò sul posto, improvvisamente assalita dal panico. Non perché non si fidava di Barbara, ma se Liam rientrava in un suo piano... beh, c'era seriamente da preoccuparsi.

«Che intendi dire?»

«Sabato sera Niall ha organizzato al suo pub una serata a tema Hawaii e Louis, sotto insistenza nostra, ha girato l'invito anche ad Harry e Liam».

Ecco, appunto.

«Oh, mio fratello non accetterà mai» schioccò la lingua la ragazza, genuinamente convinta di quella frase.

«Beh, a quanto pare non sa più dire di no a mio fratello. Perché non solo ha accettato, ma ha specificato che non si sarebbe perso la serata per alcuna ragione al mondo».

Gemma dischiuse la bocca, incredula di fronte a quelle parole. Adesso, improvvisamente, suo fratello voleva uscire di nuovo. Proprio quando lei voleva restare chiusa in casa, lontana da incontri spiacevoli che portavano un solo nome: Liam.

Lei non voleva vederlo. Non poteva vederlo.

«Io non vengo» affermò quindi, facendo alzare gli occhi all'amica.

«Tu verrai, ci divertiremo e, soprattutto, farai pace con Liam. Gli chiederai scusa per come ti sei comportata e vi darete entrambi una nuova possibilità».

La faceva facile, lei.

Gemma si alzò in piedi, lasciando ricadere sul tavolo una banconota.

«Devo andare, adesso».

Barbara le afferrò un polso, tentando di bloccare la sua fuga.

«Sii ragionevole, Gems. Hai ammesso tu stessa che Liam ti piace e lui tiene chiaramente a te».

La bionda, però, scosse freneticamente il capo.

«Ci sentiamo. Scusa».

E con quelle poche parole lasciò il locale di fretta, non permettendo all'amica di scorgere che salate lacrime cominciavano a bagnare le sue guance.

****

Louis aveva lasciato lo Yorkshire con un po' di amaro in bocca.

Aveva davvero temuto che quello che era successo in campagna non fosse altro che una piccola parentesi, creatasi per le circostanze, che non avrebbe poi trovato alcun riscontro una volta ritornati a Londra. Invece, sorprendentemente, Harry non aveva lasciato che tutto quello accadesse.

Dato che quella settimana Louis era stato parecchio impegnato con il lavoro, non riuscendo a trascorrere del tempo con lui, Harry aveva preso l'iniziativa – ancora una volta – e gli aveva scritto un messaggio.

Quello aveva dato inizio a un vero e proprio scambio di messaggi, continuato anche nei giorni successivi.

Entrambi si erano resi conto che, non vedersi come erano soliti fare nelle ultime settimane, aveva comportato il sentire una certa mancanza. Per quello, appena quel venerdì pomeriggio Louis terminò il turno in negozio, non ci pensò due volte a precipitarsi a casa del giovane artista.

Lo trovò impegnato in una fitta conversazione telefonica con Liam, che aveva tutta l'aria di essere qualcosa di serio.

Sorrise di rimando a Harry quando gli disse che avrebbe fatto in fretta, poi si spogliò le scarpe e recuperò dalla cucina un bicchiere d'acqua fresca per dissetarsi.

Abbassò lo sguardo, a disagio, nel notare gli occhi di Harry non abbandonare la sua figura, nonostante la concentrazione verso ciò che il suo migliore amico gli stesse dicendo.

Non aveva ancora imparato a gestire i suoi occhi prepotenti e limpidi, che ogni volta sembravano volergli arrivare all'anima. Fu quindi grato a Liam quando, probabilmente, gli chiese di cercare qualcosa e Harry fu costretto a distogliere lo sguardo e curiosare fra i vari scaffali del mobile in legno, dipinto di nero, del soggiorno.

Lui ne approfittò per sgattaiolare in quella che era diventata la sua stanza preferita di quella casa. Da quando l'aveva aperta per mostrargliela, Harry non aveva più richiuso la porta di quello che considerava un po' il suo ufficio di lavoro. E Louis, non poteva che esserne grato perché, nonostante il più giovane si ostinasse a tenere nascosti i disegni che creava al momento, poteva così ammirare le sue vecchie opere. In particolare, Louis, adorava perdersi tra i vari schizzi ancora incompiuti, quelli appena accennati, e cercare di capire ciò che Harry avrebbe voluto rappresentare.

Anche quella volta stava per estrarre da una cartelletta una delle sue vecchie tele ma, nell'abbassarsi, scorse una piccola scatola di cartone, ricoperta da della tempera rosa, sulla quale vi erano poi stati disegnati numerosi fiori.

Non ci pensò un secondo di più a sedersi a terra e aprirla, corrucciando la fronte per ciò che vi trovò all'interno. Si trattava di varie foto, alcune in bianco e nero e altre a colori, che ritraevano lo stesso soggetto.

Harry.

Ne presa qualche d'una in mano, sfiorandole attentamente e rimanendo sorpreso nel vedere Harry portare i capelli lunghi. In giro per casa, non gli era mai capitato di trovare una foto che lo ritraesse in quel modo.

Non che il ragazzo riempisse casa sua con fotografie, anzi. Doveva averne giusto un paio di famiglia in soggiorno e niente più, ma.

Stava di fatto che trovava gli donassero molto. Davvero molto. Incorniciavano il suo volto che, nonostante il passare degli anni, sembrava essere senza età.

Sorrise nel vederlo ritratto con un basco nero sul capo, tipico dei pittori francesi, che gli donava un'aria professionale; o immortalato mentre gli tagliavano i lunghi ricci color cioccolato; o, ancora, seduto a terra, con i piedi scalzi e una bandana arrotolata attorno al capo, mentre accarezzava quello che aveva tutta l'aria di essere un cucciolo di Terranova nero, impegnato a leccargli il viso.

Gli mancò il fiato quando si ritrovò tra le mani un primo piano mozzafiato del più giovane. I capelli corti a liberargli il volto, impreziosito da un paio di occhi brillanti e magnetici, annacquati dalle lacrime, e da un sorriso splendido.

Sfiorò con le dita la lacrima che gli rigava la guancia, le piccole rughe d'espressione attorno agli occhi e il contorno delle labbra.

Era certo di ritrovarsi davanti alla più bella di tutte le opere d'arte.

Si accorse poi, in controluce, che ci fosse qualcosa appuntato sul retro della fotografia.

Si trattava di una frase scritta a mano, in una calligrafia abbastanza ordinata.

He had beautiful eyes.

The kind you could get lost in.

And I guess I did.

Louis si morse forte il labbro inferiore.

Nello stomaco una strana sensazione, una specie di nodo stretto.

Voltò nuovamente la fotografia, lasciando che gli occhi di Harry catturassero i suoi, ancora una volta.

Le parole riportate sul retro, non potevano essere più veritiere e adatte al soggetto; tuttavia, non poté fare a meno di domandarsi chi le avesse scritte e, soprattutto, quale fosse il legame che lo connetteva a Harry.

Riusciva chiaramente a percepirne l'intensità, intrappolata fra quei vocaboli, per sempre impressi su carta.

Si risollevò da terra, mantenendo la scatola fra le mani e indirizzandosi nuovamente in soggiorno, per ammirare tutte quelle fotografie comodamente seduto sul divano.

Quando però Harry si voltò nella sua direzione, i suoi occhi vennero immediatamente catturati da ciò che il ragazzo teneva in grembo.

Liquidò Liam, avanzando verso il divano e strappando di mano la scatola aperta a Louis con tale veemenza, da farlo sussultare sul posto.

«Non toccarla!» inveì con foga «Non permetterti mai più».

Chiuse la scatola, respirando affannosamente e stringendosela al petto, come se fosse appena stato violato il suo segreto più grande.

Louis era certo di non averlo mai visto così vulnerabile come in quel momento: i suoi occhi terrorizzati e le mani che tremavano.

«Harry, scusami. Io... stavo solo curiosando tra i tuoi disegni, come sempre» si premurò di rassicurarlo subito.

«Smettila di farlo, allora» alzò ancora la voce, sorprendendolo. «Sono cose personali e tu devi starne fuori!».

Gli strappò dalle mani anche la fotografia raffigurante il suo primo piano che Louis ancora reggeva tra le dita, prima di riporla all'interno della scatola e dirigersi verso la stanza da lavoro.

Il maggiore gli fu subito dietro.

«Si può sapere cosa ti è preso?»

«Devi imparare a non impicciarti degli affari altrui, Louis. È irrispettoso» lo ammonì, aprendo un cassetto della scrivania e riponendovi all'interno la scatola.

«Vorrei ricordarti che ti avevo chiesto il permesso di entrare qua dentro e guardare i tuoi disegni» precisò «Proprio perché non volevo potesse essere un problema per te».

Gli occhi di Harry lo bloccarono sul posto.

«Ti sembravano dei miei disegni, quelli?»

«No, ma - »

«E allora non li dovevi toccare!»

Sbatté con forza la mano sul tavolo della scrivania, imprecando poi a denti stretti per il dolore che si era provocato.

Louis si ammutolì, stringendo le labbra in una linea retta.

«Tornatene a casa, Louis. Voglio stare da solo».

«Penso tu stia esagerando».

A Harry scappò un sorriso nervoso.

«Tu non sai niente».

«Se, magari, provassi a spiegarmi. Anziché comportarti come un pazzo» sbuffò il maggiore, scostandosi il ciuffo di capelli dagli occhi.

Harry tornò a guardarlo.

«Non ti devo proprio niente, Louis. Non sei il fidanzato geloso che può avanzare pretese che chiaramente non hai, visto che non siamo nulla».

Quelle parole lo ferirono più di quanto avrebbero dovuto. Non si considerava il fidanzato di Harry Styles, né aveva la presunzione di pensare che tra loro ci fosse qualcosa, nonostante ciò che era successo nello Yorkshire. Però pensava che almeno un rapporto di amicizia, ormai, ci fosse. Dopotutto era stato proprio Harry a tornare a cercarlo, dicendo di volerlo considerare come tale.

«Non sarò niente per te, ma allora, la prossima volta, tieni le tue cazzo di mani al loro posto» sputò risentito, uscendo dalla stanza.

Harry si massaggiò il ponte del naso, sospirando profondamente e cercando di fermare ancora il tremolio alle mani. Poi, prima che Louis riuscisse ad arrivare all'ascensore, lo seguì, richiamandolo a gran voce.

Ovviamente non ottenne alcuna risposta.

«Louis!» lo richiamò «Fermati, cazzo!»

«Non rivolgerti a me in questo modo!» lo ammonì il ragazzo, voltandosi.

I suoi occhi azzurri erano così feriti che gli si strinse il cuore.

«Sono... sono scosso» mormorò Harry, passandosi una mano fra i capelli «Non dovevi aprire quella scatola».

«Ok, va bene, l'ho capito. Ti ho detto che pensavo contenesse qualcosa disegnato da te. Come potevo sapere che quella dannatissima scatola fosse off limits?».

Incrociò le braccia al petto, fissando astioso un punto indefinito alla sua destra. In quel momento, bastava solo non incontrare il suo sguardo.

«Forse la mia reazione è stata esagerata, ma - »

«Forse?»

«Dio, ok. È stata esagerata, ma quelle fotografie mi ricordano... » sospirò, scuotendo il capo arrendevole «Mi dispiace, Louis. Vederti girare per questa casa, circondato dalle mie creazioni e così interessato a comprenderle, mi rende davvero felice. Perciò, continua a farlo... te ne prego».

«Però non devo più toccare quelle fotografie» continuò per lui la frase Louis.

Harry accennò un debole sorriso, annuendo.

«Per favore».

«Chi le ha scattate?»

L'artista sbuffò irritato, dirigendosi verso la propria camera da letto.

«Non ricominciare» lo ammonì, tentando di chiudere la porta scorrevole.

Purtroppo per lui, Louis glielo impedì, sgattaiolando all'interno della stanza e sedendosi sul bordo del grande letto matrimoniale.

«C'era una frase dietro una di esse... »

«Louis».

«Chi l'ha scritta?» lo incalzò, senza troppi giri inutili di parole.

«Nessuno».

«Oh beh, devo dire che sei molto credibile dopo la reazione che hai appena avuto».

Harry aggrottò la fronte in uno sguardo severo che rispecchiava perfettamente quello altrettanto infastidito di Louis.

Non amava discutere con le persone. Lui era sempre stato quello che cercava di risolvere le situazioni spiacevoli attraverso un dialogo pacato e maturo. E ciò che stava realizzando, in quel preciso momento, era che odiava discutere con gli altri, ma mai tanto quanto odiava litigare con Louis. Perché, discutere con lui, significava cancellargli dal volto il sorriso che tanto lo contraddistingueva dalla massa, ed era semplicemente qualcosa che non riusciva a fare. Tuttavia, dialogare avrebbe comportato affrontare un argomento che lui non era disposto a condividere con nessun altro.

Allungò quindi una mano verso Louis, in un chiaro e silenzioso invito ad arrendersi entrambi e raggiungerlo, lasciandolo però libero di decidere se accoglierlo o meno.

«Quello che è successo nello Yorkshire» cominciò poi Louis, mormorando flebilmente a capo chino «Non è stato facile lasciarmi andare, Harry. Io... io non mi facevo toccare da qualcuno da circa due anni».

Harry strabuzzò gli occhi, incredulo.

Come era possibile che un ragazzo come Louis, così bello e solare, non avesse avuto qualcuno al suo fianco per così tanto tempo?

«Ho alle spalle una relazione in cui credevo fortemente, con un ragazzo per il quale avevo letteralmente perso la testa. Al punto da non riuscire a vedere che, mentre io gli donavo ogni giorno tutto l'amore che provavo, per lui non ero altro che un bel corpo da possedere e mostrare al suo fianco» si asciugò velocemente la lacrima che scappò al suo controllo, tirando su con il naso «Adesso ho sempre il terrore che i ragazzi mi vogliano esclusivamente per quello».

Harry si morse il labbro inferiore, titubante, poi invitò ancora una volta il ragazzo ad accettare la sua mano.

«Louis... » lo richiamò, facendogli sollevare il capo e potendolo, così, guardare negli occhi «Vieni qui, Louis».

Il ragazzo indugiò ancora un paio di secondi, poi lasciò che Harry lo facesse accomodare sulle proprie gambe.

«Mi sono lasciato toccare perché volevo che tu lo facessi, con la speranza che fosse veramente corrisposto. Perché, davvero, nessuno mi ha mai più toccato dopo Ryan».

La mano di Harry gli accarezzò dolcemente la guancia, ricoperta da un leggero strato di barba, sfiorandogli poi il mento.

«È così che si chiamava il tuo ex? Ryan?»

Louis si limitò ad annuire.

«Non ha idea di cosa si è lasciato scappare» asserì, posando le labbra contro l'angolo della sua bocca e depositandovi piccoli baci «Il fiore più bello».

Louis serrò istintivamente gli occhi, tremando e sospirando profondamente, mentre si aggrappava stretto alla maglia bianca di Harry e lasciava che quelle parole gli accarezzassero il cuore.

«Lo volevo anche io, Louis. Non ho pensato neanche un secondo di voler semplicemente usare il tuo corpo» lo rassicurò, avvolgendogli le braccia intorno al busto.

«Chi è che ti ha dedicato quelle parole, Harry?» insistette ancora il ragazzo.

Quando aveva letto quella frase, si era indubbiamente trovato d'accordo con essa, e subito gli erano venute in mente le parole che lui stesso gli aveva rivolto durante la loro visita al parco.

Sto cominciando a pensare che un giorno vorrei vedermi attraverso i tuoi occhi. Probabilmente mi amerei di più.

Possibile che un paio di occhi riuscisse a far impazzire così tante persone?

Harry abbassò a sua volta le palpebre, posando la fronte contro la sua guancia.

«Sei sempre così insistente?»

Riuscì a strappargli un sorriso.

«Abbastanza».

Sorriso che si allargò quando Harry gli morse piano la guancia e «Baciami e basta, Louis» disse, assaporando quello stesso sorriso con le proprie labbra.

Louis decise che, per quella volta, poteva lasciar cadere la questione.

****

La serata a tema realizzata al pub di Niall, si stava rivelando grandiosa come tutti avevano presupposto.

Il ragazzo si era dato un gran daffare ad allestire il locale in modo che potesse richiamare a pieno l'atmosfera esotica delle Hawaii, con il risultato che il pub fosse, quella sera, un vero e proprio tripudio di colori.

Lanterne luminose pendevano dal soffitto; tovaglie colorate erano state depositate su ogni tavolo e poi contornate con della rafia, per riprendere le tipiche gonne indossate dalle donne delle isole; lungo il bancone, e al centro di ogni tavolo, erano stati disposti dei centrotavola quadrati contenenti frutti esotici; una grande tavolata era stata allestita con stuzzichini di ogni genere, tra i quali spiccavano degli invitanti spiedini di frutta. A completare il tutto, tipiche musiche hawaiane riempivano il locale e allietavano la serata.

Barbara e Gemma, per l'occasione, avevano creato delle bellissime collane floreali, che venivano poi donate ai clienti non appena facevano il loro ingresso. Perché, ovviamente, era stato anche richiesto di vestirsi il più fedelmente possibile al tema della serata, anche se non vi era alcun obbligo di dress code.

Niall, da perfetto padrone di casa, aveva indossato una fantasiosa camicia floreale e, da buoni amici, anche Louis e Harry avevano deciso di imitarlo. Camicie molto carine e simpatiche. Tranne quella dell'artista che era sì carina – molto carina – ma per nulla simpatica, a detta di Louis. Perché non c'era nulla di simpatico nel vederlo indossare una camicia praticamente sbottonata, che metteva in mostra il suo petto tatuato e dalla quale sfuggivano, di tanto in tanto, anche i capezzoli.

Louis era sicuro che, entro la fine della serata, sarebbe impazzito.

«Quindi sei sicuro che Liam arriverà?»

Harry alzò gli occhi al cielo, stanco di sentire sua sorella ripetere quella domanda ogni cinque minuti.

Louis, in piedi al suo fianco, gli sfiorò il retro del collo con una mano, percependolo immediatamente rilassarsi sotto il suo tocco.

«Ti ho già confermato la sua presenza almeno una decina di volte, Gems» la guardò esaustivo «Avrebbe fatto tardi in ufficio a causa di una riunione, ma non mancherà. Ci teneva ad essere dei nostri».

«Chiedevo solamente. Continuo a sperare di non doverlo vedere».

«Certo» borbottò lui, girando la sedia a rotelle e facendo cenno con il capo a tutti di seguirlo fino al tavolo che l'amico aveva riservato loro.

Tutti quanti indossarono la collana che gli venne consegnata e Niall si affrettò a raggiungerli, non appena presero posto.

«Ben arrivati ragazzi, grazie per essere qui. Ci divertiremo!» li salutò allegramente, abbassandosi poi a schioccare un bacio sulle labbra di Barbara «Stai benissimo vestita così, piccola».

Barbara gli riservò un ampio sorriso.

«Grazie. Li abbiamo comprati apposta» spiegò, indicando il proprio abito, lungo appena sopra il ginocchio, con sfondo rosso e decorato da fiori d'ibisco bianchi e una scollatura a cuore che s'intrecciava dietro il collo, e poi quello di Gemma, che aveva invece optato per un modello dalle tinte più scure, che le arrivava fino alle caviglie.

«Siete proprio le clienti ideali».

Subito dopo, due giovani cameriere arrivarono al loro tavolo posando su di esso due vassoi con i bicchieri, ricavati da delle noci di cocco vuote, contenenti i loro cocktails per la serata.

«Abbiamo deciso di prepararne di diversi gusti e sono tutti a base di frutta» li informò Niall, distribuendo ad ognuno un bicchiere diverso.

«Ce n'è per caso qualcuno analcolico tra questi?»

Tutti e quattro gli amici al tavolo guardarono Gemma interrogativamente.

«Che c'è, è così strano richiedere qualcosa che non abbia alcool?»

«Da te sì, sorellina, dato che non ti sei mai fatta di questi problemi» le rispose Harry, a nome di tutti.

«E non me ne faccio nemmeno questa volta. Semplicemente, non mi va e preferisco un analcolico. Se non ne avete, mi prendo qualcos'altro».

«Ma certo che li abbiamo, figurati».

Niall prese il bicchiere e raggiunse il bancone, facendolo sostituire con un altro, che poi porse gentilmente a Gemma, la quale si affrettò a gustarlo.

«Grazie mille. Mmm... questo è davvero buonissimo».

Anche gli altri seguirono allora il suo esempio, rimanendo tutti entusiasti del loro drink.

Trascorsero ancora alcuni minuti prima che Liam facesse la sua entrate nel pub.

Non da solo.

Al suo fianco c'era una ragazza mora e dalla pelle dorata, che risaltava maggiormente grazie al lungo abito bianco a fiori rossi, dalla profonda scollatura.

«Ciao a tutti, scusate il ritardo. Lei è Sophia e loro sono le persone di cui ti ho parlato: Louis, sua sorella Barbara e Niall, il proprietario del pub. Harry e Gemma li conosci già».

«Molto piacere» li salutò Sophia, con un ampio sorriso sulle labbra «Niall complimenti. Questo posto è davvero bellissimo. Spero non vi dispiaccia se mi sono unita a voi, ma Liam mi ha invitata, così... » sollevò le spalle, rivolgendosi a tutti e sorridendo dolcemente.

«Nessun problema, Sophia. Sei la benvenuta qui, come tutti. Avanti accomodatevi».

Da perfetto padrone di casa, Niall invitò i nuovi ospiti a sedersi al tavolo, proprio mentre Liam spiegava ai tre nuovi amici come Sophia fosse una collega dello studio legale.

«E poi, una ragazza in più è sempre ben accetta, dato che noi siamo in costante minoranza».

Gemma riservò un piccolo sorriso a Sophia, cercando di mostrarsi amichevole e di non rendere troppo palese il suo fastidio.

Aveva già avuto modo di conoscerla alla festa che Liam aveva organizzato dopo che era riuscito ad ottenere il lavoro allo studio legale. Era una vecchia conoscenza del ragazzo, in quanto sua compagna di studi all'università, ed era stato proprio grazie a lei, che già lavorava in quel posto, che Liam aveva avuto il coraggio di presentare la sua domanda di praticantato ed era poi stato assunto. Per quello si era sentito in dovere di invitare alla festa anche lei, e a Gemma non era sfuggito il modo in cui la ragazza si rivolgeva sempre a Liam, i tocchi apparentemente casuali che gli riservava, così come gli enormi sorrisi.

Tutto quello era passato in secondo piano all'epoca, dal momento che Liam non aveva occhi che per lei, avendo da poco iniziato i loro incontri intimi. Ma adesso era diverso.

«Hai un vestito meraviglioso, Sophia. E che bel fiore».

Barbara, sempre attenta in fatto di moda, non riuscì a trattenersi dal commentare l'abito della ragazza e a notare il fiore rosso che adornava i suoi capelli.

«Grazie, sei molto gentile. Anche il tuo è molto bello. Il fiore me l'ha regalato Liam» chiarì, voltandosi verso il diretto interessato e sbattendo le lunghe ciglia nere.

«Sempre un romanticone, il nostro Liam».

Niall batté la mano sulla spalla dell'amico che abbassò lo sguardo impacciato, guardando di sottecchi verso Gemma, che lo stava già osservando e che si affrettò a distogliere gli occhi da lui.

«Bella anche la tua camicia, Lì. Immagino quanto siano stati felici i tuoi capi».

Harry ridacchiò ad immaginarsi Liam, nel suo studio da avvocato, vestire per un giorno abiti non professionali, ma bensì quella bizzarra camicia in stile hawaiano, che indossava in quel momento, abbinata a dei pantaloni panna.

«Ah ah, davvero simpatico, Haz. Ovviamente non la indossavo al lavoro. Mi sono cambiato in auto prima di entrare».

Gemma non riuscì a trattenersi dal fare una smorfia al pensiero che Liam si fosse mostrato a petto nudo di fronte a Sophia. Chiusi nella sua auto, oltretutto.

Non si rese conto di aver fatto un rumore fastidioso con la cannuccia, finché non si ritrovò tutti gli occhi addosso.

«Scusate» mormorò imbarazzata, tornando poi a prestare attenzione al liquido contenuto nella sua noce di cocco.

«E guardate un po' che razza di catena abbiamo qui» scherzò poi Niall, scostando i lembi della camicia a Liam e rivelando una grossa catena dorata che gli adornava il collo.

«Dio Liam, ancora con quella catena orribile? Credevo fossero finiti i tempi in cui te ne andavi in giro vestito da vero tamarro».

«Che ci vuoi fare, amico. Mi piace» si limitò a rispondergli, mostrando con fierezza la sua collana.

Gemma sorrise tra sé e sé.

Ricordava bene quel periodo in cui Liam non si separava mai da quella collana così tipica dei rapper e, allo stesso tempo, così poco adatta a lui. Anche lei lo prendeva sempre in giro, soprattutto quando cozzava completamente con il suo abbigliamento – quindi quasi sempre – e rammentava anche le lamentele del ragazzo nel non poterla indossare con i suoi abiti ingessati da avvocato all'ultimo grido.

Peccato, però, che la sua opinione cambiasse completamente quando quel monile fosse l'unica cosa che ricopriva il corpo di Liam durante le loro notti di passione.

Lo sbattere frenetico del gioiello sul suo petto nudo e imperlato dal sudore, mentre si spingeva in lei, era un qualcosa di ipnotizzante.

Scosse il capo e, non appena lo risollevò, una fitta dolorosa s'insinuò nel suo stomaco nel vedere come Sophia avesse posato la sua mano su quella di Liam e ne accarezzasse piano il dorso, facendogli percepire la sua presenza e il suo sostegno, mentre il ragazzo tentava, con modi impacciati, di difendersi dalle prese in giro degli altri. Dorso sul quale faceva bella mostra di sé il tatuaggio della rosa che lei aveva adorato fin dalla prima volta che glielo aveva mostrato.

S'impose di scacciare tutti quei pensieri dalla mente e di distogliere l'attenzione da quei due.

«Allora, Louis, che te ne è parso dello Yorkshire?»

Incrociò le braccia sul tavolo e decise che parlare del fine settimana dei due ragazzi, fosse un argomento sufficientemente interessante per attirare l'attenzione di tutti.

«Bellissimo. Conosco molto bene le campagne dello Yorkshire dato che io, Barbara e Niall siamo di Doncaster. Ma devo ammettere che il posto dove si trova la casa dei vostri nonni è davvero suggestivo. Sembrava quasi di essere in un altro Paese, invece eravamo a sole poche ore da qui. Ci siamo molto divertiti».

Voltò il capo in direzione di Harry, cercando il suo sostegno nella risposta appena data e trovando già su di sé i suoi grandi occhi verdi, carichi di malizia.

Si morse con forza l'interno della guancia, consapevole di quali immagini di loro due stessero passando in quel momento nella mente del più giovane.

«Io di sicuro mi sono divertito molto nel vedere il suo pigiama» esordì, però, Harry, impegnandosi poi in una dettagliata illustrazione del pigiama con le api del maggiore e attirando così su di lui le risate di scherno degli amici.

«Te l'avevo detto che ne dovevi portare un altro, Lou. Ma tu non mi ascolti mai!» lo rimproverò Barbara, socchiudendo gli occhi e sollevando il mento, con quell'aria di superiorità che Louis mal sopportava.

«È comodissimo, oltre che molto bello, e non mi convincerete mai a buttarlo» brontolò lui, offeso, concentrandosi sul proprio drink.

Eventualmente, la mano di Harry che si posava sul suo ginocchio - sotto al tavolo e lontano da occhi indiscreti – lo fece sorridere sotto i baffi.

La serata proseguì tranquilla, con un divertente battibecco tra i fratelli Tomlinson che coinvolse anche il povero Niall - purtroppo per lui - sempre in mezzo tra i due fuochi. E Gemma fu soddisfatta della sua pensata, anche se non riuscì a evitare di lanciare, di tanto in tanto, alcune occhiate furtive in direzione di Liam e Sophia. Giusto per tenere d'occhio la situazione.

Tutto, però, precipitò quando Niall fece allestire dai suoi camerieri una postazione limbo, invitando i clienti a partecipare al gioco.

Barbara e Louis, non ebbero ovviamente possibilità di scelta, soprattutto quest'ultimo che venne portato di peso in mezzo agli altri partecipanti. Perciò, al tavolo rimasero solamente Harry e Gemma, che si rifiutò di unirsi al gruppo quando Sophia, con entusiasmo, prese per mano Liam e insieme raggiunsero gli amici.

Dopo una rapida spiegazione delle regole del gioco, ben conosciuto da tutti, Niall diede inizio alla gara e, una dopo l'altra, le persone iniziarono a piegare le ginocchia e la schiena all'indietro, passando sotto l'asta e cercando di non toccarla.

«Ora ti decidi a dirmi cosa diavolo sta succedendo?»

Gemma mescolò con la cannuccia il poco liquido rosato rimasto nel suo bicchiere.

«Che intendi?»

«Tra te e Liam. Perché diavolo lui è qui con Sophia stasera?»

«Non capisco perché questa cosa dovrebbe essere un problema».

Harry sollevò gli occhi al cielo infastidito; odiava quando Gemma lo trattava come un visionario.

«Gemma evita di prendermi per il culo, per favore. Fino a qualche giorno fa, tu e Liam, eravate solo cuori e fiori, mentre stasera non ti degna di uno sguardo e si presenta qui con un'altra. E non una qualsiasi, ma Sophia, che gli muore dietro dalla notte dei tempi e lui lo sa bene».

Gemma scrollò le spalle.

«Mi sembrava di essere stata chiara, ma evidentemente non è così. Tra me e Liam non c'era nulla, semplicemente ci divertivamo, ma non è che questa situazione poteva continuare in eterno. Tutto qui».

Subito dopo, Gemma distolse lo sguardo, voltandosi ad osservare l'andamento della gara di limbo, ma sentendo su di sé, gli occhi del fratello che la scrutavano indagatori e preoccupati.

Non lo sopportava quando era così esageratamente apprensivo.

«Whoo, vai così Louis, sei grande!»

Quella sua esclamazione, bastò ad attirare l'attenzione di Harry, il cui volto si aprì in un enorme sorriso nel vedere Louis passare l'asticella sempre più bassa.

«Punto tutto su di te».

Si unì anche lui alle urla di incitamento nei confronti del maggiore, fingendo di estrarre dal portafoglio tutte le banconote che aveva con sé, il quale stava dimostrando ottime doti di contorsionismo.

Cosa che non si poteva certo dire per Liam che, al secondo passaggio, crollò rovinosamente in terra, sbattendo il sedere e venendo subito soccorso da Sophia che lo aiutò ad alzarsi e, prendendolo alla sprovvista, gli rubò poi un bacio sulle labbra.

E ok, quello aveva fatto male.

Gemma poteva passare sopra agli sguardi sdolcinati, alle carezze accennate e alle frasi smielate. Ma un bacio, anche se rubato, beh, quello era veramente troppo da sopportare anche per lei.

«Esco a fumarmi una sigaretta» annunciò a Harry, prima di alzarsi dalla sedia e raggiungere l'uscita.

Camminò velocemente fino a svoltare l'angolo e a fermarsi sul lato del pub, posando la schiena al muro e prendendo un profondo respiro.

Ovviamente quella del fumo era stata solamente una scusa per riuscire ad allontanarsi senza dare ulteriori spiegazioni. Perché la verità era che, improvvisamente, le sembrava di non riuscire a respirare e aveva bisogno d'aria.

«Lo sai, vero, che Liam è qui con lei solamente per farti ingelosire».

Erano trascorsi solamente pochi istante, prima che Barbara la raggiungesse all'esterno.

«No, non lo so. E se così fosse, lui si sta comportando da bambino e di lei non mi importa nulla. Sophia è veramente l'ultimo dei miei problemi, fidati».

Barbara le si mise di fronte, scostandole i capelli biondi, dietro le orecchie. «Mi dispiace che la serata sia andata in questo modo, non l'avrei mai immaginato, ma Liam vuole te, ne sono certa. E ok, tra voi è iniziato tutto come una sorta di gioco, ma che male c'è nel provare a vedere se si possa trasformare in qualcosa di serio?»

Gemma le sorrise, grata di aver conosciuto un'amica come lei, ma scosse il capo. «No, B, Liam deve pensare alla sua carriera ora, non a trovarsi una fidanzata. È giovane e deve godersi la vita, non deve pensare ad impegnarsi e a rendere conto ad un'altra persona. C'è tempo per quello. È giusto così».

«Io non ti capisco Gems. Non è giusto che tu prenda decisioni anche per lui, non puoi avere la presunzione di sapere cosa sia meglio o meno. Anche io sono giovane, eppure la mia storia con Niall va alla grande da diversi anni e sarei pronta a sposarlo anche domani, se me lo chiedesse».

Gemma restò in silenzio per qualche istante, limitandosi a calciare i sassolini che sentiva sotto i suoi piedi.

«Forse hai ragione tu, ma ormai non ha più importanza».

«Non parlare in questo modo. Te l'ho detto, non è interessato a Sophia, ne sono sicura».

«Non è questo, non...» Gemma non riuscì a terminare la frase, un nodo alla gola ad impedirglielo e un grosso peso a gravargli sulle spalle.

Era tutto così assurdo, quella che fino a poco prima si era rivelata una bella distrazione nella propria vita, si stava trasformando in qualcosa più grande di lei.

«Gems...» Il suo nome uscì come un flebile bisbiglio dalle labbra di Barbara, quando l'amica si accorse delle sue lacrime.

«Sono incinta» le rivelò a quel punto «Aspetto un figlio da Liam».

Barbara non disse più nulla, conscia che, in quello stato, Gemma non sarebbe stata in grado di sostenere una conversazione e ben sapendo che avesse bisogno di un'unica cosa in quel momento.

Senza indugiare oltre, la prese tra le proprie braccia, e la strinse forte a sé, facendole sentire tutto il suo conforto.


Angolo autrice originale
Mannaggia a me che mi riprometto sempre di pubblicare con un certo distacco ma poi, puntualmente, non resisto.
Anyway... quante cose sono successe in questo secondo capitolo? Tante. Troppe!!
Ve le aspettavate? Vi hanno sorpreso?
Con questo secondo capitolo avete già potuto cominciare a conoscere come sono strutturate le varie coppie:
- Barbara e Niall, i fidanzati storici che rappresentano l'esempio di quell'amore che non si spegne mai e che gettano un po' le basi sicure e solide su cui tutti possono appoggiarsi.
-  Gemma e Liam, che da una relazione nata per caso e per puro divertimento, si trovano ora inguaiati con un figlio in arrivo.
- Harry e Louis, che continuano a scoprirsi giorno dopo giorno e ad approfondire il sentimento che li sta legando; in un'altalena di momenti caratterizzati da tenerezza e passione, sconforto e sostegno, liti e riappiacificazioni.
Mi farebbe piacere che analizzaste un po' il tutto, scorgendo piccoli indizi che ho sparso qua e là per anticipare velatamente il futuro che, in particolare, spetta a quest'ultima coppia, e vi confrontiate con me attraverso domande o semplici ipotesi/opinioni.
Sono rimasta piacevolmente colpita dall'accoglienza che mi avete riservato, sia qui che su Twitter, per questo mio ritorno. Non me l'aspettavo per niente!!
Spero di ripagarvi con una buona storia.
Ci tengo a puntualizzare una cosa: sia nel capitolo precedente, sia in questo (e anche in altri che leggerete più avanti) ho nominato alcuni posti più o meno famosi di Londra che non sono stati scelti a caso. Sono dei luoghi che a me piacciono particolarmente e che, a mio parere, meritano di essere visitati. Anche solo esternamente. Chissà, magari un giorno, quando anche voi sarete là, li ricollegherete a questa storia.
Ci sentiamo presto.
Giu

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