Il ragazzo della 113 | Noah C...

By SthefannyStories

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Le regole alla Columbia University sono poche e precise: puntualità alle lezioni, tenere uno studio costante... More

Cast
Prologo
1. Columbia
2. Frutto proibito
3. Guida Turistica
4. Connie
5. "Siamo amici"
6. Football&Cheesburger
7. Fuoco
8. Questione di fiducia
9. MagBlue's
10. Cappuccino
11. Rissa
12. Tregua
14. Insieme
15. Bacio Rubato
16. Fratelli Protettivi
17. Fratelli giganti e buoni
17. Fratelli giganti e buoni
18. Nostalgia
19. Maglioni imbarazzanti
20. Momenti imbarazzanti
21. Il Ringraziamento
22. Goodbye Brother
23. Auschwitz 1941
24. Giro Turistico In Presidenza
25. Casa Walker
25. Casa Walker
26. Mi affido a te
27. La partita
28. Il ballo
28. Il Ballo
29. Un mare di bugie
30. La verità
Epilogo
SEQUEL
Ringraziamenti
LULLABY

13. Il tuo tocco

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By SthefannyStories


▶️L7NNON - Freio da Blazer


E mentre aspettavo che Isaac potesse mettersi qualcosa addosso, gli diedi le spalle, seduta comodamente sul bordo del suo letto. Iniziai - non sapendo che altro fare - a pigiare sui tasti del mio cellulare, per rispondere al messaggio di Kara appena ricevuto in cui diceva o supponeva il fatto che fossi andata ad un appuntamento con un ragazzo. Non mi avrebbe lasciata in pace per tutta la serata, riempiendomi l'anima con le sue domande indagatorie, lo sapevo. La mia coinquilina, quando capitava, era davvero una spina nel fianco. E quando fui sul punto di schiacciare - con il pollice - il tasto invio, mi arrivò una chiamata proprio da quest'ultima, che mi fece involontariamente alzare gli occhi al cielo. "Kara?" Domandai portandomi l'oggetto elettronico e rettangolare all'orecchio.

"Le supposizioni sono due: o sei uscita a quest'ora per andare a ripassare in Biblioteca come tuo solito, ma non credo che avresti indossato i jeans stretti solo per studiare. E quindi hai appuntamento, il che sarebbe plausibile il fatto che sei senza reggiseno." Ipotizzò senza nemmeno darmi il tempo necessario per ribattere, proprio come una brava giornalista. Me la immaginai mentre teneva in una mano un foglio - con su scritte tutte le sue opzioni in una calligrafia disordinata - e nell'altra il cellulare per tenermi sotto interrogazione, seduta sulla sedia della mia scrivania a girare su se stessa, facendo ondeggiare il solito chignon che teneva disordinato in testa.

Mi alzai dal letto, sempre dando le spalle ad Isaac - immaginandomi che si stesse ancora vestendo - mentre passavo le dita sui capelli, che mi erano caduti in fronte. "È inutile Kara, che continui a tentare. Non fare il detective con me, non ti dirò nulla." Parlai formando sulle mie labbra un sorrisetto alquanto divertita dalla situazione, sentendola sbuffare dall'altro capo della linea. "Che comunque." Mormorai girandomi in direzione di Isaac, trovandolo - fortunatamente - con il petto coperto da una maglia a maniche lunghe - proprio come la mia - che fasciavano perfettamente le sue braccia. "Non porto il reggiseno a prescindere." Aggiunsi non rendendomi nemmeno conto dello sguardo, che il ragazzo della 113 mi riservò, un misto tra un sorpreso e il divertito. Inarcò il sopracciglio sinistro, passando i suoi occhi dal mio viso alla direzione dei miei seni, che mi fece provocare un rossore improvviso sulle guance, tanto da farmi rigirare. Brava Eisel, gran bella figura. Mormorò la solita voce delle mie diverse personalità dalla lingua biforcuta, che non fece altro che farmi darle ragione. Che cosa mi era saltato in mente di dirlo a voce alta, con un ragazzo - non qualunque - presente poi? "Kara, ora devo andare." Sussurrai al cellulare, prima di staccarlo dall'orecchio e riattaccare la chiamata, senza aspettare una risposta da parte sua.

In quel momento avrei potuto benissimo schiaffeggiarmi la testa, per la vergogna che provavo in quel preciso istante. Mi portai tranquillamente le mani - intrecciate - lungo i seni, come a volerli coprire, prima di girarmi nuovamente in direzione di Isaac. Lo trovai a guardarmi con espressione alquanto beffarda sul viso, quasi volesse sottolineare la mia pessima figura appena fatta, ma non proferì parola. Mentalmente lo avrei ringraziato a vita.

Prese dalla superficie della sua scrivania, un borsone nero con il marchio bianco della Nike, probabilmente al suo interno conteneva il necessario per il cambio di vestiti per l'incontro al Blue's. Mise nelle tasche dei jeans neri il cellulare e le chiavi, con un semplice gesto della mano, superandomi successivamente per andare verso la porta. "Andiamo?" Mi domandò voltando la testa per guardarmi, aspettando che lo raggiungessi al suo fianco. Lasciai cadere le braccia, e dopo aver annuito, mi incamminai a passo svelto verso l'uscita della sua stanza.

Erano oramai le dieci di sera e lungo i corridoi della Columbia si aggiravano parecchie persone, probabilmente intente a dirigersi in direzione delle feste studentesche appena iniziate, per dare inizio ad una lunga nottata accompagnati da alcolici e sostanze illegali, per aumentare il loro divertimento. Mentre la sottoscritta, insieme al ragazzo più temuto della scuola erano pronti per avviarsi ad un incontro clandestino e violento, che sarebbe iniziato - all'incirca - in un arco di un'ora. Eravamo estremamente in anticipo, pensai guardando e leggendo l'ora sull'orologio che portavo stretto al polso, cercando di non far caso agli sguardi che ricevevamo dai passanti, probabilmente sorpresi di veder uscire il ragazzo della 113 dalla sua tana in compagnia di una ragazza qualunque. Vidi quest'ultimo rivolgere occhiate fuggitive a tutti coloro che ci guardavano, probabilmente domandandosi del perché di tutte quelle eccessive attenzioni, nonostante fosse oramai abituato per la sua reputazione. Avrei voluto dirgli qualcosa per cercare di distrarlo, ma rimasi zitta, non era il caso. Non ero nessuno.

La sua macchina era parcheggiata in un modo che prendeva metà di due parcheggi e quando alzai la testa per guardarlo, alzò le spalle per poi riabbassarle, giustificandosi con: "Ero di fretta" prima di aprire la portiera e prendere posto del guidatore, appoggiando il borsone nei sedili posteriori e aspettando che facessi lo stesso nel sedile al suo fianco. Mi sedetti comodamente, allacciando successivamente la cintura di sicurezza attorno al mio corpo, sentendo una leggera pressione nei seni, che non mi diede un eccessivo fastidio. "Mi hai detto che l'incontro iniziava alle undici, siamo nettamente in anticipo." Gli feci notare, mentre guardava lui stesso l'orario nel led della macchina.

Arricciò il naso, come a voler trasformare l'espressione facciale in una smorfia. "Dovrei passare prima in un posto." Mi informò iniziando a mettere in moto i motori, cambiando marcia per avviarci nel luogo da lui deciso, di cui non avevo la minima idea di dove fosse. Non mi preoccupai se mi teneva inizialmente all'oscuro, mi aveva chiesto di fidarmi prima di portarmi al Blue's e lo avevo fatto, e in questo momento riponevo in lui la stessa fiducia. Isaac non avrebbe voluto farmi del male, nonostante tutto quello che dicevano sul suo conto. Aveva bisogno che qualcuno potesse fidarsi di lui, nonostante i suoi errori.
E questa dovresti essere tu? Mi domandò la voce di Eisel superiore.
Potrei.

Attraversammo diversi quartieri, superando la sedicesima e la diciassettesima strada del Queens - varcando trenta minuti più tardi, senza rendermene conto, New York - in cui vi erano presenti soltanto villette di Signori e Signore benestanti. Ogni proprietà era circondata da accurati giardini, perfettamente tagliati e verdi, a tal punto che mi sembrarono tinti apposta. I grandi cancelli bianchi circondavano possentemente le proprietà, quasi a voler dire alle persone all'esterno: Attenzione, ricchezza eccessiva.

La mia attenzione fu, invece, catturata da una villetta bordeaux infondo alla strada. Non aveva l'aspetto possente e intoccabile delle altre case appena viste, nonostante si trovasse in un quartiere di qualità. Era di bassa struttura, che occupava grande spazio del territorio presente. Aveva una buona base solida, circondata da un giardino non solo verde e perfetto, presentava altre cose come grandi alberi di Salice piangente e piccoli ed infiniti fiori bianchi di margherite. Aveva tutta l'aria di una casa accogliente, si poteva dire che le erano state rivolte le cure necessarie per renderla meno fredda e meno uguale a tutte le altre. Mi piaceva. Probabilmente perché assomigliava molto alla casa in cui avevo vissuto fino a pochi mesi fa a San Diego, insieme ad Aidan e a mio padre Christopher. Sentii quasi un senso di nostalgia riportando al presente quei ricordi.

Mi domandai mentalmente del perché ci fossimo fermati proprio davanti a questa proprietà, quando la figura minuta di una ragazzina - che avrà avuto sui tredici e quattordici anni - mi attirò completamente l'attenzione. Si stava chiudendo la porta in legno alle spalle, dopo aver fatto uscire da quest'ultima quello che mi sembrava la figura dell'Orso Bruno Charlie. E guardando meglio l'animale, che correva felicemente nel giardino con un pupazzetto in bocca, notai che fosse semplicemente un cucciolo di San Bernardo. Portai nuovamente la mia attenzione alla ragazza, che si sedeva sugli scalini difronte casa, portandosi le ginocchia e le gambe al petto, circondandosi con le braccia. I lunghi capelli neri le si scompigliarono in fronte alla vista del vento, che seduta all'interno della macchina, non potei sentire. Grazie alla luce presente nel porticato, potei notare la pelle dalla carnagione chiara in contrasto con gli occhi altrettanto chiari. Socchiusi gli occhi, per cercare di vedere meglio attraverso la montatura da Miope dei miei occhiali, notando che fossero tra il castano e il verde, circondati da lunghe ciglia nere che le davano lo sguardo da cerbiatta. Quando il San Bernardo le venne incontro per saltarle addosso, alla ricerca di coccole, sfoderò un sorriso che mi scaldò il cuore. Assomigliava - in un modo incredibile- al sorriso di Isaac, almeno in quelle poche volte in cui sorrideva, pensai distogliendo lo sguardo dalla ragazza per riporlo al ragazzo al mio fianco, che continuava a guardare la scena con una espressione quasi affettuosa nei suoi confronti.

E senza darmi le necessarie spiegazioni, lo capì soltanto dalla sua espressione.
Era Connie, sua sorella minore.

E quando la ragazzina, senza "ma" e ne "perché", portò i suoi occhi verdognoli in nostra esatta direzione trattieni il fiato, mentre Isaac aveva pensato già ad accendere il motore per ripartire, dando molta pressione all'acceleratore, facendomi sbattere la schiena contro il sedile alle mie spalle. Guidò rallentando successivamente - in perfetto silenzio - per tutta la durata della strada per il ritorno verso New York, che alla partenza non mi ero minimamente accorta di aver varcato per dirigerci qui nel Queens.

Avrei tanto voluto chiedergli del perché mi avesse portata lì, in un luogo - dette a parole sue - importante, ma non proferii parola, il cuore che - batteva fortemente nel mio petto - parlava perfettamente da sè. Mi portai una mano sul petto, per cercare di placare quei battiti violenti, che mi facevano mancare quasi il fiato. Alzai gli occhi per poterlo guardare, perché in quel momento volevo vedere la sua espressione: guance scavate, zigomi palesemente in risalto, le labbra schiuse e gonfie, e in fine gli occhi verdognoli che guardavano dritto davanti a noi. Mi domandai mentalmente a cosa stesse pensando in quel momento, dopo aver visto la sorella minore. Non potendo vederla tutti i giorni, non gli dava una sensazione di mancanza, di vuoto? Perché non si avvicinava a lei almeno per parlarle, per chiederle se stesse bene. Come riusciva a trattenersi dal strozzarla in un abbraccio affettuoso, che solo un fratello maggiore può fare?

E fu allora che portai i ricordi ad Aidan, che per me, non ci sarebbe mai stato nessuno in grado di poter prendere il suo posto. Era una costante fissa, incapace di poter farmi pensare a qualcun altro come fratello se non lui. Indispensabile, il mio punto di riferimento oltre a mio padre. E mi mancava tremendamente, quella distanza che ci separava a causa dei miei studi, si sentiva davvero. Spiegatemi quindi, come faceva Isaac a star lontano - seppur così vicino - a sua sorella Connie? Deve star lontano dal ragazzo della 113, che ha come fratello. Deve essere felice anche senza di me. Mi aveva detto giorni prima, parlandomi - per la prima volta - di aver una sorella.

Non capiva. Credevo invece che Connie, sarebbe stata davvero felice nel sapere dell'esistenza del proprio fratello. Perché se come amico, nei miei confronti, era così meraviglioso, come fratello lo sarebbe stato ancor più. In un modo o nell'altro gli avrei fatto capire di farsi avanti, doveva riprendersi quella ragazzina che ha come sorella. Ne aveva tutto il diritto, era la sua famiglia.
"Va tutto bene?" Domandò Isaac rivolgendomi uno sguardo veloce, prima di riportare l'attenzione alla strada. Mi piaceva il modo in cui guidava. Era attento e rispettava quasi ogni cartello stradale, che superavamo nei chilometri successivi.

Era lui che aveva visto il suo passato tremendamente vicino, da essersi accorto della sua presenza e veniva a chiedere a me come stessi? Si stava preoccupando per me, notai non potendo far altro che sentire una stretta al cuore. Isaac era fantastico e le volte in cui glielo dicevo, erano rarissime. Come amica facevo davvero schifo. "E tu, stai bene?" Gli domandai sincera. Se avesse avuto qualcosa da dirmi, ci sarei stata per ascoltarlo.

Mi guardò nuovamente, probabilmente non si aspettava di ricevere una domanda alla sua domanda come risposta. "Sento come se, un camion, mi fosse appena passato sopra." Annunciò, facendo echeggiare la sua voce negli angoli bui della macchina. "È stata la prima volta in cui i nostri occhi si sono incrociati. Ho pensato di non poter reggere dalla tensione. Ho paura, che non saprà mai chi sono davvero. Ogni volta è sempre la stessa storia, la guardo e perdo tutto il coraggio che mi porto in partenza." Raccontò con tonalità bassa della voce, quasi a sembrar sofferente mentre me ne parlava. Guardare - con i miei occhi - un ragazzo così temuto alla Columbia, diventare così vulnerabile, mi destabilizzava.

Portai - senza pensarci due volte - una mano sul suo braccio, che teneva saldamente il cambio manuale. Appoggiai il palmo, per poi stringerlo con maggior pressione. "Cerca di fare un passo alla volta, Isaac. Per le situazioni importanti, ci vuole del tempo. Devi imparare a seminare, prima di raccogliere il frutto." Parlai senza distogliere la mano, il calore che emanava la sua pelle mi trasmetteva una sensazione di tranquillità. "Ricorda che per avere una casa accogliente, dovrai prima costruire una base solida. Oggi ti ha notato, nonostante tu sia scappato via, ma è già qualcosa. Un passo dopo l'altro, non affrettare." Cercai di fargli riflettere, mentre notavo i movimenti della sua testa mentre annuiva per più volte. "Se vorrai il mio aiuto, sarò esattamente qui. Non intendevo in macchina, ma al tuo fianco." Aggiunsi con una nota di ironia, ricevendo soltanto un accenno di un sorriso da parte sua, nient'altro. E senza dir altro, distolsi la mano dal suo braccio.

"No, non smettere." Parlò facendomi tenere la mano a mezz'aria. "Il tuo tocco mi tranquillizza."

^~^

Una volta davanti al Blue's scesi dalla macchina, chiudendomi la portiera alle mie spalle. Mancavano una ventina di minuti prima dell'inizio dell'incontro e stranamente, iniziavo ad essere sudigiri. Aspettai Isaac, che nel frattempo, stava prendendo dai sedili posteriori il borsone nero in mano. E dopo aver aspettato che lo affiancassi, ci incamminammo in direzione dell'entrata che - come l'ultima volta - c'era un led ad illuminare l'insegna del luogo. "Qui è sempre così tenebroso." Mormorai fra me e me, riferendomi alla location oscura che ci circondava. Le macchine perfettamente parcheggiate, cerchiavano il locale apparentemente privo di persone all'esterno. L'edificio era apparentemente come lo avevo visto l'ultima volta: vecchio, distrutto e mal curato. Inquietante, lo avevo definito.

"Ti spaventa più ciò che vedi dall'esterno, che ciò che hai già visto all'interno. Hai un modo di vedere davvero particolare." Disse al mio fianco, senza - però - guardarmi. Aveva nuovamente pronunciato quella parola, particolare, come la prima volta in cui ci siamo parlati. Mi piaceva essere particolare per lui, dovevo essere sincera.

E dopo aver bussato, in modo in cui capii fosse un codice, salutai - con un gesto della mano - l'uomo che avevo in precedenza soprannominato Mammut. Mi guardò di sottecchi mentre gli passavo davanti con sguardo divertito, ricevendo un cenno del capo da parte sua. "Non sorride mai?" Domandai ad Isaac, riferendomi a l'uomo che avevamo lasciato alle nostre spalle per dirigerci nei corridoi bui.

"Chi, Dave?" Domandò a sua volta, muovendo il pollice in direzione delle sue spalle. "Non credo che abbia mai avuto, un'espressione facciale diversa dalla solita." Mormorò alzando e riabbassando le spalle, mentre mi limitavo ad annuire. "Stringi la mia maglia, diventa sempre più buio da qui." Mi informò. Allungai una mano verso il suo bacino, per stringere fra le dita il tessuto della sua maglia, che continuava ad emanare il calore della sua pelle. Trattenni il fiato, mi sembrava una cosa così intima, nonostante lo stessi facendo per la seconda volta.

Attraversammo i corridoi silenziosi, sentendo in lontananza i vocii dei presenti che affollavano il locale. Una volta arrivati mi sentii soffocare dalla temperatura umida, che mi entrava scarsamente nelle larici, scendendo lentamente sui polmoni. Era come la prima volta in cui provai a fumare della nicotina, tenendo fra l'indice e il medio una sigaretta decisamente inesperta. Mi sembrava di annusare un misto fra calore delle energie corporee, l'odore delle bibite presenti nei bicchieri nelle mani dei passanti e la muffa presente negli angoli nascosti delle mura. Strano che non me ne fossi accorta la prima volta, quest'oggi mi sembrava tutto più intensificato. La musica sul genere che si avvicinava all'Hip Hop, risuonava nelle casse rettangolari presenti un po' ovunque, facendo muovere i fianchi ad alcune ragazze che accompagnavano i lottatori o i ragazzi. Rimasi a fissare - senza farlo apposta - una ragazza in lontananza, che indossava una maglietta a maniche corte, una gonna in jeans - abbinati a delle calze a rete - e degli stivaletti col tacco. I capelli si muovevano coordinati con i movimenti del suo corpo, che seguivano - in un modo incredibile - il ritmo della canzone.

E senza nemmeno rendermene conto, Isaac si stava già avviando in sua direzione. Le toccò la spalla, facendola smettere di ballare. Quest'ultima guardò il ragazzo con la fronte aggrottata, quasi a voler alzargli una mano per schiaffeggiarlo per averla interrotta, ma si fermò dopo aver capito chi fosse. "Che sorpresa rivederti, erano settimane che non avevo più tue notizie!" Esultò allargando le braccia per stringerlo in un abbraccio, al quale lui ricambiò. "Non dirmi che hai combinato uno dei tuoi pasticci, mettendoti nuovamente nei guai." Continuò una volta staccatasi, lasciando sempre la sua mano appoggiata al suo braccio, che - in un perché inspiegabile - mi diede fastidio.

"Un qualcosa del genere." Si limitò a rispondere Isaac, stringendosi nelle spalle con fare intimidito, facendo cadere la sua mano. E prima che la ragazza potesse aggiungere altro, lui la precedette. "Non fare la sorella maggiore anche con me, hai già Travis da torturare." Aggiunse facendola ridere. Portai il nome del ragazzo appena nominato, alla figura slanciata e riccioluta che mi aveva tenuto compagnia per la durata dello scorso incontro, spiegandomi gentilmente le regole del gioco nonostante le sapessi in parte grazie alla fissazione di mio padre per quel tipo di sport.

"Tj - quell'idiota - se l'è dato a gambe appena mi ha visto. Probabilmente non voleva sentire le mie prediche, ci credi che ha nuovamente lasciato la biancheria sporca in cucina?" Mormorò lasciandosi cadere le mani lungo i fianchi, con un'espressione alterata mentre si guardava in giro, facendo sorridere Isaac. Mi ritrovai a sorridere anch'io standola a guardare, perché ricordava tanto la sottoscritta quando se la prendeva con Aidan, quando disordinava la casa o faceva qualcosa che mi infastidiva, e l'irritazione nei suoi confronti improvvisamente si placcò. "Posso comunque sapere chi è la ragazza con te?" Domandò rivolgendomi uno sguardo alquanto curioso, che mi fece scaldare le guance per l'improvviso imbarazzo.

Allungai una mano in sua direzione, per presentarmi. "Sono un'amica, Eisel, piacere." Mormorai stupendomi di non aver balbettato, solitamente quando parlavo per la prima volta con una persona - di cui non conoscevo - tendevo a balbettare o a fare figuracce da perfetta imbranata qual ero.

Aprì le labbra, colorate di rosa, per regalarmi un sorriso bianchissimo. "Marika, molto piacere." Parlò stringendomi la stretta di mano, voltando il viso verso quello di Isaac. "Davvero molto carina, complimenti." Aggiunse la ragazza portando le mie guance, al culmine del rossore.

"Me lo ritrovo a pensare spesso anch'io." Fu la risposta di quest'ultimo, facendomi aprire gli occhi il più del dovuto. Isaac mi trovava carina? Mi domandai mentalmente, mentre mi ritrovavo a sorridere - come una perfetta idiota - involontariamente. "Mare, ecco Travis." Annunciò il ragazzo al mio fianco, indicando con l'indice una figura slanciata intento a chiacchierare con un ragazzo leggermente più basso di lui. Riconobbi i capelli ricci, che si muovevano fra loro mentre rideva gustosamente, portandosi le mani sul torace.

"Ragazzi, ci si becca più tardi." Disse la sfigura snella e ben proporzionata di Marika, gesticolando verso di noi, con lo sguardo rivolto al bruno."Hei, Tj!" Urlò attirando l'attenzione dei molti presenti, che si trovavano nei dintorni. Travis si girò a guardare, per vedere chi mai avesse urlato ai quattro venti il suo nome ridotto a due lettere, trasformando la sua espressione facciale da tranquilla a terrorizzata. Salutò l'amico - con cui stava precedentemente parlando - con una pacca, per poi svignarsela senza guardarsi indietro. "Brutto figlio di.., torna subito qui!" Aggiunse la ragazza incamminandosi - a passo svelto - verso il fratello, che se l'era svignata facendomi ridere.

"Non vorrei essere al posto di Travis." Mormorai portandomi le braccia intrecciate sul seno, guardando Marika mentre spariva in mezzo agli altri. Quella era davvero uno strano tipo, mi ritrovai a pensare scuotendo la testa.

E poi successe tutto in un arco di un minuto: un bicchiere di qualcuno si era rovesciato sulla mia maglia, precisamente in direzione dei seni, evidenziando - agli occhi altrui - il fatto che fossi - in quel momento - senza la presenza del reggiseno. La maglia, grazie al liquido, si era infatti incollata alla pelle, evidenziando i capezzoli sul tessuto bianco. Davvero? Fu ciò che mi venne in mente, mentre cercavo di asciugare il disastro con una salvietta, che mi aveva dato gentilmente colui che mi aveva versato addosso il liquido. E più strofinavo, più mi rendevo conto del quanto fosse inutile, non si asciugava.

Sbuffai, accidenti!

Guardai Isaac, che nel frattempo aveva fatto sparire quel qualcuno prendendolo per i bordi del maglione, minacciandolo di sparire dalla sua vista. Si, davvero molto gentile. Avrei voluto aggiungere, ma stetti zitta per coprirmi al meglio con le braccia, alla vista degli sguardi perversi dei ragazzi che mi circondavano. "Ehi bellezza, chiamami quando vuoi!" Commentò un ragazzo dalla carnagione scura passandomi di fianco, facendo un gesto telefonico col cellulare, alzando e riabbassando le sopracciglia con fare ammicante. Mi venne un conato di vomito solo al pensarci.

"Vieni con me." Parlò Isaac tenendomi una sua mano, ricevendo da parte mia un'espressione confusa. Dove mai avrebbe voluto portarmi, oramai l'incontro sarebbe iniziato a breve, non poteva allontanarsi. "Ti porto a metterti qualcos'altro addosso, ho un cambio nel borsone. Non posso iniziare l'incontro, con il pensiero della tua maglia appiccicata al petto. Non riuscirei a concentrarmi." Mi spiegò, facendo surriscaldare nuovamente le mie guance. Mi limitai ad annuire stringendo la sua mano nella mia, che - a confronto - era davvero più piccola, e con l'altra cercavo di coprirmi lungo il tragitto.

Lo vidi spintonare qualcuno lungo il cammino, mandando - senza problemi - a quel paese alcune persone che si lamentavano per il suo modo brusco. Avrei voluto dirgli di essere più educato, ma la colpa era soltanto mia per essermi cacciata in quei pasticci. Al diavolo anche i reggiseni!
Continuai a guardare l'intreccio delle nostre mani, delle sue lunghe dita che - grazie al calore che emanavano - facevano diventare meno fredde le mie. Sentii il cuore pulsarmi forte nel petto, quasi a voler uscire dall'interno. Come se stando insieme ad Isaac, fosse cresciuto sempre più. Mi faceva stare bene.

Ti piace, mormorò la solita vocina a cui non dovrei dare ascolto.
Probabilmente, però, quella volta aveva un fondo di verità. Isaac iniziava a piacermi davvero.
Nel suo piccolo mondo di imperfezioni, nei suoi sguardi di chi ne aveva vissuto tanto e aveva paura di darne altrettanto, per non rimanerne ferito. Era temuto per la sua reputazione, per i suoi modi di fare, agire e parlare, nonostante di paure ne avesse molte anche lui. Ma nessuna pareva notarlo. Si porta dietro le cicatrici, aveva detto Travis il giorno in cui mi vide per la prima volta. Possibile che solo io riuscissi a guardare oltre, in quei suoi occhi verdognoli dalla pagliuzze castane che tanto adoravo ammirare? Isaac per me era tutt'altro, che avrei - in un modo o nell'atro - voluto scoprire.

Mi ritrovai stringergli - con una pressione più forte - la sua mano, come per dirgli: sono qui, ricevendo lo stesso gesto da parte sua, che mi fece trattenere il fiato.

Una volta arrivati all'interno di quello che mi sembrava un camerino, mi voltai - dando le spalle ad Isaac - dopo aver preso fra le mani una felpa grigia di due o tre taglie più grandi. E dopo averla indossata notai quanto larga mi stesse addosso, coprendomi perfettamente i seni, i glutei e metà coscia. Sembravo il modellino di una tenda. "È enorme." Mormorai girandomi in direzione del ragazzo seduto su una sedia, con i gomiti appoggiati sulle ginocchia e la testa china, come se stesse pregando.

Alzò la testa facendo cadere i capelli scuri lungo la fronte, mentre alcune ciocche lasciavano lo spazio necessario per farmi ammirare il colore dei suoi occhi. "In effetti, con la mia felpa, sembri ancora più bassa." Parlò muovendo una mano nel mento, portando i suoi occhi scrutatori dalla punta dei piedi alla testa, come per esaminarmi. Certo che stare sotto il sguardo, mi metteva nettamente a disagio. "Dovresti - però - indossare i miei indumenti più spesso quando vieni qui, eviteresti meno questi incovenienti." Disse alzandosi in piedi ed avanzando - di pochi passi in - mia direzione, sovrastandomi con la sua altezza, facendomi sentire davvero piccola nei suoi confronti. Che rabbia!

"Nonostante ciò." Mormorò abbassando il viso in direzione del mio, incastrando le sue iridi verdi nelle mie banalmente castane. Notai ogni particolare del suo viso, come: la ruga che gli si era formata in fronte, le ciglia nere che circondavano perfettamente i suoi occhi, il naso sottile, le guance risaltate grazie ai zigomi esposti, le labbra piene che mi portarono a pensare alla loro morbidezza.
"Mi piaci con la roba mia."

Commenti, alquanto inutili, dell'Autrice:
Ebbene eccomi con, un giorno in ritardo da ciò che vi avevo promesso, un nuovo capitolo.
Spero vivamente che vi piaccia, perché ho passato oltre le quattro ore per poterlo scrivere ed ho le dita schiacciate, hanno tutti una perfetta forma di un pancake.
È quasi l'una e mezza del mattino, ma probabilmente vedrete l'aggiornamento verso mezzogiorno o giù per le due del pomeriggio, perché non avendo internet, usufruisco del Wi-fi del locale in cui lavoro.
Datemi gentilmente un vostro parere su quanto avrete appena letto, sarei molto felice nel leggere i vostri commenti, che mi fanno sempre molto piacere. Le critiche, se non offensive, mi serviranno per maturare e migliorare la scrittura sempre molto carente.
Perdonatemi per gli errori, nonostante le mie continue previsioni, mi capita spesso di non adocchiare qualche errore clandestino fuggitivo.
Personaggio preferito fino ad ora?
Personaggio più simpatico o non?
Sarei curiosa nel scoprirlo.
Comunque vorrei gentilmente esprimere un mio parere: la mia storia probabilmente non ha ancora un "ma" e né un "perché", nonostante vogliate già degli intrighi fra i personaggi. Ma cercate di capirmi, non posso costruire un rapporto sui personaggi basato su due capitoli. Perché credetemi, ho letto qualcosa in cui la protagonista e l'antagonista si promettevano amore eterno dopo aver scambiato un "ciao" e due semplici "come va". Premetto che sarò pure noiosa, ripetitiva e che mi allungo nei capitoli, ma lo faccio per avere una buona base nei rapporti del racconto. Prima bisogna conoscersi e fidarsi, prima di affrettare le cose. Almeno questo è il mio punto di vista. Continuerò con il mio modo di scrittura e mi spiace se ciò non vi piaccia, non posso far altro che restare del mio parere.
Vi aspetto al prossimo aggiornamento.
E niente,
Fanny.

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