Insicura (COMPLETA)

By WinterSBlack

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(Vincitrice Wattys2018 Categoria I Contemporanei) "Questa è la storia di una ragazza dal passato difficile c... More

1. La mia vita
2. Il nuovo compagno di scuola
3. Uscire con Jason Forster
4. La ragazza di Arn
5. Tempo
6. Hebe Daniels
7. Party
8. Sfuriata
9. Uscita tra amici
10. In casa
11. Casa sua
12. La Band
13. La scuola è un campo di battaglia
14. Amica?
15. Scivoloso
16. Nuove compagnie
17. Stomaco
18. Vacanza
19. Giochi
Angolo Autrice
20. Racconti notturni
21. La Casa Stregata
22. Anno nuovo
23. Recita
24. Sfuggire di mano
25. Hakuna Matata
26. Realizzazione
27. Confessioni
28. Avere un ragazzo
28. Dichiarazione
29. Operazione salvataggio cuori infranti
30. Iris Reagan
31. Alla ricerca di un bel regalo
32. San Valentino
33. Errore
35. Lasciare
36. Sul palco per gioco
37. Ansia da palcoscenico
38. Concerto di beneficenza
39. Problemi di comunicazione
40. Boccino d'oro
Special p. 1
Special p. 2
41. Troppo passato per vivere il presente
42. È andata peggio
43. La forza di parlare
44. Stop
Sorpresa

34. Segreti svelati e situazioni risolte

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By WinterSBlack

Angolo Autrice

Mmm, partiamo con qualche spiegazione dell'ultim capitolo.
Dunque, premettiamo che non sto difendendo i miei personaggi, ma mi è sembrato carino spiegare cos'è realmente successo, vi dico:

Prima di tutto, tenete presente che Lance non era di buon umore e diciamo che in biblioteca si è lasciato troppo andare. Quando Azura l'ha rifiutato, ci è rimasto male. E quando lei gli ha detto che lui le piace, gli è sembrato tipo una consolazione. Tipo "Ti ho rifiutato ma guarda che come persona mi piaci." Quindi la sua risposta "okay" era più un "Va bene, ho capito." In quel senso...
parlando di Azura, Beth è diciamo la parte negativa di ciò che è adesso. Beth non lo fa apposta, ma quando c'è lei, Azura si sente ancora un po' giudicata e non può far a meno di reagire di conseguenza. Non che consapevolmente cerchi l'approvazione di Beth.
Detto questo, gustatevi il nuovo capitolo.

«Io credo che abbia una voce sexy.» affermai.
«Mmm, già. Ha una bella voce.» commentò Hebe passivamente.
«Quindi... Alla fine tra te e Tony...» iniziai.
«Siamo amici, niente di più.» affermò la ragazza riprendendosi le cuffie.
«Perché no?» insistetti. La ragazza mi guardò.
«Perché dovrebbe?» mi chiese.
Non sapevo cosa rispondere, perché qualsiasi cosa fosse uscita dalle mie labbra l'avrebbero fatta arrabbiare.
«Hai visto? Gli si vede la ricrescita bionda. Non pensavo fosse biondo.» affermai indicando il ragazzo sullo schermo del telefono della mia amica. Solo per cambiare argomento.
«Mmm» commentò la ragazza. Quel giorno sembrava particolarmente silenziosa.
«C'è qualcosa che non va?» le chiesi avvicinandomi a lei.
La pausa pranzo stava finendo e avevo poco tempo.
Il caos della mensa ci garantiva una certa privacy. Era curioso il fatto che il rumore nascondesse più cose del silenzio.
«Non c'è niente che non va. Perché dovrebbe esserci qualcosa che non va?» esclamò la ragazza scattando in piedi con le guance arrossate.
«Sei arrossita?» Sollevai le sopracciglia sorpresa.
«No!» sbottò.
«Okay...» mi arresi alzando le mani.
Alla mia amica arrivò un messaggio che la ragazza si affrettò a leggere, prima che potessi scorgere solo il nome della notifica.
Sorrise e l'espressione sul suo volto si addolcì.
«Azura, mi fai un favore?» mi chiese voltandosi verso di me. Il suo volto si fece d'un tratto angelico, senza contare il trucco pesante e il nuovo piercing sul naso.
Dovevo aver assunto un'aria sconvolta perché lei disse:«Eddai, non fare quella faccia!»
«Che favore?» chiesi dubbiosa.
«Prendere la mia macchina.» disse mettendomi immediatamente le chiavi in mano.
«Te la presto per un giorno.»
«Lo fai sembrare come se fossi tu a farmi un favore.» affermai roteando gli occhi.
Hebe agitò una mano per sdrammatizzare.
«Sarebbe la buona azione della giornata.» esclamò.
«Ma perché?» chiesi. Hebe si zittì e si guardò intorno con aria circospetta.
«Esco con uno.» mi disse infine.
«Cosa?» esclamai emozionata.
«Zitta! Che hai da urlare?»
«Scusa, abbasso la voce. Ma dimmi. Non è Tony?»
«Perché dovrebbe essere Tony? Te l'ho detto, a lui piace già un'altra ragazza.» mi liquidò lei.
«Allora spero solo non sia Diamond Tromp.» affermai.
«Perché d'un tratto questa stramba idea?» mi chiese.
«Ti ricordi che ti ho detto che Tony le interessava, no? Insomma, prima di tutta questa storia con Jason e del mio allontanamento.»
«Correggiti. La tua purificazione.» Hebe mi puntò un dito in faccia che scacciai con una mano.
«Stare accanto a te dovrebbe rendermi più pura?» ridacchiai.
«Sì. Sei ripulita dalla merda sociale. Ora, sei ancora in riabilitazione, perciò è buona cosa che ascolti questa saggia ragazza.» disse appoggiandosi una mano sul petto fieramente facendomi ridere.
«Sì, certo. Comunque non cambiare discorso. Con chi esci?» chiesi incuriosita.
«Theo.» affermò lei bevendo un sorso d'acqua.
«Theo? Theo Theo?» chiesi confusa.
Lei annuì.
«Ma il Theo buffo e impacciato che conosciamo entrambe? Allwell?» insistetti.
Lei annuì ancora.
Boccheggiai stupita.
Mi aveva appena detto che entità differenti che uscivano assieme. Era come se la luna uscisse con una stella cadente.
Poi mi ricordai delle parole di Beth. Anche lei pensava che io e Lance venissimo da due mondi differenti. Era davvero così? Due persone troppo diverse non potevano stare assieme?
«Ma...» iniziai.
«Mi piace. È tanto carino e mi piace ascoltarlo.» disse sorridendo.
Il suono della campana mi impedì di farle altre domande, ma accettai di occuparmi della sua auto.

Fino alla fine della scuola, non vidi Lance. Non avevamo lezioni in comune quel giorno e non sapevo nemmeno se fosse venuto a scuola.
Non credevo veramente a ciò che avevo detto davanti a Beth.
Appena ci fummo allontanate mi ricordai che ero troppo debole caratterialmente per potermi prendere ciò che volevo. O meglio, chi volevo.
«Non torni a casa con noi oggi?» mi chiese Arn raggiungendomi al parcheggio.
«No. Hebe mi ha prestato la macchina e vorrei poter sfruttare la cosa.» replicai assente fissando il cielo nuvoloso.
«Okay.» commentò il ragazzo sistemando alcuni appunti nello zaino.
«Arn, perché non ti trovi una ragazza?» gli chiesi di punto in bianco. Era sempre sui libri e mi sembrava così triste.
Lui mi guardò.
«Perché devo studiare ed entrare al college.» rispose senza battere ciglio.
«Ma... Non è triste non avere nessuno con cui condividere quel qualcosa di più? Provare sentimenti forti e perdersi nelle sensazioni?» chiesi pensando più a me che a lui.
«Credo che molte persone vadano avanti senza avere un partner di vita. Certo, è bello avere qualcuno da amare in quel modo, ma non è una necessità. Ogni cosa positiva porta qualcosa di negativo e viceversa. Amare costa tanto e io non ho tempo per ciò se voglio consolidare e realizzare il mio futuro.» Arn mi mise una mano sulla testa.
«Ma questo non vale anche per te, lo sai?» aggiunse. «Perché sei tu il problema, non io, non è così?»
«Che stai dicendo? Io ho Jason.» mi liberai dalla sua mano arrossendo.
«Certo, un ragazzo di cui ti ricordi solo quando ti fa comodo.» commentò.
«Non sono affari tuoi.» sbottai.
Le mani di Arn sì alzarono in segno di resa.
«Hai ragione, sei libera di compiere le tue scelte. Comunque so cosa significa provare sentimenti per qualcuno che pensava ad un altro.» affermò. «Ma nel mio caso, io volevo bene anche all'altra persona.»
«Ti riferisci a Carley e Ace?» chiesi.
«Ma loro non si frequentano più.» feci notare.
«Ti ricordi quel periodo in cui Ace faceva il misterioso e sembrava l'uomo più felice del mondo?» chiese mio fratello con lo sguardo perso tra i gruppi di studenti fermi al parcheggio.
«Sì, e ho scoperto di recente che non si tratta della sua attuale ragazza.» risposi.
«Ho scoperto che era Carley. Erano tornati assieme e non volevano farmelo sapere.» mi informò con tranquillità.
«Cosa?!» esclamai incredula.
«Già. Non dovresti essere felice? Hai sempre preferito che fossero loro due la coppia, no?» affermò Arn facendomi sentire in colpa.
«Arn, io non volevo assolutamente insinuare... Solo che siccome a Carley... Scusami, non ho nessun diritto di giudicare o avere opinioni... Sono solo una stupida.» balbettai imbarazzata.
Arn rise e mi diede un buffetto sulla guancia.
«Certo che puoi avere opinioni. Libertà di pensiero e opinione ti dice niente?» scherzò.
«Devo aspettare che arrivi Ace, tu intanto vai, hai progetti per oggi, no? Tra l'altro tra un po' inizierà a piovere.» mi incitò concludendo la conversazione.
Senza sapere che dire annuii e mi diressi verso la macchina di Hebe.
Poco prima di mettermi al volante mi voltai verso Arn e scorsi la sua espressione infelice.
L'amore portava nel paradiso solo se si veniva ricambiati. Per tutti gli altri, è l'inferno.

Quando presi il telefono per cercare qualcuno con cui uscire, realizzai di non avere amici oltre a Hebe. Il mio dito mi continuava a portare sul nome di Lance e poi usciva dalla schermata dei contatti. Ben dieci secondi dopo, ritornava tra i numeri della rubrica e tornava su quel nome.
Dopo otto volte di questo tira e molla, il pollice traditore cadde per sbaglio sull'ideogramma verde e quasi mi cadde il telefono di mano quando iniziò a mettersi in connessione.
Lance rispose troppo velocemente.
«Pronto?»
Da parte mia solo un silenzio carico di batticuore.
«Oh, Lance...» mormorai senza saper che dire dopo secondi imbarazzanti.
«Sai, ti stavo per chiamare io...» ridacchiò.
«Ah! Perché?» squittii emozionata.
«Perché pensavo che dovremmo parlare... Insomma, parlare di ciò che è successo. Ci vediamo da qualche parte?» chiese.
«Sì, mi sembra giusto... Sono ora davanti ad un McDonalds... Quello di Orizon Street. Sono con la macchina di Hebe.» dissi in fretta.
«Okay, allora ti raggiungo.»
«Okay» mormorai.
«Bene»
«Bene.»
«Allora attacco. Poi parto.»
«Va bene.» poi attaccai io. E me ne pentii. Avrei dovuto attendere che attaccasse lui!
Scesi dall'auto e mi diressi verso l'entrata a passo svelto. Aspettare al caldo mi avrebbe fatta agitare di meno, probabilmente. Non capivo nemmeno perché fossi così in fibrillazione. Lo vedevo praticamente tutti i giorni a scuola. Era assurdo e ridicolo da parte mia.
«Quella macchina la conosco.» affermò qualcuno puntando il dito contro l'auto di Hebe.
Mi voltai e vidi un ragazzo che veniva nella mia direzione.
Sembrava più grande di me, probabilmente un universitario. Portava un cappello nero di lana nera e una vistosa sciarpa rossa a righe ocra, che gli coprivano gran parte del volto. La luce del fast food e dei lampioni del parcheggio allungavano la sua ombra sull'asfalto, rendendolo pericoloso ai miei occhi.
Indietreggiai d'istinto finché non andai a sbattere contro la portiera dell'auto.
Il ragazzo si avvicinò e mi ignorò totalmente per controllare la targa dell'auto.
«Ma certo che ti conosco! Eri mia!» esclamò accarezzandola. Poi si accorse di me.
«Te non ti conosco.» affermò.
«No, non mi conosci.» confermai stringendo le chiavi e la borsa al petto.
Sperai che qualcuno si accorgesse della situazione perché non avevo il coraggio di distogliere lo sguardo da quello strano individuo. Non sembrava un drogato o un alcolizzato, però non mi fidavo.
«Però sei scesa da quest'auto.» affermò con un tono che mi fece sussultare il cuore dall'ansia.
«Sì.» squittii senza essere capace di dire di più. Non volevo fare movimenti bruschi, anche se non mi stava minacciando né con una pistola, né con un coltello.
La mia paura sembrava totalmente infondata.
«Zhur!» esclamò la voce di Lance avvicinandosi a me.
«Lance!» lo chiamai felicemente abbracciandolo sotto il suo sguardo sorpreso. Poi lo presi per mano.
«Lancelot.» commentò il ragazzo.
«Lo conosci?» chiesi scioccata passando lo sguardo dall'uno all'altro.
«Lo conosco?» chiese Lance guardandolo.
Il ragazzo fece un passo in avanti e si abbassò la sciarpa.
«Anche se ci siamo visti solo al matrimonio dei nostri genitori, sono comunque il tuo nuovo fratello.» disse facendo comparire un ghigno sul suo volto.
«Jude...» mormorò stupito Lance.
«Che ci fai in città?» chiese incredulo.
«Incontro vecchi amici.» replicò il ragazzo infilando le mani nella tasca della giacca.
«Hebe lo sa?» continuò l'interrogatorio.
«Non credo gliene fregherebbe, non credi?»
«Già, effettivamente...»
«Scusate l'interruzione, ma che sta succedendo qui?» intervenni.
«Ah, Zhur. Lui è Jude Daniels, il fratello maggiore di Hebe.» lo presentò Lance.
«Jude, lei è Azura.» Jude si avvicinò e mi tese la mano.
«Piacere di conoscerti.» affermò serio. Troppo serio. Anche solo con le luci artificiali si notavano i suoi occhi uguali a quelli della sorella. Ci sarei dovuta arrivare prima.
«Piacere mio.» mormorai.
«Livia sarà felice di vederti. Le è dispiaciuto che tu non abbia accettato i suoi inviti per le feste...» disse Lance. Sembrava vagamente a disagio. Forse perché non sapeva come comportarsi con lui.
«Lo so, ma non avrei mai lasciato papà da solo durante le festività. Ho fatto le mie scelte.» rispose il fratello di Hebe mettendosi le mani in tasca.
«Sarà meglio che vada, i miei amici mi aspettano. È stato bello incontrarvi.» disse educatamente. «Oh, Lance. Non dire a mia madre che sono in città.» poi se ne andò senza voltarsi.
«Il fratello di Hebe? Che strana coincidenza.» mormorai mentre entravamo al Mc.
«Già. Mi sento sempre in imbarazzo quando c'è lui... Anche se l'ho conosciuto solo al matrimonio dei nostri genitori ed è stato il primo e ultimo incontro... Quindi forse "sempre" non ha senso...» dichiarò mentre facevamo fila per l'ordinazione.
«Hebe ha detto che non ha un buon rapporto con lui.» feci notare.
«Infatti. Però c'è da dire che lei non ha un buon rapporto con nessuno.» ridacchiò.
«Sei proprio stronzo.» affermai divertita.
«Prenditela con lei che si è comportata male dal nostro primo incontro.» sbuffò. «Io ricambio semplicemente il favore.»
«Come biasimarla? Sua madre ha lasciato suo padre per il tuo.» commentai.
«Si scorda però che sono nella sua stessa situazione.» mormorò Lance.
«In cosa posso servirvi?» ci chiese la commessa al nostro turno.

Passammo il tempo a parlare del più e del meno, evitando entrambi l'argomento principale.
Un bambino mi urtò la sedia, ridendo assieme ai suoi amici spensieratamente. Non mi chiese nemmeno scusa.
«Forse è meglio andarcene da qui» disse Lance.
Mi limitai ad annuire.
Una volta all'esterno, camminammo sui marciapiedi, diretti non so dove. Nessuno conduceva, un viaggio senza meta che consumava solo il tempo.
«Ho pensato a quel che è successo in biblioteca.» ebbe il coraggio di iniziare.
«Ci ho pensato spesso.» continuò.
«Anche io... Ma tranquillo, non mi farò strane idee.» dissi in fretta.
«È chiaro... Che... Insomma... C'è attrazione tra noi.» disse. Lo lasciai parlare, temendo di dire qualcosa di stupido.
«Però, penso che nessuno dei due voglia far del male ad Iris o Jason.»
Annuii riluttante. Sapevo dove voleva arrivare e già mi preparavo per il duro colpo. Non gli bastava aver risposto "okay" alla mia dichiarazione?
«Quindi... Tu saresti disposta a lasciare Jason per me?» chiese fermandosi. Mi bloccai anche io e lo guardai incredula.
Lance non mi guardava, teneva lo sguardo basso e le mani nella tasca della giacca. Era l'immagine dell'imbarazzo.
Ci misi un po' a metabolizzare la sua domanda.
«Lance...» balbettai sentendomi il volto in fiamme.
«Scusa. Dimenticati di quel che ho detto, credo di averti veramente frainteso...» affermò agitandosi. Poi fuggì e io non lo inseguii.
Corse letteralmente via da me.
Rimasi per troppo tempo in piedi in mezzo al marciapiede, urtata dai passanti a pensare ad un'unica cosa.
Era successo veramente?

Quella sera, Jason mi chiamò chiedendomi di andare ad una festa.
Ero pronta a rifiutare quando lui mi disse che c'era anche Hebe.
«Hebe?» chiesi incredula.
«Certo! Quindi è meglio che venga anche tu... Anche perché ti devo dire una cosa.» disse.
«Okay» commentai.
Non capivo come potesse Hebe partecipare ad una festa senza avvertirmi. Era un evento più unico che raro.
Seguii l'indirizzo inviatomi dal navigatore.
Guidando per le strade arrivai nel familiare quartiere dei ricchi. Ci ero già stata in quel posto.
«Oh, mio Dio. È casa Bellson.» mormorai fissando quell'enorme villa piena di luci dalla quale usciva una musica assordante.
I cancelli, quella sera, erano aperti ed entrai nel vialetto. Gli altri avevano parcheggiato nel meraviglioso giardino potato con cura della tenuta e così feci anche io.
Chiamai Jason prima di entrare, così da poterlo sentire senza il frastuono della musica.
«Ehi, sono arrivata ed è un casino assurdo qui.» dissi.
«Cosa?» gridò con la musica che pompava in sottofondo.
«Sono qui fuori!» esclamai per farmi sentire.
«Fantastico! Entra!» gridò lui. Alzai gli occhi al cielo e mi diressi verso la tenuta.
Avevo ancora il telefono in mano e avevo tutta l'intenzione di chiamare Hebe quando le porte davanti a me si aprirono senza che bussassi o suonassi al campanello.
Inarcando un sopracciglio entrai a passi lenti. D'un tratto la musica si spense e prima che potessi metabolizzare qualsiasi cosa, qualcosa di viscido mi si rovesciò addosso, riscoprendomi di una sostanza non ben identificata. Però era fredda.
Boccheggiai e tentai di pulirmi gli occhi e quando ci riuscii mi trovai addosso centinaia di flash. Mi coprii inutilmente con le mani.
«Bene bene, benvenuta a casa mia, Azura Clayton.» disse una voce sconosciuta.
Oltre la folla di gente, in cima a delle eleganti scale in marmo c'era una ragazza dai bei capelli scuri che le ricadevano in un lato vestita di un abito splendido che risaltava tutte le sue forme.
Scese con eleganza dalle scale, facendo risuonare i tacchi a spillo.
Quando mi arrivò di fronte venni intimidita dal suo sguardo azzurro e dal sorriso dipinto di prugna.
«Sono Janette Bellson e ora puoi anche piangere.» affermò.
Ma non piansi. Ero troppo scioccata per piangere.
La musica era stata spenta, ma le risate della gente che riprendevano la scena con gli smartphone riempivano l'aria.
«Perché?» chiesi con voce tremante tenendo gli occhi fissi sulla ragazza. Una parte di me sapeva che se avessi guardato gli altri, cercato qualche sguardo o solamente sperato in qualche aiuto, mi sarei messa a piangere sul serio.
«Perché? Perché hai fatto un torto ad una mia amica e le mie amiche non si toccano.» replicò la ragazza. Daia comparve al suo fianco e mi guardò con un sorrisetto soddisfatto.
«Non c'è più Xavier ad aiutarti, vero?» canticchiò.
«Ma cosa...» balbettai.
«Lascia che te lo spieghi, stupida sgualdrina. Di recente, ho conosciuto la cara Janette ed è la sorella di Xavier, lo sapevi? E sai che mi ha detto? Che suo fratello non ha mai avuto una rossa come te per ragazza.
La cosa divertente di tutta questa storia è che sei così disperata e patetica da aver bisogno dell'elemosina di qualcuno.» esclamò Daia facendo ridere tutti. «Janette ha pure detto che suo fratello è una persona gentile, quindi è ovvio che abbia avuto pietà di te. Ma quanto sei patetica?» aggiunse senza lasciarmi tregua.
Il mio sguardo cadde sulla folla e scorsi lo sguardo di Jason. Scuoteva la testa con espressione abbattuta, quasi sofferente, ma non intervenne.
Il mio labbro inferiore prese a tremare, il naso a bruciare e il respiro a mancare. Cercavo di trattenere con tutta me stessa le lacrime, per non umiliarmi di più, ma era faticoso.
«Odio le ragazzine che si credono così intelligenti da usare il nome della mia famiglia per riscattarsi.» commentò Janette mettendosi a posto i capelli bruni dietro le orecchie.
Senza saper che fare mi voltai e mi diressi verso l'uscita a passo svelto, ma prima di mettere piede fuori qualcuno mi spinse e caddi.
Il bruciore mi percosse le ginocchia e le mani, ma quel che mi faceva più male erano le risate dei presenti. Mi sentivo totalmente umiliata.
Tentai di rialzarmi di nuovo ma scivolai sulla melma che mi avevano buttato addosso, aumentando le risate.
Mi alzai di nuovo e cercai di fuggire ma andai a sbattere contro qualcuno.
Alzando lo sguardo mi ritrovai a guardare gli occhi verdi di Metthew Hellman, la cotta di Frannie.
«Azura?» chiese qualcuno che non era lui.
Xavier ci raggiunse poco dopo con le chiavi di un'auto in mano.
Solo sentire il mio nome mi fece scoppiare a piangere.
«Che ti è successo?» chiese guardandomi sconvolto, ma mi abbracciò ugualmente per consolarmi.
Non riuscii a formulare alcuna parola, se non continuare a piangere.
«Qualcosa mi dice che si tratta di tua sorella.» commentò Matthew atono.
Gli avevo macchiato la camicia di melma e stavo facendo lo stesso con Xavier, così mi allontanai per non combinare altri casini.
«Janette? E perché dovrebbe?» esclamò Xavier.
«Ha conosciuto Daia.» dissi tra un singhiozzo all'altro.
«Chi?» commentò Matthew.
«Una tipa. E ora sono diventate migliori amiche? Che cosa ridicola.» sbuffò Xavier alzando gli occhi al cielo.
«Andiamo Azura, non posso permette che ti trattino così a casa mia.» aggiunse prendendomi per mano e trascinandomi nuovamente verso la festa.
«No!» esclamai scivolando via.
«Non... Così sembrerò di nuovo la stupida che si rifugia dietro di te!» esclamai.
«Qual è il problema?» chiese Matthew guardandomi. Quegli occhi verdi erano raggelanti. «Nessuno è forte da solo. È a questo che servono gli amici.» aggiunse precedendoci.
«Ben detto, sensei Hellman!» esclamò Xavier dandogli una poderosa pacca sulla schiena.
«Taci, idiota Bellson» replicò l'altro.
I due ragazzi entrarono in quella casa e io li seguii cercando di essere il più invisibile possibile. Un po' difficile con quella strana sostanza viscida per tutto il corpo.
Xavier saltò sopra un tavolo dei buffet e recuperò un microfono dal nulla ed esclamò:«La festa è finita.»
Tutti gli occhi puntarono su di lui e la musica si spense.
«Vi prego, non andatevene. Vorrei dirvi due cosette prima che lasciate casa mia.» disse passeggiando sul tavolo come se fosse un palco e calciando vaschette di patatine in aria.
«Trovate divertente prendere in giro i miei amici in casa mia?» chiese dando un calcio alla vaschetta del punch alla frutta, il quale si frantumò per terra facendo strillare alcune ragazze.
«Xav, che stai combinando?» lo raggiunse Janette sui suoi tacchi a spillo traballanti.
«Ecco la mia sorellina, l'artefice di tutto!» esclamò teatrale il ragazzo.
«Smettila di metterti in ridicolo! Sei ubriaco?» sbottò la ragazza.
«No, sono più sobrio del solito a dire il vero.» commentò il ragazzo chinandosi verso di lei.
«So che ti sei alleata con una persona con il quoziente intellettivo pari a zero per prendervela con una ragazza ignara di tutto. Avete umiliato una persona davanti a tutta questa gente che hanno abbaiato come cani obbedienti davanti alle vostre azioni immature. Non vi vergognate di ciò?» chiese Xavier alla sorella.
«Io? Tu non hai fatto la stessa cosa?!» sbraitò lei.
«No. Perché in quel caso si è messa in ridicolo lei stessa. La mia era solo una recita e lei ha solo fatto la parte sbagliata. Tutto quel che Diamond Tromp ha fatto, lo ha fatto con le sue mani. Se si è resa ridicola davanti a tutti è colpa del suo ego.» sibilò il ragazzo.
«Ah, perdonami. Sei in questa stanza, non è così?» Il ragazzo si voltò verso la folla e la scandagliò, individuando la colpevole con un dito.
«Eccoti!»
«Smettila Xavier! È una mia amica!» esclamò Janette.
«Oh! Davvero? E dimmi, prima o dopo che ha scoperto che sei figlia di un multimiliardario?» chiese.
Janette non rispose ma strinse le labbra infastidita.
«Jan, io rispetto le tue amicizie, lo sai, però non posso sopportare che qualcuno ti sfrutti solo per prendersi la sua rivincita. Soprattutto se la sua rivincita è una mia cara amica.» affermò.
«Sei uno stronzo Xavier Bellson! Che ti ho fatto?! E poi perché la difendi tanto? Non state nemmeno assieme!» esclamò Daia stufa di prendere batoste.
La folla attorno a lei si allontanò, lasciandola al centro di un cerchio che Xavier individuò facilmente.
«Quando trovo uno scarafaggio in casa lo schiaccio e poi lo faccio sparire da casa mia. E quello scarafaggio non mi ha fatto niente. Se lui mi chiedesse perché l'ho fatto avrebbe più ragione che te.» disse saltando giù dal tavolo. La raggiunse, mentre gli altri gli facevano spazio come se dovesse passare un re.
Si parò davanti a lei.
«Chiunque sfiori i miei amici, non la passerà liscia.» disse severo.
«Ora basta, stai esagerando.» intervenne Jason allontanando Xavier con una spinta mentre Daia iniziava a piangere.
I due ragazzi si guardarono per vari secondi finché Xavier non alzò le mani.
«Hai ragione. Ora andatevene da casa mia. Tutti. Lo spettacolo è finito e il sipario si chiude.» fece un inchino e poi mi raggiunse, prendendomi per un polso. Matthew si tolse la giacca e me la avvolse sulle spalle, prima di voltarsi e andarsene assieme allo sciame di persone che fluiva verso l'esterno. Non ebbi nemmeno il tempo di ringraziarlo che Xavier mi stava portando su per le scale.
«Il bagno grande è infondo a sinistra, altrimenti puoi utilizzare quello di camera mia.» mi disse gentilmente il ragazzo.
«Emh, no. Va bene quello normale.» dissi imbarazzata tirando su col naso.
«Okay, ti procuro un cambio.» mi sorrise sparendo nell'altro corridoio.
«Grazie, Xav.» sussurrai. Ma probabilmente non mi sentì.

P.s. Auguri vecchia! La vecchia sa che è vecchia.

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