Sette anni.

By fedesx

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Avevano immaginato una vita insieme, avevano immaginato di creare una famiglia, costruire casa, e vivere il l... More

chapter one
chapter two.
chapter three.
chapter four.
chapter six.
Epilogo

chapter five.

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By fedesx




Stava trattenendo il fiato Mario quando la porta davanti a se pian piano si apriva. Non sapeva cosa pensare e cosa sperare di trovarci dietro. Sperava di aver sbagliato numero di stanza così che potesse tornare in macchina e guidare verso casa, ma qualcosa dentro lui sperava, invece, che non si fosse sbagliato e che quella fosse la stanza giusta a cui bussare.

Davanti a se si trovò una figura famigliare, lo osservò per qualche secondo prima di riconoscerlo: Paolo. Ma che ci faceva li?

-Mario?- domandò Paolo strabuzzando gli occhi.

-Paolo- sussurrò spostando il peso da un piede all'altro –scusa non volevo disturbare- disse, poi si voltò intento a fuggire da li.

"Che figura di merda, che figura di merda, ma perché proprio io? Ma perché tutto mi deve andare male?" si ripeteva tra se e se toccandosi la fronte con la mano.

-Aspetta- lo chiamò –posso fare qualcosa per te? Cercavi..- esitò –qualcuno?-

Mario lo guardò e notò solo in quel momento quanto alcune sue fisionomie fossero cambiate: i capelli li portava più corti mentre la barba era più lunga e su un castano scuro, il naso ad aquilino come sempre e la faccia da furbetto. Ammise a se stesso che quel viso gli era mancato parecchio in quegli anni, così come la sua amicizia e tutte quelle notti passate fuori dal bar di Claudio a bere vino, fumare e ridere. Paolo fu il suo primo e vero amico a Verona, quell'amico che c'era sempre per te nonostante l'orario o la situazione. Avvertì una fitta al cuore a quel ricordo, ma mandando giù il nodo in gola si riprese muovendo la testa in segno negativo.

-No non ti preoccupare- disse velocemente.

-Ma se sei venuto fin qui ci sarà un motivo, no?- insistette Paolo aprendo gli occhi.

Paolo non aveva mai smesso di sperare, nemmeno un giorno in questi sette anni. Tenne per se questo desiderio, questo sogno, non volendo infastidire o opprimere il suo amico. Ma non riusciva a vedere Claudio con nessuno che non fosse Mario, così era e così sarà sempre. Quindi sperava che Mario, in quel momento, gli dicesse qualcosa, qualcosa a cui aggrapparsi e dare speranza al suo amico. Ma nulla, davanti a se c'era il silenzio più totale e qualche volta negazione.

-Non lo so, non ricordo- Mario si guardò intorno in cerca di una via di fuga, ma non ne trovò nessuna.

-Dirò a Claudio che sei passato allora-

-No- quasi urlò –no, non dirlo io non sono mai stato qui okay? Non deve saperlo, non- le parole gli vennero a mancare –no Paolo, per favore- lo supplicò unendo le mani.

Paolo annuì e invitò Mario nella stanza per scambiare almeno quattro chiacchiere ma quest'ultimo rifiutò subito entrando nel panico, poi lo salutò e spaesato tornò agli ascensori.

Davanti a se la scena era alquanto straziante per Paolo: Mario sembrava completamente indifeso, spaesato, triste, impotente. Era come se avesse voluto fare qualcosa ma non riusciva a trovare il coraggio, o meglio, la forza per farla. Era come se avesse trovato nello stesso tempo il coraggio e la ragione per fare quel passo avanti. Osservò quella figura entrare nell'ascensore e sparire dalla sua vita, le spalle ricurve in avanti e il passo lento. Gli aveva detto di non dire nulla, gli aveva chiesto di non dire a Claudio che fosse passato di li quando invece sembrava urlare il contrario. Poteva farlo? Poteva immischiarsi in questa situazione?

Scosse la testa e chiuse immediatamente la porta: doveva fare qualcosa. Afferrò il cellulare e chiamò immediatamente Claudio.

-Bastardo rispondi!- disse camminando avanti e indietro nella stanza –Claudio? Pronto?-

-Paolo che succede?- si allarmò, ancora con il fiatone.

-Qualunque cosa tu stia facendo corri immediatamente in hotel-

-Che cosa è successo? È Sofia? È successo qualcosa a Sofia?- Claudio andò nel panico e iniziò a correre nella direzione opposta verso l'hotel.

-No, c'è Mario-

Gli bastò dire quelle due parole, e il cuore di Claudio cadde nel baratro.

Un passo.

Poi un altro.

Chiuse la telefonata.

E iniziò a correre veloce verso l'hotel.

*

Mario continuava a scuotere la testa mentre lentamente l'ascensore scendeva verso la hall, sembrava fatto apposta che, ad ogni piano, esso si fermava per far salire o scendere la gente. Era come un segno, come se gli stessero dicendo di rimanere li e aspettare qualcuno. Che cosa gli era saltato in mente? Solo perché aveva sentito una canzone aveva il diritto di creare tutta questa confusione alla sua famiglia e a quella di Claudio? Non poteva, anche se Lorenzo aveva capito, anche se Claudio gli aveva detto di amarlo ancora, anche se lui gli aveva detto di amarlo ancora, nulla poteva cambiare perché ormai i giochi erano già fatti. Sentiva un peso atroce al petto, sentiva di fare la cosa sbagliata e nel contempo sentiva di pensare le cose sbagliate. Tutta quella situazione era un tale casino e Mario si maledì da solo per esserci cascato e aver rovinato tutto, rovinato tutto ciò che con devozione aveva creato in sette anni.

Si, è vero, in questi sette anni aveva pensato parecchio a Claudio, forse più del dovuto, ma è anche vero che nel contempo si era creato la sua famiglia e stava crescendo dei bambini adorabili insieme ad un compagno che infondo amava. In tutte le famiglie ci sono dei problemi, e ciò che stavano affrontando Mario e Lorenzo si poteva risolvere, in qualche modo.

Cercava di convincersi di questa cosa da troppo tempo: come poteva risolvere la sua felicità? Come poteva fare se quello che era il suo compagno e, probabilmente, prossimo a marito, non gli trasmetteva più quella felicità che tanto amava? Domande su domande su domande, Mario non ne poteva più di vivere in quel modo.

L'ascensore arrivò alla hall e sfrecciò a passo veloce fuori dall'hotel in cerca della sua macchina nera, la trovò all'istante e senza pensarci la aprì e mise in moto. Spense la radio, meritava di fare un viaggio in silenzio ma accompagnato solo dalle sue paranoie.

*

Quando Claudio arrivò nella sua stanza in hotel, bagnato fradicio, non trovò altro se non Paolo e Sofia a giocare per terra con delle bambole. Lo guardò con la fronte corrucciata e respirando a fatica a causa della corsa.

-Sofia amore gioca te, io vado a prendere dei vestiti puliti per il tuo papà- aveva detto Paolo indicando con la mano il bagno a Claudio.

Quest'ultimo, dopo aver dato un leggero bacio sulla testa a Sofia, lo seguì togliendosi le scarpe zuppe d'acqua.

-Spero tu abbia una spiegazione a quella chiamata- aveva detto togliendosi la felpa, per poi continuare con il resto degli indumenti.

-Non hai incontrato Mario? Non è andato via da molto- disse passandogli maglietta e jeans.

-No- rispose secco Claudio vestendosi e afferrando un'asciugamani dal mobile del bagno –ti ha detto perché è venuto qui?- domandò strofinandosi i capelli.

Di tutta risposta ci fu il silenzio, poi Paolo scosse la testa: -Non mi ha detto nulla, però era strano. Era come se volesse dirmi qualcosa ma non riusciva. Claudio, devi andare da lui.-

Claudio si mise a ridere, di gusto, descrivendogli dove era stato in quelle ore: aveva corso fino a casa di Mario, inconsciamente senza nemmeno farci caso, e quando si era ritrovato il palazzo davanti al suo naso stentava a crederci. La musica continuava a rimbombargli nelle orecchie non permettendogli di ragionare correttamente. Si era tolto gli auricolari e si era lentamente avvicinato. Fu quando vide i suoi bambini, accompagnati da una signora, che si nascose dietro ad un cespuglio fallendo miseramente nell'intento di non farsi vedere.

-Claudio!- aveva urlato Matteo muovendo la mano in segno di saluto.

Era rimasto abbastanza sconvolto da quella cosa: Matteo, il bambino più piccolo e che raramente parlava o interagiva con la gente, l'aveva riconosciuto e si era ricordato dal suo nome. Rimase fermo sui suoi piedi per un paio di secondi non sapendo che fare. Era come bloccato da quella situazione. Poi si decise a spostarsi e a mettersi in mezzo alla strada, guardò quella signora più attentamente mentre si avvicinava e quasi gli venne un colpo: era la madre di Mario.

-Claudio?- aveva detto, occhi spalancati, quasi avesse avuto una visione –ma che ci fai qui?- domandò restando a qualche passo di distanza.

-Io..- balbettò –sono qui per degli impegni di lavoro- aveva detto distogliendo lo sguardo, dopo vari anni ancora si faceva intimidire da quello sguardo.

Matteo lasciò improvvisamente la mano della nonna e corse verso Claudio, restarono tutti a bocca aperta a fissare quella scena, Eleonora compresa. Lo raggiunse con il suo piccolo passo e alzò le mani in aria in segno di saluto.

-Ciao piccolino- disse abbassandosi alla sua altezza, poi gli passò una mano sulla testa.

-Sei qui per vedere papà? Perché lui non c'è ma possiamo giocare insieme- abbozzò un sorriso, quei sorrisi perfetti che solo i bambini sapevano fare.

Claudio era estasiato da quella cosa, e non riusciva a spiegarsi perché Matteo si comportasse in quel modo con lui. Ne era quasi felice e onorato. Scosse la testa rifiutando quell'invito, e Matteo mise su il broncio. La nonna intervenne all'istante riprendendogli la manina e dicendogli che da li a poco sarebbero saliti in casa a fare della buona merenda. Gli occhi del piccolo Matteo si alzarono e incontrarono quelli di Claudio: verde dentro verde, e quest'ultimo annuì sorridendo cercando di togliergli quel piccolo broncio.

-Devo dire a Mario che sei passato?- aveva chiesto la madre, quasi con indifferenza.

E sentire quelle parole, gli ricordò il passato. I genitori di Mario non erano a favore della sua relazione col figlio, e avevano trattato Claudio sempre con un distacco quasi glaciale. Non seppe mai il perché, non ha mai voluto saperlo e tutto ciò che voleva era l'amore di Mario.

A quella domanda Claudio scosse la testa, poi si schiarì la voce salutando i bambini. Sul viso di Matteo c'era ancora quell'adorabile broncio mentre Eleonora lo salutò con la manina.

-Beh buona vita allora, Claudio- aveva detto la madre di Mario sfoggiando un sorriso, a Claudio vennero i brividi.

-Anche a lei, signora Serpa- poi si era girato, e aveva iniziato a camminare verso la parte opposta.

Paolo non si intromise nel discorso, ascoltò il suo amico mentre si raccontava e cercava di raccogliere le ultime cose da mettere in valigia. L'indomani sarebbero dovuti partire per Verona ed era già in ritardo per preparare i bagagli.

-Cioè la madre di Mario ti ha detto buona vita facendoti un sorriso, ma quei sorrisi bastardi tipo "comunque vada a me non importa"?- disse Paolo seguendo passo passo Claudio che girava per la stanza.

Quest'ultimo sorrise, ma non rispose. Non sapeva che dirgli. Era veramente così quel sorriso? Dopo tutti quegli anni continuava a provare quell'astio nei suoi confronti? Non voleva crederci Claudio, voleva sperare che nonostante tutto la madre di Mario avesse cambiato il pensiero che aveva su di lui. Perché sapeva che ciò che pensava e diceva, alcune volte era dettata dalla situazione frenetica che viveva in famiglia. Perché infondo, ancora, sapeva che quella maschera che aveva indossato per anni era solo una maschera di ripiego e di protezione. Sapeva che, come aveva fatto breccia nel cuore del figlio, aveva fatto breccia anche nel suo. Questo Mario glielo diceva, ma la madre non lo mostrava.

Aveva speso troppi anni per capire questo mistero, e non si sarebbe di certo cervellato adesso per risolverlo. Così, ci passò sopra, scrollandosi quella strana sensazione dalle spalle.

Raccolse gli ultimi vestitini di Sofia e poi chiuse definitivamente la valigia. Era tutto vero, l'indomani sarebbero partiti per Verona e avrebbero lasciato definitivamente quella città.

Quella città che gli fece ricontrare quello che ad oggi e per il resto dei suoi giorni sarebbe stato l'amore della sua vita. Quella città che riaccese i suoi sentimenti, le sue paure e le sue follie. Stava lasciando Roma con la consapevolezza che si sarebbe lasciato alle spalle tutto ciò che provava, si sarebbe lasciato alle spalle l'amore e la felicità e la voglia di lottare. Perché non aveva più senso adesso, e di porte in faccia ne aveva ricevute abbastanza.

Ma se solo ci avrebbe riprovato un'ultima volta, se solo avrebbe insistito e tentato l'ultima volta prima di terminare il tutto e mettere una pietra sopra a questa situazione, sarebbe tornato a casa con più consapevolezza e magari avrebbe ritrovato un senso alla sua vita e la voglia vi viversela al meglio chiudendo definitivamente col passato.

-Vai- aveva detto Paolo sedendosi accanto a lui –vai, tenta un'altra volta, se non va bene saprai che non era destino. Io da domani voglio un Claudio diverso, voglio che riprendi in mano al tua vita e che torni ad essere quel capo rompicoglioni che sei sempre stato- disse dandogli una spallata –lo so che lo vuoi, e forse infondo lo vuole pure lui. Metti da parte tutti questi pensieri, adesso ci siete solo voi. Corri, e riprenditi la tua felicità.-

Claudio lo osservò quasi con stupore, poi lo abbracciò, e quell'abbraccio era vero, sincero ed emanava quell'amore fraterno che provavano entrambi. Claudio guardò Paolo negli occhi e poi scosse leggermente la testa, aveva deciso: la sua corsa era finita qui.

*

Mario parcheggiò la macchina sotto casa e tirando fuori le chiavi scese avviandosi verso essa. Sentiva già i bambini urlare dalle scale e chiuse leggermente gli occhi preparandosi alla sfuriata che avrebbe fatto di li a poco sua madre. E così fu. Chiuse la porta alle sue spalle e i suoi bambini gli andarono incontro attaccandosi alle sue gambe.

-Papà!- urlarono entrambi stringendo sempre di più.

Riuscì ad abbassarsi e li abbracciò forte, poi li prese entrambi in braccio avviandosi verso il divano dove vi cadde di spalle facendo ridere ancora più forte i bambini che iniziarono a fargli il solletico. L'abitacolo si riempì di grosse risate ed era ciò che serviva a Mario: tornare alla realtà. Quelle risate, le risate dei suoi bambini, era tutto ciò che desiderava sentire quel giorno, era quotidianità, era famiglia, era amore ed era l'unica felicità che provava. Tutto cessò quando a passo svelto sua madre entrò in salotto mettendosi le mani sui fianchi.

-Dove sei stato? Dovevi venire a prendere in bambini, invece li ho dovuti accompagnare io a casa!- disse corrugando la fronte.

-Scusa mamma, ho avuto.. un imprevisto- disse inventando una scusa, poi adocchiò l'orologio e vide che erano già le sette di sera –bambini alzatevi che devo andare a prepararvi la cena!- ordinò ma né Matteo né Eleonora osavano spostarsi.

Erano buttati completamente sul petto del padre e sorridevano e lo stringevano e non volevano lasciarlo andare; a Mario faceva piacere quella situazione, amava sentire il calore dei suoi bambini addosso, pelle contro pelle. Diede ad ognuno un bacio sulla testa e poi li spostò con la forza, facendogli ancora il solletico e di nuovo quelle risate, il cuore di Mario si colmò di gioia.

Lasciò i bambini nella stanza dei giochi: Eleonora faceva finta di preparare da mangiare mentre Matteo era intento a costruire qualcosa con i Lego. Attivò le telecamere e prendendo il tablet andò in cucina, non lasciava mai i bambini da soli, se fosse successo qualcosa lui doveva sapere. Trovò la madre seduta al tavolo che lo aspettava, le gambe accavallate e le mani che tambureggiavano sul legno. Sapeva che bolliva qualcosa in pentola, sapeva che di li a poco avrebbe detto di tutto e di più, ma non disse nulla e si limitò soltanto a guardargli la schiena. Questa scena durò per svariati minuti, nessuno disse nulla, poi la donna lo salutò e se ne andò.

C'era qualcosa di strano, e Mario lo sapeva. Sua madre non teneva dentro nulla e se aveva qualcosa da dirgli glielo diceva, che facesse male o meno. Aggrottò le sopracciglia pensando a quella cosa mentre grattugiava a mano delle carote. Alcune volte buttava un occhio al tablet per controllare i bambini, ma per il resto era concentrato sulla cena da preparare. Non aveva neanche voglia di dar voce ai suoi pensieri, continuava a dire tra se e se i passaggi da fare, come grattugiare le carote, come marinare la carne, quante patate dovrà pelare per fare un purè che bastasse per quattro persone. Pensava a tutto, pur di evitare l'argomento principale che aleggiava nella sua mente: Claudio.

Pronunciò mentalmente quel nome, e subito dopo lo sentì. Credeva fosse un sogno o solo il frutto della sua immaginazione, ma poi lo sentì di nuovo. I suoi occhi andarono subito al tablet dove Matteo, ancora una volta, pronunciò quel nome: Claudio. Restò di sasso, la grattugia nel lavandino e la carota in mano.

"Pensi lo rivedremo a Claudio?" aveva domandato Eleonora facendo finta di sorseggiare dell'acqua.

"Si! Ci verrà a trovare come oggi" disse Matteo sbattendo le mani sul tavolino.

Mario si bloccò: Claudio era andato a trovare i bambini?

Il cuore iniziò a battergli forte nel petto non riuscendo a capire bene la situazione.

"Dobbiamo ancora giocare insieme" continuò Matteo spostando qualche piatto finto sul tavolino.

Stava per andare in cameretta dai bambini quando Lorenzo entrò dalla porta facendo quasi spaventare Mario. Era talmente spaesato che non si rese nemmeno conto che erano le otto di sera e che il suo compagno era rientrato dal lavoro.

-Ciao- disse Lorenzo appoggiando la borsa davanti al divano.

Osservò Mario con uno sguardo attento, cercava di trapelare da quella faccia sconvolta qualche informazione in più per percepire di che umore fosse. Ma non ci riusciva, era da tempo che non riusciva più a capire da un solo sguardo di che umore fosse Mario. A Lorenzo venne una leggera stretta al cuore a pensare a come le loro vite fossero belle e piene e serene anni e anni fa, a come con un solo sguardo si capivano al volo.

Aveva notato già da tempo questa infelicità da parte di Mario, aveva cercato di trovare rimedio ma nulla era servito. Così si limitava solo ad abbracciarlo, di notte, nel loro letto, magari a farci pure l'amore ma sentiva che tutto era diverso. Non era il Mario di qualche anno fa, lo vedeva e lo percepiva. Ormai anche fare l'amore era diventato monotono, senza nessuna emozione, solo piacere e basta. Il viso di Mario era spento ma si nascondeva dietro ad un sorriso finto.

Alcune volte si fermava a pensare che cosa fosse successo, che cosa lui aveva fatto di così male per creare quel malessere ad una persona così speciale e dolce come Mario. Era colpa sua? Aveva avuto delle mancanze?

Si, forse era così.

Lorenzo lavorava h24, sette giorni su sette, era sempre in giro per l'Italia e più volte lasciava soli Mario e i bambini. Anche a lui dispiaceva quella lontananza: aveva perso tante cose dei suoi bambini, e questo non se lo sarebbe mai perdonato. Ma doveva lavorare per portare a casa ogni mese uno stipendio in grado di mantenere tre persone, una casa in centro a Roma ed un locale. Lavorava sodo per la sua famiglia, e lo faceva pesare a Mario. Forse è stato questo, insieme alla lontananza, a scaturire quel senso di malessere nel suo compagno.

Eppure Lorenzo non seppe fermarsi, e continuò così con la sua vita incurandosi dell'infelicità di Mario. Si, forse era egoista ma a lui stava bene così. Ma era quando vedeva Mario in queste condizioni che si faceva un'analisi di coscienza, un mea culpa, e cercava di sistemare la situazione. Aveva mandato un messaggio quella mattina dicendogli di andare a riprendersi la sua felicità, ovunque essa sia. Forse l'aveva fatto dettato dall'istinto, senza pensarci sopra due volte.

Non si sentivano da allora, Mario aveva visualizzato il messaggio ma non aveva risposto, e ritrovarselo davanti con quella faccia lo spaventava.

-Ciao- aveva risposto poi Mario afferrandogli il soprabito –tra poco è pronto a tavola- poi mettendosi le mani nei capelli si girò tentando di andare dai bambini ma una mano lo fermò.

-Non mi hai risposto- disse semplicemente Lorenzo guardandolo ancora negli occhi.

-A cosa?- domandò confuso non pensando affatto al messaggio di qualche ora fa, ma poi un'illuminazione –ah..-

Cercò di ricordarsi il messaggio, e lasciandosi abbandonare al ricordo ripercorse parola per parola: "So che ne abbiamo passate tante in questo periodo, ma Mario io voglio la tua felicità. Ho imparato a capire i tuoi gesti e mi rendo conto, minuto dopo minuto, che io non ti rendo più felice come un tempo. Forse perché hai raggiunto una consapevolezza che reprimevi da tempo, forse perché hai semplicemente capito che la felicità è altrove. Io voglio questo: che tu sia felice e che tu sorrida sempre, mi sono innamorato di questo uomo, non dimenticare. I bambini capiranno, loro vogliono solo la tua felicità. E quindi cosa aspetti? Vai a riprenditela, io ti guarderò essere felice e ti starò accanto sempre perché hai un pezzo del mio cuore."

-Lorenzo, io..-

-No- disse alzando un dito per poi premerglielo sulle labbra –ascoltami, io so di aver peccato abbastanza in questa relazione negli ultimi periodi. So che ci sono state tante mancanze, e forse è quasi sempre stata colpa mia e del mio lavoro e dei miei viaggi. Ma vedi, io ti amo e mi distrugge vedere l'uomo di cui sono innamorato vivere una vita infelice. E ad oggi ho la conferma di non essere l'uomo giusto, e per uomo giusto intendo quella persona che ti rende felice, ma veramente felice. Di quella felicità che faresti invidia al mondo. E io, Mario, vorrei vederti solo felice, spensierato, sereno, e con la voglia di vivere che avevi anni fa. Evidentemente non sono io quella persona, ma penso di aver intuito chi potrà essere e io voglio che tu vada a prenderti quella felicità smarrita-

Lo fissava intensamente negli occhi, e a Mario quasi venne un colpo. Quelle parole erano tutto ciò che lui voleva sentire al momento, gli davano conforto e serenità e, finalmente, libertà. Ma continuava a pensare a quelle due creature che giocavano in modo innocente nell'altra stanza, nominando Claudio a buffo. Non poteva, non poteva assolutamente rincorrere la sua felicità se questo comportava la sofferenza di quei due bambini. Non meritavano due genitori separati, quella non era la vita che voleva per loro.

-Lo sai che non è possibile- disse semplicemente, senza confermare o distruggere nulla.

-Matteo ed Eleonora? Mario, ma quando capirai che se i bambini ti vedono felice loro sono di rimando felici?- aveva detto piegando la testa ed accennando un sorriso.

Ma Mario scosse la testa, ormai si era messo di punta su quel pensiero: non voleva ferire i suoi bambini.

-Vado a finire di preparare la cena- aveva detto, la voce provata, ed era tornato in cucina.

Se non fosse stato per i bambini che animavano l'atmosfera, la cena si sarebbe svolta in completo silenzio. Mario mangiava poco e aveva una cera bruttissima in volto mentre Lorenzo era interessato alla conversazione dei suoi bambini, interagendo e ridendo creando delle battute. Gli descrissero la loro giornate, di come giocarono felici all'asilo e di come papà Mario si era dimenticato di andarli a prendere, così la nonna li aveva accolti in casa sua per poi portarli nella loro di casa.

-Ho visto Claudio!- esordì Matteo felice, a Mario cadde la forchetta nel piatto creando un rumore assordante.

-Come?- aveva chiesto Lorenzo.

-Si era nascosto nel cespuglio- disse ridendo e mettendosi le mani sulla bocca –ma io l'ho visto! Non si è fermato a giocare con me anche se lo volevo- mise su un finto broncio –tornerà?- domandò con una strana luce negli occhi.

Lorenzo guardò Mario, lo sguardo basso ed imbarazzato, non sapeva che dire e che cosa fare.

-Tornerà papà?- chiese di nuovo, insistendo e, questa volta, guardando Mario.

Sarebbe tornato? No, quindi era inutile fingere.

-No amore, non penso- disse semplicemente, poi si alzò da tavola ed iniziò a sparecchiare.

Il viso del piccolo Matteo si rabbuiò e smise di parlare. Era incredibile come cambiasse improvvisamente umore. Ma fu quando sua sorella Eleonora lo prese per la manina e lo portò in salone a vedere un film che Mario rilasciò il fiato che non sapeva nemmeno di stare a trattenere.

Tutta quella situazione lo stressava da morire, eppure aveva la soluzione a portata di mano: rincorrere la felicità, ma non riusciva a farla diventare reale. Matteo e Eleonora erano tutto ciò che c'è di più prezioso nella vita per lui, e sapere di rendergli la vita difficile lo rende ancora più triste. Si era ripromesso di cambiare umore, da domani avrebbe smesso con il muso lungo e avrebbe rincominciato a sorridere come una volta. E tutto questo lo avrebbe fatto per i suoi bambini, perché se stava rinunciando alla sua felicità era per loro.

Sbarazzò il tutto, e lavò le stoviglie in un batter d'occhio, poi iniziò la routine notturna dei suoi bambini: tanti bacini, bagnetto, solletico e la favola della buonanotte. Quella sera toccava a Mario occuparsi di Matteo, mentre Lorenzo era chiuso nella cameretta di Eleonora concentrato a raccontargli una bella storia.

-Allora campione, che storia vuoi letta?- gli aveva chiesto sedendosi accanto a lui nel letto.

-Nessuna voglio che mi canti qualcosa- era una proposta strana, ma Mario l'accolse molto volentieri.

Non era bravo nel cantare, ma a bocca chiusa e creando dei suoni cercava di riprodurre qualche canzone a caso, passandogli la mano sulla testa e in mezzo ai folti ricci castani.

I suoi occhi versi erano aperti e fissi nei suoi: verde dentro nero, e si perdevano. Mario continuava a canticchiare mentre accarezzava il suo bambino che piano piano chiudeva gli occhi, riaprendoli di scatto qualche volta.

-Papà?- gli disse allontanando il pollice dalle sue labbra.

-Dimmi amore- piegò la testa di lato e lo guardò con occhi dolci.

-Ma tu sei felice?-

"Ma tu sei felice?"

Memorizzò quella domanda nella testa, la ripetè mille volte come un mantra non sapendo che cosa dire. Quella domanda l'aveva spiazzato e gli aveva fatto perdere un battito del cuore.

-Perché mi chiedi questa cosa?- aveva chiesto, la testa ancora piegata di lato per vederlo meglio in viso.

-Io vedo che non sei felice, ma io voglio che il mio papà sia il più sorridente di tutti. Mi manca quel papà lì- poi rimise il pollice in bocca, e lo guardò negli occhi.

Mario aprì leggermente la bocca cercando di formulare una frase di senso compiuto ma non ci riusciva. Non sapeva che cosa dire, che cosa fare, come rispondere a quella domanda innocente, ma che forse tanto innocente non era.

Si distese accanto a lui e lo prese tra le braccia continuando a canticchiare quella canzone sconosciuta, gli baciava continuamente la testolina sommersa dai riccioli. L'odore che emanava era il suo preferito: bagnoschiuma e pelle di bambino, soffice, candida, pura.

Quando vide che Matteo si addormentò, sereno e con il peluches attaccato al petto, scese dal letto e uscì dalla stanza chiudendosi la porta alle spalle. Poteva chiaramente sentire la televisione accesa in salotto dove vi era Lorenzo ma al momento non aveva voglia di stare insieme a lui. Sentiva gli occhi pungere e bruciare e sapeva che di li a poco sarebbe scoppiato a piangere, e non voleva farlo davanti a Lorenzo.

Così si avviò verso la camera da letto, si tolse in modo meccanico i vestiti rimanendo con gli slip e una maglia a maniche corte bianca, poi si mise sotto alle coperte aspettando le lacrime che sarebbero emerse a poco a poco. Alzò una mano e si coprì il volto quando iniziò a piangere, silenziosamente, aprendo la bocca per urlare un urlo silenzioso, straziante, allucinante. Un urlo di quelli silenziosi che ti laceravano dall'interno, un urlo di quelli solitari che nessuno poteva ascoltare, nessuno sapeva, nessuno capiva, nessuno poteva accorgersene. Calde lacrime scendevano copiose sul suo viso, non volevano cessare e a Mario andava bene così, perché solo in quel modo si sarebbe sfogato.

Pensava di esserci riuscito, pensava di essere stato bravo a fingere la felicità davanti ai suoi figli. Ma se anche quest'ultimi gli facevano notare il contrario, come doveva comportarsi? Era giusto, allora, lasciare tutto e andare a riprendersela? Poteva farlo? A quel pensiero, altre lacrime scendevano senza sosta dai suoi occhi ormai diventati due pozze rosse.

Ormai era tutto finito, Claudio sarebbe partito l'indomani e sarebbe tornato a casa sua a Verona. Come poteva fare? Anche se sarebbe andato al suo hotel seduta stante, reclamando il suo amore e la sua felicità, Mario lo avrebbe avuto comunque ad una certa distanza e forse non era meglio stare così? Separati, distrutti, ma comunque provando un amore folle?

Si passò distrattamente una mano sugli occhi cercando di calmarsi, ma non ci riusciva. Chiuse gli occhi e in mente gli vennero tutti i momenti passati con Claudio, dal primo sguardo scambiato, dalla prima volta che si presero per la mano, al primo bacio, alla prima volta che fecero l'amore. Penso alla prima volta in cui gli disse che lo amava, alla prima volta che glielo disse Claudio, e poi pensò all'ultima volta che se lo dissero: in quella casa, tra le lacrime, consapevoli che sarebbe stata l'ultima volta. A Mario vennero i brividi in tutto il corpo quando riuscì a sentire Claudio pronunciare quelle parole, erano come un mantra nella sua mente. Poi ripensò all'ultimo bacio, soave, leggero, carico di emozione. Ricordò che tutto il suo corpo si accese a quel contatto che tanto gli era mancato, il cuore aveva ripreso a battere correttamente.

A quel pensiero, ulteriori lacrime lasciarono i suoi occhi, poi tirò su col naso. Cessò immediatamente di piangere quando sentì Lorenzo entrare in camera e distendersi accanto a lui nel letto. Gli dava le spalle e finse di dormire.

Quella notte Mario non riuscì a dormire, continuava a pensare alla situazione e a cosa avrebbe dovuto fare. Claudio sarebbe partito l'indomani, e se doveva fare qualcosa doveva agire immediatamente. Ma poteva? Poteva fare quella cosa?

E se Claudio gli avesse sbattuto una porta in faccia? Come avrebbe reagito? Sempre se ne sarebbe stato capace.

Passò la notte a pensare alla qualunque, alle cose positive e alle cose negative. Più volte aveva avuto l'istinto di alzarsi e prendere la macchina per poi raggiungere l'hotel, ma poi quel pensiero scemava sempre di più se pensava al fatto che sarebbero stati distanti.

Ma cos'è poi la distanza se si prova un reale interesse, un amore reale e vero e forte?

Erano le cinque del mattino quando Mario, guidato dal suo istinto e dopo aver spento il cervello che cacciava solo paranoie, scese dal letto vestendosi in tutta fretta. Lasciò in biglietto a Lorenzo, poi prese le chiavi e salì in macchina e schiacciando l'acceleratore partì in direzione dell'hotel di Claudio.

Era una pazzia, una cosa folle, ma non riusciva a pensare ad altro se non a quello. Aveva passato la notte sveglio, piangendo e disperandosi, e poi aveva capito: la felicità era Claudio, e andava rincorsa.

Lasciò la macchina in doppia fila mentre si dirigeva correndo verso l'interno dell'hotel.

-Mi scusi, Claudio Sona alloggia ancora qui?- domandò col fiatone.

L'impiegata controllò i registri, poi scuotendo la testa aggiunse: -No, mi spiace ha fatto il check-out venti minuti fa, penso sia diretto in stazione.-

Mario sbiancò non pronto a quell'informazione. Ringraziò la ragazza e corse in macchina sfrecciando poi verso la stazione di Termini.

Roma era il caos più totale, anche alle cinque del mattino c'era traffico e questo mandava in bestia Mario visto che era già in ritardo. Controllò con un'applicazione del telefono quali treni sarebbero partiti da li a pochi minuti e sospirò di sollievo quando vide che nessun treno verso Verona sarebbe partito prima delle sei. Ma trattenne ancora il respiro quando adocchiò l'ora: erano le cinque e mezza, e per raggiungere la stazione gli servivano altri venti minuti.

Erano tutti segnali? Era segno che doveva mollare? Raggiungere l'altra metà del suo cuore sembrava così difficile, mille ostacoli di mezzo. Eppure Mario non rinunciava e, sorpassando a destra e a sinistra, riusciva ad avanzare sempre di più. Il cuore batteva forte nel petto, non riusciva a stabilire un battito normale e regolare. Continuava a pensare a cosa sarebbe successo o cosa avrebbe fatto una volta li.

E se, arrivato, Claudio era già partito? E se, dopo aver dato quella conferma a Lorenzo tramite un semplice bigliettino, sarebbe tornato a casa senza l'amore della sua vita? E se? E se? E se..

Mario scosse la testa, non era il momento di pensare in negativo, stava andando contro il suo pensiero, stava andando a riprendersi l'amore di tutta la sua vita, stava andando a riprendersi il suo sorriso, la sua felicità.

Trascorse quindici minuti a trovare il parcheggio, imprecando contro ogni essere umano. Poi scese e correndo entrò dentro alla stazione in cerca del tabellone, il cuore a mille, e poi notò quella scritta.

E se fosse uscito di casa prima?

E se si fosse fatto meno paranoie in quei giorni e avrebbe reagito prima?

E se avesse premuto più forte il pedale dell'acceleratore?

E se avesse trovato parcheggio prima?

E se non fosse destino?

E se, invece, fosse destino?

E se.. e se.. e se.

______________________________________

Buongiorno a tutti!

Prima di tutto vorrei ringraziarvi per i bellissimi commenti che continuate a lasciare, mi fa piacere che la storia vi stia piacendo.

Chiedo scusa in anticipo se ci sono errori di grammatica ma ho scritto l'intero capitolo alle 3 del mattino, ho riletto una volta sola correggendo dove il mio occhio a quell'orario vedeva errori.

Vorrei ricordarvi che il prossimo sarà il capitolo finale, tatatataaaaaan, e poi credo di fare anche l'epilogo.. vedremo!

Spero vi piaccia e, spero, di non impiegarci ancora un mese per postare la parte finale di questa storia.

Grazie di tutto, e fatemi sapere cosa ne pensate.

Un bacio!

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