Cinquanta sfumature di Christ...

By jessy24love

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Vi siete mai chieste cosa pensa Christian quando Ana gli rivela di essere vergine? O cosa succede a lui dopo... More

Cinquanta sfumature di Christian
Il primo Natale di Mr Cinquanta Sfumature
Facendo acquisti da Clayton
La prima volta
Il Cambiamento di Christian Grey
Christian e Ana intimi... di nuovo
L'ira di Grace Trevelyan-Grey
Christian e Anastasia: Ultimo Atto.
Spiegazioni
Novità
Ho bisogno di te come un cuore ha bisogno di battere

Entra in scena Mr Cinquanta Sfumature... L'intervista

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By jessy24love

L’intervista

Lunedì 9 maggio 2011

«Domani» borbotto, e congedo Claude Bastille che è in piedi sulla soglia del mio ufficio.

«Questa settimana si gioca a golf, Grey?»

Bastille fa un sorrisetto arrogante, ben sapendo che sul campo da golf ha la vittoria assicurata.

Gli lancio un’occhiataccia mentre si gira e se ne va. Le parole con cui si è accomiatato sono come sale su una ferita perché, nonostante i miei eroici tentativi, stamattina in palestra il mio personal trainer mi ha fatto un culo così. Bastille è l’unico che riesce a battermi e adesso vuole ciò che gli spetta sul campo da golf. Io odio il golf, ma si fanno parecchi affari tra una buca e l’altra e così mi tocca prendere lezioni da lui anche lì… e, per quanto detesti ammetterlo, Bastille è riuscito a migliorare un po’ il mio gioco.

Mentre osservo lo skyline di Seattle, sono preso dalla solita sensazione di tedio. Il mio umore è spento e grigio come il cielo là fuori. Le mie giornate si susseguono uguali e ho bisogno di qualche diversivo. Ho lavorato tutto il weekend e ora, chiuso nei confini del mio ufficio, sono irrequieto. Non dovrei sentirmi così, non dopo parecchi round con Bastille. E invece… Mi incupisco. La verità, e dovrebbe farmi riflettere, è che l’unica cosa che ha acceso il mio interesse recentemente è stata la decisione di inviare due navi da carico in Sudan. E questo mi fa venire in mente che Ros dovrebbe venire da me con tutti i resoconti dell’operazione. “Che cosa diavolo la trattiene?” Deciso a capire a che gioco sta giocando, do un’occhiata alla mia agenda e allungo la mano verso il telefono.

“Oh, no!” Devo sorbirmi l’intervista con quell’insistente Miss Kavanagh per il giornale studentesco della Washington State University. “Ma perché cazzo ho accettato?” Io odio le interviste, una serie di domande inutili da parte di idioti altrettanto inutili, male informati e superficiali. Suona il telefono.

«Sì» rispondo seccamente ad Andrea, come se fosse colpa sua. Perlomeno posso tentare di far sì che sia un’intervista breve.

«C’è Miss Anastasia Steele per lei, Mr Grey.»

«Steele? Io stavo aspettando Katherine Kavanagh.»

«Qui c’è Miss Anastasia Steele, signore.»

Detesto gli imprevisti. «Falla entrare» dico, brontolando. Mi rendo conto che sembro un adolescente lunatico, ma non me ne frega un cazzo.

“Bene, bene… Miss Kavanagh non è disponibile.”

Conosco suo padre, il proprietario della Kavanagh Media. Abbiamo fatto qualche affare insieme, e mi sembra un professionista accorto e un uomo razionale.

Ho concesso questa intervista per fargli un favore, un favore che ho intenzione di farmi restituire un giorno o l’altro. E devo ammettere che ero anche un po’ incuriosito da sua figlia, mi interessava capire se la mela era caduta lontano dall’albero oppure no.

Un certo scompiglio vicino alla porta mi fa alzare in piedi, mentre un vortice di capelli

castani, pelle chiara e stivali marroni si tuffa a capofitto nel mio ufficio. Alzo gli occhi al cielo e reprimo la naturale reazione di fastidio per tanta goffaggine, mentre mi precipito verso la ragazza che è atterrata con mani e ginocchia sul pavimento. La prendo per le spalle esili e la aiuto a rimettersi in piedi.

Due luminosi e imbarazzati occhi azzurri incontrano i miei, e io mi blocco di colpo. Sono di un colore straordinario – azzurri, ingenui – e per un terribile istante ho la sensazione che lei possa leggere dentro di me. Mi sento… esposto. Il pensiero mi innervosisce. Ha un viso minuto e delicato, e sta arrossendo, un innocente rosa pallido.

Per un secondo mi domando se tutta la sua pelle sia così – perfetta – e che aspetto potrebbe avere una volta arrossata e scaldata dal morso di una verga. “Cazzo.” Caccio i miei pensieri capricciosi, preoccupato dalla direzione che stanno prendendo. “A che cazzo stai pensando, Grey? Questa ragazza è troppo giovane.”

Mi sta fissando a bocca aperta, e per poco non alzo di nuovo gli occhi al cielo. “Sì, sì, piccola. È solo un bel viso, e la bellezza esteriore è effimera.” Voglio togliere quello sguardo d’impudente ammirazione da quegli occhioni azzurri.

“Si va in scena, Grey. Divertiamoci un po’.”

«Miss Kavanagh. Sono Christian Grey. Va tutto bene? Vuole sedersi?»

Di nuovo quel rossore. Sono tornato padrone di me, e mi metto a studiarla. È molto attraente, con quell’aria maldestra. È magra, pallida, con una criniera di capelli color mogano a stento trattenuti da un elastico. Una bruna. Sì, è decisamente attraente.

Le porgo la mano e lei comincia a balbettare una mortificata serie di scuse, mettendo la sua piccola mano nella mia. Ha una pelle fresca e morbida, ma la sua stretta di mano è sorprendentemente decisa.

«Miss Kavanagh è indisposta, quindi ha mandato me. Spero che non le dispiaccia, Mr Grey.» Ha una voce pacata, con una musicalità un po’ esitante. Continua a sbattere le palpebre e le lunghe ciglia ondeggiano sui grandi occhi azzurri.

Non riesco a trattenere un sorriso mentre ripenso al suo ingresso non esattamente elegante nell’ufficio, e le chiedo come si chiama.

«Anastasia Steele. Studio letteratura inglese con Kate, cioè… Katherine… cioè… Miss Kavanagh, alla Washington State University di Vancouver.»

La classica studiosa timida e nervosa, eh? Ne ha tutta l’aria: è vestita in modo tremendo, nasconde la sua corporatura magra sotto un maglioncino informe e una gonna marrone a trapezio. “Non ha il minimo gusto nel vestire.” Si guarda intorno con aria nervosa… Noto con divertita ironia che guarda ovunque ma non verso di me.

Come fa questa ragazza a essere una giornalista? Non ha un briciolo di assertività. Agitata, mansueta, mite… sottomessa. In modo affascinante. Scuoto la testa, un po’ perplesso quando mi rendo conto della direzione presa dai miei pensieri inopportuni.

Mormoro qualche banalità e la invito a sedersi, poi vedo che osserva con occhio attento i quadri appesi alle pareti. Prima di riuscire a fermarmi, mi trovo a illustrarglieli.

«Un artista locale. Trouton.»

«Sono belli. Elevano l’ordinario a straordinario» dice lei con aria sognante, persa nella squisita fattura artistica dei miei quadri. Ha un bel profilo, naso all’insù, labbra morbide e piene, e ha trovato le parole che rispecchiano esattamente quello che sento io. “Elevano l’ordinario a straordinario.” Un’osservazione acuta. Miss Steele è sveglia.

Le dico che sono d’accordo e osservo il rossore che si fa strada sul suo viso ancora una volta. Mi siedo di fronte a lei e cerco di mettere un freno ai miei pensieri.

Tira fuori un foglio di carta stropicciato e un registratore digitale da uno zainetto. Un registratore digitale? “Ma una volta non andavano in giro con i registratori a cassette?”

Cazzo, è così maldestra, fa cadere due volte quel dannato aggeggio sul mio tavolino Bauhaus. È ovvio che non ha mai fatto niente del genere prima, ma per qualche motivo che non riesco a spiegarmi trovo tutto piuttosto divertente. Di solito questo tipo di goffaggine mi irrita profondamente, mentre adesso cerco di nascondere il sorriso dietro l’indice e resisto alla tentazione di metterglielo a posto io.

Mentre lei si agita sempre di più, mi viene in mente che potrei migliorare le sue capacità motorie con l’aiuto di un frustino da equitazione. Usato come si deve, è in grado di rimettere in riga anche il soggetto più recalcitrante. Questo pensiero errante mi fa cambiare posizione sulla poltrona. Lei mi guarda, e intanto si morde il labbro inferiore.

“Cazzo!” Come ho fatto a non accorgermi prima di quella bocca?

«M-mi scusi, non sono abituata a usare questo arnese.»

“Lo vedo, piccola” penso con ironia “ma in questo momento non me ne frega un cazzo, perché non riesco a togliere gli occhi dalla tua bocca.”

«Si prenda tutto il tempo che le occorre, Miss Steele.» Ho bisogno di un altro momento per ordinare i miei pensieri vagabondi. “Grey, adesso basta. Stop.”

«Le dispiace se registro le sue risposte?» mi chiede, con un’espressione candida e speranzosa.

Vorrei mettermi a ridere. “Mio Dio!”

«Me lo chiede adesso, dopo aver tanto faticato per far funzionare il registratore?»

Sbatte le palpebre, e per un attimo ha uno sguardo smarrito. Mi sento leggermente in colpa, un sentimento che non mi è familiare.

“Piantala di fare lo stronzo, Grey.”

«No, non mi dispiace» mormoro, non volendo essere il responsabile di quello sguardo.

«Kate, voglio dire, Miss Kavanagh, le aveva spiegato a cosa è destinata questa intervista?»

«Sì. Apparirà sul prossimo numero del giornale studentesco, dato che alla cerimonia di quest’anno sarò io a consegnare i diplomi di laurea.» Perché cazzo avrò accettato di farlo, non lo so. Sam, l’addetto alle pubbliche relazioni, sostiene che è un grande onore e che il dipartimento di Scienze ambientali di Vancouver ha bisogno di un po’ di pubblicità per trovare ulteriori finanziamenti di entità pari alla donazione fatta da me.

Miss Steele sbatte le palpebre e mi guarda di nuovo con gli occhioni azzurri spalancati, come se le mie parole fossero una sorpresa, e, cazzo… sembra che disapprovi! Ma non si è documentata neanche un po’ prima di venire qui? Queste cose dovrebbe saperle. Il pensiero mi raggela. È… spiacevole, non è certo ciò che mi aspetto, né da lei né da chiunque altro a cui concedo un po’ del mio tempo.

«Bene. Avrei alcune domande da farle, Mr Grey.» Si infila una ciocca ribelle dietro l’orecchio, distraendomi dalla sensazione di fastidio che ho provato.

«Lo avevo intuito» mormoro seccamente.

“Mettiamola un po’ in imbarazzo.”

Compiacente al punto giusto, comincia ad agitarsi, poi si riprende e raddrizza le spalle esili. Si china in avanti, preme il pulsante del registratore e si acciglia mentre abbassa lo sguardo sui suoi appunti stropicciati.

«Lei è molto giovane per aver creato un simile impero. A che cosa deve il suo successo?»

Oh, Cristo! Sono sicuro che può fare molto meglio di così. Che stupida domanda del cazzo. Neanche un briciolo di originalità. È veramente deludente. Tiro fuori la solita risposta sul fatto che negli Stati Uniti ci sono persone eccezionali che lavorano per me, persone in cui ripongo la mia fiducia, che sono ben pagate, bla bla bla.

Ma, Miss Steele, la verità è semplice: nel mio lavoro sono un fottuto genio. Per me è come bere un bicchier d’acqua. Acquisto società in crisi e gestite male e le risano o, se sono casi disperati, le spoglio di tutto quello che può valere qualcosa, rivendendolo poi al miglior offerente. Bisogna solo saper distinguere tra i due casi, ed è sempre questione di chi si trova al comando. Per avere successo negli affari c’è bisogno di gente in gamba, e io so giudicare le persone meglio di chiunque altro.

«Forse ha solo avuto fortuna» osserva lei, con calma.

“Fortuna?” Ho un brivido di fastidio. “Fortuna?” Qui la fortuna non c’entra un cazzo, Miss Steele. Ha un’aria tranquilla e senza pretese, e poi se ne esce

con queste osservazioni! Nessuno mi aveva mai fatto notare che poteva essere una questione di “fortuna”.

Lavorare sodo, portare le persone dalla mia parte, tenerle d’occhio, magari dar loro una seconda possibilità e, se non sono all’altezza del compito, farle fuori senza pietà. “È questo quello che faccio, e lo faccio bene. La fortuna non c’entra niente! Ma vaffanculo.”

Do sfoggio di erudizione tirando fuori una citazione di uno dei miei industriali americani preferiti.

«Lei sembra un maniaco del controllo» mi dice, e ha un’espressione assolutamente seria.

“Ma come cazzo fa?”

Forse quegli occhioni innocenti riescono davvero a leggere dentro di me. “Controllo” è il mio secondo nome.

Le lancio un’occhiataccia. «Oh, io esercito il controllo su tutto, Miss Steele.» “E mi piacerebbe molto esercitarlo su di te, qui e adesso.”

Lei spalanca gli occhi. Quel rossore così attraente le attraversa il viso un’altra volta e si morde di nuovo il labbro. Comincio a divagare, cercando di distrarre l’attenzione

dalla sua bocca.

«Inoltre, se nelle proprie fantasie segrete ci si convince di essere nati per dominare, si acquista un potere immenso.»

«Lei pensa di avere un potere immenso?» mi chiede con una voce sommessa e vellutata, ma al tempo stesso inarca un sopracciglio, rivelando così la propria disapprovazione. Sono sempre più infastidito. Sta cercando deliberatamente di provocarmi?

Non capisco se mi fanno incazzare di più le sue domande o il suo atteggiamento o il fatto di trovarla attraente.

«Ho più di quarantamila persone alle mie dipendenze, Miss Steele. Questo mi dà un certo senso di responsabilità… di potere, se preferisce. Se io dovessi decidere che il settore delle telecomunicazioni non mi interessa più e che voglio vendere, ventimila persone faticherebbero a pagare il mutuo dopo un mese o poco più.»

A questa risposta, rimane a bocca aperta. Comincia ad andare meglio. “Prendi e porta a casa, Miss Steele.” Sento che l’equilibrio sta tornando.

«Non ha un consiglio di amministrazione a cui rispondere?»

«La società è di mia proprietà. Non devo rispondere a nessun consiglio» dichiaro seccamente. Ma questo dovrebbe saperlo. Alzo un sopracciglio con aria interrogativa.

«E ha qualche interesse, al di fuori del lavoro?» continua come se niente fosse, interpretando correttamente la mia reazione. Sa che sono incazzato, e per qualche inesplicabile motivo questo mi dà un enorme piacere.

«Ho interessi molto vari, Miss Steele.»

Sorrido. «Molto vari.» Nella mia mente si affacciano immagini di lei nelle posizioni più diverse nella stanza dei giochi: incatenata alla croce, a gambe e braccia spalancate sul letto, distesa sulla panca pronta a essere frustata. “Cazzo! Da dove viene tutto ciò?”

Ed ecco… di nuovo quel rossore. È come un meccanismo di difesa. “Datti una calmata, Grey.”

«Che cosa fa per rilassarsi?»

«Rilassarmi?» Sorrido. Quelle parole uscite dalla sua bocca impudente suonano strane. E poi, quando mai ho tempo per rilassarmi? Ha idea del numero di aziende che controllo? Ma è lì che mi guarda con quegli ingenui occhioni azzurri e mi sorprendo a riflettere sulla sua domanda. Che cosa faccio per rilassarmi? Vado in barca a vela, volo, scopo… Metto alla prova i limiti delle ragazze brune come lei, e le rimetto in riga… Il pensiero mi costringe a cambiare posizione sulla sedia, ma le rispondo con calma, omettendo i miei due hobby preferiti.

«Lei investe nell’attività industriale. Perché, esattamente?»

La domanda mi riporta bruscamente al presente.

«Mi piacciono le cose. Mi piace sapere come funzionano: quali sono i loro ingranaggi, come costruirle e smontarle. E ho una passione per le navi. Cosa posso dire?»

Distribuiscono cibo in giro per il mondo, prendono cose da chi le ha e le portano a chi non ne ha, e poi tornano e ricominciano daccapo. Che cosa c’è di male?

«Sembra che sia il suo cuore a parlare, più che la logica o i fatti.»

“Il cuore? Io? Oh, no, piccola.” Il mio cuore è stato massacrato fino a diventare irriconoscibile tanto tempo fa.

«È possibile. Anche se certe persone direbbero che io non ho un cuore.»

«Perché direbbero una cosa del genere?»

«Perché mi conoscono bene.» Le rivolgo un sorriso sarcastico. In realtà nessuno mi conosce così bene, eccetto forse Elena. Mi chiedo che cosa ne penserebbe della piccola Miss Steele. La ragazza è un groviglio di contraddizioni: timida, ansiosa, evidentemente molto sveglia e arrapante da morire.

“Sì, d’accordo, lo ammetto, è piuttosto gnocca.”

Fa la domanda successiva senza leggerla.

«I suoi amici direbbero che è facile conoscerla?»

«Sono una persona molto riservata, Miss Steele. Faccio di tutto per proteggere la mia privacy. Non rilascio molte interviste…» Per fare le cose che faccio, per vivere la vita che ho scelto, ho bisogno della mia privacy.

«Perché ha accettato di rilasciare questa?»

«Perché sono uno dei finanziatori dell’università, e a dispetto dei miei sforzi non sono riuscito a togliermi di torno Miss Kavanagh. Ha tormentato i miei addetti alle pubbliche relazioni fino all’esaurimento, e io ammiro questo genere di tenacia.» “Ma sono felice che sia venuta tu e non lei.”

«Lei investe anche in tecnologie agricole. Perché le interessa questo settore?»

«I soldi non si mangiano, Miss Steele, e troppe persone su questo pianeta non hanno abbastanza da mangiare.» La guardo negli occhi, impassibile.

«Sembra molto filantropico. È una cosa che la appassiona… sfamare i poveri del mondo?» Mi guarda con un’espressione interrogativa, come se fossi una specie di enigma da risolvere, ma non ho assolutamente intenzione di permettere a quei begli occhioni azzurri di sondare il buio della mia anima. Su questo argomento non si discute. Né ora né mai.

«È solo senso per gli affari.» Mi stringo nelle spalle, affettando una certa noia, e mi immagino di scopare quella dolcissima bocca per distrarmi dai pensieri legati alla fame nel mondo. Sì, quella bocca ha bisogno di un po’ di addestramento. Questo sì che è un pensiero affascinante, e mi concedo di immaginare questa ragazza in ginocchio davanti a me.

«Lei ha una filosofia? Se sì, quale?» Un’altra domanda fatta senza leggere.

«Non ho una filosofia vera e propria. Forse un principio guida, quello di Carnegie: “Un uomo che acquisisce la capacità di prendere pieno possesso della propria mente è in grado di prendere possesso di qualsiasi altra cosa a cui abbia diritto”. Sono un tipo molto particolare, motivato. Mi piace avere il controllo, di me stesso e di quelli che mi circondano.»

«Quindi vuole possedere le cose?» I suoi occhi si spalancano.

“Oh, sì, piccola. Per esempio, te.”

«Voglio meritarne il possesso, ma sì, alla fine, voglio possederle.»

«Lei sembra il consumatore ideale.» La sua voce è venata di disapprovazione, il che mi fa di nuovo incazzare. Sembra una ragazzina ricca che ha sempre avuto quello che voleva, ma dopo un’occhiata più attenta ai suoi vestiti – roba da grandi magazzini – capisco che non è così. Non è cresciuta in una famiglia ricca.

“Potrei davvero prendermi cura di te.”

“Merda, e questa idea da dove viene fuori?” Anche se, ora che ci penso, ho proprio bisogno di una nuova Sottomessa. Dopo Susannah quanto tempo è passato? Due mesi? Ed eccomi a sbavare su questa brunetta. Sorrido, in fondo sono d’accordo con lei. Non c’è nulla di male nel consumismo: dopotutto è la forza che traina quel che resta dell’economia americana.

«Lei è stato adottato. In quale misura ritiene che ciò abbia influenzato il suo modo di essere?»

E questo che cazzo c’entra con il prezzo del petrolio? La guardo malissimo. Che domanda ridicola. Se fosse stato per la puttana drogata, probabilmente a quest’ora sarei morto. La liquido con una non risposta, tentando di mantenere lo stesso tono di voce, ma lei continua a pressarmi, vuole sapere quanti anni avevo al momento dell’adozione.

“Tappale la bocca, Grey.”

«È un’informazione di pubblico dominio, Miss Steele.» La mia voce è gelida. Dovrebbe sapere queste cose. Ora ha un’espressione contrita. Bene.

«Ha dovuto sacrificare la vita familiare al lavoro.»

«Questa non è una domanda» rispondo seccamente.

Arrossisce di nuovo e si morde quel maledetto labbro. Ma ha il buon gusto di scusarsi.

«Ha dovuto sacrificare la vita familiare al lavoro?»

“Perché dovrei volere una cazzo di famiglia?”

«Io ho già una famiglia. Un fratello, una sorella e due genitori amorevoli. Non mi interessa allargarla ulteriormente.»

«Lei è omosessuale, Mr Grey?»

“Ma che cazzo! Non riesco a credere che l’abbia detto davvero!” La tacita domanda che neanche la mia famiglia ha il coraggio di fare, cosa che mi diverte parecchio. “Ma come osa?” Devo combattere l’impulso di tirarla su da quel divano, mettermela di traverso sulle ginocchia e sculacciarla a sangue. E poi scoparmela sulla scrivania con le mani legate dietro la schiena.

Questo risponderebbe alla sua domanda. Ma quanto è frustrante questa femmina! Faccio un profondo respiro per calmarmi. Con mio grande e vendicativo piacere, sembra decisamente imbarazzata dalla sua stessa domanda.

«No, Anastasia, non lo sono.» Alzo un sopracciglio, ma mantengo un’espressione impassibile. Anastasia. È un nome delizioso. Mi piace il modo in cui la mia lingua ci gira intorno.

«Le chiedo scusa. È… ecco… è scritto qui.»

Si sistema nervosamente alcune ciocche dietro l’orecchio. Non conosce neanche le sue domande? Forse non sono sue. Glielo chiedo, e lei impallidisce. Cazzo, è davvero molto attraente, di una bellezza sobria, quasi reticente. Mi spingerei quasi a dire che è stupenda.

«Ehm… no. È stata Kate, Miss Kavanagh, a prepararle.»

«Siete colleghe al giornale studentesco?»

«No, lei è la mia coinquilina.» Allora non c’è da stupirsi che sia così in confusione. Mi gratto il mento, cercando di decidere se farle passare un brutto quarto d’ora oppure no.

«Si è offerta lei di farmi questa intervista?» le chiedo, e sono subito premiato dalla sua espressione sottomessa: occhi sgranati, nervosa per la mia reazione. Mi piace l’effetto che ho su di lei.

«Sono stata reclutata all’ultimo. Kate non sta bene.»

«Questo spiega molte cose.» Qualcuno bussa alla porta, e compare Andrea.

«Mr Grey, mi scusi se la interrompo, ma il suo prossimo appuntamento è fra due minuti.»

«Non abbiamo ancora finito, Andrea. Per favore, annulla il prossimo appuntamento.»

Andrea esita, mi fissa a bocca aperta. Anch’io la guardo. “Fuori! Subito! Sono occupato con la piccola Miss Steele.” Andrea diventa paonazza, ma si riprende subito.

«Certo, Mr Grey» dice, poi gira sui tacchi e ci lascia soli.

Rivolgo di nuovo la mia attenzione all’intrigante e frustrante creatura seduta sul mio divano.

«Dove eravamo, Miss Steele?»

«La prego, non voglio distoglierla dai suoi impegni.»

“Oh, no, piccola, adesso tocca a me.” Voglio sapere se c’è qualche segreto da scoprire dietro quegli occhi meravigliosi.

«Voglio sapere qualcosa di lei. Mi sembra doveroso.» Mentre mi appoggio allo schienale e mi porto le dita alle labbra, i suoi occhi si fermano per un istante sulla mia bocca e lei deglutisce. “Ah, sì, il solito effetto.” È gratificante sapere che non è completamente insensibile al mio fascino.

«Non c’è molto da sapere» dice, arrossendo di nuovo.

La intimidisco. “Ottimo!”

«Che progetti ha dopo la laurea?»

Si stringe nelle spalle. «Non ho fatto progetti, Mr Grey. Per il momento, mi basta superare gli esami.»

«Nella mia azienda abbiamo un ottimo programma di stage.» “Cazzo. Come mi è saltato in testa di dirle una cosa simile?” Sto per rompere una delle regole fondamentali: mai, mai scoparsi una dello staff. “Ma, Grey, non ti stai scopando questa ragazza.” Lei ha l’aria sorpresa, e affonda di nuovo i denti nel labbro. “Ma perché è così eccitante?”

«Me lo ricorderò» mormora. Poi, come soprappensiero, aggiunge: «Anche se non sono certa di essere adatta a questo posto».

“Perché diavolo non dovresti esserlo? Cosa c’è che non va nella mia azienda?”

«Perché dice così?» chiedo.

«È ovvio, no?»

«Non per me.» La sua risposta mi confonde. Mentre prende il registratore è di nuovo in confusione. “Merda, se ne sta andando.” Ripasso mentalmente i miei impegni del pomeriggio, non c’è nulla che non possa aspettare.

«Vuole che le faccia fare un giro dell’azienda?»

«Sono certa che lei è molto impegnato, Mr Grey, e io devo fare un lungo viaggio.»

«Deve tornare a Vancouver?» Lancio un’occhiata alla finestra. Non è un viaggio da poco, e ha cominciato a piovere. Non dovrebbe guidare con questo tempo, ma non posso proibirglielo.

«Be’, è meglio che guidi con prudenza.» Il mio tono è più severo di quanto volessi. Lei armeggia con il registratore. Vuole andarsene dal mio ufficio e, per qualche ragione che non mi so spiegare, io non voglio che se ne vada.

«Ha ottenuto quello che le serviva?» aggiungo, nell’assai trasparente tentativo di trattenerla.

«Sì, signore» mi risponde con calma.

La sua replica mi manda al tappeto – il suono di quelle due parole mentre escono da quella bocca impudente – e per un istante mi immagino di poter avere la sua bocca ai miei ordini.

«Grazie per l’intervista, Mr Grey.»

«È stato un piacere» rispondo, e sono sincero visto che nessuno da tempo mi affascinava così. La cosa mi turba.

Si alza e le tendo la mano, impaziente di toccarla.

«Alla prossima, Miss Steele.» Parlo a voce bassa mentre lei mette la sua piccola mano nella mia. “Sì, voglio frustare e scopare questa ragazza nella mia stanza dei giochi.”

La voglio legata… che mi vuole, che ha bisogno di me, che si fida di me. Deglutisco.

“Non succederà, Grey.”

«Mr Grey.» Annuisce e ritrae in fretta la mano. Troppo in fretta.

“Merda, non posso lasciarla andare via così.”

È ovvio che non vede l’ora di andarsene. L’irritazione e un’illuminazione mi colpiscono simultaneamente mentre le tengo aperta la porta per farla uscire.

«Solo per assicurarmi che la oltrepassi indenne, Miss Steele.»

La battuta la fa arrossire, con quella deliziosa tonalità rosata.

«È molto premuroso da parte sua, Mr Grey!» risponde piccata.

Miss Steele mostra i denti! Sogghigno dietro di lei mentre esce, e la seguo. Sia Andrea sia Olivia mi guardano sbalordite. “Sì, sì, sto solo accompagnando la ragazza all’uscita.”

«Ha un soprabito?» le domando.

«Una giacca.»

Rivolgo uno sguardo corrucciato a Olivia che, con il suo sorriso affettato, si alza immediatamente per recuperare una giacca blu marina. La prendo, e le ordino con lo sguardo di rimettersi a sedere. Cazzo, Olivia è fastidiosa. Mi guarda per tutto il tempo con quella sua aria trasognata.

Mmh, come pensavo, la giacca è un capo da grandi magazzini. Miss Anastasia Steele dovrebbe vestirsi meglio. Gliela porgo e, mentre la aiuto a indossarla, le tocco la pelle alla base del collo. Il contatto la fa irrigidire.

Impallidisce. “Sì!” Le ho fatto effetto. La consapevolezza di ciò è estremamente piacevole. La accompagno all’ascensore e premo il pulsante, mentre lei rimane al mio fianco, nervosa.

“Saprei io come calmarti, piccola.”

Le porte si aprono; lei entra in fretta e poi si gira.

«Anastasia» le mormoro congedandola.

«Christian» sussurra. Le porte dell’ascensore si chiudono, lasciando il mio nome sospeso a mezz’aria, come un suono strano, sconosciuto, eppure sexy da morire.

“Cazzo, che cos’è stato?” Devo saperne di più su questa ragazza.

«Andrea» grido, ritornando a grandi passi in ufficio. «Chiamami Welch, subito.»

Seduto alla scrivania mentre attendo la chiamata, guardo i quadri alle pareti dell’ufficio e le parole di Miss Steele mi risuonano nella mente.

“Elevano l’ordinario a straordinario.” Potrebbe benissimo aver descritto se stessa. Sento suonare il telefono.

«Mr Welch in linea.»

«Passamelo.»

«Sì, signore.»

«Welch, ho bisogno di un controllo sul passato di una persona.»

Sabato 14 maggio 2011

Anastasia Rose Steele

Data e luogo di

nascita: 10 settembre 1989, Montesano, Washington

Indirizzo: SW Green Street, 1114, scala 7, Haven Heights, WA 98888 Vancouver

Telefono cellulare: 360.959.4352

Numero di

previdenzasociale: 987-65-4320

Coordinate bancarie:

Wells Fargo Bank, WA

98888, Vancouver

Conto corrente n.

309361, saldo: 683,16

Dollari

Occupazione:

Studentessa universitaria non ancora laureata

Facoltà di Lettere e filosofia, Washington State University,

Vancouver – Indirizzo di studio: Letteratura inglese

Media: 4,0

Precedente titolo di studio:

Scuola superiore di Montesano

Punteggio: 2150

Impiego attuale: Ferramenta Clayton

NW Vancouver Drive,

Portland, Oregon

(part-time)

Padre:

Franklin A. Lambert

(1° settembre 1969 -

11 settembre 1989)

Madre:

Carla May Wilks Adams (18 luglio 1970)

Sposata con

– Frank Lambert (data matrimonio:1° marzo 1989, data vedovanza: 11 settembre 1989)

– Raymond Steele (data matrimonio: 6 giugno 1990, data divorzio: 12

luglio 2006)

– Stephen M. Morton (data matrimonio: 16 agosto 2006, data divorzio: 31

gennaio 2007)

– Robbin (Bob) Adams (data matrimonio: 6 aprile 2009)

Orientamento politico: Sconosciuto

Orientamento religioso: Sconosciuto

Orientamento sessuale: Sconosciuto

Relazioni sentimentali: Nessuna al Momento

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