UN AMORE PROIBITO- PER SEMPRE...

By _StarFreedom_

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Ultimo capitolo di una trilogia appassionante, l'attesissimo epilogo della favola di Allyson e Damon, una sto... More

PROLOGO
Capitolo 1 Damon
Capitolo 2 Damon
Capitolo 3 Damon
Capitolo 5 Damon
Capitolo 6 Damon
Capitolo 7 Allyson
Capitolo 8 Damon
Capitolo 9 Damon
Capitolo 10 Alec

Capitolo 4 Allyson

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By _StarFreedom_

Inizio prima settimana

Damon è sulla soglia con la porta ben spalancata, che in un certo qual modo sta salutando i nostri amici e le nostre famiglie, ma in realtà li sta letteralmente cacciando via. Dopo aver abbracciato tutti e averli ringraziati, con un cenno della mano saluto mio padre, che si volta appena verso di me per regalarmi un altro sorriso.

Non abbiamo potuto parlare molto sul terrazzo, ma sarò forte per Damon come lo sono sempre stata; alla fine non mi sono mai arresa di fronte al muro che cercava sempre di innalzare per tenermi lontana da lui. So che ora non lo farebbe, ma sono pronta anche a questa evenienza se una parte di lui dovesse cercare di isolarsi nel proprio dolore. Il sorriso di mio padre è solo un modo per dirmi che non sono sola ed è vero, le persone che hanno occupato il nostro appartamento in queste ore ne sono la prova.

«Finalmente», esclama Dam dopo aver chiuso il portone. «Non se ne volevano più andare», brontola, puntando dritto verso di me, che con una mano sola inizio a ripulire le poche cose sparse in giro.

«Sei il solito, li hai cacciati via», lo rimprovero in tono scherzoso. Le sue mani si posano sui miei fianchi e il suo respiro caldo solletica il mio collo; è così bello essere fuori da quell'ospedale, lontano da Medford, e sentire il suo petto possente premere contro la mia schiena.

«Non mi importa, questa è la nostra prima serata insieme», mormora con voce roca, facendomi voltare verso di lui. «Sei felice, Al?», chiede scrutando con attenzione il mio volto che porta ancora i segni di ciò che è accaduto.

Sono felice? Certo che lo sono, ma dirlo a voce alta sembra ingiusto in questo preciso istante.

«Tu?», chiedo a mia volta. Il suo viso si inclina di poco, come se cercasse qualcosa di preciso impresso nella mia espressione.

«Se ho te al mio fianco sono felice, baby», risponde senza nemmeno pensarci.

«Anche per me è così», lo rassicuro, posando la mia mano sulla sua guancia. La barba ispida di pochi giorni è strana a contatto con la mia pelle, anche se devo ammettere che gli dona, sembra pronunciare maggiormente i lineamenti marcati che contornano il suo volto.

«Come stai?», prende la mia mano portandosela alla bocca, ogni nocca viene sfiorata dalle sue labbra carnose che si posano appena, ricordandomi come solo lui riesce a far vibrare il mio corpo. Trattengo il respiro mentre con gli occhi seguo ogni suo movimento; il suo sguardo si prende gioco del mio e un ghigno malizioso esplode spontaneo sulle sue labbra.

«Ora sto bene», dice con voce rauca, deglutisco come se d'un tratto mi ritrovassi ad avere ghiaia. «Mi sei mancata», si appresta ad aggiungere sollevandomi dolcemente da terra. Le mie gambe si cingono attorno ai suoi fianchi in un gesto automatico e sento le sue mani premere sul mio fondoschiena. Non so quasi dove mettere questo dannato braccio ingessato e Dam si accorge che lo tengo a mezz'aria, allo stesso tempo che, con ampie falcate, si dirige verso la camera da letto lungo il corridoio della casa. «Appoggialo sulla mia spalla, piccola», soffia verso il mio collo ormai marchiato dal suo sapore. Poso il braccio dove mi ha detto e lascio che la sua bocca, a contatto con la mia pelle, mi porti lontano.

Ha bisogno di me, lo vedo dal modo in cui mi adagia sul letto e senza perdere tempo si sfila la felpa dalla testa con impazienza.

I pettorali scolpiti come pietra luccicano, illuminati dalla flebile luce della città al di fuori della finestra. I tatuaggi spiccano e si muovono insieme ai muscoli che guizzano mentre si sfila i jeans, senza distogliere per un solo istante lo sguardo dal mio. Restiamo in silenzio, ma è uno dei nostri momenti, nei quali in verità ci stiamo parlando con gli occhi. Mi mordo il labbro quando scalcia via i boxer, che finiscono in un angolo della stanza, lasciandomi senza fiato di fronte al suo corpo perfetto.

Sale sul letto, premendo il ginocchio in mezzo alle mie gambe, mentre le sue braccia si posizionano ad ambo i lati del mio corpo, rendendomi prigioniera della passione, che leggo nei suoi occhi che implorano di annegare nei miei. «Sei così dannatamente letale, piccola», sibila facendo schioccare la lingua contro il palato, lasciando propagare una scia di brividi lungo il mio corpo. I suoi denti affondano nel mio labbro inferiore, strappandomi un gemito che si dissipa nella sua bocca. La sua lingua, con movimenti lenti, gioca con le mie labbra facendomi avvolgere da una nube densa, che cancella ogni mio pensiero; c'è posto solo per lui nella mia testa in questo momento.

«Dam...», quasi piagnucolo impaziente, mentre la sua bocca avida continua a torturarmi. Scende lungo il collo, i suoi denti mi solleticano e, nel mentre, le sue mani iniziano a privarmi di tutto ciò che mi separa da lui. Il suo sguardo si inchioda sulla mia pelle nuda, le dita iniziano una danza accarezzandone ogni centimetro, fino a raggiungere i miei pantaloni da yoga, che quasi mi strappa via insieme alle mutandine. Resta in piedi alla fine del letto, si morde il labbro e si accarezza di fronte a me, squadrandomi da capo a piedi con occhi bramosi. Non vedo solo desiderio nel suo sguardo, percepisco anche la disperazione, la voglia di evadere da tutto e so di essere io la tela bianca sulla quale marchierà ciò che tormenta la sua testa. Con un guizzo della lingua inumidisce il suo labbro inferiore, mentre con gesti lenti, quasi magnetici, continua a giocare da solo. Le guance avvampano di fronte a quei movimenti e decido di seguirlo; facendomi coraggio, incomincio a scoprire il mio corpo, lasciando scorrere le mani lungo il mio ventre.

«Così, piccola», la sua voce intrisa di libido mi eccita e mi intimorisce al tempo stesso. Gioco di fronte a lui, che grugnisce non appena le mie mani raggiungo la meta sotto ai suoi occhi che brillano. I fianchi si sollevano, mossi dalle mie stessa gesta. «Cazzo, piccola, mi stai fottendo il cervello», mugola annaspando nel suo stesso respiro.

«D-Damon», gemo, esplodendo di piacere col suo nome che lambisce ogni parte di me, rendendomi schiava di un oblio che mi offusca la vista e facendomi sentire quasi sospesa a mezz'aria. Non faccio in tempo a tornare alla realtà, che sento il materasso muoversi sotto il suo peso e sono completamente sua in un gesto, dove la schiena si inarca con prepotenza contro il mio corpo, che si sposta di qualche centimetro sul letto, togliendomi il fiato.

«Oh... sì... cazzo», grugnisce contro la mia bocca che accoglie la sua disperazione. La sua lingua si muove avida, veloce contro la mia, mentre ogni mio respiro, ogni mio gemito viene ingoiato da lui. Lo sento fondersi con rabbia con la mia anima, ogni suo movimento è un misto di dolore e piacere che continua a infliggermi senza sosta, mozzandomi il fiato in gola.

Mi aggrappo alle sue braccia possenti con una sola mano, lasciando l'altra adagiata sul letto; i muscoli tesi delle braccia sorreggono il suo corpo ormai imperlato di sudore. Mi perdo nei lineamenti del suo volto dipinti dalla rabbia, i suoi occhi mi guardano, fissi contro i miei, supplicando di liberarlo. Le mie gambe premono contro i suoi fianchi quasi implorandolo, mentre vengo investita da una scarica di spasmi ai quali non posso sottrarmi e i brividi rivestono il mio corpo come una seconda pelle.

«Dam...», mormoro appena, mentre il suo corpo collassa sul mio, travolgendomi con il suono gutturale della sua voce che ripete il mio nome con veemenza. Il suo cuore martella contro il mio petto, il respiro poco per volta si regolarizza, ma resta lì, immobile su di me, con il volto che sprofonda nell'incavo del mio collo. Decido di non dire nulla e di lasciargli i suoi spazi, qualsiasi essi siano.

Mi sveglio, abbagliata dal sole che incombe dalla finestra, mi volto dal lato opposto al mio, trovando il lato del letto di Dam vuoto. Si è addormentato tra le mie braccia come se fosse un bambino indifeso e detesto vederlo così, ma la verità è che siamo solo all'inizio.

Mi alzo avvolgendomi il lenzuolo addosso, percorro il corridoio che si affaccia sul salotto e sento la brezza entrare dalla porta finestra che smuove le tende color écru. Intravedo Dam affacciato al balcone con le spalle ricurve, mentre sbuffi di fumo escono dalla sua bocca, diradandosi nell'aria che lo avvolge.

«Buongiorno», dico quasi in un sussurro. Si volta verso di me, spegnando la sigaretta nel posacenere e non gli chiedo da quando ha ripreso a fumare, perché lo posso immaginare benissimo.

«Hai fame?», chiede oltrepassandomi per entrare in cucina senza incontrare il mio sguardo.

«S-sì», rispondo tentennando.

«Bene», dice a sua volta, armeggiando con padelle, uova e pancetta.

Non l'avevo mai visto all'opera ai fornelli ed è una cosa nuova da aggiungere a questo primo giorno di convivenza insieme. Lo raggiungo alle sue spalle, che vedo tese, apro il frigo e cerco del succo d'arancia. «Aspetta... ti aiuto», dice con un filo di imbarazzo nella voce, vedendomi in difficoltà con una sola mano.

«Grazie», rispondo, la tensione è più che palpabile e mi domando se mio padre gli abbia già detto di queste lunghe settimane che lo attendono. Mi metto comoda sullo sgabello mentre lui mi posa di fronte il piatto fumante, che sprigiona un profumino talmente invitante, da far brontolare subito il mio stomaco. Provo a gustarmi la colazione, cercando di non dar peso al fatto che lui è poggiato ai pensili della cucina e che non si siede a mangiare con me, o che, per giunta, non riesce a proferire parola da quando ho cominciato a mangiare. Inspiro ed espiro lentamente, allontanando l'idea di fargli domande.

Lo conosco, lui parla solo quando si sente pronto e costringerlo mi porterà solo a trovarmi di fronte un muro. Ma il suo respiro incalzante e il cipiglio impresso sul suo volto hanno la meglio sul mio ragionamento.

Lascio cadere la forchetta sul piatto, attirando finalmente la sua totale attenzione. Cerco di incastrare il mio sguardo al suo. «Damon, che succede?», anche se conosco la risposta al suo umore, devo capire cosa l'ha peggiorato. La fronte si corruccia, insieme alla mascella che si contrae, come se a fatica stesse cercando le parole giuste per poter parlare mentre mi fissa in totale silenzio. «Damon», ripeto. Le sue mani sbattono sul ripiano in marmo, la sua testa si china sullo stesso e aspetto.

«Come... come ti senti?», mormora senza guardarmi in volto.

«Bene... ma cosa ti prende?», il suo sguardo scorre sul piano in marmo fino a raggiungere i miei occhi. «Ti ho... ti ho fatto male...», si passa le mani frustrato tra i capelli. «Sì, insomma, stanotte ti ho fatto male? Dimmelo, Al, devo saperlo», mi supplica.

Mi alzo e senza esitare lo raggiungo. Vedo l'imbarazzo crescere sul suo volto. «No.... piccolo», cerco di rassicurarlo, accarezzandogli le braccia che tiene incrociate al petto. Non è stato come le altre volte, la sua disperazione ha preso il sopravvento su di lui, ma non mi avrebbe mai fatto del male.

«Non ti credo, mi sono comportato come... come un coglione, io... io non volevo ma...», prendo il suo viso, che cerca di allontanare, tra le mani.

«Sto bene, Sanders, stanotte è stato diverso, è vero, ma era tutto quello che volevo. Tu sei tutto ciò che voglio», bastano solo quelle parole per scacciare le nuvole che si erano addensate nel suo sguardo.

«Scusami», soffia, facendo scorrere il suo dito indice sul mio mento.

«Dovresti scusarti per il miglior sesso della mia vita?», esclamo sarcastica. I suoi occhi si spalancano con sorpresa.

«Cosa ne hai fatto della mia ragazza?», domanda ironico, tastando con le mani lungo il mio corpo per accertarsi che sia realmente io. Scoppio in una fragorosa risata non appena le sue dita solleticano dispettose i miei fianchi, facendomi quasi contorcere.

«Piantala», lo imploro annaspando nel mio respiro. Si blocca attirandomi fra le sue braccia.

«Ti amo», dice contro la mia fronte, dove posa le sue labbra con le quali indugia. Socchiudo gli occhi e mi godo un altro dei nostri momenti.

La sua vulnerabilità è talmente percettibile che teme di sbagliare ogni cosa, persino con me.

«Allora, parlami di Gagosian», chiedo con curiosità, non avendo avuto modo di farlo prima.

«Solo se ti degni di rivestirti, Evans...», rimarca, premendo sui miei fianchi che fa volutamente sbattere contro i suoi. «Altrimenti, visto che non ti è dispiaciuto il numero di questa notte, te lo faccio ripetere su questo piano», ammicca con tono malizioso. Batte il palmo della mano con vigore sulla penisola della cucina, facendomi sussultare per la sorpresa.

Sollevo le mani in segno di resa, scrollandomelo di dosso: «Vado a cambiarmi, il mio corpo ha bisogno di riprendersi prima del secondo round», gli faccio notare strizzandogli l'occhio e dirigendomi verso il bagno per farmi una doccia calda.

Dopo essermi lavata, con qualche difficoltà per via del braccio, torno in camera per vestirmi. Sento Damon parlare al telefono e da quello che dice deve trattarsi di mio padre; sento l'ansia montare sulle mie spalle che cerco di raddrizzare per affrontare ciò che già so. Mi vesto al volo, afferrando le prime cose che trovo, e mi fiondo a precipizio nel salotto, dove lo trovo seduto con il cellulare ancora tra le mani. Piega la testa nella mia direzione.

«Il processo è stato aperto», sibila tra i denti, guardo il suo pomo d'Adamo salire e scendere velocemente, mentre pronuncia quelle parole. Arranco verso di lui e mi siedo al suo fianco, poso una mano sul suo ginocchio che si muove frenetico anche sotto il mio tocco.

«Siamo pronti, io sono con te», dico consapevole che sarà dura, che scaveranno a fondo nel suo passato e che questo potrebbe ritorcerglisi contro.

«Ha tutto dell'assurdo», commenta, come se stesse prendendo atto di tutto in questo preciso istante. Aveva deciso di non andare a lezione per sistemare gli ultimi scatoloni ancora sparsi per casa ed è un bene che riceva questa notizia con me al suo fianco.

«Sì, è assurdo, ma noi non ci fermeremo di fronte a niente», gli prometto facendo presa sulla sua gamba.

«Basta solo il referto medico della clinica che dichiara di essere andato in overdose, per rendermi inadatto alla paternità», ammette a sé stesso, riaprendo in me una ferita ancora da rimarginare.

«Sono documenti medici, mio padre saprà come fare», lo rassicuro, anche se dal suo sguardo sembra tutto inutile. Tamburello le dita sul suo ginocchio in cerca di qualcosa da fare. «Ti ho iscritto a un corso di Kick Boxing», esclamo e lui mi guarda con circospezione non capendo il senso del mio discorso. «Ti conosco, hai bisogno di scaricare la tensione ma devi stare alla larga dalle lotte, perciò ho pensato che un sacco legale sul quale sfogarti fosse un buon compromesso», spiego stringendomi nelle spalle.

«Lo hai fatto sul serio?», domanda e non riesco a decifrare la sua espressione, così decido di annuire semplicemente. Si morde il labbro con fare pensieroso. «Dov'è la palestra?», mi alzo e prendo dalla borsa il coupon che mi aveva portato Kam quando ero ancora in ospedale.

«Questa», dico porgendoglielo. Lo afferra, lo scruta per dieci secondi esatti e poi scatta in piedi. Si protrae verso di me scoccandomi un rapido bacio sulla bocca.

«Posso lasciarti sola per qualche ora?», chiede accarezzandomi il volto.

«Certo», dico sorridendogli. Lo osservo allontanarsi in tutta fretta, come se stesse scappando, e quando la porta sbatte alle sue spalle rimango sola con i miei pensieri.

Decido di non restare con le mani in mano, a immaginarlo sfogare tutta la sua furia contro un sacco; al solo pensiero di come il mondo riusciva a spegnersi di fronte ai suoi occhi quando era vittima della rabbia, lo stomaco mi si contorce. Apro qualche scatoloni e inizio a riporre alcuni dei miei libri nella stanza degli ospiti. Mi soffermo sulla soglia e la testa inizia a viaggiare, immaginando una piccola culla posta sulla parete spoglia di fronte a me. Il cuore perde un battito, gli occhi pizzicano al pensiero che non sarà mia la figlia che farà parte della nostra vita e mi sento sopraffare dalla disperazione. Faccio un respiro profondo, scacciando via quelli che sono i miei sentimenti, e mi concentro solo sull'amore che provo per il padre di quella bambina.

Il tempo scorre più lento del normale e mi ritrovo ad aver svuotato solo uno scatolone in un'ora e mezza. Mi chiedo se Damon arriverà a breve e mi concedo una pausa. Prendo il telefono e chiamo mio padre, che di sicuro sarà nel suo ufficio.

«Come stai?», sono le sue prime parole.

«Bene, come pensi di procedere?», domando, mentre il nervosismo ha la meglio sull'unghia del mio pollice, che torturo in attesa di risposte.

«Allyson, tu devi solo stargli vicino, al resto ci penso io; come deciderò di procedere durante la causa, non sono cose che posso di certo rivelarti. Sarebbe come giocare una partita a poker e mostrarti le mie carte», spiega mentre lo sento picchiettare contro la tastiera del suo computer.

«L'overdose sarà un problema?», voglio sapere, capendo che mio padre dovrà chiedere più di un favore per assicurarsi che tutto proceda senza intoppi.

«Ho già pensato anche a questo, non preoccuparti. Un crollo emotivo non sarà di certo un problema», dice monocorde.

«Crollo emotivo?», ripeto confusa.

«Esattamente. Damon ha avuto un crollo emotivo dovuto allo studio e alla situazione di salute della sorella», inizio a capire come cercherà di camuffare la verità dei fatti, facendo trapelare solo l'essenziale.

«Papà...», mormoro.

«Sì?», lui resta in silenzio, in attesa che io dica qualcosa.

«Grazie», mi esce in un flebile sussurro, soffocato dal groppo in gola che sento formarsi.

«Sei mia figlia, la tua felicità è al primo posto, e quel ragazzo sa renderti felice come meriti di essere». Le sue parole mi avvolgono in un abbraccio che mi scalda il cuore.

Damon

Quando esco dal palazzo riprendo a respirare a pieni polmoni. I piedi colpiscono il suolo con veemenza, quasi volessi lasciare le mie impronte incise lungo il cammino. Sollevo il cappuccio della felpa, calcandolo bene in testa, mentre il sole si riflette sui miei occhiali, dietro ai quali in questo momento mi sto nascondendo.

Penso alla telefonata con Derek, a ciò che dovrò affrontare e a tutte le cose che porterà a galla questa situazione.

Dentro di me, mi ritrovo spesso a pregare un Dio nel quale non credo affinché mia figlia venga alla luce, perché, qualsiasi cosa accada, lei merita di vivere questa vita.

Non può essere un'altra vittima dei miei errori.

Cammino incrociando altre persone che si mischiano indisturbate alla routine della città.

La testa vola ad Allyson e mi sento opprimere dal senso di colpa quando penso a come mi sono smarrito nel suo corpo, perdendo completamente il controllo. Mi sono abbandonato a me stesso, facendomi risucchiare da un oblio di piacere che sembrava non riuscire a placare la mia sete di possederla. Avevo talmente bisogno di lei che ho rischiato di farle male. Impreco, maledicendomi.

Anche se ha tentato di rassicurarmi, non riesco a scacciare la sensazione di essermi spinto oltre.

Espiro, cercando di alleggerire l'aria che mi preme contro il petto.

La palestra dista solo un paio di isolati, che brucio troppo in fretta, trovandomi di fronte all'insegna che si staglia a mezz'aria sulla via.

Entro e mi do un'occhiata attorno. Vedo un certo movimento di persone che si spostano, prendendo posto di fronte ai sacchi appesi al soffitto.

Di fronte a quell'immagine, le mie mani prudono, richiamate dall'adrenalina che inizio a sentire pulsare nelle vene.

«Ha bisogno di aiuto?», inforco gli occhiali, sfilandomeli dal volto. La ragazza porta i capelli corvini legati in un'alta coda di cavallo, lo stesso colore dei suoi occhi, che sembrano divorarmi. So riconoscere ancora quello sguardo famelico, sta già fantasticando su di me.

«Sono Damon Sanders, ci dovrebbe essere un abbonamento a mio nome», spiego con tono distaccato, lei sorride e si volta verso il bancone situato alle sue spalle, ancheggiando il suo fondoschiena, fasciato in un tessuto che non lascia nulla all'immaginazione. Fissa per qualche secondo di troppo il monitor del computer.

«Sì, trovato. Puoi anche incominciare a prepararti, arrivo tra un momento», ammicca un sorriso malizioso, mentre io scrollo le spalle infastidito e mi dirigo verso il primo sacco libero. I miei pantaloni della tuta sono abbastanza comodi, quindi mi affretto solo a sfilarmi la felpa dalla testa, per poi gettarla sulla panca al mio fianco.

«Non ti fasci le mani?», chiede la ragazza, di nome Selena, che ora leggo sul cartellino affisso al suo top striminzito.

«Non ne ho bisogno», dichiaro con fermezza, puntando solo il blu del sacco che dondola di fronte a me. Lei si mette dietro a sorreggerlo e quasi mi viene da ridere.

«Forse è meglio se ti sposti», l'avverto. Lei sorride, abbozzando un ghigno che sembra quasi prendersi gioco di me.

«Tu pensa a colpire, io sono pagata per questo, è il mio lavoro», sottolinea, posando le mani contro il sacco, e facendo leva sui piedi aspetta che io incominci la serie. Non perdo tempo, sgranchisco il collo, sollevo il braccio a mezz'aria e nella testa si materializza tutto ciò di cui ho bisogno. L'adrenalina scorre nelle mie vene selvaggia, facendo muovere ogni mio muscolo. Pesto il pugno contro la pelle del sacco che si sposta e Selena si posiziona meglio, facendo leva con tutto il corpo, mentre io proseguo. Sinistro e destro, fino a sentire la pelle delle nocche strapparsi e il sangue imbratta lo stesso punto che continuo a colpire senza sosta. La nube densa dei miei demoni mi avvolge in un torpore dal quale cerco di liberarmi. Ogni frammento della mia vita bersaglia il mio cervello, fottendolo. Colpisco con più vigore e tutto intorno a me, come da rito, scompare alla mia vista, lasciandomi solo con le mie ombre che mi risucchiano e contro le quali continuo a lottare. Sinistro, destro, sento rivoli di sudore sciogliere il mio corpo lungo la schiena e scivolare sul mio addome, ma non sono ancora pronto a mollare la presa. Proseguo con il fiato che si spezza a ogni colpo che pesto con rabbia e con delusione, come il cocktail letale che sembrano essere le mie emozioni, che si danno battaglia in un'anima che continua a essere tormentata, dannata.

Sono questo, un Demone che continua a placare la sua natura distruttiva.

«Sanders!», mi richiama Selena, facendo dissipare in uno schiocco di dita i miei pensieri. «Credo che possa bastare, per oggi», aggiunge.

«Sei già stanca?», commento, quasi divertito dall'espressione sul suo volto.

«Sono più di due ore che non ti fermi», mi fa notare, indicando l'orologio appeso alla parete. Aggrotto la fronte confuso, il tempo è volato in un soffio. Riesco ancora a perdermi con troppa facilità nel caos che mi plasma dall'interno. Selena mi getta un asciugamano, che afferro al volo, poi si sposta verso il distributore automatico e torna poco dopo con una bibita energetica tra le mani. «Tieni, ne hai bisogno», dice scrutando il mio corpo madido di sudore.

«Grazie», mi limito a rispondere afferrandola. Mi siedo sulla panca per riprendere fiato e lei fa lo stesso.

«Da quanto combatti?», chiede fissando il mio profilo, mentre i miei occhi saettano sulla palestra dove osservo altri ragazzi che si allenano.

«Non combatto», rispondo con una scrollata di spalle.

«Cazzate!», ribatte e io mi volto in uno scatto verso di lei, notando che i suoi occhi non mi guardano più con malizia.

«Cazzate?», ripeto, facendo schioccare la lingua contro il palato.

«Ho quattro fratelli e fidati che so riconoscere chi combatte», dice con fermezza.

«E quindi? Dovrebbe per caso importarmi?», sibilo tra i denti.

«Sei proprio una testa di cazzo come immaginavo», commenta senza alcun filtro.

«Sono contento di non deludere le tue aspettative», rispondo alzandomi in piedi per rivestirmi.

«Facciamo anche degli incontri regolari, se hai voglia di c-o-m-b-a-t-t-e-re», scandisce in modo allusivo. Scrollo le spalle poco prima di chinarmi al suo fianco per prendere la felpa dalla panca. «Si vede che muori dalla voglia di combattere», sussurra al mio orecchio al tempo stesso che poggia la sua mano sul mio petto nudo. I muscoli sotto quel tocco si contraggono e arretro di un passo.

«Invece in te vedo solo la voglia di essere scopata, mi sbaglio?», dico abbozzando un ghigno e indicandola con un cenno del mento.

«Può darsi», risponde senza esitare. Sorrido alla sua sfacciataggine, ma quando mi volto il sorriso mi muore sulle labbra nel vedere Allyson che batte in ritirata verso la porta.

«Cazzo!», abbaio, infilandomi al volo la felpa mentre la raggiungo. «Al...», la chiamo, ma ovviamente lei non si volta nemmeno, non che mi aspettassi che lo facesse. «Allyson, rallenta», le dico, per poi prenderla per il braccio e farla girare verso di me. «Perché sei andata via in quel modo?», osservo il suo volto livido di rabbia mentre strattona la mia presa.

«Perché? E me lo chiedi anche? Sono venuta solo per vedere come era la palestra e ti trovo...», dice con tono sprezzante, gesticolando animatamente verso le mie spalle.

«Stavamo solo parlando», cerco di dire, interrompendo i suoi pensieri, e la sua bocca si spalanca di stupore.

«Quello non è parlare», mi rimprovera arricciando le labbra con disapprovazione.

«Damon?», mi volto e vedo Selena raggiungerci. Fantastico. «Hai dimenticato questi...», mi porge gli occhiali, «e poi dovresti firmare dei moduli», aggiunge.

«Non possiamo rinviare?», chiedo in tono poco gentile.

«In realtà, no, sono per l'assicurazione», mi spiega. Mi volto verso Allyson che si sta mordendo il labbro inferiore per il nervoso.

«Mi accompagni mentre firmo questa roba dell'assicurazione?», solleva le spalle indifferente, scoccando un'occhiata a Selena che, se solo fosse stato un proiettile, sarebbe già stramazzata al suolo.

«Devo... Devo andare al supermercato», risponde voltandomi le spalle. La fermo per la seconda volta e mi sembra quasi di essere tornati ai nostri vecchi battibecchi, dove inseguirci era diventato il nostro gioco preferito.

«Possiamo andare insieme», dico con un'alzata di spalle.

«Ti aspetto a casa», e capisco che deve sbollire, così mi volto verso Selena che si è premurata di gustarsi tutta la scena.

«Alquanto gelosa la tua ragazza», commenta mentre ci dirigiamo di nuovo verso la palestra.

«Fatti i cazzi tuoi e non ti azzardare a nominarla mai più», la minaccio. Lei resta in silenzio, capendo che nel tono della mia voce non c'è alcun filo di ironia.

Ho cazzeggiato, è vero, ma non mi ha lontanamente sfiorato l'idea di portarmela a letto.

Questi pensieri non esistono più nella mia testa da tempo, da quando Allyson è entrata nella mia vita, lasciando un segno indelebile che non potrà mai essere sostituito da nessuna. Quando torno a casa, dopo una mezz'ora nella quale ho messo le cose bene in chiaro con Selena, trovo Al con il muso, il capo chino su un libro.

Chiudo la porta alle mie spalle e nemmeno questo attira la sua attenzione.

Ha intenzione di ignorarmi, quindi, prima di ficcarle in quella testa che non ci sarà nessun'altra che non sia lei, decido di andare a farmi una doccia.

L'acqua calda scivola sul mio corpo sciogliendo i muscoli tesi e poco prima di terminare la doccia mi lascio investire da uno scroscio di acqua ghiacciata, che mi rigenera totalmente. Mi sento più leggero, quelle due ore sono servite a scaricarmi ed era ciò di cui avevo bisogno. Non perdo tempo a vestirmi e torno in salotto da lei, con in dosso solo un asciugamano in vita.

«Dobbiamo parlare», sentenzio, sfilandole il libro da sotto il naso, che sono sicuro stia solo facendo finta di leggere.

«Non ne ho voglia, ora, Damon», mi siedo sul tavolino di fronte a lei.

«Io dico di sì», ribatto cercando il suo sguardo, che tenta di negarmi. «Cazzo, guardami, cosa ti sei messa in testa?», chiedo allargando le braccia in aria.

«Io?», tuona, dedicandomi finalmente la sua attenzione.

«Sì, tu», l'addito.

«Stavi facendo il coglione con un'altra, Damon. Ti ho visto e, cosa peggiore, ti ho sentito», spiega con cipiglio.

«Le stavo solo dicendo la verità, non ci stavo di certo provando, perché non ho bisogno di nessun'altra a parte te», e sono sincero, nessuna sarebbe in grado di farmi scalpitare il cuore come lo sa fare lei. Anche in questo momento, la tentazione di possederla per cancellare tutte le sue insicurezze è tanta e devo fare appello a tutto il mio autocontrollo, mentre il mio amichetto in mezzo alle gambe inizia a svegliarsi per reclamare ciò che gli appartiene...lei. «Amo solo te, cosa devo fare per fartelo capire?», quasi la supplico, perché pensare che non creda in me o ai miei sentimenti, fa male quanto il pensiero di poterla perdere.

«Forse se facessi meno lo stronzo con le altre, sono certa che mi sarebbe più chiaro», puntualizza piccata cercando di strapparmi il libro dalle mani.

«Non ho finito», ribatto.

«Io sì, guarda un po'», ribatte a sua volta e io scoppio a ridere. «Sono così divertente, Sanders?», annuisco, cercando di trattenermi.

«Sei gelosa, piccola», mi sporgo verso di lei e la sua mano preme contro il mio petto nudo. «Più giù», dico con voce roca.

«S-smettila», protesta con finta convinzione.

«Più giù», le ordino e la sua mano scivola lungo il mio ventre, facendo divampare il fuoco in tutto il corpo.

«Così?», chiede mentre vibro tra le sue mani che mi plasmano con movimenti lenti, togliendomi l'uso della parola. Poi aumenta in modo eccessivo la presa facendomi trasalire. «Se fai di nuovo il coglione, Sanders, ti garantisco che non avrai più nulla da poter usare», tuona minacciosa facendomi annuire rapidamente.

«Okay, baby, ti prego», la imploro facendola scoppiare a ridere, mentre io mi siedo quasi senza fiato. «Avevi intenzione di staccarmelo?», le chiedo, stringendo forte i denti per il dolore.

«Questo è ciò che ti aspetta se lo rifai», mi avverte, per poi solleticarmi il petto con le unghie.

«Quindi mi perdoni?», domando prendendo la sua mano nella mia.

«Ci devo pensare», risponde con una scrollata di spalle.

«Vediamo se riesco a farti cambiare idea», mi mordo il labbro mentre la spoglio dopodiché la mia testa si perde nelle sue forme sinuose e, poco dopo, ascolto i suoi gemiti colmare lo spazio circostante. Ogni movimento della mia lingua, che assapora il suo essere, è una promessa che mai nessuno potrà farmi infrangere.

Mi stacco da lei solo dopo aver sentito il mio nome esplodere di piacere sulla sua bocca. Ammiro le sue guance dipinte dall'imbarazzo mentre riprende fiato, con i capelli sparsi a ventaglio sul cuscino.

Il telefono, che suona per avvisarmi di un messaggio, ci interrompe; mi scosto da lei dopo averle dato un bacio e prendo il cellulare dal tavolino di fronte a noi. Scorro sulla chat, scoprendo che si tratta di Alec e il fiato mi si mozza in gola: "Devo parlarti al più presto".

«Chi è?», chiede Al e io mi volto verso di lei con il timore di ciò che possano significare quelle parole.

«Alec», riesco solo a dire, affrettandomi a rispondergli per chiedergli cosa è successo.

SPAZIO XOXO

E adesso cosa accadrà?

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