LOVE IS, ABOVE ALL, THE GIFT...

By Eilanor_Bookeater

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Ormai da 2 settimane, a Beacon Hills vengono ritrovati dei cadaveri con evidenti segni di morsi. Tuttavia non... More

As the Tale began
NEGAZIONE
RABBIA
DEPRESSIONE PT.1
DEPRESSIONE PT.2
TRISTEZZA pt.1
TRISTEZZA pt.2
TRISTEZZA pt.3
NUOVE PROSPETTIVE pt.1
NUOVE PROSPETTIVE pt.2
NUOVE PROSPETTIVE pt.3
RIPRENDERSI LA PROPRIA VITA pt.1
RIPRENDERSI LA PROPRIA VITA pt.2
RIPRENDERSI LA PROPRIA VITA pt.3
LASCIAR ANDARE pt.1
LASCIAR ANDARE pt.2
LACIAR ANDARE pt.3
INTRAPRENDERE UN NUOVO PERCORSO
As the Tale End

TRISTEZZA pt.4

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By Eilanor_Bookeater




Era solo.

Derek era andato avanti senza di lui.

Come stavano facendo anche i suoi amici a Beacon Hills.

Andavano avanti senza di lui e senza suo padre.

Tornò a guardare i graffiti davanti a lui senza sentire nemmeno un colpo al cuore a quel pensiero. La cosa non lo sorprendeva nemmeno.

Allungò una mano e seguì i contorni della figura, quasi accarezzandola; sentiva affinità con quel disegno, ma non se ne riusciva a spiegare il motivo.

Lo guardò un ultimo istante, poi si girò a sinistra e mosse qualche passo, lasciando scivolare la mano lungo il muro.

Camminava piano, continuando a guardare le pareti: ora sotto le sue mani c'era la figura di un canide che sembrava balzare sopra una figura umana inginocchiata, intorno a loro c'erano piccoli omini e quelle che potevano essere piume.

La luce cambiò e si rese conto di trovarsi davanti ad un cunicolo. Si guardò un po' intorno, ma non vide traccia di Derek. Un soffio di vento gli portò l'eco di passi che si allontanavano; proveniva dal tunnel.

Entrò senza porsi ulteriori domande.

Derek era solo andato avanti senza di lui.

Nella penombra, sulla parete gli sembrò di vedere disegnato un cervo e sotto di lui delle gocce.

Poi il buio divenne completo.

Continuò a proseguire, senza ai staccare la mano dal muro. Le sue dita incontrarono delle crepe levigate nella roccia. Che sembravano continuare per tutta la grotta; sentiva che erano ondulate e irregolari, forse opera dell'acqua che aveva scavato quel labirinto di cunicoli. Spostò la mano un po' più in alto sulla parete, circa all'altezza della spalla, dove percepì chiaramente delle incisioni fatte da un qualche strumento: le linee che sentiva andavano a formare un omino stilizzato. Proseguì senza staccare la mano dalla parete, trovandone altre sotto le dita, e si chiese cosa indicassero in un posto dove nessuno poteva vederle. La mano vagava come se seguisse un onda.

Spinse la mano sopra la sua testa, sentendo nuove incisioni: queste sembravano mani con le dita rivolte verso il basso.

Si fermò nuovamente e fece scivolare le sue verso il basso, incontrando un omino esattamente sotto la mano, e così fu per l'incisione successiva e quella dopo ancora. Sembrava una decorazione ritmica che proseguiva per tutta la parete.

Sentì di nuovo l'eco dei passi che si allontanavano, ma ora sembravano più vicini, così riprese a camminare.

Cominciò a vedere della luce e il buio si trasformò in penombra; si voltò verso la parete per vedere meglio le incisioni, ma trovò invece una strana figura, un essere umano con alle spalle di nuovo il disegno di un canide; il tronco era piuttosto largo e ad osservare bene si scorgevano disegnati, dentro di esso, molti e minuti omini. Gli occhi si spostarono a sinistra, trovando altre figure umane; queste esprimevano disperazione, tanto che alcune erano prostrate e altre alzavano le mani al cielo, poco dietro di loro c'erano delle v capovolte.


Di nuovo i passi.

Sembravano incredibilmente vicini stavolta.

Stiles riprese a camminare senza più prestare attenzione alle pareti, verso la luce.

Girò l'angolo e vide una sala vuota, inondata dalla luce della luna; avanzò fino a trovarsi al centro di quello spazio e si guardò intorno, smarrito: non c'era nessuno e l'unica apertura era quella da cui era entrato lui, se escludeva quella sul soffitto da cui pioveva la luce lunare. In ogni caso non c'era modo di raggiungerla per uscire.

Non sapeva spiegarsi il rumore dei passi che aveva seguito: non se l'era immaginato, ne era certo, ma lì non c'era nessuno né aveva incontrato qualcuno mentre si muoveva verso la sala.

Si sentì prendere dal panico e dallo sconforto; cominciò ad affannarglisi il respiro, stava per avere un attacco di panico. Lo sguardo cominciò a vagare, allucinato; solo allora si rese conto delle pitture sulle pareti: sembravano foglie o piume, turbinavano sui muri della stanza, secondo moti a lui sconosciuti; Stiles però sapeva che quelle correnti misteriose avevano un'origine. Seguendone i flussi con gli occhi spalancati e col respiro sempre più corto, il giovane ne cercò l'inizio, nulla aveva più importanza in quel momento, solo l'origine di quei moti.

E alla fine la trovò, lì dove le piume si facevano più fitte.

Cadde in ginocchio, mentre la destra artigliava la felpa e la sinistra afferrava i capelli; all'altezza dei suoi occhi vide una scena che lo raggelò fino alle ossa.

La figura umana col ventre pieno di omini e il canide alle spalle era di nuovo davanti a lui, ma non era sola, a fronteggiarla c'era una strana accozzaglia di figure: una tartaruga grossolanamente tratteggiata, una figura umana proprio sopra e uno strano 8 storto con due V ruotate di di 90°, l'apertura dal lato dell'8.

Stiles continuava a fissare l'immagine, inebetito e dimentico di respirare, mentre sentiva i capelli rizzarsi sulla nuca: la scena sembrava in qualche misura un combattimento feroce e da cui sarebbe uscito un solo vincitore; perfino le foglie avevano un'aria minacciosa, sembravano affilate come lame.


- Stiles –

Il sangue divenne colla nelle sue vene.

Non si girò e nascose il viso tra le mani; era esattamente alle sue spalle, davanti all'uscita della sala.

-Stiles, che succede? Perché hai paura di me? Sai che non voglio farti del male... - soffriva, poteva capirlo dal tono della sua voce. Soffriva a causa sua.

- ti sono stata accanto per così tanto tempo ormai... dovresti conoscermi ormai. Voglio solo il tuo bene... - si avvicinò e si inginocchiò alle sue spalle.

-Stiles, conosco il tuo dolore, lo conosco meglio di quanto tu creda... - mentre parlava si era chinata su di lui, poteva sentire il suo respiro vicino al suo orecchio; aveva posato le mani sulle sue spalle.

Poi cominciò a sussurrare piano, dolcemente, e ogni parola sembrava diventare miele nelle sue orecchie.

-Lo so come ti senti... non sembra normale respirare, mangiare o dormire perché c'è qualcuno che non lo fa più, è un affronto alla sua stessa memoria essere vivo... e poi è colpa tua. Perché tu sei vivo e lui no? Sei davvero così speciale da meritare il sacrificio di una vita per la tua? Cosa mancava a lui e che tu hai? Perché sei tu ad essere ancora vivo? – le mani della voce scivolarono sul suo petto, fermandosi sul lato sinistro.

-è qui che batte il tuo cuore, no? Eppure al suo posto senti solo un buco nero che non fa male ma che annulla qualsiasi emozione. Sei davvero così vuoto da non provare neppure dolore? – Stiles tolse le mani dal volto e le lasciò cadere sul grembo, inerti.

- come fai a sapere che sensazioni provo? - chiese con voce sottile, inerme.

- perché anche io, come te, ho perso qualcuno... tenevo a loro più di ogni cosa... i miei poveri bambini... il fiume li ha trascinati via... - la voce sospirò e si strinse un po' di più a lui; ora le sue labbra gli sfioravano il lobo dell'orecchio.

- è terribile perdere il proprio padre... soprattutto quando le ultime parole sono state rabbiose e piene di risentimento... ricordi cosa gli ha detto Stiles? Gli hai detto...


" - Come hai potuto tenermelo nascosto?! Un fottuto mannaro killer che gira per Beacon Hills e tu non mi dici nulla?! Perché non hai chiesto il nostro aiuto? Forse saremmo riusciti ad evitare che qualcuno venisse ammazzato! – gli urlai in faccia pieno di rabbia.
- non saremmo riusciti ad evitare nessuna di quelle morti Stiles! – rispose lui.

- come fai a dire che non ci sarebbero state vittime?! Se ci avessi detto –
- io ne ho parlato con Scott. È stato lui ad informare tutti – lo guardai senza capire. 

Scott non mi avrebbe mai tenuto all'oscuro.

- bugiardo – sibilai con la voce carica d'astio – Scott mi avrebbe detto tutto, a differenza tua. Se non avessi ascoltato quella telefonata non –

- è stato Scott ad imporci di non parlartene! – gridò, stufo delle mie insinuazioni.

– tutti eravamo d'accordo – riprese più calmo. – ti ficchi sempre nelle situazioni più assurde e nessuno voleva vederti nelle grinfie di quello psicopatico. Sai cosa fa alle sue vittime, Stiles? –

- ovvio che no, non mi dici le cose! – risposi stillando sarcasmo ad ogni lettera che lasciava le mie labbra. 

Mio padre sbuffò arrabbiato, come quando da piccolo imitava il treno. Sembrava un treno molto, molto stufo.

- gli strappa pezzi del corpo, come se fossero un trofeo. Ad uno gli occhi, ad uno la lingua, ad uno le orecchie o il naso.... Ad uno ha preso lo scalpo! Spero che quel poveretto fosse già morto quando l'ha fatto. – 

Stiles deglutì, sentendo pizzicare il cuoio capelluto e muto, per una volta.

- e ci saresti finito tra le sue grinfie, sei troppo intelligente per non risolvere un caso del genere... -

Mi sentivo tradito nel profondo.

- non rimpiango nulla. Volevo che tu fossi al sicuro per una volta... sono grato che Scott abbia avuto quest'idea... e che tutti l'abbiano appoggiato... - Quella fu la goccia che fece traboccare il vaso e che gli fece dire cose di cui si sarebbe pentito appena le avesse sentite dette ad alta voce.

- se ci tieni così tanto a sapermi al sicuro perché non mi muri nella mia stanza? Tutti corriamo dei rischi per stare al mondo, alcuni più di altri e tu lo sai bene. Non sarà il timore di uno smembramento a tenermi lontano da queste cose, ho visto cose peggiori di te. Tu non c'eri mai quando cominciava ad urlare, non puoi sapere cosa sia davvero spaventoso se non hai visto tua madre urlarti contro perché era terrorizzata da te e arrivava a lanciarti degli oggetti addosso... un mannaro killer non è neanche lontanamente spaventoso, se hai visto questo quando eri ancora un bambino...- guardai furente mio padre e uscì dal soggiorno; salì le scale e mi sbattei la porta della mia stanza alle spalle. "


- ripensandoci... tu provi dolore... tantissimo dolore... ma sei così abituato a sentirti distrutto che non te ne accorgi – il ragazzo non rispose, ancora perso in quei ricordi dolorosi.

- Stai pensando a tuo padre? All'aspetto che aveva nel letto d'ospedale? – una lacrima scese lenta sulla sua guancia.

- è così triste che i suoi occhi non si apriranno più; non è né morto né vivo, respira, ma non parla. Una vita miserabile da condurre, anche se non te ne accorgi, soprattutto per chi resta e deve convivere col dolore di una perdita, anche se la vita non ha lasciato il corpo. I più finiscono per lasciar morire i loro cari piuttosto che continuare a vederli in quei letti, mentre nutrono la falsa speranza che un giorno i loro occhi si apriranno. Farai anche tu così Stiles? Ucciderai tuo padre per non doverlo più sapere in quel letto? – la voce sospira tremolante come se fosse sul punto di piangere.

- non si risvegliano mai Stiles... restano come morti finchè la vita che non hanno vissuto scivola via da loro. È questo il destino di tuo padre, il destino che tu hai tracciato per lui. Non ti senti soffocare dal senso di colpa Stiles? Chissà quanto stanno soffrendo i tuoi amici per il coma di tuo padre, hai rovinato anche le loro vite, hai rovinato la vita di tutte le persone che ti volevano bene – il dolore che aveva al petto lo stava divorando, lo sentiva irradiarsi da lì ad ogni cellula del suo corpo.

- so che fa male, ma io posso aiutarti. Posso darti ciò che cerchi, sollievo dalle tue sofferenze, ciò che cerchi dall'inizio... - un respiro tremolante uscì dalle sue labbra, in qualche misura speranzoso.

- vuoi venire con me Stiles? – chiese la voce, mentre lei si appoggiava un po' di più a lui – non sarai mai più triste e disperato – le labbra del ragazzo, tremando, accennarono ad un pallido sorriso – niente più sovrannaturale, niente più dolore, niente più vita. Solo quiete e silenzio. – le parole scivolarono lievi nelle sue orecchie, come il canto di una sirena.

Stiles deglutì a fatica, a causa del nodo alla gola, ma annuì, più volte; non desiderava più far parte di quel mondo.

La donna sciolse l'abbraccio e si spostò davanti al ragazzo, che la vide per la prima volta: aveva lunghi ricci neri, che incorniciavano un volto dorato dal sole delle lande desertiche, e degli occhi azzurri e penetranti, ma a guardare bene sembravano anche vuoti. Il giovane ci si perse dentro mentre aspettava che la donna mettesse fine alle sue sofferenze; questa gli rivolse un sorriso sghembo e poi cominciò ad avvicinarsi al suo volto.

Gli prese il viso tra le mani, gelide come quelle di un morto.

Stiles chiuse gli occhi, tremante, in attesa del sollievo che tanto desiderava.





Un lungo ululato riecheggiò per il tunnel e nella sala, per poi trasformarsi in un ringhio feroce.


Stiles aprì gli occhi e scattò indietro, colto di sorpresa.

Il volto della donna, prima così bello, ora era un teschio nelle cui orbite brillavano delle lucciole; i capelli ora erano un groviglio sporco e opaco. Le mani, che ancora tendeva verso di lui, erano enormi e scheletriche.

Prima che potesse afferrarlo di nuovo, venne trascinato via, strattonato per la felpa; nella fuga prese contro a sassi e pareti, ma dalla sua bocca non uscì un gemito, nonostante il dolore che avvertiva alla spalla, dove sentiva qualcosa di acuminato premere nella carne.

La creatura, intanto, lanciava grida disumane, che echeggiavano nei corridoi e fecero coprire di sudore freddo la schiena del giovane. Però non sembrava avvicinarsi.

In 5 minuti si ritrovò fuori dai cunicoli, all'aria aperta, ma la fuga non si fermò; venne trascinato fino alla rete metallica, dove fece a malapena in tempo a rimettersi in piedi che venne spinto da sotto oltre la recinzione, cadendo malamente di schiena.

Per quasi un minuto la vista rimase illuminata da puntini di tutti i colori, mentre il ragazzo cercava di riempire d'aria i polmoni; la caduta gli aveva spezzato il respiro.

Sentendo il rumore della rete metallica, si girò e fece del suo meglio per mettere a fuoco la figura che stava saltando dall'altra parte; si avvicinarono delle scarpe e si sentì sollevare da terra come un fuscello.

- cosa credevi di fare Stiles? Ti avevo detto di restarmi vicino! – Derek gli diede una scrollata, forte.

Se avesse avuto una qualsiasi superficie solida a portata di lancio, non si sarebbe fatto scrupoli a sbattercelo contro, probabilmente. A giudicare dal suo tono, era furioso.

- mi sono fermato a guardare i disegni e tu sei sparito; ho pensato fossi andato avanti e quando ho sentito dei passi provenire da un tunnel li ho seguiti, pensando fossi tu – Erano le prime parole che gli rivolgeva da giorni e Derek ne fu tanto sorpreso che per qualche istante rimase interdetto; poi la rabbia prese il posto dello stupore.

- e ti sembra una cosa sensata seguire dei passi sconosciuti in un cunicolo buio, di un posto che non conosci? Cos'hai? 5 anni?! – ringhiò stringendo la presa sulla sua maglia.

- e cosa dovevo fare? Stare lì ad aspettarti? – rispose con voce flebile.

- sarebbe stato più intelligente! E potevi chiamarmi! Se te lo fossi scordato i mannari hanno un ottimo udito! Sarei tornato subito indietro! -

Derek imprecò e lo lascio cadere a terra.

- girare in un posto sconosciuto ... e se ti fossi perso? Se fossi svenuto? – disse più a sé stesso che a lui. Fece un profondo respiro e strinse i pugni, forse cercando di calmarsi.

- c'erano decine di cose più sensate che avresti potuto fare! -

- magari tagliarmi le vene prima che tu passassi dal bosco – rispose il ragazzo con voce neutra, quasi vivere o morire non lo riguardasse.

Derek gli ruggì contro, mentre gli occhi gli si illuminarono d'azzurro; Stiles, sobbalzando, chiuse i suoi impaurito da quello scatto d'ira, ma non si spostò.

- cosa stavi cercando di fare con quella cosa? – chiese il mannaro con voce dura.

- quello che cerco di fare da giorni: morire. – una risposta semplice, diretta. Senza tutta quell'ipocrisia di chi cerca di attirare l'attenzione facendosi del male o dicendo di farselo.

Stiles era esausto.

Esausto di sforzarsi, di fare il sostenuto, di esercitare qualsiasi forma di volontà. Aveva deciso di arrendersi, di nuovo. Perchè anche morire sembrava un obiettivo irraggiungibile per lui.

- perché ti ostini a volere qualcosa di così stupido e assurdo? Perché -

- stupido e assurdo Derek? Ti sembra davvero immotivato questo mio desiderio? – il ragazzo si bagno le labbra secche con la lingua, poi riprese.

– mio padre è in coma, probabilmente non si sveglierà più ed è colpa mia, se non lo avessi trattato male, se mi fossi fidato, non sarebbe successo, se non fossi corso via come un idiota sarebbe sveglio ora. E il branco mi odia! -

- il branco non ti odia Stiles! -

- davvero?! Malia non mi ha più in nota, a malapena mi parla, Liam mi considera insopportabile e ansioso, Melissa non mi sopporta più con tutti i danni che ho provocato a lei e suo figlio, Lydia continua a darmi per scontato e ad ignorarmi e Scott... Scott è troppo impegnato ad essere il True Alpha, risolvere i problemi altrui e a prepararsi per il college per accorgersi di me. – si leccò di nuovo le labbra – se questo non è odio, allora cos'è?! – Derek stava a guardarlo in silenzio.

- li posso anche capire in fondo: intorno a me capitano solo cose assurde e guai, le persone muoiono come mosche; io stesso ho ucciso delle persone. Allison, Aiden, i medici dell'ospedale, Donovan... più di quante io riesca a ricordare in effetti. Nessuno dovrebbe starmi vicino. Però io ci speravo lo stesso, egoisticamente, ma nessuno si cura di me. – piantò i suoi occhi in quelli del mannaro.

- per cosa dovrei vivere? – chiese mormorando.

- Stiles ci sono altre cose per cui -

- taci! Se non è un discorso sincero e in cui davvero credi, taci. Non mi servono frasi preconfezionate da film. Dimmelo sinceramente: che motivi ho per continuare a vivere? – chiese con uno sguardo di sfida.

Il moro rispose allo sguardo, che da arrabbiato divenne interdetto, con le labbra appena dischiuse come se fosse sempre sul punto di dire qualcosa ma ci ripensasse sempre all'ultimo.

Alla fine, sospirò profondamente, rilassò le spalle e chiuse gli occhi, sconfitto.

- come mi aspettavo – disse amaramente Stiles, distogliendo lo sguardo. Mentre tornava a crearsi l'ormai noto muro di silenzio, il ragazzo non riuscì ad impedirsi di provare una fitta di delusione.

- chissà perché mi hai portato con te in questa marcia allucinante... - disse rivolto al paesaggio.

Derek non ripose, ma conosceva la risposta, Stiles glielo lesse negli occhi quando si voltò a guardarlo; tuttavia non gli forzò la mano, non gli importava.

- allontaniamoci di qui. Dobbiamo trovare un posto per dormire – il mannaro prese lo zaino sulle spalle e si avviò nella landa arida che li circondava, seguito a ruota dal ragazzo, di nuovo muto.




Avevano percorso pochi kilometri quando Derek decise di fermarsi per la notte.

Stiles accolse la decisione con sollievo: per la prima volta dopo giorni sentiva dolore in tutto in corpo. Si accovacciò contro la roccia che aveva scelto, rabbrividendo; esalò un lungo sospiro e cominciò la conta dei danni: le botte prese durante la fuga si stavano trasformando in lividi, dove Derek l'aveva preso per trascinarlo fuori c'erano dei graffi, poteva sentirli bruciare, ogni muscolo del corpo era indolenzito e aveva la sensazione che gli spegnessero delle cicche di sigaretta sui piedi. Probabilmente erano vesciche.

Per non parlare del freddo che gli stava penetrando fin nelle ossa.

Da quanti giorni non provava queste sensazioni? Da quanto non le avvertiva così forti?

Derek finì di accendere il fuoco e si voltò ad osservarlo.

Stiles sostenne il suo sguardo.

Il mannaro si voltò di nuovo, verso lo zaino, da cui estrasse una bottiglietta d'acqua e una bustina; tornò ad osservarlo e, senza staccare gli occhi da lui, la aprì e ci versò dentro il contenuto della bustina, che colorò il liquido di un vago arancione.

I suoi occhi passavano dal volto di Derek alla bottiglietta.

- cos'è? – chiese quando il moro gliela porse.

- acqua e sali minerali – si guardarono per qualche istante in silenzio. – non ti farò mangiare nulla, ma almeno bevi questa. Tutta -

Dopo qualche istante di esitazione, Stiles si alzò e, cercando di evitare di appoggiarsi sui punti più dolorosi dei suoi piedi, lo raggiunse vicino al fuoco; sedutosi, accetto la bottiglietta e bevve una lunga sorsata.

- è disgustosamente dolce – disse asciugandosi le labbra con il dorso della mano libera.

- se non ti fossi costretto a non mangiare te ne accorgeresti di meno – sentenziò Derek.

- perché zoppichi? – aggiunse senza distogliere lo sguardo dal fuoco.

Stiles si costrinse a mandare giù un altro sorso d'acqua prima di rispondere.

- credo di avere delle vesciche – spostò gli occhi dai suoi piedi al moro che lo osservava a sua volta; il mannaro si allungò per trascinare lo zaino vicino a lui e prese ad estrarne varie cose, che man mano passava al ragazzo: altra acqua, una maglietta e dei cerotti.

- medicale o domani non riuscirai a camminare -

Il ragazzo cominciò a slacciarsi le scarpe.

- stiamo tornando a Beacon Hills? – chiese con una nota di dolore nella voce.

- è una possibilità. Dobbiamo sicuramente trovare una città, anche se tu non mangi abbiamo finito il cibo. -

Stiles si era tolto anche i calzini e ora osservava la situazione: aveva almeno tre vesciche per piede, tutte rotte. Prese la maglietta e l'acqua, cominciando a pulirle con quanta più delicatezza possibile. Ogni volta che sfiorava la pelle viva faceva una smorfia per la fitta che gli arrivava.

Dopo 15 minuti buoni, le vesciche erano state pulite e medicate; ora erano coperte da un paio di calzini puliti. Il silenzio regnava sovrano e, nonostante la stanchezza, nessuno dei due sembrava voler cedere al sonno. Ogni tanto Stiles si avvicinava un po' di più al fuoco, sfregandosi le braccia con le mani nel tentativo di riscaldarsi.

Alla fine fu proprio lui cedere.

Si sdraiò sul fianco, col volto rivolto verso il fuoco, e chiuse gli occhi tentando di dormire.

Ma il sonno non arrivava: ad ogni soffio di vento si ritrovava a rabbrividire e ad uscire dal torpore che ne preannunciava l'arrivo.

Dalle labbra gli uscì un profondo sospiro e aprì gli occhi rassegnato a restare sveglio.

Si mise ad osservare il paesaggio circostante; la landa arida dove si trovavano era a suo modo bella di notte o magari era solo il fuoco morente a renderla tale. Senza la luce che ancora spandeva probabilmente non avrebbe visto nulla, non i massi sparsi a caso per quella piana, non i cactus dalle forme strane che ci crescevano. Oltre a quelli non vedeva altro: sembrava ci fosse una sorta di confine invisibile, oltre cui tutto era nero come la pece, quasi fosse uno dei suoi videogiochi survival.

Un nuovo soffio di vento lo fece rabbrividire.

Si girò verso Derek, per vedere se era ancora sveglio, e lo guardò alzarsi con qualche ramo secco in mano. Si avvicinò al fuoco e li mise dentro uno alla volta per ravvivarlo un po'; l'ultimo lo lanciò appena, ma tanto bastò a far alzare una nuvola di scintille verso il cielo. Stile si ritrovò a seguirle con lo sguardo, finendo per ammirare il cielo notturno trapunto di qualche sporadica stella. Se ne aspettava di più lontano dalla città.

Qualcosa di pesante e caldo andò a coprirlo, distraendolo dalla sua contemplazione. Quando mise a fuoco di cosa si trattava, di rese conto che era il giubbotto di pelle di Derek.

Lo cercò con lo sguardo, scrollandosi di dosso lo stupore iniziale; gli sembrava assurdo che glielo cedesse con il freddo che c'era e di sua volontà.

Entrò nel suo campo visivo con un'altra bracciata di rametti secchi, che poso non troppo lontano dal fuoco.

- sicuro di volermelo dare? – chiese cercando di mostrarsi indifferente.

- stai tremando e sei praticamente dentro il fuoco – rispose il moro, come se fosse una spiegazione sufficiente. Tornò il silenzio e tutti e due continuavano a restare svegli: Derek sorvegliava il fuoco e Stiles continuava a tremare.

Dopo l'ennesimo sospiro tremolante del ragazzo, il mannaro si alzò in piedi e si spostò dietro di lui, cominciando a buttargli addosso tutti i suoi vestiti.

- cosa stai facendo? – chiese Stiles basito.

- zitto e non voltarti – replicò il moro.

Il ragazzo sentì i suoi passi allontanarsi di un poco, poi delle ossa scricchiolare; infine, dopo qualche istante, qualcosa di grosso e caldo si sdraiò contro la sua schiena.

Subito cominciò a sentire il calore aumentare e avrebbe voluto allungare le mani per toccare la cosa che lo stava scaldando, ma il tepore che sentiva cominciava già a stordirlo. Con un sospiro di gratitudine, si sistemo meglio contro quel corpo caldo e, piegato un braccio sotto la testa per avere una sorta di cuscino, scivolò nel sonno.  

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