He's my BODYGUARD

By emmasambenedetto

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Una maschera che nasconde il volto di una ragazza perseguitata dagli errori. Un ragazzo con il compito di sa... More

Avviso
trama
cap.1
cap.2
cap.3
cap.4
cap.5
cap.6
cap.7
cap.8
cap.9
cap.10
cap.11
cap.12
cap.13
cap.14
cap.15
cap.16
cap.17
Cap.18
cap.19
Cap.20
Cap.21
cap.22
cap.23
cap.24
cap.25
cap.26
cap.27
cap.28
cap.29
cap.30
cap.31
cap.32
cap.33
cap.34
cap.35
cap.36
cap.38
cap.39
cap.40
cap. 41
epilogo
anonimo
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curiosità
SEQUEL
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cap.37

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By emmasambenedetto

Canzone per capitolo: "Earned It di The Weeknd"

Drin!

Con una mano penzolante spengo la sveglia del cellulare.
Mi sotterro sotto le pesanti coperte del mio piumone color grigio.

"Tesoro svegliati!"

Dio, ma perché ho accettato?
Mio padre mi ha offerto "una vita normale": sveglia, colazione, scuola, compiti, amiche, serata tranquilla, dormire e pronta a una nuova giornata. Una vita monotona.
Da quanto tempo che non andavo a scuola? Tanto.
Mio padre mi ha obbligato a lasciarla per colpa dell'elevato pericolo. Non mi è dispiaciuto per niente. Però ora sarà traumatico tornarci.

Mi alzo e non faccio caso al contatto del pavimento freddo con i miei piedi scalzi.
Vado verso l'armadio e prendo una maglia rossa con la scritta bianca, i pantaloni di tuta del colore della t-shirt, calze rosa chiaro.
Prendo il primo intimo che si trova nel cassetto insieme ad un asciugamano pulito.
Entro nella doccia e non aspetto l'acqua calda. La voglio fredda, in modo tale da avere una scossa, per svegliarmi, per avere brividi.
Guardo i capelli, color cioccolato che mi sono tinta tre giorni fa, che si appiccicano al mio corpo.
Guardo i miei tatuaggi, soprattutto il nome di mia madre inciso nella mia pelle.
Chiudo gli occhi e lascio che le scosse si diffondono sul mio corpo.

Ci ero riuscita: ero tornata a casa, Luke non era solo un bodyguard ma anche un amico, ero riuscita a non far cadere lacrime dai miei occhi, sarei riuscita ad avere per quel che potevo una vita monotona e normale, a patto che Luke mi sarebbe stato sempre accanto tranne all'interno dell'edificio scolastico.

Riapro le palpebre ed esco dalla doccia coperta dall'asciugamano azzurro.
Gli specchi non erano appannati e potevo ben vedere la mia figura.
Sono qui, gli occhi grigi e freddi, le labbra rosee e troppo grandi per i miei gusti, le gambe magre, le braccia piccole ma muscolose, l'anello e la catenina di mia madre sono in sintonia, i capelli bagnati trattenuti nell'asciugamano, la pelle pallida e gelata dove goccioline d'acqua colano in ogni punto, questa volta non sono lacrime a cadere, non sono io, è solo acqua.

Mi risveglio dal mio mare di pensieri e mi asciugo in fretta.
Indosso i vestiti, insieme alle scarpe bordeaux. Fortunatamente fa molto caldo e non avrò bisogno di un giubbotto.
I capelli sono lisci e morbidi grazie al nuovo balsamo ai frutti rossi.
La pelle è morbida come sempre.
Prendo lo zaino nero di pelle con dentro un pacchetto di sigarette, un accendino, un astuccio, un quaderno, il caricatore portatile del telefono e un pacchetto di cicche alla menta.

Scendo e rubo il biscotto che un attimo fa si trovava in mano a Luke, ricevendo uno sguardo furioso.
Prendo il caffè avanzato da mio padre e lo bevo cercando di non ustiornarmi, ogni tanto inzuppandoci il biscotto alla panna.
"Andiamo" la voce e la mano del bodyguard sul mio polso, mi danno il consenso di partire.
Guardo il cellulare per vedere l'ora: 8:00. Fra mezz'ora dovrò essere all'interno dell'Università della Città di New York. Ho convinto mio padre a non mandarmi in una scuola privata, ma io assolutamente no.
Una scuola impegnativa non fa per me, come le divise e la gente perfettina.

Entro nella Lamborghini e Luke parte sperando di non incontrare il traffico giornaliero.
Appoggio la testa sul finestrino e guardo i grattacieli, la gente in macchina o che cammina o che corre, il cielo azzurro, i ballerini che sperano di ricevere qualche soldo per avere un pasto caldo.
Sento una mano sulla coscia, un sorriso si fa strada sulla mia faccia.
Giro il viso verso quello di profilo di Luke, la barba che aveva il giorno precedente è sparita. Accarezzo il suo braccio marchiato da tatuaggi e da una piccola cicatrice.

Sarò sola oggi, senza nessuno che io conosca.
In un secondo il mio sorriso sparisce e la mia testa immagina cosa possa accadere in queste ore.
"Ti vengo a prendere io, tuo padre torna domani mattina"
Annuisco e la sua mano accarezza la mia coscia coperta da un leggero tessuto rosso.

E nel traffico ripenso a quando sono tornata a casa alle tre di notte di corsa con lacrime su lacrime sul mio viso, in compagnia di una pistola e del sangue sparso sul mio corpo, senza dimenticare il dolore, la delusione, la rabbia che erano riusciti a prendere il controllo dentro di me.
Avevo corso così tanto da essere tornata a casa.
Ero riuscita a perdere la testa, a perdere il senso della ragione.
La gente che mi guardava e urlava, le macchine che suonavano e che si fermavano, il dolore ai polmoni e alla milza, le gambe che chiedevano pietà. Non mi importava, volevo solo tornare a casa.
Volevo scappare da quell'uomo, da quel luogo, da quella gente.
Volevo dimenticare di non provare pietà per nessuno.
Volevo dimenticare cosa mi aveva detto sulle scale.

"Ehi, siamo arrivati" la voce del ragazzo accanto a me, mi fa notare di essere davanti alla nuova scuola.
Mi sorride dolcemente e mi accarezza la guancia con la sua mano enorme.
Inalo il suo profumo di Michael Kors.
"Jess, chiamami per qualsiasi cosa, ok?" Sorrido di più per la sua preoccupazione.
"Luke, devi tranquillizzarti. Ti chiamerò se avrò problemi, promesso" dico accarezzandogli la guancia come stava facendo un attimo fa.

È così strano il nostro rapporto, ma anche così importante e indispensabile.
A volte mi fa impazzire, perdere la testa, incazzare, e altre volte lo vorrei baciare per assaporare le sue labbra, segnare sulla sua pelle quanto è mio, tirargli quei capelli così morbidi.
Invece devo contenermi.

"Jess?"
"Si?"
Mi fissa negli occhi e mi sento penetrata da quelle sfere nere.
"No nulla"
"No dimmi"
"No, è meglio che vai o farai tardi. Non combinare guai, almeno il primo giorno."
Giro gli occhi e rido lievemente.
"Farò la brava"
"Bene"
Gli sorrido ed esco dalla sua macchina.

Ed eccolo lì: gli sguardi, tutti mi fissano. C'è chi mi guarda male, chi con domande che frullano per la testa, chi maliziosamente, chi schifata, chi dolcemente, chi mi vede e gira la testa subito.
L'attenzione è su di me.
Metto lo zaino su una spalla e mi reco all'interno intenta a cercare la segreteria.

Giro per i corridoi, tanti e troppi.
Penso di essermi persa.
Giro ancora un po', destra e sinistra.
La gente mi guarda ancora.
Non so dove andare e non c'è neanche una mappa.
Vedo una ragazza intenta a raccogliere le cose per terra e l'aiuto.
Il suo sguardo spaventato si punta su di me e si alza dalle ginocchia indietreggiando.
Voglio solo un informazione.
Raccolgo tutti i libri e quaderni porgendoglili.
"Posso chiederti dove si trovi la segreteria?"
"S-solo questo?" Chiedo titubante riprendendosi il suo materiale.
"Si"
"Oh, è dalla parte opposta in cui ti trovi"
Perfetto, più sfiga non posso avercela.
"Se non sei in ritardo, mi potresti accompagnare?"
"V-vorresti?"
"Se te l'ho chiesto" rispondo forse un po' troppo scontrosa. "Scusa, volevo dire, certo" dico subito.
Mi sorride dolcemente e annuisce, dopo di che comincia a camminare e le sto di fianco.

"Come ti chiami?"
"Anastasia, tu?" dice a bassa voce.
È così dolce e carina: occhi verdi e grandi, capelli biondo cenere lunghi fino sotto le spalle, qualche lentiggine, fisico molto più magro del mio, alta quanto me, vestiti stretti coperti da un cardigan bianco.
"Jessica"
"La mia sorellina ha il tuo stesso nome" dice sorridendomi, cosa che faccio anch'io.
"Com'è questa scuola?"
"I professori sono tutti ottimi"
"E la gente?"
"Non il mio tipo" risponde con lo sguardo fisso sul pavimento piastrellato.
"Allora spero di esserlo io" lei si gira subito verso di me e annuisce.
"Eccoci, ti aspetto qui fuori, se vuoi"
"Certo, grazie"

Entro e attendo l'attenzione di una donna dalla chioma rossa contornata da una camicia bianca e una gonna nera attillata.
"Oh tesoro potevi chiamarmi invece di aspettare" la voce della donna risuona nella stanza appena mi nota.
"Nessun problema. Sono nuova"
"Dovresti essere la signorina McTaison"
"Esatto"
"Tieni. Questo è l'orario scolastico, hai già detto i corsi in cui vuoi esserci e ti ho fatto il foglio completo. Questa è la mappa della scuola. E questo il numero del tuo armadietto con la password, non puoi cambiarla perché in caso tu te la scordassi, il personale può dirtela. Se tu volessi c'è una biblioteca e una piscina, per quest'ultima devi dirmi se vuoi utilizzarla. Per entrarci hai bisogno di costume adatto, asciugamano personale e cuffia o capelli legati. Questo è tutto."
Cerco di memorizzare tutte le cose che la signora mi ha detto.
"Grazie tante, signora...Morrison" trovo il suo cognome su un cartellino posizionato sulla scrivania in legno scuro.
"Di nulla. Benvenuta e spero ti troverai bene nel nostro Istituto."
Annuisco mettendo tutto nello zaino tranne l'orario ed esco cercando con lo sguardo Anastasia.

"Sono qui" la vedo sventolare una mano.
"Dimmi i tuoi corsi" dico sperando di averlo in comune, per non rimanere sola.
"Economia aziendale"
"Arte"
Sbuffiamo nello stesso tempo. Le chiedo dove si trovi l'aula e dopo avermi detto l'indicazione, con la massima concentrazione la trovo.

Busso tre volte e dopo un "avanti" entro sotto gli sguardi di tutti studenti e del professore.
"Buongiorno, tu sei?"
"Quella nuova" dico guardano il profe e cercando di non portarlo su gli altri presenti nella classe.
Ad un certo punto si sente un secondo bussare e la mia attenzione si rivolge sulla porta, per poi sul ragazzo appena entrato.
Un ragazzo alto e muscoloso, con i capelli neri arruffati, gli occhi azzurri come il mare, le sopracciglia spettinate e una accompagnata da un piercing piccolo. Tiene sulla spalla destra uno zaino color rosso come i miei vestiti.
"Buongiorno signor Connelly" le sue parole si smorzano alla fine per squadrarmi completamente. Si lecca il labbro inferiore, passando la lingua lentamente e facendo brillare il labbro che risplende grazie al sole che penetra nell'aula.

I miei occhi si posano sul professor Connelly che manda a sedere il ragazzo.
"Stavamo dicendo, prima che il signorino Cooper facesse la sua solita entrata con il ponte levatoio aperto" la classe comincia a ridere e alcune ragazze lo guardano maliziose posando gli occhi sulle palle del presunto Cooper, che poi finalmente chiude la cerniera dei suoi pantaloni neri.
"Stavamo dicendo chi era la signorina, quindi si presenti"
Ora ho l'attenzione di tutti, ma dopo che  avrò detto il mio cognome tutti cominceranno a guardarmi diversamente.

Mi vedranno come una ricca, viziata, cocca di papà, con tutto quello che voglio ai miei piedi. Ma non ci do peso, perché è sempre stato così, tutti ti giudicano, però senza conoscerti bene o provare a rivolgerti la parola. No, ti guardano e immaginano come tu sia.
Tutti fanno così, tutti compresa me.

"Sono Jessica. Jessica McTaison" ed ecco che gli sguardi si puntano più intensamente su di me, la gente parla sotto voce, i pensieri di tutti cominciano ad uscire.
Guardo il ragazzo di prima e noto che mi guarda maliziosamente, ma con gli occhi che dicono tutto il contrario. Sembrano sorpresi e insicuri.

"McTaison?" Le parole escono dalle sue labbra gonfie.



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