L'OMBRA DELLA NOTTE BIANCA

By LorenzoBocca

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La lancia di Longino, Hitler, il discendente di un antica casata vuole vendetta More

L'OMBRA DELLA NOTTE BIANCA

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By LorenzoBocca

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Elì, Elì, lamà sabactanì

Il grido interruppe il suo dolore nei brevi istanti in cui riecheggiò nell’aria.

Tutto non era compiuto.

Doveva ancora comprendere perché dal profondo del suo cuore era emersa questa domanda.

L’affanno del respiro lo riportò in se stesso e fu allora che si rese conto di non avere più potere.

Fino ad allora anche i suoi silenzi avevano cambiato la realtà, ma adesso la sua condizione rendeva vano qualunque proposito.

Capì improvvisamente cosa significasse essersi fatto uomo, capì cosa gli uomini provano a non avere la forza di muoversi, di parlare, di pensare, cosa sentono quando sono vicini alla morte.

Il perché era ora chiaro in lui : ecco perché era stato abbandonato e perché non riusciva neppure decidersi a morire.

Aprì per l’ultima volta gli occhi di uomo in uno sguardo di tristezza rivolto a ciò che lo circondava.

Lo sguardo dell’uomo sulla croce era una crepa nel cielo, un cielo che si stava preparando alla tempesta.

Lo sguardo percorse per l’ultima volta un mondo cattivo che lo aveva tradito per stupidità, ma nel gregge degli sciocchi scorse due occhi che avevano colto la sua grazia.

I piedi di Longino poggiavano saldi sulla superficie concava del “monte del cranio”, le sue gambe erano forti ed abituate alle marce ma il suo braccio di centurione tremava mentre stringeva la lancia dell’esercito di Roma.

I soldati dell’impero dovevano dimostrare debolezza di fronte a niente e nessuno ma egli si era reso conto che la tempesta che incombeva avrebbe portato con sé molto di più che un vento gelido.

Il soldato sapeva perché il suo braccio tremava. Egli fu il primo a rendersi conto che da quel giorno sulla terra saremmo stati soli per molto temo.

Longino non poté fare altro che aiutare il figlio ora che era stato abbandonato dal padre e per questo usò la sua arte e colpì duro con la sua lancia, una sola volta.

La luce celeste degli occhi del Dio sulla croce si spense con un ultimo grido e finalmente il dolore del Padre esplose col pianto della terra.

Il braccio del centurione ora stringeva la lancia di fronte alla croce vuota mentre una pioggia rabbiosa cancellò il sangue che l’aveva macchiata.

L’atto che Longino aveva compiuto gli aveva strappato la fierezza del guerriero, non sarebbe stato più capace di combattere alla maniera dell’esercito di Roma. Se avesse di nuovo impugnato la sua daga, i suoi occhi avrebbero dovuto incrociare ancora una volta quelli di un altro uomo ed egli avrebbe riprovato il dolore bruciante di quel giorno sul Golgota.

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Slacciò lentamente i lacci della corazza, fece cadere la spada sulla terra umida e poi, con timore, rivolse lo sguardo verso la lancia.

L’atmosfera che circondava Longino non era diversa da quella dei campi di battaglia alla fine di una lotta, egli sentiva sempre lo stesso odore di morte ed una strana sensazione di sporco gli attanagliava lo spirito.

Le insegne di Roma non erano state strappate dal nemico. Longino vedeva il vento che le gonfiava e la punta che aveva trafitto il Cristo svettava fiera e sinistra nel cielo insieme alle aquile ed agli stendardi imperiali, ma questa volta il centurione avrebbe voluto annunciare la sconfitta ai propri generali.

Avrebbe desiderato trovare il coraggio di recarsi presso i suoi superiori e di gridare “Cesare, gli uomini sono stati battuti, anche se ci è stato concesso l’onore delle armi”. Queste sarebbero state le sue parole! Ma come spiegare loro che l’assassinio di quell’Uomo insignificante aveva in realtà il valore della peggiore sconfitta mai subita dall’umanità!

In cuor suo Longino intuì che nessuno in quel tempo avrebbe compreso e, per la seconda volta in quella maledetta giornata, fece qualcosa che gli avrebbe cambiato la vita: distese le dita della sua mano e la Lancia Sacra cadde ai piedi della croce come un corpo morto. La sua anima era salva.

Egli non si soffermò a guardare le proprie armi nel fango, in fondo le aveva brandite con onore fino ad allora, ma abbandonò i suoi, scese il pendio e si perse tra la folla.

Quel giorno, insieme al Figlio dell’Uomo, era morto un soldato dell’Impero.

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Si era costruito tanti giochi, ma, per essere veramente imbattibile di fronte ai suoi nemici, ora aveva bisogno della spada dei suoi sogni.

Ogni volta che si rivolgeva alla mamma non riceveva altro che sguardi di tenerezza, una tenerezza incapace di capire cosa lui veramente desiderasse. La signora … era in grado solo di mugolargli inutili parole accondiscendenti ma non aveva mai il coraggio di fermare papà Alois.

Come gli sarebbe piaciuto dire al padre “Papà , mi porti a Vienna? E’ là la spada che voglio”, ma anche se era piccolo sapeva cosa lui gli avrebbe fatto e poi, chi lo avrebbe difeso!

Questi pensieri lo facevano sentire sempre più triste, gli altri bambini avevano sempre ciò che volevano da mamma e papà invece lui procurarsi sempre tutto da solo.

La mamma faceva finta di ascoltare le sue parole e papà alzava le mani appena poteva, ecco perché si era deciso a scappare!

Ricordava l’ultima volta in cui aveva visto Dollersheim, Dio come era felice di andare via! Era così triste quel posto, gli ricordava l’inverno. Ogni respiro era pervaso dell’odore di terra umida che sprigionava da tutti quei campi preparati ad una fioritura così breve da non avere il tempo di rallegrare il cuore di chi li vedeva.

La nebbia era così carica di umidità che annullava ogni profumo e qualsiasi cosa mangiasse aveva sempre lo stesso sapore. Di notte, poi, essa sembrava annullare il buio, era così fitta che si aveva la sensazione di vagare tra file di lenzuola bianche che ondeggiavano in un soffio gelido.

Le mattine, tutte uguali, non avevano energia ed i panni di nebbia, caduti sugli sterpi ingialliti dall’autunno, li coprivano e li rendevano brillanti come un mantello fatto di ghiaccio e di brina.

Il bambino sapeva che nessun sole sarebbe sorto per scaldare quelle terre perdute in un mondo piatto e segregato in una prigione di foreste intricate.

Solo le cascine, con il loro pungente tanfo di letame, riuscivano a distinguersi in quel mondo monotono spuntando come lapidi in cimitero senza confini.

Non gli piaceva nemmeno quando nevicava perché la mamma gli impediva di giocare. “Sei più debole dei tuoi amici”, erano le sue parole, come al solito pronunciate con quella voce di donna fragile e lamentosa, “ti ammali subito!”.

Si tratteneva così ad ascoltare gli stupidi discorsi delle contadine amiche della mamma: erano battute insulse, risate fragorose, pettegolezzi a corto raggio e ammiccamenti poco mascherati che riguardavano la sua statura, la sua scarsa virilità ed il fatto che i suoi capelli neri spiccavano in maniera ridicola in un mondo di ragazzi alti, biondi e forti come vichinghi.

Se fosse rimasto in quell’ambiente che gli era tanto ostile non avrebbe mai udito nessuno che gli dicesse con affetto “Eccomi! Sono qua. Chi ti ha fatto del male?”. Neanche crescendo, poi, avrebbe sviluppato la forza per rifarsi e riequilibrare da solo i piatti della bilancia, per mettere in atto la sua missione, la vendetta.

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Ora sapeva quale sarebbe stato il suo gioco. Avrebbe giocato a diventare il re che, con la sua spada, mette a tacere tutti i cattivi e non permette a nessuno di prenderlo in giro! Avrebbe fatto cose così malvagie da cambiare il mondo per come lo conosceva. Sarebbe stato il re debole di un esercito di forti da mandare a morire nella guerra contro il Bene.

Alla fine della lotta, lo sapeva, il Bene avrebbe sicuramente vinto in sua vece e la vendetta sarebbe stata compiuta.

Questa era la forza che la spada dei suoi sogni gli avrebbe donato, questo era il suo gioco e l’odio il suo divertimento.

Non pensava di metterci tanto tempo ad allontanarsi dal paese sul pendio, ma più camminava più si faceva forte in lui la consapevolezza che non vi avrebbe mai più fatto ritorno. Non avrebbe più sentito la scossa sul collo delle botte di papà seguite dagli inutili lamenti della mamma e, soprattutto, nessuno avrebbe osato più deriderlo per il segreto nascosto sotto i suoi vestiti.

Aveva incontrato nuovi amici ora, era lontano dai campi gelidi del paese dell’inverno! Nessuno sapeva di sua madre e di Alois, e, soprattutto, nessuno sapeva della sua debolezza.

Non avrebbe più commesso l’errore di confidare agli altri il suo segreto, tutti l’avrebbero seguito nel suo gioco credendolo virile ed invincibile!

Vienna. Era già stato in questa città! Era rimasto ipnotizzato da quella Spada, l’aveva guardata per molti minuti dietro la vetrina nella Stanza del Tesoro. Ora sapeva come trovarla e, finalmente, se ne sarebbe potuto appropriare per dare inizio al suo gioco.

Se la ricordava così lunga, affilata ed appuntita, con lei avrebbe interpretato il re degli uomini forti, anche di quelli che abitavano a Dollersheim e, lo sapeva, l’avrebbe fatta veramente grossa!

Chissà cosa gli avrebbe fatto papà se fosse stato lì, lo avrebbe trascinato via e tutti si sarebbero accorti di quanto fosse piccolo e debole, ma, se avesse raggiunto la sua spada, nessuno sarebbe più stato in grado di fermarlo, neppure lui.

Era di fronte al Castello della Spada, aveva fatto molta strada per raggiungerlo ma ora si trovava proprio là, sotto la porta principale. Alzò gli occhi sognanti del bambino e rivide, per la seconda volta nella sua vita, i bianchi cavalli imbizzarriti che decoravano la sommità dell’Hofburg.

Le sue mani erano di nuovo congelate, ma questa volta non c’entrava più la nebbia umida di Dollersheim; era eccitato all’idea di stringere l’elsa della Spada del Destino.

Le due ali della facciata del palazzo lo abbracciavano con l’affetto di una madre mentre attraversava la porta che lo avrebbe condotto al suo Tesoro.

Venne investito da un’ondata di luce, le pareti bianche erano bordate d’oro ed i quadri erano così grossi che gli occhi dei guerrieri ritratti sembravano intimargli di fermarsi. Senza la sua spada non avrebbe potuto certo fronteggiarli, ma fra poco sarebbe stato lui il cavaliere più valente. Si sarebbe trasformato in un esempio di forza e virilità ariana ed i quattro libizzani posti sulla sommità di quel

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castello avrebbero ubbidito ad ogni suo comando pronti a lanciarsi contro chiunque osasse deriderlo.

Attraversò quasi correndo i lunghi corridoi ma esitò, prima di aprire quella stanza.

Tutti i suoi timori per un momento riaffiorarono ed ebbe il terrore di ritrovare suo padre al di là di quella porta. Alois lo avrebbe sicuramente pestato come mai aveva fatto prima di allora e, magari, tra le urla di rabbia avrebbe anche percepito il debole e fastidioso pianto di sua madre.

La maniglia tremò sotto la sua debole pressione e l’alto portone si spalancò sulla stanza dei tesori degli Asburgo.

Aveva gli occhi sbarrati per il terrore ma questa volta suo padre non c’era.

Il suo viso avvampò per il sollievo ed alla vista della Spada di Longino il calore avvolse tutto il suo corpo.

Mentre si avvicinava alla teca i suoi passi emisero un’eco sinistra nella sala deserta, aveva dato ordine ai suoi di non seguirlo anche se la solitudine era da sempre la cosa che più lo atterriva. Doveva stare al gioco, quella era l’ultima prova di coraggio da superare per guadagnare il premio finale.

Coordinò le sue gambe paralizzate dal terrore e si mosse nella stanza accecato dalla luce bianca delle pareti e dai riflessi dorati degli antichi tesori. Giurò a se stesso che non sarebbe mai più stato da solo, avrebbe ordinato ai suoi di vegliarlo durante la notte e di difenderlo a costo della loro miserabile vita.

Le sue labbra si schiusero in un tenero sorriso di fronte alla Spada che riposava sul cuscino di velluto rosso sbiadito.Vi era qualcosa di ambiguo sul suo viso, una mascolinità incompleta celata da un odio silenzioso, reso ancora più profondo dall’impossibilità di poter urlare quel disagio al mondo.

Egli aprì silenziosamente la vetrina, il suo respiro affannoso ed eccitato dal desiderio di possedere la reliquia destò dal suo sonno secolare il potere antico della lama.

Si bloccò di fronte all’Arma per la seconda volta prolungando per qualche istante l’attesa del momento in cui l’avrebbe brandita e gustando sadicamente la morte della debolezza che da sempre l’aveva incatenato.

Le sue mani, come grinfie di un rapace che cattura la sua preda, sfoderarono la Spada Sacra con uno scatto fulmineo.

La punta svettava ancora una volta fiera e sinistra nel cielo insieme alle aquile ed agli stendardi dell’esercito, ma, sullo sfondo, la croce non abbracciava più il mondo degli uomini. Essa si era ora capovolta ed alle sue quattro estremità erano apparsi artigli uncinati.

Dallo sguardo del Fhurer era scomparsa ogni traccia di fiacchezza, i suoi occhi erano diventati magnetici e capaci di trascinare il gregge degli sciocchi nella guerra contro il bene, da quel

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momento alla “Bestia venne data una bocca che proferiva parole piene di arroganza e bestemmie ed essa ebbe la facoltà di agire”.

L’angelo suonò la prima tromba.

Ripercorse con passi misurati i corridoi del castello; i suoi chinarono il capo mentre Adolf Hiltler li guardava disprezzandoli e con le mani che stringevano spasmodicamente il cuoio che avvolgeva l’Heilighe Lance imprimeva su di esso l’impronta del suo palmo.

Una Mercedes con le insegne del suo “regno” lo stava attendendo oltre l’entrata del palazzo, i cavalli bianchi specchiati sul lungo cofano nero.

Il Fhurer si guardò intorno con l’alterigia di un condottiero e si accorse che i suoi forti e biondi soldati avevano cominciato ad ubbidire ad ogni regola del suo gioco, qualunque fossero le conseguenze.

Egli aveva resuscitato il guerriero romano ucciso insieme al Cristo sul monte Golgota, aveva ridato vitalità alla sete di sangue del soldato di Roma, aveva ripreso da là dove Longino aveva saputo interrompere.

Salì sulla berlina scura, si accomodò accarezzando i sedili in pelle e sorrise.

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Aveva percorso velocemente il noioso saliscendi della stretta strada che costeggia l’Inn mandando regolarmente a quel paese quei pochi contadini che, sui loro strani mezzi da lavoro stracolmi di fieno e di mosche, gli intralciavano la strada.

Non era il tipico uomo che affronta la vita sempre di fretta ma, anzi, apparteneva alla categoria di quelli che arrivano in tempo solo perché sono veramente bravi al volante e se qualcuno avesse mai cercato di trovargli un punto debole questi avrebbe probabilmente scoperto che il suo tallone d’Achille era la sua grande passione per il sonno.

Solo i suoi compagni conoscevano il suo nome di battaglia e per radio lo chiamavano Sour, perché era acido con le persone e perché impugnando la sua Sig Sauer diventava veramente letale .

In realtà non era acido con tutti, con le sue donne sapeva essere dolcissimo almeno fino a quando non si stancava di loro o quando qualcuna di esse faceva l’errore di buttarlo giù dal letto una volta di troppo.

Ciò che però più di tutto lo infastidiva, o meglio, lo faceva veramente incazzare erano le persone deboli di carattere, soprattutto quando queste occupavano qualche posizione di potere senza esserselo regolarmente meritato.

Come al solito aveva posteggiato il suo Wrangler blu nel posto più improbabile e sfacciato piazzandolo proprio di fronte alla caffetteria dove il suo capo gli aveva ordinato di incontrare il contatto.

I civili sono convinti che i membri delle forze speciali appartengano ad uno standard che li renda inconfondibili: li immaginano tutti alti, forti e pieni di muscoli con teste rasate a forma di pallottola appoggiate su colli taurini che potrebbero far da base alla sfera di un mappamondo, ma, se le cose stessevo veramente così, ogni special force sarebbe un faro nel deserto e la sua copertura andrebbe a farsi benedire.

In realtà i componenti dei piccoli plotoni dei Seal sono delle sporche dozzine, sono soggetti tra i più disparati, gente con quozienti intellettivi superiori alla media che parlano correttamente almeno due lingue e sanno adattarsi ad ogni situazione.

Il Seal è un guerriero per natura, è addestrato a dimenticare ciò che ha imparato poiché, quando dovrà agire, lo farà automaticamente.

Ecco, Sour aveva una copertura perfetta per l’occasione e, mentre attraversava a grandi passi l’ampio stradone di fronte all’ordinata facciata dell’Università di Innsbruk, sembrava il classico studente fuori corso con una sola cosa per la testa. Il bello era che non faceva nessuna fatica ad interpretare quella parte.

Il seal aprì la porta del bar guardandosi intorno e mentre cercava i punti di fuga, le eventuali minacce o la presenza di telecamere il suo viso si illuminò in un ammiccante sorriso alla vista di una ragazza che usciva dal locale; la giovane austriaca, rossa in viso proseguì con i libri stretti al

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seno chiedendosi se aveva fatto colpo, Sour proseguì sicuro verso il bancone … lui era certo di aver fatto colpo.

L’aquila dorata della banconota da un euro austriaca scintillò sul bancone scuro mentre Sour chiedeva “Tsvai coffe, bitte”.

Un uomo magro ed arcigno in abiti civili entrò e Sour, quasi contemporaneamente, si allontanò dal bancone dirigendosi verso di lui con un sorriso tanto amichevole quanto fasullo, “colonnello come sta?! Prego si accomodi, per il caffè non si preoccupi, offro io… due bustine di zucchero, vero?”.

Mentre il colonnello stupito sedeva al tavolo, Sour si accomodò lasciando intravedere sotto il giubbotto di Jeans la sua pistola Sig Sauer P226.

In un attimo l’ufficiale collegò l’atteggiamento allegro e strafottente del giovane americano che sorseggiava tranquillamente il suo caffè con quella pistola inconfondibile dalla slitta in acciaio inossidabile resistente alla corrosione e alle immersioni fino a cinquanta metri. Aveva di fronte un fottuto Seal e la consapevolezza di ciò fu sufficiente a smontare tutta la sua fierezza da graduato.

Sour iniziò a parlare con voce calma ed impostata non appena si rese conto che il suo interlocutore aveva compreso con che tipo di soldato aveva a che fare “Colonnello, vengo subito al dunque. Ognuno di noi ha il suo libro dei segreti, l’importante è che nessuno mai lo legga” poi continuò ritrovando la sua strafottenza “ecco perché le ragazze del liceo si incazzano così tanto quando qualcuno sbircia nel loro diario”.

Sour appoggiò la tazzina del caffè ridiventò serio e continuò “Vede, colonnello, il mio capo ha appena scoperto il suo segreto ma lei non si deve arrabbiare... Non è più al liceo adesso”.

Era la prima volta che qualcuno si rivolgeva con quel tono al colonnello Heuer e, un po’ per la sorpresa ed un po’ perché si trovava veramente impreparato ad affrontare una situazione come quella, il vecchio gerarca non riuscì a ribattere nulla al giovane arrogante che lo stava sfidando.

Sour continuò con la sua voce bassa “Ebbene, signore, io so che lei si è sempre comportato con i suoi uomini da emerito stronzo”.

Il seal si fece serio e deciso ma la sua voce rimase sempre bassa e controllata “Comunque, se intende continuare a comandare in quella maniera, signore, è liberissimo di farlo, a patto, però, di riuscire a convincere il mio capo a dimenticare quello sa sul suo conto”.

Il colonnello Hoier bevve il suo caffè per ingoiare il boccone amaro che gli era stato appena offerto da Sour e subito dopo chiese con voce rotta “Di che segreto si tratta?”.

Sour che si aspettava esattamente quella domanda disse “Signore, con tutto il rispetto, le è un fottuto drogato, e questo non farà sicuramente piacere al suo generale, quindi o si comporterà esattamente come le ordinerò o il suo diario segreto sarà più in piazza del Monumento ai caduti!”

L’ufficiale aveva appena partecipato alla partita a scacchi più breve della storia, il brutto era che gli era stato annunciato lo scacco matto ancora prima che potesse muovere alcuna pedina.

Non aveva altra scelta, abbassò lo sguardo e disse “Cosa devo fare?”

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Sour rispose alzandosi dal tavolo “Colonnello, mi segua, facciamo due passi, fuori ci sono un mare di studentesse, vede, io sono uno che sa anche divertirsi mentre lavora”.

I seal si salvano la vita nelle azioni di combattimento grazie la loro agilità ed alla capacità di non rimanere troppo statici, dopo aver colpito devono lasciare la loro posizione e trovare un altro posto per sferrare un nuovo attacco.

Sour aveva sparato al colonnello la prima raffica, lo aveva ferito gravemente ed ora, naturalmente, qualcosa lo portava a muoversi, ad allontanarlo dal locale pubblico dove la loro conversazione avrebbe potuto essere ascoltata o addirittura degenerare in qualcosa di inaspettato.

Usciti dal locale il Seal svettava col suo fisico alto ed asciutto sul piccolo colonnello austriaco che, nonostante si sforzasse di apparire tranquillo non riusciva a mantenere il suo consueto cipiglio.

Sour cominciò ad impartire gli ordini all’ufficiale appena degradato “Colonnello, lei comanda la divisione di guardia al palazzo dell’Hoffburg, quindi grazie alla sua posizione non avrà alcuna difficoltà ad avere accesso al sistema hardware che controlla l’allarme della stanza del tesoro”.

Hoier si fermò di fronte ad una vetrina di un pasticcere piena di glassati così dolci che solo uno di essi avrebbe donato ad uno scerpa il fabbisogno calorico sufficiente a camminare per un giorno sopra i sei mila metri.

Sour disse “Colonnello cosa fa già esita?”, hoier lo guardò sottomesso “No signor…?”.

Sour sorridendo in maniera comprensiva “Colonnello, sa che non posso dirle il mio nome! Cosa si aspettava che mi presentassi con tanto di documento ufficiale?”

Allora Hoier riprese “Vede, la mia non è esitazione è che non sono in grado di forzare il software che comanda l’allarme del tesoro, nessuno dei soldati è in grado di farlo, viene gestito da una ditta privata esterna appaltata dal governo austriaco.”

Il seal abbandonò il suo fare sarcastico e strafottente e parlò in tono deciso “Colonnello, forse non se ne è ancora reso conto ma lei ha a che fare con gente preparata ed altamente addestrata, qualsiasi azione che poniamo in atto viene preordinata e ben organizzata, quindi ci aspettavamo da lei questa risposta.”

Mentre finiva di parlare Sour consegnò al colonnello una memoria estraibile per computer, la classica memoria a forma di penna che viene collegata alle porte usb dei personal “Colonnello ciò che le ho appena dato, nonostante il suo aspetto normale, non lo può acquistare nel negozio sotto casa”.

Hoier interruppe il seal “Il sistema hardware dell’Hoffburg è un sistema chiuso, non è collegato alla rete, vede, qualsiasi cosa collegata ad internet viene prima o poi visitata dagli Hacker”.

I due imboccarono le strade buie e strette del centro storico di Innsbruk, un negoziante stava alzando la serranda del suo negozio di cristalli che, illuminati dalle luci alogene, brillavano come un abito da sera di cattivo gusto.

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I prismi dei cristalli riflessero le loro iridi sul volto contratto di Sour facendolo distrarre per un solo secondo.

Sour rivolse lo sguardo verso Hoier, dischiuse le mascelle rilassando i muscoli del suo viso spigoloso “Colonnello, la funzione della memoria estraibile che le ho dato serve proprio ad interfacciare il sistema con l’esterno, in essa è contenuto un programma worm, un cavallo di troia che in maniera autonoma oltrepassa le difese del software dell’allarme ed un modem blutooth che lo interfaccia con l’esterno”.

Hoier strinse le palpebre come se fosse stato accecato da una forte luce “La mia funzione finisce dopo aver collegato la memoria al sistema dell’Hoffburg?”

I due ora camminavano di fronte alla vetrina del più fornito negozio di orologi a cucù di Innsbruk all’interno vi era una foresta intricata di sculture il legno, teste di cervo e automi danzanti applicati ai pendoli che erano più costosi una macchina di classe.

Sour distolse lo sguardo dagli orologi , nonostante l’interesse che quegli strani oggetti suscitavano in lui, abbasso il volto e con un sorriso materno disse “ Colonnello, se la sua funzione finisse qui dopo neanche dodici ore il suo libro dei segreti sarebbe in tutte le edicole e le assicuro sarebbe in ogni armadietto di ogni soldato di Vienna e soprattutto sul comodino del capo di stato maggiore austriaco!”.

Hoier ricominciò a camminare tra le strette vie quasi a cercare un angolo buio dove nascondersi ma il seal gli stava alle costole osservando qualsiasi cosa lo circondasse e valutando le potenzialità fisiche di ogni persona che lo sfiorasse.

Sour si fece serio e riprese a parlare con un tono controllato “Colonnello, appena avrà interfacciato il computer con l’esterno il suo ultimo compito sarà quello di farsi un giro istruttivo nel museo dove sicuramente avrà modo di contemplare gli stupendi tesori, ma prima di completare la sua visita educativa non dimentichi di portarmi un piccolo souvenir in nome della ormai intima amicizia che ci lega.”

Al colonnello parve di sentire il suo cuore esplodere, in fondo era stato sempre un codardo, la posizione di alto rango che aveva raggiunto era unicamente dovuta agli appoggi politici che poteva vantare la sua famiglia alto borghese, non si era guadagnato niente sul campo e proprio ora che pensava che nulla avrebbe potuto scalfirlo si trovava a combattere una vera battaglia.

Il viso sottile ed antipatico dell’ufficiale si fece ancora più contratto, la paura di ciò che doveva affrontare non lo rendeva più in grado di controllare la sua espressività e ciò prestava il fianco agli attacchi di Sour che si facevano sempre più sardonici e di facile realizzazione “ Colonnello sa cosa mi piacerebbe che mi portasse questa volta?”

L’ufficiale smise di camminare e lo guardò con gli occhi di un bambino indifeso “Cosa….?”

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Sour colse in se un sentimento di pena mista a rabbia per la debolezza dell’uomo che aveva di fronte ma sentì nelle sue fauci il sapore del sangue e ciò lo aveva sempre spinto a mordere ancora più forte per finire la sua preda “Voglio da lei l’Heilighe Lance!”

Il colonnello sentì le sue ginocchia tremare ed a stento riuscì a trovare la forza di controllarsi “Farò come dice in cambio del vostro silenzio”

Sour riprese “So che ha tanta paura, non è vero colonnello, ma stia sicuro la sirena non suonerà, lei sposterà la teca senza fare troppo rumore, infilerà la lancia nella sua ventiquattrore da burocrate scalda poltrone ed uscirà dall’Hoffburg, salirà sul suo fuoristrada di lusso e ritornerà qui da me, io l’aspetterò nella piazza di ………….. ,sa, il carino paesino di contadini prima di Innsbruck.”

Hoier cercò sollievo tendendo la mano verso il seal ma Sour “Colonnello, lei sicuramente mi scuserà se non le stringo la mano, vede, odio i contatti fisici in particolare con le persone che mi fanno schifo”; gli sorrise amichevolmente, fece un passo indietro squadrandolo con serietà e poi si voltò allontanandosi in fretta.

L’uomo impietrito che aveva lasciato dietro le spalle si stava frugando nelle tasche ma Sour sapeva che ciò che cercava non era sicuramente una minaccia nei suoi confronti ma la dose di cocaina che gli avrebbe dato il coraggio di compiere la sua missione.

Il seal tornò nuovamente nelle strade trafficate di un indaffarato tramonto di inizio settembre e passò di fianco ad una cabina telefonica sorridendo.

Il militare sapeva che ormai nelle linee dei telefoni pubblici si trovano solo due tipi di conversazioni : quelle tristi ed inutili degli uomini che si sentono giovani e forti perché tradiscono le loro mogli e le loro famiglie e quelle degli attentatori più stupidi che non sanno che quelle linee sono deserte e facilmente controllabili da quando esiste la telefonia mobile.

Sour si frugò nelle tasche ed estrasse un piccolo cellulare, lo portò all’orecchio ed attivò la funzione vocale, pronunciò con tono basso la parola “capo” ed attese per due toni emessi dall’apparecchio, dall’altro capo dell’etere giunse un “..si….” gutturale pronunciato da uomo che stava attendendo notizie, Sour rispose prontamente “ gli ho parlato, ci siamo appena lasciati, è disponibile a compiere il lavoro, nessun problema!” dal ricevitore del telefono si sentì “Aspetta la consegna come d’accordo, finisci il tuo lavoro poi vieni subito da me”.

Sour interruppe la conversazione e ripose in tasca il cellulare e mentre sospirava soddisfatto si accorse che due ragazze che passavano in macchina lo stavano guardando, ognuna delle due si stava chiedendo chi di loro il ragazzo alto e moro che camminava velocemente sul marciapiede avrebbe potenzialmente scelto, egli invece sapeva che avrebbe potuto scegliere indifferentemente l’una non curandosi del dispiacere dell’altra.

Hoier camminava ancora più velocemente verso il posteggio sotterraneo dove aveva lasciato il suo classe M, inserì con mani tremanti una banconota da cinque euro nella biglietteria automatica ed attese che la banda magnetica del suo biglietto fosse riscritta.

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Si affretto nella penombra mentre rovistava nelle tasche alla ricerca della sua dose e non appena salito in macchina ne depose una generosa quantità sul suo pollice destro che non esitò a spingersi nella narice fino a farla raggrinzire come quella di un lupo che ringhia.

Sbarrò gli occhi come se sul cofano della vettura fosse appena atterrato Satana in persona ed urlò con tutta la sua voce la rabbia che aveva represso nella precedente conversazione.

Il motore calibrato e silenzioso del lussuoso fuoristrada sussurrava sotto i lievi acuti dei pneumatici che percorrevano in salita l’uscita del posteggio, Hoier si trovò fuori, era solo col suo cocktail di paura, cocaina e rabbia ma sapeva che si sarebbe dovuto sbrigare per svegliarsi da quell’incubo.

Il caporale di fanteria al cancello posteriore dell’uscita dell’Hoffburg saltò fuori dalla garitta appena vide lo scuro classe M avvicinarsi con insolito fare scattante, il finestrino oscurato dell’auto di rappresentanza si abbassò velocemente lasciando scoprendo il volto furente del colonnello Hoier.

La reazione del giovane soldato fu di indietreggiare di un passo mentre la sua mano destra scattava fulmineamente per il saluto militare.

La voce di Hoier si espresse in un ghigno serio e calmo “Apri il cancello!”, il giovane caporale si volto senza parlare stringendo con le unghie la tracolla del mitra saltò nella garitta schiacciando con vigore il pulsante di apertura come un concorrente di uno stupido gioco a premi televisivo.

Le luci azzurre dei fari del Mercedes illuminarono lo spazio vuoto del suo posteggio riservato e dall’auto scese il colonnello nello splendore della divisa da alto ufficiale.

La notte il palazzo dell’Hoffburg è ancora più bello, le pareti bianche riflettono amplificandola qualsiasi luce ed i bordi dorati sono come i raggi del sole che di giorno, per sbaglio si incrociano con la vista e lasciano negli occhi linee colorate.

A quell’ora sullo scalone non c’era nessuno ed Hoier saliva con passi incerti per i gradini bassi, aveva sempre odiato quella scala perché lo rendeva goffo ed instabile così che mentre saliva non poteva ostentare la sua aplomb da ufficiale.

Finite le scale si trovò di fronte ad un lungo corridoio con pareti finemente adorne di arazzi e quadri di enormi dimensioni. Hoier camminava lentamente e notò che la propria andatura era scoordinata, era la prima volta quella che non pensava al suo grado e soprattutto non pensava di farlo pesare a nessun sottoposto, quella volta non aveva voglia di giocare all’ufficiale cattivo, quel maledetto seal lo aveva più che degradato, lo aveva congedato con disonore ad uno status di piccolo uomo debole e senza potere.

Il grande lampadario a goccia fortemente illuminato gli riflesse su tutto il corpo i propri arcobaleni e nella sua mente emerse il viso del giovane soldato che lo aveva trattato con sarcasmo e superiorità, ma stranamente non provò odio, dal suo animo scaturiva una inspiegabile riverenza nei confronti del suo nuovo superiore. La strada per raggiungere il suo grado era stata facile, il colonnello non aveva dovuto passare attraverso la gavetta ma adesso si trovava di fronte alla realtà di compiere una vera missione, il colonnello si guardò attorno in un gesto involontario alla ricerca di qualcuno che

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potesse aiutarlo, ma nelle lussuose sale c’era solo la sottile presenza del tempo e di una storia gloriosa ormai perduta e testimoniata dalle ricchezze appese alle pareti delle ampie stanze deserte.

Hoier si fermò nel silenzio un istante e inspirò con la bocca gonfiando il torace, ma subito la pesantezza che sentiva sulle spalle ed il dolore che la tensione gli procurava al torace la obbligarono a regolarizzare il proprio respiro.

Senza trovare alcun sollievo mosse i suoi passi verso la stanza alla fine del lungo corridoio, le sue mani strinsero forte l’antico maniglione in ottone, Hoier attese un attimo prima di premerlo verso il basso in attesa che una voce amica accorresse in suo aiuto.

L’attesa fu vana, nessuno venne in aiuto, Hoier premette senza forza avvertendo la debolezza della sua presa, nella stanza due sottufficiali seduti disordinatamente ad una scrivania ridevano bevendo l’ennesimo bicchiere di una bevanda con caffeina per non dormire durante il servizio.

Uno di essi si girò verso l’entrata, sbarrò gli occhi e contemporaneamente si drizzo sull’attenti alla vista del temuto superiore, l’altro nell’alzarsi tentò goffamente e senza successo di aggiustarsi la divisa sbottonata.

Hoier era di fronte a loro con un viso calmo ed impassibile “Allontanatevi di qui, cercherò di dimenticare lo stato in cui siete adesso. Ritornate solo quando sarete presentabili.” disse con una voce rotta dalla tensione incapace di ritrovare il suo tono acuto fatto di arroganza e superiorità.

I soldati si precipitarono fuori dalla stanza chiudendo l’alto pesante portone correndo verso gli acquartieramenti, si guardarono con terrore, uno dei due accennò all’altro un sorriso che non si completò coinvolgendo l’espressività degli occhi che rimasero fissi ed inespressivi.

Il colonnello era solo di fronte ad un terminale collegato in rete al main frame che controllava l’antifurto della stanza del tesoro dell’Hoffburg..

Hoier infilò la mano destra nella tasca della divisa ed estrasse la memoria usb consegnatagli dal seal, tentò maldestramente di infilarla nella porta posta nella parte frontale dello chassis del computer, trovò una prima resistenza ma si accorse quasi subito che doveva voltarla verso il senso obbligato per poterla innestare ed infine premette con il pollice.

Lo schermo al plasma si riaccese mostrando per un solo secondo le finestre dei controlli dei sensori volumetrici e di movimento e quelle delle telecamere che riprendevano i tesori ed i dipinti più preziosi dell’Hoffburg, Heuer assistette alla procedura come paralizzato ritraendo di scatto al petto la mano che aveva appena installato la periferica.

Una carica elettrica contenuta nell’hardware estraneo venne trasmessa alla scheda madre del computer che reagì ravviando la macchina, quando Heuer avvertì il tipico beep di avvio di ogni computer il sistema operativo della memoria aveva già preso il controllo del computer sostituendosi a quello originario.

Il nuovo software ospite operò in maniera autonoma rilevando la rete e collegandosi al main frame lo contaminò con le proprie istruzioni, l’ultima azione automatica che compì fu il collegamento con

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l’esterno tramite il suo modem blutooth. L’antifurto dell’Hoffburg era violato, qualcuno dall’esterno lo stava ora controllando.

Il video al plasma sulla scrivania si riattivò dallo stand by, sul dektop non c’erano più le finestre dei controlli che trasmettevano le immagini delle telecamere, i rooter del main frame non lampeggiavano più, l’unica piccola luce che testimoniava una trasmissione di dati era quella rossa presente sul nuovo hardware intruso; Heuer spostò lo sguardo esterrefatto su quel piccolo led che lampeggiava aritmicamente, quando si rivolse di nuovo al monitor una scritta gialla a lettere cubitali su sfondo nero diceva “Stronzo, muoviti, hai quattro minuti soltanto!”, la scritta scomparì dopo qualche secondo e sullo schermo riapparse la schermata tradizionale con le telecamere ed i controlli dei volumetrici, i rooter del main frame ripresero a lampeggiare.

Heuer si voltò ed uscì dalla stanza, i suoi passi risuonavano sonoramente sui marmi policromi, il colonnello si sentiva stranamente sollevato e trovò in se stesso un inaspettato equilibrio, sentì il sangue rifluirgli nelle vene ed il calore gli riportò sicurezza e concentrazione, cercò così di ridurre il rumore dei suoi passi e di affrettarsi verso la stanza del tesoro.

Heuer non badò al tragitto che stava compiendo ma lo percorse in maniera automatica, la sua mente era completamente vuota, i suoi gesti erano meccanici ed il tempo trascorse veloce nella sua mente accelerando il proprio fluire, la prima immagine che il colonnello tornò a vedere fu la porta a doppio battente, normalmente serrata elettronicamente, che celava la sala del tesoro.

L’ufficiale strinse la maniglia ed avvertì il freddo metallo (hitler) che contrastò sulle sue mani che avvampavano dal calore, scrollò leggermente la testa chiudendo gli occhi e spinse verso il basso, la porta si aprì senza opporre resistenza.

Il volto del colonnello fu investito dall’aria più fresca che proveniva dalla sala climatizzata che riposava nella penombra, pesanti tendoni di velluto rosso cupo non permettevano alle luci esterne di entrare.

L’alto ufficiale mosse un solo passo verso l’interno, socchiuse il battente della porta dietro le sue spalle, una grossa croce finemente tempestata di gemme verdi opache si rifletteva nei suoi occhi e dall’interno di una teca in vetro una pesante sfera d’oro gli illuminava il viso nuovamente contratto dal terrore.

Heuer spostò lo sguardo verso l’alto senza muovere il capo e la sua attenzione si fermò sul sensore di spostamento che lampeggiò nel momento in cui era entrato, attese un istante il suono della sirena che non arrivò, fu sorpreso di non provare sollievo per il pericolo scampato, capì che ciò che stava succedendo, i suoi ordini erano chiari ed il tempo per completare la missione stava per finire.

Il dolore nel petto del battito accelerato del suo cuore lo riportò al presente, il silenzio della notte nella stanza del tesoro gli fece percepire il respiro concitato della sua bocca si sentì come un malato pieno di dolore che si risveglia nel letto di un ospedale.

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Heuer mosse alcuni passi in silenzio verso la teca di vetro nel centro della sala, sul velluto rosso erano disposti antichi manufatti che decoravano alcune reliquie, nel centro riposava la lancia sacra.

Il colonnello non l’aveva mai guardata, agli ufficiali il compito di comandare ai preti quello di pregare ad Heuer non interessava la punta che aveva trafitto il Cristo preso com’era a gridare ordini ai suoi sottoposti ma i suoi occhi sbarrati ora la stavano osservando. Il fascino della lancia lo rapì, il colonnello non percepì che il suo volto stava sorridendo teneramente, la sua mano ne seguiva involontariamente il profilo accarezzando prima la punta nera come la pietra e poi la foglia d’oro che ne ornava la base.

Heuer si destò alzando lentamente il viso ritornato sprezzante, tornò a controllare i movimenti del suo corpo, i suoi pensieri di rabbia tornarono a popolare la sua mente ed ebbe la facoltà di agire.

Aprì la sua ventiquattrore cercando i guanti neri che indossò in tutta fretta, mentre studiava il punto dove fare forza per spostare la teca fiutò l’odore pungente della pelle nera che vestiva la sua mano destra disposta a pugno sotto il suo naso aquilino.

Il colonnello aprì le sue braccia contemporaneamente, la lancia puntata nuovamente verso un uomo si scosse dal suo sonno, sarebbe stata portata al suo nuovo padrone , un soldato senza onore con il cuore colmo di disprezzo e collera verso chiunque avesse la calma ed il coraggio di comprendere la grazia e l’amore presenti sulla terra l’avrebbe consegnata a colui che adesso la reclamava.

La teca di vetro si sollevò con facilità ed il colonnello si stupì della propria coordinazione mentre riusciva a posarla silenziosamente sul pavimento di marmo, la sua mano nera ne saggiò la punta affilata e capì che poteva ancora uccidere, Heuer avvertì uno strano timore ma subito se ne dimenticò.

L’ufficiale raccolse la lancia con molta delicatezza e notò sotto di essa un sensore dell’antifurto che non si innescò, non perse tempo a riposizionare la teca ma nascose ciò che aveva rubato nella sua ventiquattrore di pelle.

Gli occhi di Heuer ripresero a riflettere l’odio che covava il suo animo mentre camminava a passi decisi nel lungo corridoio, la sua immagine dal profilo affilato si rifletteva ad intervalli sugli specchi dalle cornici dorate appesi alle pareti, provava orgoglio perché da solo aveva compiuto la missione.

Il colonnello passò di fronte alla stanza di controllo del sistema di antifurto dell’Hoffburg, i due soldati sedevano rigidi, impietriti ed impeccabili di fronte al monitor che non presentava alcuna anomalia. L’ufficiale li guardò un istante ed essi scattarono sull’attenti per poi sedersi nuovamente, il timore reverenziale gli aveva accecato la mente essi non capirono che il monitor trasmetteva una immagine fissa senza alcun significato e che un operatore attraverso il modem intruso stava azzerando a basso livello la memoria del main frame mentre il colonnello si allontanava.

L’ultima cosa che l’hacker cancellò fu proprio la schermata di controllo del monitor che rimase nero per un istante prima che apparisse la scritta gialla “Soldati, forse è il caso di dare l’allarme!”,

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l’hardware intruso tornò ad operare autonomamente innescando l’impulso elettrico di una piccola carica di C4 che l’autodistruggeva in un sorda esplosione.

Heuer era troppo lontano per udire le sirene e vedere l’Hoffburg illuminato in piena notte come in un giorno d’estate.

Il lussuoso abitacolo del fuoristrada governativo teneva lontano i rumori dell’attrito dei pneumatici ad esclusione del sibilo del turbo che fischiava regolare alle accelerazioni di Heuer nei tornanti e nelle strade di campagna fuori Vienna.

Il colonnello guidava inespressivo il suo fuoristrada che procedeva nella notte come una barca sospinta silenziosamente dal vento in un lago fatto di fumi bianchi di bruma che saliva dai campi arati di fresco.

La strada si fece solitaria ed anche l’ultimo piccolo paese fatto di basse case bianche dai tetti appuntiti giaceva nel suo sonno disturbato dai pochi lampioni che ne delineavano a distanza i contorni.

Heuer aspirò sonoramente aria nei polmoni sgomentato da due fari che si accesero improvvisamente proprio dietro la sua vettura, istintivamente pigiò forte sull’acceleratore distanziando di poco chi lo inseguiva ma i due fanali rotondi si riaccostarono fino a toccare il paraurti del suo fuoristrada.

Il colonnello girava spasmodicamente il capo cercando di controllare le reazioni del suo inseguitore e la vista della strada si mischiava nella sua mente con le immagini dello specchio retrovisore e con la velocità del tachimetro.

L’inseguitore portò la sua scura vettura in prossimità della fiancata del fuoristrada governativo di Heuer nel posto meno probabile, proprio in prossimità di una curva cieca, il colonnello girò il capo di scatto e dal finestrino fumé riuscì a distinguere il volto del Seal che sorridendogli guidava il suo Wrangler per nulla preoccupato della pericolosità delle manovre che stava compiendo.

Il Seal si accostò pericolosamente alla fiancata dell’auto guidata dall’ufficiale e sfoggiando il suo sorriso di circostanza abbassò il finestrino, una musica melensa a tutto volume si sprigionò dall’abitacolo della sua Jeep. Il colonnello sembrava un guidatore principiante con le braccia rigide impietrite a stringere il volante, Sour guardandolo con un sorriso compassionevole scrollò la testa e portatosi la mano a lato della bocca gli urlò “Accosta imbecille!”.

Heuer era di nuovo agli ordini del suo nuovo superiore e fra poco avrebbe dovuto presentare il suo rapporto, la sua gamba tremante schiacciò il freno del Classe M che si fermò in pochi metri e quando cercò il suo inseguitore si accorse che era già fermo in piedi di fianco al suo Wrangler blu.

Heuer aprì lo sportello della vettura ed il freddo umido della notte lontano dalla città gli gelò le mani, nell’aria c’era un forte odore di foglie madide cadute da poco dagli alberi, il suo naso già fortemente provato dalla cocaina presto si abituò a quel rassicurante sapore di campagna, ciò che la sua mente percepiva era solo la spiacevole sensazione di umido che pervadeva la notte.

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Il Seal rimase serio ed immobile a pochi passi da lui così il colonnello decise di muovere per primo avvicinandosi a lui con una camminata legnosa ed impacciata.

Dopo solo tre passi lo special force chinò leggermente il capo di lato e in un tono falsamente esasperato “Colonnello, la ventiquattrore!?!” .

Heuer girò velocemente i tacchi affrettandosi verso la sua macchina come uno scolaretto che si dimentica la cartella dei libri. Quando uscì dalla sua costosa vettura alzò il viso e si accorse che il seal era ad un solo metro da lui con un sorriso compassionevole.

“Colonnello” furono le sue prime parole “sia così gentile da aprire la sua ventiquattrore e consegnarmi la lancia” il suo fisico agile ed asciutto imperava su quello esile e debole del burocrate.

Heuer infilò lentamente la mano nella valigetta dalla quale emerse una punta nera come la notte che li circondava, il vestito d’oro che ornava la base della lancia sembrava donare vita all’antica reliquia.

Il colonnello col capo chino la porse al Seal con un fare penitente come quello di un fedele che riceve l’ostia dal sacerdote.

L’oro scintillò sotto gli occhi di Heuer ed improvvisamente impennò verso la sua destra, la lama che sembrava un’ombra nella notte scura balenò all’altezza dei suoi occhi, il colonnello fissò lo sguardo impassibile di Sour mentre avvertì la lama gelata penetrargli di lato nel collo urtandogli sinistramente le vertebre alla base del cranio.

Le mani di Heuer tremarono senza controllo e sbatterono in maniera ridicola sulle sue anche, l’ufficiale non avvertì con il tatto il tessuto liscio della sua divisa. Sour lo stava guardando morire sostenendogli il corpo con la lama stessa, ancora infilata nelle sue carni.

Il gesto fu così improvviso che Heuer non sentì alcun dolore e la sorpresa fu l’ultimo sentimento che lo accompagnò mentre il suo sguardo si perse verso l’alto dove incontrò una buia foschia; in ultimo percepì il suo corpo cadere ed un rumore di passi che si allontanavano.

Sour estrasse rapidamente la lama dal collo dell’ufficiale, una sensazione piacevole di calore gli pervase il palmo della mano assassina, sensazione che presto si trasformò in quella di ribrezzo nei confronti del sangue e mentre si allontanava rivolse le ultime parole al corpo esamine che aveva appena abbandonato “Mi spiace colonnello, ma non ci riesco proprio a dirle …. niente di personale”.

Il soldato si avvicinò lentamente al suo fuoristrada stringendo la lunga lama scura nella sua mano destra, l’avvolse in un panno che si tinse di rosso vivo e la depose nella custodia di pelle di una racchetta da tennis e poi si girò a guardare il corpo di Heuer che giaceva prono sulla stretta carreggiata.

Il Seal cercò il suo pacchetto di Marlboro Light nella tasca del giubbotto di Jeans ed accesane una compose un numero con il cellulare “Salve capo, qui ho finito il lavoro vengo da lei”, la voce che

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rispose non sembrava quella di un uomo che viene svegliato nel mezzo della notte ma, nonostante l’ora, era calma ed attenta “ Bene, portami ciò che ti ho chiesto”.

Il Seal salì sul Wrangler blu spense la sigaretta in un posacenere stracolmo di cicche ed accese il potente motore, le casse ripresero a trasmettere a tutto volume una lamentosa canzone di un uomo che ha appena perso il suo amore.

Sour mosse il fuoristrada facendo attenzione a non lasciare tracce sulla strada e si allontanò cantando non pensando che la lama che aveva appena usato era ancora capace di uccidere dopo il suo sonno durato duemila anni.

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Un’ hostess annoiata e stufa di sorridere aprì il pesante portellone di un boing 737 della Pan Am, l’odore di pneumatici accompagnato dal forte calore del deserto si mischiò a quello pungente della ispida moquette dell’aeromobile.

Un piccolo gruppo di giovani ansiosi di divertirsi e di bere alcolici si affrettò sulla scala di discesa, l’hostess fu costretta nonostante il suo umore a sorridergli con minimo cenno delle labbra. Gli altri passeggeri erano uomini soli di mezza età alla ricerca di un po’ di fortuna ai tavoli, la loro consapevolezza che l’unica fortuna che sopravviveva a Las Vegas era quella del tavolo stesso non mosse loro il passo, scesero quindi molto lentamente la scala trasportando un leggero bagaglio a mano , l’hostess trovò la forza di elargire un unico, prolungato sorriso cumulativo che si spense, decrescendo in espressività, come la lunga nota finale di un assolo di violino.

Quando Jack Heaulmet nel suo leggero completo grigio chiaro si avvicinò all’uscita, l’hostess aveva appena finito la sua riserva di emergenza di sorrisi, riuscì comunque a trovare la forza di indicargli la via di uscita, la stessa che avrebbe voluto scendere di corsa ed allontanarsi dal suo lungo e monotono turno di lavoro.

Jack venne investito dal calore intenso e secco del deserto, istintivamente aumentò la frequenza dei suoi respiri infastidito dalla infernale vampata che proveniva dalla pista di atterraggio che bolliva sotto il sole.

L’uomo scese i primi gradini si fermò un istante ed alzò gli occhi al cielo pensando di essere abbagliato da un sole accecante ma con sua sorpresa trovò l’atmosfera velata da una leggera foschia dovuta alla polvere secca che galleggiava nell’aria, l’hostess osservò Jack fermo sulla scala di discesa e capì che il volto pulito di quel tipo così elegante non c’entrava niente con i tavoli da gioco né con gli alcolici né con le prostitute che insidiano il vincente di turno, cercò così di sforzare la sua immaginazione per indovinare a quale categoria di persone potesse appartenere ma non ci riuscì, accompagnata da un sospiro tornò nella carlinga a sbrigare il suo lavoro.

Jack Heaulmet cercò di completare il più velocemente possibile le pratiche di check out confidando nel fatto che non avrebbe dovuto ritirare alcun bagaglio, aveva imparato a portare con se le cose che riuscivano ad entrare in un bagaglio a mano visto che la vita è già abbastanza difficile anche senza la possibilità che una sovraffollata compagnia aerea ti perda la valigia.

Fuori l’aeroporto ritrovò il clima che aveva abbandonato sulla pista di atterraggio, il dolce puzzo di un vicino Mac Donald aveva sostituito l’odore dei pneumatici cotti dal sole, Jack si chiese quante volte a settimana un uomo avrebbe potuto sopportare un pasto in un fast food senza dare evidenti segni di esaurimento psicofisico.

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Ammiccò con un lieve sorriso a se stesso rendendosi conto che la scelta di quell’elegante completo grigio chiaro era stata la migliore visto il torrido contesto l’unica cosa che gli rimaneva da fare era trovare un taxi che l’avrebbe portato in albergo.

Scelse il primo taxi della lunga fila che sostava nella galleria coperta di fronte all’aeroporto ed accomodatosi nel sedile posteriore si rivolse al conducente che sarebbe stato più appropriato a trainare un risciò nella downtown di Pechino “Hotel Best Western, per favore”, l’orientale fatto un cenno col capo portò la sua macchina che aveva più l’aspetto del suo appartamento sulla strada poco trafficata nel sole di Las Vegas.

“Quindici dollari e 90” disse il tassista che aveva percorso la strada in poco meno di un quarto d’ora, Jack scese dall’auto mentre i 90 cent cadevano tintinnando all’interno di un bicchiere di coca media sistemato sul cruscotto del taxi, Jack capì sorridendo quale effettivamente fosse l’equilibrio psicofisico di un avventore abituale di un fast food.

Percorse in fretta l’entrata del Best Western e si trovò nella hall dell’albergo che con sua grande sorpresa era più trafficata di quelle cui era abituato, il motivo risultò presto chiaro ai suoi occhi : fuori faceva un caldo d’inferno, dentro il condizionatore avrebbe messo a suo agio un cane da slitta ma soprattutto contro le pareti c’era un plotone di slot machine con le loro leve alzate come braccia di soldati nazisti di fronte al fuhrer.

“Dev’esserci una prenotazione a nome Heaulmet, Jack Heaulmet” chiese alla giovane donna che con fare da ufficio tasse rispose “Un documento di identità, per favore”.

Finalmente Jack spianò sul banco il suo portafogli scuro con il tesserino della CIA bianco azzurro in bella vista, la ragazza abbandonò il suo burocratese ritrovando un tono umano “Le consegno subito le chiavi, signore, ecco, la sua stanza è la 312 al terzo piano, buona giornata”.

La scala esterna che portava al piano della stanza obbligò l’agente a riassaggiare il caldo del deserto che nelle ore serali si era fatto curiosamente più umido, all’interno della sua stanza ritrovò il soffio gelido ed asciutto del condizionatore ma Jack, questa volta, non provò sollievo angosciato dall’idea di dover appoggiare la sua roba sul copriletto dell’hotel che sicuramente era stato usato da un centinaio di persone.

Per dimenticare quella squallida idea accese immediatamente il piccolo televisore, la Cnn stava trasmettendo una noiosa intervista di un senatore democratico che sedeva su una poltrona troppo piccola per contenere il suo enorme sedere da uomo d’affari, il politico stava rassicurando che avrebbe rispettato le promesse fatte agli elettori ma le dimensioni del suo doppio mento facevano apparire le sue parole poco veritiere. Jack, che si era seduto in un angolo, a suo avviso poco usato, del copriletto a fiori, pensò che un uomo così disordinato non era affatto nelle condizioni di promettere niente a nessuno, tanto meno ad una nazione.

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Abbassò deluso lo sguardo dal video e dopo un istante i suoi occhi si aprirono sul quadrante nero del suo Omega speed master era già l’ora di muoversi, non era il caso di concedersi di arrivare tardi alla sua prima riunione straordinaria.

Il cielo si stava lentamente tingendo di scuro, dal suo taxi Jack osservava l’ingranaggio di Las Vegas mettersi in movimento, in qualsiasi altro posto l’uomo avrebbe cercato nel cielo terso le prime stelle solitarie ma quella volta furono i milioni di lampadine dei casinò che attirarono il suo sguardo.

L’enorme piramide dell’Hotel Luxor era più nera della notte e se non fosse stato per l’enorme faro acceso sulla sua sommità Jack avrebbe pensato che era proprio in quel punto che il cielo si appoggiava sulla terra.

Dritto in piedi di fronte alla piramide nel suo sguardo di bambino davanti ad una montagna di gelato Jack pensò che non tutto a Las Vegas era di cattivo gusto ma sicuramente non avrebbe mai tentato la fortuna all’interno della copia in vetro fumé di una tomba egizia.

All’interno Jack scoprì che la piramide era cava ed i vetri oscurati all’esterno altro non erano che le finestre delle tante stanze del lussuoso Hotel, ascensori a cremagliera trasportavano gli ospiti ai piani superiori ed i corridoi di accesso alle camere sporgevano sul vuoto di quell’enorme montagna di vetro.

Jack sorrise alla vista di un uomo che faceva footing in uno di quei corridoi sospesi nel vuoto anche se si rese conto che quello era forse l’unico posto a Las Vegas dove era possibile correre visto che l’interno della piramide aveva un proprio microclima dove i quattro venti erano i potenti condizionatori che soffiavano incessantemente il loro freddo secco.

Jack con un sospiro tornò a preoccuparsi della sua riunione segreta chiedendosi per quale così grave emergenza l'agenzia aveva scelto di chiamare proprio lui con la sua specializzazione in storia. Fino al momento in cui aveva ricevuto la comunicazione si era perfino chiesto se le sue conoscenze in storia sarebbero mai servite ad un’indagine in un mondo che corre avanti così velocemente e non si sofferma mai a guardare neanche il suo presente.

Jack aveva scoperto che la cosa brutta delle riunioni segrete di emergenza era che non viene mai spiegato al convocato quello che sarà l’oggetto del problema che dovrà essere affrontato quindi l’agente speciale Heaulmet non aveva potuto preparasi su niente in particolare a meno di non rispolverare dall’inizio i suoi voluminosi libri dell’università. Questo pensiero accentuò l’ansia di Jack che con un profondo sospiro tentò di scacciare dalla sua mente l’immagine di se stesso che rimane a bocca aperta dopo una domanda specifica del relatore della riunione.

L’unica informazione che gli era stata data era che doveva trovare all’interno del Luxor una nuova ampia ala in costruzione dove il pubblico non poteva entrare e dove un agente travestito da operaio lo avrebbe riconosciuto e fatto entrare.

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Jack cominciò la sua ricerca all’interno dell’immenso hotel camminando velocemente sulla moquette policroma che rendeva il suo incedere ovattato e piacevolmente confortevole.

Presto Jack si trovò in una grande sala, anch’essa a tema egizio, colma di slot, roulette e ruote della fortuna e per un istante si soffermò ad osservare una vecchietta che smanettava con uno di quei mangiasoldi cromati piene di cartigli egizi, la donna teneva fra le labbra una sigaretta e ritmicamente soffiava verso la macchina nuvole di fumo, Jack si chiese quali sentieri sbagliati aveva imboccato nella sua vita per trovarsi in quel posto a quella veneranda età a fare quell’ignobile e noioso gioco.

Scrollando il capo proseguì il suo cammino tra le persone ai tavoli e notò perplesso che nessuno lo degnava di uno sguardo, quella gente aveva capito che lui non era un giocatore per quello non gli badavano, nessuno doveva perdere tempo a valutare la sua fortuna e sperare che la propria fosse stata migliore quella sera.

Heaulmet si rese conto che l’FBI sceglieva bene i posti per le sue riunioni segrete non c’era bisogno di scomodarsi a raggiungere posti deserti magari dove un satellite spia non avrebbe avuto alcun problema ad inquadrarli, inoltre in un casinò di Las Vegas c’erano più interferenze magnetiche che in una tempesta solare. L’idea di tutto quel perfezionismo da parte dell'agenzia gli fece pensare che forse la sua preparazione non era così perfetta ma tutta quella eccitazione cominciava ad incuriosirlo così sorrise con metà della sua bocca ed aggrottò le sopraciglia e continuò a cercare la nuova ala in costruzione con quell’espressione decisa e compiaciuta.

Il cartello indicava la solita scritta “Authorized personnel only” ecco la nuova ala in allestimento scavata nel sottosuolo del deserto del Mojave, dieci metri sopra il sole del Nevada infuocava la polvere, il vento caldo faceva rotolare l’erba del diavolo li sotto invece l’acqua rubata da chissà quale fiume a rischio di prosciugamento avrebbe zampillato a profusione e orrende statue di gesso avrebbero accompagnato futuri giocatori nello scenario del Nilo di qualche migliaia di anni fa.

“Hei architetto!” disse un uomo con una tuta bianca ed elmetto rosso “da questa parte. La stanno attendendo. Ecco il suo elmetto.” Per un attimo la mente di Jack fu sfiorata dall’idea di dire a quell’operaio che stava sbagliando persona, lui non era architetto, ma non commise l’errore, era tutta una delle coperture della CIA, così indossò l’elmetto rosso che curiosamente faceva pendant con la sua cravatta ed entrò nel cantiere scavalcando goffamente una bassa struttura in legno, l’operaio, dopo la sua entrata, abbassò senza fretta un pesante strato di nylon opaco e si mise ad inchiodare qualcosa senza voltare il suo sguardo dietro di se verso l’affaccendato ed inutile mondo del casinò.

Il sipario di nylon calò dietro le spalle del giovane agente dietro di sè lo show di Las Vegas doveva continuare, lo spettacolo dell’azzardo rapiva le coscienze del pubblico del casinò ubriaco del caos di luci e rumori, nel back stage, invece, Jack trovò la penombra ed il silenzio, i cavi elettrici

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pendevano dal soffitto dei corridoi scavati nella pietra e l’odore del silicone, delle vernici e dei collanti gli mostrarono che quel mondo era tutto finto.

L’agente Heaulmet si inoltrò sul pavimento di cemento, i suoi passi tornarono a fare rumore riecheggiando contro le grigie e spoglie pareti del tunnel.

La sua gita dietro le quinte del Luxor si interruppe in un’ampia sala che a suo parere avrebbe dovuto contenere una enorme fontana, Jack provò ad intuire cosa avrebbe dovuto rappresentare, rispondendo a se stesso che sicuramente l’acqua in quella sala sarebbe stata un’oasi nel deserto dell’antico Egitto e mentre tentava di immaginarsi l’adatto posizionamento delle statue e palme il suo sguardo si posò su una piccola porta nera con un maniglione antipanico.

La sua carriera di decoratore di casinò si fermò bruscamente in quel momento, l’agente sapeva che la riunione lo aspettava oltre quella soglia che avrebbe dovuto affrettarsi a varcare.

Per un giovane agente della CIA una riunione straordinaria era la prova del fuoco, avrebbe dovuto essere preparato ed attinente, mentre stringeva il maniglione inspirò profondamente e lasciò uscire l’aria lentamente come faceva prima di iniziare un esame orale all’università, la porta si schiuse, un sibilo d’aria gli tappò le orecchie, nove persone eleganti e corrucciate lo stavano attendendo sedute ad un tavolo scuro nel silenzio segreto di quella inutile caverna artificiale.

Jack rimase dritto in piedi per un solo istante indeciso sul protocollo da tenere in quella difficile situazione, le parole pronunciate in tono impersonale “Prego, agente Heaulmet, si accomodi” lo liberarono dall’empasse ma soprattutto gli fecero notare che a quel tavolo c’era ancora una poltroncina libera, quel posto era destinato proprio lui.

L’udito ovattato dalla depressione alle orecchie fece sentire a Jack il battito del suo cuore accelerato dallo stress dell’impegno che stava per intraprendere, posò la sua ventiquattrore sul pavimento slacciò la giacca e accarezzandosi la cravatta si accomodò a quel tavolo in quella situazione così difficile per la sua carriera.

Un uomo magro di bassa statura con una camicia bianca ed un panciotto grigio chiaro si alzò e si portò ad una estremità del lungo tavolo ovale, Jack notò il suo taglio di capelli demodé, rasato sopra le orecchie e pensò che quell’uomo forse non si era mosso da quella sala dall’ultima riunione straordinaria per la crisi della baia dei porci.

“Signori, siamo tutti presenti e la riunione può cominciare” disse l’uomo a voce bassa, “vorrei innanzitutto presentare l’agente Heaulmet e dargli il benvenuto nel team per le situazioni a potenziale rischio politico”.

Jack pensò deluso che la presentazione appena fatta dall’uomo con il panciotto aveva sottolineato a tutti che era un novellino e mentre accennava agli agenti del team un sorriso di saluto disse a voce impercettibile “ci mancava che mi chiamasse “tigre””.

Il relatore estrasse alcuni fogli dalla sua consunta valigetta nera che esibì con vanto, quella ventiquattrore doveva aver sicuramente partecipato a decine di riunioni straordinarie, Jack spostò lo

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sguardo verso la sua che invece era stata acquistata per l’occasione ed ebbe la sensazione di percepire l’odore del cuoio appena conciato.

In un sospiro Jack si accorse di avere concesso a tutti i presenti un decina tra messaggi corporei ed esteriori che lo identificavano alla perfezione, con un filo di rabbia nei confronti di sé stesso pensò che forse avrebbe fatto prima ad entrare nella sala con il suo curriculum vitae appeso sulla schiena.

L’agente con il taglio da missili cubani continuò a voce bassa e pacata “Il colonnello Heuer, in forza all’esercito austriaco ed a capo del reggimento di fanteria a protezione del palazzo dell’Hoffburg è stato trovato assassinato sul bordo di una strada isolata che costeggia l’Inn a poche decine di chilometri da Vienna”.

L’unico agente donna al tavolo ovale girò di scatto la testa mostrando sul viso un’espressione di stupore mista a preoccupazione quando il signor Cody pronunciò la parola Hoffburg, il relatore si interruppe un istante nel vedere quel gesto improvviso.

Jack apprese con sollievo che probabilmente i messaggi corporei erano consentiti alle riunioni straordinarie, la giovane donna riguadagnò il suo contegno girando lentamente il volto verso il tavolo scuro che riflesse fiocamente i suoi capelli biondi.

L’agente capo Cody riprese il discorso stirando i lembi inferiori del suo panciotto “Attualmente il palazzo dell’Hoffburg è in stato di allarme ed è blindato al pubblico anche perché il sistema di sicurezza ha fatto clamorosamente cilecca ed un antico manufatto contenuto nella Weltliche Schatzkammer, la stanza del tesoro, ha preso il volo”.

L’agente donna sistemò con il medio e l’anulare una ciocca dei suoi corti capelli biondi sfuggita dal suo orecchio sinistro, la sua mano tornò a posarsi sul suo grembo, Jack notò dalla tensione del suo gesto che qualcosa l’associazione della parola Hoffburg e antico manufatto l’avevano messa in allarme.

L’agente capo Cody continuò “Come ben sapete il protocollo di sicurezza delle riunioni di emergenza non ci permette di trasmettere dei filmati che potrebbero essere intercettati ne di scrivere appunti su lavagne luminose quindi dovremo adattarci e proseguire la descrizione degli eventi a livello verbale avvalendoci delle conoscenze dei nostri due nuovi esperti”.

Jack si rese immediatamente conto che uno degli esperti era sicuramente lui, per un attimo cercò di trovare tra le sue conoscenze tutto ciò che riguardasse il palazzo dell’Hoffburg ma in quei momenti il tempo viene a mancare tanto velocemente quanto il modo in cui trascorre, il risultato fu che quasi subito la sua mente era vuota ed in attesa della domanda.

“Signor Heaulmet lei ha una specializzazione universitaria in storia” disse Cody togliendosi un paio di occhiali dalla pesante montatura nera, “vuole accennarci qualcosa riguardo l’Heilige Lance”

Jack alzò il capo e strinse le palpebre per un istante che gli parve eterno, Codì finì di parlare “La lancia sacra di Longino”.

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Il calore portato dal sollievo si diffuse in un solo istante nel corpo dell’agente speciale, in quell’occasione a Jack non importò di lasciare trasparire il suo body language, il suo volto abbandonò la contrazione dovuta alla tensione e lasciò trasparire i suoi lineamenti gentili illuminati dai suoi capelli lisci e biondi.

Iniziò a parlare in tono lento e deciso cercando di modulare la velocità con cui era solito esprimersi “A partire dal VII secolo, per via delle crociate, nel mondo cristiano si diffuse il fenomeno socio religioso della venerazione delle reliquie”, tutti i presenti tranne l’agente donna si voltarono verso di lui con espressioni estremamente interessate, Jack notò che manteneva il capo lievemente inchinato a fissare il grosso tavolo scuro da riunione, inarcò quindi le sopraciglia e continuò, questa volta con fare didattico “la maggior parte di esse erano pezzi anatomici delle spoglie mortali di santi o martiri della cristianità”.

Gli astanti, eccetto la giovane donna, erano sempre più attenti alla relazione del nuovo arrivato, Jack cominciò ad avvertire nel suo orgoglio le prime tracce del risentimento per quel comportamento ma continuò in maniera decisa “Le reliquie, nella maggior parte dei casi, erano fasulle, la medicina moderna ha dimostrato secoli più avanti che, per esempio, alcune di esse non erano altro che ossa di pollo” tutti gli uomini sorrisero all’unisono, Jack decise di smettere di divagare e continuò “Le reliquie più preziose erano indubbiamente quelle che riguardavano la passione e la Crocifissione di Gesù Cristo come la Sacra Sindone, il Patibolum e…”, Jack giocò la carta della pausa teatrale ad effetto, si atteggiò con un’espressione molto altera ed istruita e disse con voce ancora più lenta “La Lancia Sacra di Longino”.

Cody interruppe l’agente speciale “Benissimo agente Heaulmet, permettiamo alla professoressa Driver di Harward di addentrarsi ancora più profondamente nell’argomento”.

Quel “benissimo” pronunciato dal capo fu l’applauso a scena aperta che si aspettava, la ventiquattrore di Jack aveva la sua prima tacca.

La ferita nell’orgoglio di Jack si rimarginò quando scoprì che la donna non era un collega ma un professore, la sua disattenzione era dovuta al fatto che conosceva l’argomento più profondamente di lui..

Cody presentò la donna “La professoressa Driver insegna storia delle religioni ed è la più giovane titolare di cattedra di Harward, conosce cinque lingue” poi disse sorridendo”La professoressa ha quindi tutti i requisiti per presenziare a questa riunione pur non avendo il brevetto di agente speciale”.

Carrie Driver cominciò a parlare immediatamente senza alzare il capo con la mano sinistra impugnava una Mont Blanc bordeaux “ San Gregorio di Tours, nel IV secolo, fu il primo a sostenere l’esistenza di questa reliquia legata alla passione di Gesù Cristo, secondo i Vangeli canonici il costato del figlio dell’uomo venne trapassato da un colpo di lancia inferta da un

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centurione Romano….. Gaio Cassius Longino soprannominato Longino l’Isaurico cioè originario della provincia romana Isauria, nell’attuale Turchia”.

Carrie alzò lo sguardo per la prima volta, gli agenti videro il suo bel volto, quando era seria assumeva un aspetto involontariamente imbronciato per via del suo labbro inferiore più carnoso del superiore, quella volta i suoi occhi neri erano velati da una strana inquietudine ma nessuno dei presenti riusciva a coglierne il motivo.

Jack dimenticò per un momento la tensione dovuta alla riunione alla vista di quel volto così giovane ancora incapace trattenere il rossore se qualcuno poggiava su di esso il suo sguardo, Carrie incrociando gli occhi con quelli di Jack abbassò nuovamente il capo e continuò a parlare con voce pacata “ In Giovanni 19, 20 è riportato che dalla ferita inferta al Cristo uscì sangue ed acqua che tinsero la punta della lancia che secondo la tradizione acquisì enormi poteri miracolosi”.

L’agente capo Cody si sedette al tavolo con gli altri agenti, tutti prestavano grande attenzione alle parole della professoressa Driver che ora, più rilassata, si esprimeva in tono pacato.

Carrie continuò appoggiandosi allo schienale “Tralascerei le nozioni che ricollegano la Lancia Sacra con il Graal e Re Artù perché ciò che qui più ci interessa è il reale percorso storico che l’ha poi portata all’Hoffburg”.

Jack chiuse gli occhi per un istante e sospirò perché sapeva che il resto della relazione sarebbe stato appannaggio della professoressa Driver, aveva passato l’esame, Cody l’aveva assunto, il solo sentimento che albergava in lui era la curiosità per la missione che avrebbe affrontato.

Carrie spostò la solita ciocca ribelle dietro il suo orecchio “ A differenza delle altre reliquie la Heilge Lance intreccia il proprio destino con importanti eventi socio politici che a mio parere è utile conoscere in questa sede per meglio comprendere l’estrema importanza della reliquia”.

L’agente Driver sospirò abbassò il capo e senza abbandonare la sua espressione discreta e misurata che la faceva assomigliare più ad una studentessa che sosteneva un esame che ad un professore continuò la sua relazione “ Nel 285 la lancia, dopo aver trafitto il costato di Cristo, sarebbe giunta nelle mani del centurione Maurizio che era a capo di una legione romana, nota come la Legione Tebana. Maurizio era a capo di 6666 soldati che, secondo le cronache, non esitarono a farsi martirizzare senza opporre resistenza dal generale Massimiliano perché si rifiutarono di partecipare ad una cerimonia pagana.”

Il contenuto accattivante della relazione del professor Driver aveva catturato l’attenzione dei presenti, Jack che non conosceva così a fondo la materia cercò di non apparire stupito dalla spiegazione e si rilassò appoggiandosi allo schienale della sua poltroncina.

“La Lancia passò da Massimiliano che poi divenne imperatore a Costanzo Cloro e quindi a Costantino il Grande che abbandonò il paganesimo per abbracciare la fede cristiana. Costanzo brandì la lancia in occasione della celebre battaglia di Ponte Milvio dove uscì vittorioso sbaragliando l’esercito di Massenzio.”

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La Driver alzò il viso che si fece d’un tratto contratto, i presenti ebbero l’impressione che le parole che stava per pronunciare la preoccupassero molto “ La cosa che rende diversa la lancia di Longino dagli altri tesori della cristianità è che la reliquia è stata posseduta da uomini che sono divenuti grandi condottieri e che senza difficoltà hanno portato a termine battaglie difficili” la donna rallentò inconsciamente la velocità della spiegazione “La lancia fu posseduta da Carlo Martello che sconfisse gli arabi a Poitiers, poi a Calo Magno, Federico Barbarossa ed infine agli Asburgo. Non sono mai stata convinta dalle teorie del determinismo ma qui le coincidenze sono al limite dello sfacciato.”

Il volto della Driver si fece d’un tratto sorridente “ Dimenticavo, a proposito di coincidenze sfacciate, sembra che nel 1909 un ventenne austriaco senza arte ne parte in cerca di fortuna come artista a Vienna venne folgorato dalla reliquia mentre visitava l’Hofburg per ammirare il tesoro degli Asburgo. Il ragazzo sostò di fronte alla teca che custodiva l’Heilghe Lance per molti minuti in una strana trance”.

Carrie si interruppe e come ogni bravo professore attese l’istante della pausa teatrale “Quel buffo piccolo ragazzo che voleva fare il pittore divenne anch’esso un condottiero e la prima cosa che fece dopo aver acquisito il potere fu di impadronirsi della Lancia … era una notte di Marzo del 1938 quando Adolf Hitler durante l’Anschluss impugnò la lama e la potrò a Norimberga e poi nel suo bunker”.

Il nome Adolf Hitler cadde come un mattone sul tavolo scuro delle riunioni, gli agenti in silenzio sembravano giovani studenti che si aspettavano il gran finale della storia, l’agente capo Cody si accigliò dietro la montatura spessa dei suoi occhiali neri anni 60, Carrie continuò “Su Hitler se ne dicono tante, frotte di psicologi hanno snocciolato decine di profili per spiegare come un tipo come lui abbia potuto affascinare un popolo intero e trascinarlo in guerra con il mondo” la Driver reclinò nuovamente il capo ma disse comunque ciò che aveva da dire “ Nessuna teoria mi ha convinta. A mio parere Hitler resta un piccolo uomo, con un povero substrato culturale e due baffetti buffi che all’epoca venivano portati solo da lui e da Charlie Chaplin quest’ultimo però non divenne così potente”

La Diver alzò lo sguardo verso i suoi “allievi” dischiuse la bocca disegnata da un rossetto di un lieve rosa acquarello “Nei tempi antichi la storia si incrociava spesso con la leggenda mentre avvicinandosi ai giorni nostri nessuna novella o leggenda della buona notte convince i cronisti che si limitano a raccontare i fatti per come avvengono quindi appare veramente strano e forse affascinante il fatto che il potere di Hitler finì quando un proiettile sparato da una Lugher gli attraverso il cranio nel momento in cui, il 30 Aprile 1945 gli alleati agli ordini di Patton in persona penetrarono nella camera blindata e recuperavano la Lancia Sacra. Fu proprio Winston Churchill che certo non passò alla storia come inguaribile superstizioso, la persona che diede l’ordine di recuperare la lama sottolineandone, e cito testualmente, l’importante necessità strategica.”

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L’eco delle ultime parole della Carrie si spense tra gli sguardi silenziosi dei presenti, sguardi che si che si rivolsero di scatto verso l’agente Cody che si alzò aggiustandosi il panciotto “Grazie professor Driver. Il governo austriaco, in via assolutamente confidenziale, ha informato la nostra intelligence riguardo la dinamica del furto dell’Heilighe Lance…Signor Spencer…prima si presenti ai nuovi arrivati”

Un giovane robusto agente si alzò e questa volta il tavolo scuro non riflesse il tipico completo da uomo elegante adatto alle riunioni da lavoro ma una camicia bianca di media categoria forse comprata in tutta fretta per l’occasione ed un paio di pantaloni chiari che dovevano essere veramente comodi perché, ad occhio, Spencer li indossava da lungo tempo “Sono l’agente Spencer, della sezione Cia rischio informatico…” dopo queste parole il giovane riconquistò velocemente il suo posto e sedendosi una lieve vibrazione del suo doppio mento svalutava leggermente la sua immagine “Il sistema antifurto dell’Hoffburg è ciò che mi sento di definire un sistema al vertice della perfezione e dico questo per un semplice motivo… è un sistema chiuso, non collegato ad alcuna intranet, in quell’impianto i contribuenti non hanno dovuto sborsare neanche un dollaro, o meglio, un euro per un modem”, nessuno si sognò di porre alcuna domanda al giovane che aveva tutte le sembianze del tipico haker con manie di onnipotenza e nickname di tutto rispetto al quale era stata data la possibilità di lavorare dalla parte meno retribuita “Sono stati i ladri a fornirne uno che ha permesso di collegare l’intero apparato di sicurezza con l’esterno, purtroppo per noi il modello di modem fornito dai benefattori in questione non era tra i modelli che mi regalerei a Natale perché era imbottito di C4, ciò significa che non mi è rimasto granché con cui divertirmi”.

L’agente Spencer finì la sua relazione “La cosa positiva di ciò che è accaduto è che da quella notte il governo austriaco installa firewall antiintrusione haker anche nei sistemi chiusi cosa che faccio già da tempo nel nostro mainframe”.

Dopo la solita esposizione del giovane haker l’agente Cody dovette aspettare qualche secondo per digerire tutta quella onnipotenza ma dopo un sorriso di sufficienza ed un sospiro di compatimento riprese a coordinare la riunione “L’agente medico Zorin” rivolgendosi ad una donna di bassa statura dall’aspetto simpatico “Vi ragguaglierà sulla morte del colonnello Hoier che si suppone essere il nostro fornitore di modem…” disse scandendo in maniera sarcastica accorgendosi di non avere ancora smaltito completamente l’esposizione di Spencer.

La Zorin sorrise ai presenti ed i suoi occhi si fecero due sottili fessure “Secondo il rapporto fornitomi dal governo austriaco e dal filmato dell’autopsia il Colonnello Heuer è deceduto a causa di un unico colpo inferto da un arma da taglio. A giudicare dal tipo di ferita l’assassino era certamente più alto del colonnello e considerando l’espressione rimasta sul volto di Heuer l’omicidio deve essere stato tanto inaspettato quanto repentino.” Dopo questa prolusione la Dottoressa Zorin abbandonò il suo tono accademico ed i suoi occhi si fecero seri “A giudicare dalla

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profondità della ferita che, scusate il particolare crudo, ha scheggiato vistosamente la prima vertebra, la nostra lancia sacra è ancora capace di uccidere.”

La professoressa Driver alzò il capo di scatto con un’espressione stupita, Jack tentò di rimanere impassibile sempre più affascinato dal tipo di missione che si stava profilando, gli occhi della Zorin sparirono nuovamente dietro il suo sorriso “ Dimenticavo…Il governo austriaco, seppur a malincuore, ha dovuto fornirci anche le analisi del sangue del colonnello... “ disse sfogliando annoiatamene il rapporto “Non credo che questa volta dalla ferita sia uscito sangue miracoloso misto ad acqua ma semplice A rh positivo misto a cocaina.”

L’agente capo Cody questa volta non si alzò, appoggiò gli occhiali dalla montatura vintage sul tavolo scuro, le lenti riflessero le due bacchette al neon che illuminavano quella spoglia sala riunioni, l’esame di Jack non era ancora finito “ Signor Heaulmet… a suo avviso, con chi abbiamo a che fare?”

L’aspettativa di Jack era la consegna degli incarichi non ebbe quindi il tempo di dare a tutti l’impressione di essere veramente preoccupato, poté solamente inarcare le sopracilia ed iniziare a rendere tutti partecipi di ciò che aveva concluso “Signori … trovo che questa riunione di emergenza sia assolutamente giustificata. Non sono del parere, anche se l’idea mi aveva inizialmente sfiorato, che tutto questo sia stato organizzato da un potente collezionista e questo per le seguenti ragioni … “

La Driver esibì una espressione severa e fissò Jack per tutto il tempo della sua esposizione “Abbiamo del C4 … è l’esplosivo preferito dai militari primo perché non lo si trova facilmente negli ambienti “amatoriali” ed inoltre in ogni altro episodio criminoso fin ora occorso dove c’era C4 c’era anche un soldato con un detonatore”.

Cody inforcò nuovamente gli occhiali e parve interessato, Jack lo osservò un istante con la coda dell’occhio ma non ebbe modo di valutare se il capo condivideva le sue impressioni, la sua mente tentava in ogni modo di rimanere concentrata “ L’idea del militare mi viene suffragata dalla precisione chirurgica dell’omicidio” dopo una breve pausa ad effetto scandì “un unico colpo e per di più estremamente vigoroso”.

Gli occhi della Zorin si fecero nuovamente una piccola fessura, con il suo capo acconsentiva vistosamente e Jack faticò a ritrovare la concentrazione in quel momento di felicità “ Ora con chi abbiamo a che fare?... Abbiamo il C4, abbiamo forza, agilità e precisione, abbiamo anche una notevole tecnologia ma ciò che più mi preoccupa è che alle spalle ci sia un’intelligence. Normali collezionisti avrebbero trovato estremamente difficile scoprire il vizzietto del colonnello visto che fino alla notte del furto l’aveva data da bere all’intero esercito austriaco”.

L’esame era superato, il diploma era già appeso al muro, Cody dall’inequivocabile espressione soddisfatta, lo interruppe alzando il suo indice destro e rivoltosi a Carrie “Professoressa Driver, posso chiederle gentilmente le sue impressioni?”

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La Driver scosse lievemente il capo, il suo viso era stranamente triste “Non so che dire… Mi sono sempre basata sull’analisi storica per tentare previsioni socio – politiche, quindi, anche in questo caso, voglio rimanere fedele alla mia linea”. Carrie raccolse la sua Mont Blanc, le sue dita tremavano in maniera quasi impercettibile “Signori, la spada del destino, nella storia, si è sempre mossa in periodi di estrema crisi socio – politica, sullo sfondo c’erano guerre sanguinose ed a brandirla vi erano uomini potenti, spesso invasati religiosamente. In questi tempi ritroviamo uno sfondo particolarmente favorevole… il mondo non occidentale sta già combattendo una guerra santa mentre noi non ci siamo ancora resi conto di esserne coinvolti. A questo punto mi manca una sola pedina per completare il puzzle …”.

Nel silenzio si percepì il neon ronzare sopra le teste degli agenti in riunione Cody trattenne il fiato, la mano a pugno sotto il suo naso si strinse vigorosamente, la Driver stava per concludere “Un condottiero molto potente”.

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I timori erano fondati. Quella colonna di tonache che prima riempiva il piccolo chiostro di pietra grigia si era accorciata troppo.

All’ultimo vespro non sarebbe seguita la preghiera mattutina, i sussurri della loro orazione quella sera non giunsero alla Vergine.

Le suore abbandonarono l’isola un’umida mattina di novembre, l’ultima ridotta di preghiera eretta prima dell’oceano aperto era dunque sguarnita.

Il nuovo custode non ricevette nessuna consegna, salì il promontorio da solo, camminò sull’erba bagnata dalla pioggia del mare, i suoi piedi affondavano profondamente nella terra nera come la scogliera che spingeva il piccolo campanile così alto nel cielo.

La piccola cappella del santo spirito si celava nel grigio del cielo, ma il nero portone tradì il suo nascondiglio.

L’uomo infranse il sigillo e spinse forte, la croce in rilievo sui battenti smise di abbracciare l’isola, si divise in uno stridulo fragore e gli consentì l’accesso.

La chiesa inspirò sonoramente l’aria umida di sale dietro le spalle dell’uomo, la sua mole resistette alla spinta, il gigante aspettò che il vento sfogasse il suo soffio ed infine mosse il passo oltre la soglia.

L’oceano non aveva ancora cancellato il profumo di incenso, l’uomo chiuse gli occhi nel buio e respirò quell’odore di antica preghiera.

Il gigante non era un ufficiale della stessa guardia che aveva abbandonato l’avamposto ma proseguì ugualmente verso l’altare e restò in piedi, alzò il capo e nel silenzio fissò Cristo sulla Croce, la ridotta era sua,la nera scogliera da quella sera voltò le spalle al mare perché lo sguardo del nuovo ufficiale era rivolto altrove.

L’espressione impassibile del soldato celava la vendetta, le sue preghiere non erano mai state accolte ma quella sera Pietro si inginocchiò per l’ultima volta di fronte all’altare.

I lunghi capelli scuri del soldato gli avvolsero il viso celandone i tratti nobili, i suoi occhi tartari si chiusero lentamente appesantiti da una profonda tristezza, con il vento suo testimone fu solo davanti a Dio “ Signore…” poi scrollò il capo ma trovò la forza di proseguire “ prima di lasciarti ti chiedo di accoglierla.”

Si interruppe ancora una volta e l’odore del pianto confuse il sapore del mare e dell’incenso, per un attimo il suo spirito ne fu dominato “Dille però che non potrò più raggiungerla là dove la vorrai, chiedile un’ultima volta perdono perché il suo gigante Petruska non è riuscito a proteggerla e ti prego consola la sua malinconia con il tuo amore”.

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Il soldato aprì le palpebre improvvisamente i suoi occhi neri stavano affondando in lacrime silenziose, il vento dischiuse per intero il suo nobile volto poi corse ad accarezzare i piedi del Crocefisso il suo soffio ad un tempo accompagnò la preghiera in alto e spense per sempre la fede dell’uomo.

La pioggia del mare prese a battere forte oltre la soglia della cappella ma Pietro non ascoltò le lacrime del Padre che cadevano sulla terra già bagnata, una voce lo riportò al suo proposito “ Pietro, ecco ciò che volevi”.

La sagoma di un uomo agile svettava tra i banchi bagnati della cappella, la sua mano sinistra stringeva una custodia da racchette da tennis, Sour distese il braccio ed attese immobile l’incedere lento di Pietro.

“Finalmente…” la voce profonda del gigante suonò come il pedale più basso dell’organo “Sour hai fatto un buon lavoro, ti stavo aspettando con ansia”

Pietro aprì la cerniera lampo della custodia di cuoio e vide la sagoma della lama nera che giaceva in essa, non esitò e brandì la lancia sporca del sangue di Hoier rivolgendola verso la croce.

Un soldato aveva trovato la lancia caduta sul fango del Golgota il sangue che la macchiava gli testimoniò che il suo filo era ancora capace di uccidere, il male aveva trovato un impero ed il suo re la sua spada.

Sour guardava Pietro con sospetto mentre il gigante rivolgeva la lancia verso la croce ma il colpo mortale non sarebbe stato inferto quel giorno “Quali sono gli ordini?”

Pietro distolse il suo sguardo di sfida verso Cristo, rinfoderò l’arma ,si voltò e si rivolse al suo soldato “Seguimi”.

La suora non riusciva ad accettare l’idea di abbandonare l’altare del santo spirito senza gli antichi paramenti di pizzo, dopo l’ultimo vespro aveva scoperto il marmo bianco dell’ara con movimenti dolci e rispettosi, quella notte non rivolse lo sguardo a Cristo si inchinò al suo cospetto a capo chino e se ne andò in silenzio attraverso la piccola porta del coro; Pietro dovette quasi inginocchiarsi per varcare quella soglia, Sour lo seguì senza fare domande.

I due soldati trovarono uno stretto cunicolo di pietra completamente disadorno Sour sorrise nel pensare che avrebbe rifatto più volentieri il corso SEAL piuttosto di sorbirsi un solo mese di rosari notturni per poi avere in premio una passeggiata in quella simpatica galleria scavata nella roccia.

Il triste passaggio odorava di muffa, dopo pochi metri le piccole porte di legno delle cellette si distinguevano da quella più grossa del refettorio, il gigante pose la sua enorme mano sul crocefisso in rilevo e spinse, la porta si aprì senza fare rumore mentre quattro uomini all’interno della sala si alzarono in piedi sull’attenti.

Il capo di Pietro era nascosto dietro il montante della porta, dalla loro posizione ai fianchi del povero tavolo del refettorio, i quattro uomini riuscivano a distinguere il fisico enorme di un uomo alto più di due metri, uno di loro spostò lievemente la mano verso il calcio della sua beretta.

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A Jack non era mai piaciuta la montagna, spesso diceva che capiva chi l'amava profondamente perchè era così che lui amava il mare.

In ottobre, poi, la montagna è la primo luogo dove l'estate finisce spinta via dal freddo del mattino e dalla pioggia insistente la stessa che stava appannando il vetro della Ford a noleggio di Jack.

Jack era già troppo preoccupato a cercare di non perdersi per le vie tortuose che costeggiano l'Inn per tentare di capire come regolare il climatizzatore e sbuffando sonoramente fece un sorriso di compatimento al lento mezzo agricolo che lo precedeva carico di fieno umido.

Il rapporto tra Jack e le mappe stradali non era mai stato buono in Europa, poi, lontano dalle Highway, consultarle può essere veramente un incubo, le vie sono tutte curve che attraversano paesini uguali tra loro con campanili appuntiti e case a ridosso delle strade, così desistette dall'impresa, lanciò la mappa dell'Austria che assomigliava più alla carta di un sandwich sul sedile del passeggero e decise di chiedere ad un passante.

L'agente Heaulmet scoprì che d'ottobre a ................ di passanti non ce ne sono l'unica sua compagnia era il freddo secco nonostante la pioggia tagliente, le sue mani si strinsero a pugno, Jack si accorse che erano congelate e ripetè a se stesso quanto odiasse quel posto in quella stagione.

Nel bar dove Jack entrò non vi era profumo di caffè ma un'aria umida e scura, quello era il classico locale dove si può ordinare ciò di cui si è sentito l'odore Jack tentò di indovinare il piatto del menù quel giorno era polenta e capriolo e per dolce la classica danish schiacciata dal suo carico di glassa bianca.

Dietro al bancone scuro svettava un ragazzo dagli abiti oversize, Jack gli si avvicinò lentamente godendosi le vampate di calore provenienti dalla cucina, l'agnte chiese un caffè ed apprese con sollievo che il giovane parlava inglese anche se aveva la odiosa abitudine di fissarlo insistentemente negli occhi.

Alcuni operai che lavoravano in un cantiere stradale vicino comincarono a popolare il bar sedendosi ai tavoli in attesa della loro polenta e capriolo così si sbrigò a chiedre ciò che voleva sapere prima che l'attività del ragazzo divenisse troppo frenetica “Qui vicino c'è stato un omicidio, un ufficiale dell'esercito, mi sai dire dove è successo di preciso?”.

Il giovane prese a parlare “Si, qui avanti, dopo il paese, appena imboccato il bosco”, Jack fu costretto a chiedere al ragazzo di abbassare la voce visto che il suo tono squillante aveva riempito la sala, i suoi occhi blu continuavano comunque a fissarlo “Ci sono ancora i nastri della polizia” disse questa volta a bassa voce.

Jack sorrise pensando che non doveva più consultare la mappa stradale sulla sua Ford e spinse la moneta da un Euro sul bancone, il metallo era rallentato dall'umido che si era depositato sul legno,

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“Un'ultima cosa....” Jack parlò a bassa voce sperando che il giovane rispondendo lo imitasse “Avete visto facce strane qui attorno in questi ultimi tempi?”.

Il ragazzo dietro il bancone riprese con il suo inglese urlato “Io lavoro su al passo, vendo wurstel alla griglia!” Jack capì finalmente perchè il ragazzo teneva la voce così alta e questa volta non gli chiese di regolare il volume “Mia madre l'ha già detto alla polizia che l'unico straniero era il tennista”.

L'agente Heaulmet sentì il cuore sobbalzare nel petto ma riuscì a non alzare il capo di scatto, con un dito accarezzò la moneta sul bancone che era l'unica superficie lucente in quel posto appiccicaticcio, si concesse però un respiro di sollievo perchè una pista esisteva e lui era il primo agente americano a venirne a conoscenza.

L'agente Heaulmet dissimulò un'espressione di distaccato interesse e ripetè “Il tennista?... Si gioca a tennis da queste parti?”.

La voce del ragazzo riprese più squillante di prima abituata com'era a vendere salsicce ai turisti infreddoliti “Qui a ............ vengono solo turisti abituali, tutti hanno una casa di proprietà qui a .................. si fa solo trekking non si gioca a tennis”, la madre del ragazzo cominciò a fissare dalla cucina indispettita per la conversazione che si protraeva più a lungo del previsto “Il tennista è venuto qui a mangiare due volte con la sua racchetta..... era un tipo alto e magro....”, la portà della cucina si aprì facendo uscire una nuvola di vapore che sapeva di stufato di capriolo insieme ad un secco comando in tedesco rivolto al ragazzo che si dilungava nella conversazione. Jack si accorse di essere scattato sull'attenti dopo aver sentito l'urlo della donna e sorridendo uscì dal locale stupito dal quale potere autoritario la lingua tedesca era in grado di esercitare.

“Sono Heaulmet dalla linea sicura mobile in Austria” Jack stringeva il suo piccolo Nokia sul ciglio della strada appena fuori del bar, una piccola utilitaria alzava una nuvola di acqua al suo passaggio, la pioggia gli fendeva il viso che però avvampava di calore “sono diretto diretto ad Innsbruk, richiedo di essere contattato urgentemente dall'agente Spencer della divisione rischio informatico” attese il bip di conferma della avvenuta registrazione del messaggio e pigiò il bottone rosso del cellulare cercando di raccoglire le idee ma in quel momento la felicità di aver scoperto qualscosa gli annebbiava la mente.

L'acqua gelida e marrone dell'Inn ingrossata dalle insistenti precipitazioni aveva accompagnato Jack ad Innsbruck, la città iniziava d'un tratto appena finita la campagna con i suoi contadini che sbandieravano forcate di fieno nelle cascine speranzosi che l'inverno quell'anno non fosse così lungo da esaurire le loro scorte. Il semaforo di un incrocio divideva la piccola stradina di campagna dall'ampio corso della città fatta di alti ed austeri edifici che si poggiavano su ampi ed ordinati marciapiedi, Jack seguì quella strada principale affidandosi più alla fortuna che al caso nella ricerca dell'universtà, un gruppo di studenti attravesò la strada di fronte al muso della sua Ford, Jack afferrò

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la mappa stradale che gettò con disprezzo e superiorità sul sedile posteriore della sua auto a noleggio mentre il suo cellulare stava squillando.

“Cristo Heaulmet ma a lo sai a che ora Langley mi ha buttato giù dal letto?!” la voce era quella di Spencer ed a giudicare dal tono l'agente informatico si era divertito fino a tardi nella sua attività di hakeraggio “Se lì in Europa siete già al quinto caffè, qui da noi dobbiamo ancora scaldare l'acqua della caffettiera”.

Jack assunse un tono da agente navigato e quindi decise di saltere i convenevoli “Gli austriaci ci hanno taciuto che esiste una pista ma io l'ho trovata”.

L'agente Spencer quella scura mattina di ottobre non ebbe bisogno di scolarsi la solita overdose di caffè per svegliarsi “Il tennista” lo riportò subito alla tastiera del suo computer.

Dopo aver posteggiato l'auto nel posteggio sotterraneo dell'universita l'agente Heaulmet si calò nel ruolo di studente, parte che aveva deciso come copertura per poter accedere alla rete informatica dell'università.

“L'aula computer per favore”, l'agente Heaulmet indossava la felpa da vela che lo aveva accompagnato durante gli anni dell'università, a Jack piaceva dimostrare a tutti che era un uomo di mare anche se in realtà non aveva mai toccato un timone nella sua vita, la copertura era comunque riuscita la studentessa al banco informazioni non lo scambiò per un lupo di mare ma per uno studente “Supera il primo chiostro, sali la scala, è la prima aula all'inizio del corridoio”.

Jack scelse un computer isolato dagli altri spostò leggermete il video perchè nessuno potesse vedere ciò che stava facendo, aprì a fianco del mouse il suo manuale di storia ed accedette alla rete.

Dopo aver completato i campi di user id e password ebbe la sensazione di trovarsi in ufficio a Langley così alzò il capo verso l'ampio finestrone ed osservò con piacere che fuori c'erano le montagne, in quota forse stava già nevicando.

La schermata della bbs era divisa in due parti, in una vi erano i campi della chat e nell'altra vi era la finestra di trasmissione delle immagini che Langley gli trasmetteva.

Spencer era in linea che lo aspettava e sul video apparve “Allora Heaulmet che fortuna che hai avuto .... è la tua prima missione operativa e ti hanno mandato alle Maldive, se ordini un Vodka Martini potrai dire a tutti : il mio nome è Heaulmet,...Jack Heaulmet”.

Jack lesse le parole e guardò nuovamente fuori così si accorse che la pioggia tagliente della mattinata si era trasformata nella prima nevicata dell'anno, l'agente finse di leggere qualcosa sul suo libro di storia, voltò pagina e mise le dita sulla tastiera “E tu, cosa mi racconti, ti sei poi portato a letto il tuo computer portatile oppure fa ancora il prezioso?”

Dopo l'affondo di Jack sulla schermata di destra apparve un immagine in bianco e nero di un uomo dal fisico alto e slanciato, la fotografia presumibilmente era un fotogramma di una videocamera della sicurezza di un luogo pubblico, nel riquadro sinistro del video la chat di Spencer continuò “Caro Jack, ti presento il Tennista”.

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Heaulmet si appoggiò sullo schienale della poltroncina dell'aula computer scrollando il capo, da quell'limmagine presa dall'alto si potevano desumere poche cose, si trattava di un bianco di un metro e ottantacinque di statura, moro di capelli e con la passione del tennis, Jack stava per rispondere a Spencer quando vide apparire nel riquadro della chat “Scommetto che stai già scrollando la testa?”.

L'agente Heaulmet vide entrare una giovane studentessa austriaca che fortunatamente prese posto lontano dal suo computer, Jack sorrise perchè pochi anni prima avrebbe gioito del contrario, il suo volto, però, divenne immediatamente serio quando sul video apparve il primo piano del volto di un ragazzo moro dalle labbra carnose ed i lineamenti scolpiti, i suoi occhi neri stavano guardando di lato, dalla sua espressione stava osservando qualcosa che lo divertiva, Jack scrisse “Prima cosa come diavolo sai che si tratta del tennista e come sei riuscito ad avere quest'immagine da copertina?”

Spencer cominciò a rispondere mentre Jack fingeva di prendere alcuni appunti sul suo libro di storia “Jack comincia a leccarti i baffi perchè hai fiutato qualcosa di veramente grosso, qui a Langley il capo sta disponendo la massima priorità per la tua operazione.”

Jack questa volta si dimenticò di fingere sul suo manuale di storia e rimase a bocca aperta di fronte alle parole sul video, per la seconda volta in quel giorno così freddo il suo volto avvampava menre l'immagine di un soldato apparve sul video del computer “Spencer dimmi tutto”.

Dalla sede della CIA di Langley la chat continuò “Dalle informazioni che ho scoperto, caro Heaulmet, è tanto probabile che da quella custodia esca una racchetta da tennis quanto dalla borsa del mio portatile salti fuori la conigletta del mese di Play Boy.”

Jack allontanò le mani dalla tastiera ed avvicinò il volto al video rapito da quanto stava leggendo “Il tuo contatto non è un tennista ma il primo Seal che a memoria della nostra marina abbia disertato e e poi sia scomparso durante una operazione ombra in medio oriente”.

Jack si rese conto che in quella giornata sotto le verdi montagne austriache aveva perso le speranze di controllare l'equilibrio termico del suo corpo, qualcosa delle parole seal ed operazione ombra lo inquietava profondamente e con le mani congelate scrisse “Vai avanti a trasmettere, nessuno mi sta osservando” quindi voltò il capo verso il libro ed attese la trasmissione dei dati.

L'agente informatico esaudì i suoi desideri “Al secolo, Capitano di Corvetta Sergio Manetti della marina degli Stati Uniti d'America, brevetto Seal, nome in codice Sour ed una banderuola alta cinque centimetri di campagne da appuntare alla divisa, stato attuale di servizio : ricercato dal Jag.”

L'agente Heaulmet si accorse che stava guardando imbambolato oltre il video della sua postazione computer fisso negli occhi della studentessa che cominciava ad arrossire vistosamente così Jack si scusò con un lieve cenno della mano che poi portò alla fronte per concentrarsi nuovamente sul video che continuava a ricevere dalla sede “Nel complimentarmi per la fortuna che hai avuto ad

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avere come primo contatto un soggetto semplice come un Navy Seal, te ne dico un'altra : l'intelligence austriaca non ha in mano niente, i poveretti brancolano nel buio.”

Sulla parte destra del video apparve il particolare della custodia nera da racchette da tennis a tracolla di Sour e Spencer continuò “Dopo l'undici settembre negli areoporti si potrebbe girare un reality tante sono le videocamere di sorveglianza dei chek in e come sai l'agenzia ne controlla l'ottanta per cento”.

Nella finestra della trasmissione file comparve lo stato di servizio del capitano di corvetta Sergio Manetti, i suoi brevetti assieme alla sua ultima campagna in Afganistan dove era scomparso improvvisamente, in testata al documento svettava un aquila d'oro che stringe con gli artigli un tridente, Jack sapeva bene che quello era l'emblema dei Seal.

La chat continuò mentre l'agente Heaulmet si era completamente dimenticato di fingersi uno studente “Per passare poi alla tua domanda di come diavolo faccio ad avere un primo piano, la risposta è molto semplice : mentre tu perdevi la vista sui libri di storia io mi consumavo le dita sul software di rielaborazione fotografica così adesso puoi stamparti nel cervello il bel faccione del tuo Sour.”

Qualcosa fece perdere a Jack ogni velleità sarcastica nei confronti dell'agente informatico così prese a scrivere “Di quale areoporto si tratta e soprattutto qual è la direzione del contatto ed il suo ultimo avvistamento?”.

Spencer lesse tra le righe il timore dell'agente sul campo così decise di abbandonare gli sfottò e tentò di parere più amichevole “Il nostro uomo è saltato sopra un 737 dell'Air Lingus diretto a Dublino”.

L'agente Heaulmet scrollò nuovamente il capo e scrisse con fare insistente “Come ha fatto a passare il metal detector con una lancia romana del primo secolo?”.

Spencer inviò quasi simultaneamente a Jack l'immagine dell'Heilighe Lance “Lo so che non sembra una racchetta, comunque è elementare Watson, il nostro Seal ha utilizzato il sistema più vecchio del mondo... una consistente mazzetta”, dalla finestra di invio media scomparve la lancia sacra per un video in bianco e nero molto sfocato dove un operatore areoportuale faceva cadere oltre il proprio banco di lavoro una piccola borsa molto simile ad un marsupio “Mi scuserai per la qualità delle immagini, ricorda comunque che se incontri il furbone della dogana austriaca non fare scattare le manette, l'agente Cody ti ha lasciato l'esclusiva, Vienna e l'Europa devono restarne fuori.”

Heaulmet si distese sulla poltroncina dell'aula, si sentiva privo di forze e il video di fronte a lui rimase muto per qualche secondo con il cursore lampeggiava in maniera stranamente aritmica finchè Spencer decise di inviare una nuova chat il tono questa volta non poteva che essere più serio “Ho i tuoi ordini. La tua analisi di Las Vegas pare essere esatta, da quando è comparsa la mazzetta abbiamo ragione di credere che esista un organizzazione”.

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Jack non sapeva se essere felice di essere stato così arguto comunque l'idea di inviare a Langley la richesta di avvicendamento non lo sfiorò mentre riceveva altre disposizioni “Analizzando la situazione abbiamo soldi, abbiamo un seal, non dimentichiamo per gradire la presenza di un intelligence informatica, il tutto condito con del C4 quindi abbiamo armi da guerra ed a questo punto se la nostra professoressa Driver ha ragione abbiamo anche un vertice.”

Jack annuiva leggendo le parole che comparivano sul video, un sorriso triste gli fece serrare le palpebre “Heaulmet, i cervelloni qui a Langley pensano che la somma degli addendi dia come risultato un fine politico e soprattutto sono convinti che la presenza della Lancia faccia riferimento ad un vertice costituito da un sola persona e come tu ben sai : fine del cattivone, fine dell'organizzazione, fine del movente politico tutti a casa a vedere un dvd.”

Le parole di Jack continuavano ad essere decise e stentoree “Gli ordini?”.

Le immagini media del video erano terminate la finestra di destra rimase scura mentre arrivò l'ultimo messaggio chat “Destinazione Dublino, copertura : studente in visita al Trinity College dove potrai utilizzare la loro rete informatica. Obiettivo : il vertice della piramide.”

Il computer emise il beep di riavvio del sistema, il sistema operativo non si ricaricò in alto a destra il cursore stava lampeggiando dopo la scritta “No system or file data” qualcuno aveva formattato a distanza la macchina sulla quale Jack aveva lavorato.

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Gli occhi imprigionati in uno sguardo fisso, le grandi mani bianche reggevano qualcosa di molto caro.

Nel silenzio della cella il suono del suo respiro trovò come accompagnamento il silenzio, la mente del gigante volle che nulla avesse rumore.

Inspirando il suo sguardo si alzò leggermente ed una lacrima di umidità scivolò sulla parete di pietra nera.

Il grande corpo del gigante si sedette sull'umile letto di legno, le sue mani celavano un cofano di velluto blu.

Il suo indice seguì il profilo dell'emblema decorato sul tessuto, un rapace bicipite d'argento, le ali spiegate mostravano sul petto un cavaliere intento a trafiggere un drago.

L'uomo si abbandonò al suo gioco e così tentò di ricordare, il suono di un carion invase la sua mente e per pochi momenti l'eco delle note di un'Ave Maria sopirono l'assolo del suo respiro.

Il bagliore dell'aquila d'argento volò via dai suoi occhi per perdersi nella fioca luce della stanza, d'improvviso Pietro aprì il piccolo cofanetto e comandò alla musica della sua mente di tacere, l'Ave Maria non fu interrotta perchè il carion che aveva avuto in dono continuò da quel punto.

Quel gioco era ciò che egli voleva rimanesse della sua infanzia, il suono scandito dei rintocchi del carion avevano cancellato il ricordo delle vie che aveva percorso.

In quella città nulla aveva senso, il giorno non era giorno e la notte non era notte, il sole indugiava a sorgere la mattina e le cupole dorate rispedivano indietro la sua luce.

Di sera poi gli occhi stanchi non potevano avere tregua, le cupole trattenevano per dispetto quel sole che la mattina le aveva fatte attendere.

Lo splendore dei monumenti, la forza dei grifoni dei ponti, la fierezza del soldato a cavallo venivano giocati dalla luce che sorgeva solo per scherzo.

Il bambino nella notte bianca della sua città non si accorse della sua ombra, nessun riflesso si attaccava dal suo corpo durante il suo incedere, i suoi occhi erano rapiti dalla bellezza che lo circondava.

Quella ricchezza avrebbe dovuto celebrarlo, l'aquila a due teste avrebbe dovuto gridare la sua fama, tutta la forza del cavaliere di bronzo avrebbe dovuto ricordare il suo passato e l'angelo della guglia sulla fortezza avrebbe indicato la sua discendenza reale.

In quella città l'oppio della religione fu sconfitto ed il suo nome non servì più a niente così come la santità che lo precedeva.

La sua mente continuava a ripeterselo, quel posto non aveva senso, lo splendore dei palazzi che si duplicava sulla Neva, l'oro delle statue con le croci delle chiese ed il finto sole ne era il testimone.

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Lo zar era tornato nella sua capanna di legno a nord della della città si chiamava Pietro ma il suo sangue, lo sapeva, l'avrebbe fatto tornare “il grande”.

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Non è propaganda turistica, il mare della Costa Azzurra ha veramente un colore speciale, soprattutto vicino alla riva dove i fortunati residenti lo ammirano facendo footing, tutti i giorni dell'anno, sulla Promenade des Anglais mentre cercano di evitare donne corpulente che passeggiano stringendo tra le mani il guinzaglio del loro carlino imbronciato e l'ultima Luis Vuitton acquistata nel vicino concessionario all'ombra della cupola dell'hotel Negresco.

Per quella missione era certamente fuori luogo essere aviotrasportati da un C130: il lussuoso jet privato con gli interni allestiti da Gucci seguì in parallelo la striscia turchina del mare che accarezzava la riva e l'esperto pilota, così abituato alle lamentele dei facoltosi clienti, lo fece atterrare, senza scossoni, all'aeroporto internazionale di Nizza.

Ogni volta che si apriva il portellone e che scendeva da un aereo verso il mondo, l'agente Coen sentiva se nell'aria c'era puzza di intifada ma in quel luogo ciò che lo sorprese fu il silenzio, nessun controllo, nessuna perquisizione, non vi era una folla in attesa di chissà che cosa ammassata dietro una transenna ma solo una Porche anni cinquanta che lo aspettava ai bordi della pista.

Coen non si era accorto di ciò che gli era capitato, forse perché non era stata una cosa improvvisa, comunque era successo. Lentamente, giorno dopo giorno, tutto gli era apparso indifferente; aveva smesso di apprezzare le cose che gli accadevano, non era più in grado di cogliere il profumo dolce e pungente proveniente dal negozietto di saponi sotto il suo appartamento in Place Massena.

Coen odiava stare in mezzo alla gente, non si sentì neppure in dovere di scusarsi con il passante urtato mentre camminava in tutta fretta e, anzi, si accorse che il suo corpo sembrava ritrarsi alla vista di un autobus pieno di gente. Lui era abituato ad andare oltre ed ad affrettare il passo di fronte a quelle che per lui erano solo facce indistinte.

Coen non rideva più, non amava più, ma una visione, tra la folla indifferente, lo fece immobilizzare, era qualcosa che non si vedeva facilmente a Tel Aviv, qualcosa che lo urtava più del silenzio dopo un'esplosione o del pianto che lo spezzava.

Si avvicinò così ai tre magrebini seduti a bere birra sulla porta del loro malconcio negozio di souvenir ed entrò senza accennare a un saluto.

Coen si sentiva estraneo a tutto, non era più un agente del Mossad, non aveva più una porta da aprire al Profeta Elia ed il risentimento per quelle battaglie che non portavano mai alla vittoria lo aveva annullato.

Il magrebino gli si avvicinò con quel sorriso falsamente cordiale che solitamente conquistava i turisti e disse “Salaam, giovane, ne vuoi uno?”.

Il saluto in arabo fece sussultare l'ebreo che cedette all'impulso di portarsi l'indice destro di fronte alle labbra e di intimare il silenzio.

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Il vecchio negoziante magrebino si era appena voltato verso i suoi sogghignando quando udì la voce dell'ex agente Coen domandare “Che pugnale è quello?”.

“Quale giovane?....Quello in mezzo? Quello grande?”, Coen annuì come un bambino timido di fronte ad un giocattolo.

“Ah giovane quella è una lama halallah” poi tacque un istante con gli occhi serrati e riprese mentre Coen si ritraeva per il puzzo di birra che gli impestava il fiato, “E' il nostro pugnale sacro, sono cinquanta euro per te giovane!”.

Il nordafricano gli porse il pugnale con un gesto penitente, la lama ricurva era affilatissima e pesante ed il manico bianco, traslucido, era di finto osso; l'ebreo pagò in silenzio, senza concedere al vecchio alcun mercanteggiamento, uscì e smise di sorridere. Provava schifo per avere quell'arma tra le mani.

L'ebreo si trovò di nuovo in mezzo alla folla impegnata nello shopping, la lama gonfiava la tasca interna della sua giacca da pesca di panno blu ma lui non ne sentiva il peso.

I segni sul bel viso ancora giovane tradivano la stanchezza del suo cuore, aveva smesso di domandarsi il perché delle cose, un velo di tristezza scese sul sguardo e mentre camminava si sentì vecchio.

Senza guardare fuori si avvicinò alla finestra socchiusa del suo piccolo alloggio, un gruppo di turisti vociferava e rideva nel negozio al piano di sotto, Coen scacciò dalle sue narici il profumo di essenza di lavanda che saliva verso l'alto e rispose al cellulare ”E' per questa sera” una voce bassa lo svegliò dal suo torpore.

Coen non rispose ed aspettò senza fare nulla che il suo telefono ritornasse in stand by dopo aver indicato la durata della chiamata.

Ancora una volta ebbe una sensazione di stupore e mentre riusciva ad assaporare il profumo di lavanda che veniva da di sotto i suoi occhi sorrisero alla consapevolezza di avere carta bianca, questa volta non c'erano regole di ingaggio c'era solo un fine ed una lama con cui raggiungerlo.

Pochi motori al mondo emettono un suono simile a quello della Porsche è come un rullo di tamburi che sembra frusciare quando rimbomba sui muri dei palazzi, quel suono lo stava accompagnando sulla Croisette, i suoi capelli neri lisci ondeggiavano appena sopra il parabrezza, un leggero vento di grecale riscaldava l'aria che sapeva di ulivo, le luci dei lampioni gli segnavano la strada verso Montecarlo.

Un posteggiatore in livrea verde scuro e bottoni dorati ammise con un cenno deciso della mano la sua auto al parcheggio antistante il casinò mentre un altro con un sorriso ed un inchino negava l'ingresso ad un utilitaria che doveva accontentarsi del posteggio sotterraneo.

Coen notò che nessuna telecamera spiava l'ingresso vip al casinò e l'ex agente fu dentro con i suoi capelli neri che luccicavano sotto le appliques in stucco dorato e con la sua pesante lama nascosta dalla sua giacca di cachemire blu.

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Per tutta la vita gli occhi di Coen si erano serrati per la polvere del Negev e la paura di morire in un attentato li aveva resi attenti ad ogni pericolo ma in quel casinò, quella sera, stavano guardando persone squallide che ostentavano la loro ricchezza quella gente non aveva nessuna paura della morte, il suo cuore prese a battere sempre più velocemente mentre il suo animo scoppiava di rabbia per quell'ingiustizia e le sue mani, a pugno chiuso, tremavano di nervoso mentre chiedeva al boureau di contattare all'interfono la stanza 520 “Posso salire?”.

Il volto di un uomo dalla pelle olivastra prese il posto del numero 520 in ottone la tenda bianca alle sue spalle ondeggiò lasciando intravedere il golfo che abbracciava il porto vecchio.

“Il tuo capo non bada a spese” Coen varcò la soglia tentando di evitare il puzzo d'aglio che usciva dalla bocca dell'uomo “Vuoi favorire? è già tutto pagato!”.

L'ex agente si guardò intorno senza darlo a vedere ed ancora una volta non trovò pericoli, dentro di sé non accettava un luogo dove non esisteva la paura, dove la gente pensava solo a se stessa, quel luogo era l'occidente era ciò per cui aveva combattuto e perso la sua guerra.

Coen slacciò il bottone della sua giacca e guardò il letto disfatto, dalla tavola saliva l'odore degli avanzi di una frittura di pesce ed una bottiglia di Krug svettava sopra il televisore acceso a volume alto.

L'ebreo per quella visione era più arrabbiato di quella di una cameriera del turno di mattina, Coen si voltò verso l'uomo e disse con voce calma “Cosa cazzo ti fa pensare che io mi sazi dei tuoi avanzi?!” la porta della camera sbatté sonoramente dietro le sue spalle accompagnata da una spinta stizzita e dal vento profumato della mare.

“Io voglio che tu riordini ogni cosa qui” l'ex agente non muoveva un muscolo ora che impugnava la sua Beretta uscita così velocemente che sembrò fosse apparsa grazie al trucco di un prestigiatore.

L'uomo era sicuramente nordafricano e questo gli rendeva la cosa ancora più piacevole “Se mi fai del male non ti do un cazzo e te la dovrai vedere col tuo capo!” il suo volto era ora pallido ed i suoi occhi sbarrati.

“Il nostro probelma” Coen rinfoderò l'automatica ed urlò l'ultima parte della frase “E' che è tutto in disordine!!”.

Il marocchino si avvicinò al tavolo e cominciò a riordinare con fare indeciso “Se mi fai del male ti puoi scordare la roba...” un bicchiere vuoto cadde sulla moquette della stanza seguito dallo sguardo rapido di Coen “Non ti darò niente ... per nessuna cifra”.

L'ebreo stava leggendo i valori su quello che pareva essere un computer palmare e disse “I casi sono due : o tu sei radioattivo o la merce è in questa stanza”.

Il marocchino si irrigidì ed avvertì i muscoli delle sue gambe contrarsi per il terrore, Coen continuò a parlare con tono serafico “Se tu sei radioattivo perché hai paura che io ti faccia del male?....Le radiazioni che hai in corpo ti uccideranno in pochi giorni” e concluse “Metti a posto quella maledetta bottiglia che hai dimenticato sul televisore!”

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Il nordafricano strinse il collo della bottiglia di champagne valutando di utilizzarla contro l'aggressore mentre l'ex agente scostava la sua giacca facendogli intravedere ancora una volta la sua Beretta “Se ti uccido subito spetterà a me rifare il letto, quindi, ti spiego la situazione”.

Coen si alzò indicando all'uomo il letto disfatto “Sai qual'è il segreto della vita?”.

Il magrebino cominciò a riordinare le coperte ed a giudicare dal modo con cui lavorava quello era il primo letto che rifaceva “No...Signore... ti do la roba senza farmi pagare ... è nell'armadio in una valigia rivestita di piombo... non ti farà del male” la sua voce tremante singhiozzava come alla fine di un pianto.

Coen riprese a parlare, il suo volto era privo di espressione “Il segreto della vita è sopravvivere”.

L'ebreo si sedette questa volta alla poltroncina vicino al letto e continuò “Deludente vero?! Una persona arriva alla fine dei suoi giorni e finalmente conosce il segreto della vita, alcuni si aspettano come risposta la felicità o il successo i più stupidi invece si aspettano il Paradiso invece tu per cosa stai combattendo in questo momento?”.

Il magrebino guardò con terrore se nella stanza c'era ancora disordine e rispose “...Per sopravvivere?”.

Sul volto di Coen finalmente apparve un sorriso ed esclamò con tono soddisfatto enfatizzando a lungo la prima vocale “Esatto!”.

“Però, caro il mio maiale del Magreb, come fai a sopravvivere se non conosci il segreto della sopravvivenza?” Coen stava indicando all'uomo la porta del bagno con un gesto dell'indice.

“Devo riordinare in bagno?” Coen annuì con un gesto del volto appena accennato.

Uno schizzo scuro di sangue segnò una linea obliqua le piastrelle tinta panna del lussuoso bagno, il magrebino vide sullo specchio con la coda dell'occhio il lungo pugnale halalla che gli stava segando lentamente il collo.

Stranamente l'unico forte dolore che l'uomo avvertiva era quello al cuoio capelluto sopra la sua fronte, Coen che lo stava tenendo per i capelli interruppe per un istante l'esecuzione e gli sussurrò amorevolmente nell'orecchio “Il segreto della sopravvivenza è la paura”.

La testa della vittima cadde a terra insieme al pugnale, l'ultimo sguardo fu accecato da un riflesso sulla lama e poi dal buio.

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Il pesante Crocefisso d'oro pareva un pugnale, piantato com'era tra lo sterno e la pancia grossa e tonda come un cocomero, alcune briciole di pane costellavano disordinatamente una stola di seta rossa, una mano dalle dita corte e tozze scostò la croce dalla bocca dello stomaco con un gesto rapido, uno sguardo si soffermò a contemplare il rosso profondo di un enorme rubino incastonato su un anello d'oro.

L'uomo aveva fame e piegandosi leggermente verso il tavolo, ostacolato dal grasso, raggiunse a fatica un cesto d'argento contenente un fascio di grissini. Scelse il più lungo. Quell'azione così difficoltosa per l'uomo fece cadere un altro grissino del fascio, l'uomo grasso osservò la parabola verso il pavimento divertito dal fatto che il bastoncino di pane fosse rimasto in piedi appoggiato alla gamba di una sedia vuota. Una pantofola rossa che nascondeva un piede corto e gonfio calciò il grissino verso il suo nascondiglio sotto il tavolo.

Una suorina con un vassoio di tazzine di porcellana camminò frenetica nella sala da pranzo e una voce melensa interruppe il suo passo veloce “Sorella, sono arrivati!? Sono arrivate le macchine?” la porta della cucina a fianco della sala si aprì lasciando entrare ogni sorta di profumi di cibo, un altro velo apparve “Sì, eccellenza, stanno salendo!”. La suorina con le tazzine riprese a correre senza rispondere verso un tavolo di pizzo. Lo stomaco del cardinale rispose con un profondo gorgoglio che solo l'alto prelato udì e le piccole mani tozze si incrociarono sulla sua pancia soddisfatte dalla notizia.

L'alta porta della sala da pranzo si aprì e quattro zucchetti rossi, come biglie tutte uguali su di una pista di sabbia, entrarono con passo felpato e presero posto al grosso tavolo rotondo, sopra di loro un soffitto finemente decorato con medaglioni che contenevano le effigi dei molti cardinali che avevano preceduto l'uomo affamato che era rimasto seduto al tavolo masticando freneticamente il suo lungo grissino.

Il cardinale fece gli onori di casa “Presto amici sedetevi al tavolo e cominciamo a mangiare che fuori piove e fa freddo” dall'ampio finestrone dai vetri opachi riuscivano a penetrare ovattati i rumori frenetici del centro città, una sirena di ambulanza suonava il suo breve assolo.

Una mano lunga ed ossuta avvicinò le proprie grinfie al cestino colmo di grissini “Sorella! Sorella! Le portate. Comincino le portate!” dalla cucina provenne la voce di una suora veterana dei fornelli “Si, si! Eccellenza cominciamo subito”.

Il grasso cardinale cominciò con la sua voce latte e miele “Cari fratelli”, una pausa, un lungo sospiro “Finalmente siamo riusciti ad incontrarci” poi si voltò verso la suorina cameriera “Va bene quella bottiglia di rosso, porta, porta!”.

“Siamo qui riuniti, per riorganizzarci, per... Se la Provvidenza ci aiuta, se la preghiera ci darà consiglio, ... ridare forza alla nostra corrente!”.

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Tre suore cameriere in tonaca grigio chiaro e grembiule immacolato entrarono con altrettanti vassoi sui quali fumavano cinque piatti di riso allo zafferano.

“La Divina Provvidenza vuole metterci alla prova...” due corte dita si levarono in aria così che una suora si fermò di improvviso pensando che l'uomo volesse benedire l'abbondante portata, ma il segno della croce non terminò, le dita, con gesti ritmici e ripetitivi, stavano indicando alle cameriere di disporre i piatti più velocemente in tavola.

“Abbiamo aspettato con ansia l'ultimo conclave” una prima forchettata si infilò tra le fauci affamate del cardinale che dovette interrompersi per soffiare fuori l'aria incandescente del boccone “eravamo certi che questa volta avrebbe regnato il nostro candidato, ma il vento ha soffiato da un'altra direzione”.

Questa volta due dita lunghe ed ossute raggiunsero un calice di vino rosso, il liquido evidenziò di rosso vivo le labbra sottilissime che fino ad un istante prima erano invisibili “Il vento ultimamente ha soffiato sempre verso destra”, un sorriso sardonico stirò quelle labbra che tornarono a scomparire.

“Hai ragione, questa tendenza deve cambiare e con l'aiuto della preghiera, cambierà” il cardinale dovette sforzarsi per vincere la resistenza del adipe sulla sua pancia e raggiungere il bicchiere ancora colmo di vino “Il vento soffierà dalla nostra parte e la fumata bianca porterà al soglio uno dei nostri uomini”.

“Dovremo attendere ancora per molto tempo!...” due occhi bianchi sulla pelle scura e liscia come l'ebano si erano sbarrati per la difficoltà di pronunciare una frase in una lingua non propria.

“Abbiamo avuto un Papa longevo che ha intessuto un complicato lavoro politico” nel piatto del cardinale grasso non era rimasto un solo chicco di riso “nell'ultimo conclave i suoi uomini erano troppi” e rivolgendo ai commensali uno sguardo paterno, scrollò la testa e concluse “siamo stati sbaragliati.”

Le suorine grigie entrarono con un carrello colmo di carni fumanti ed a quello spettacolo fatto di vapore e profumo gli occhi del cardinale si sbarrarono dietro le loro feritoie di adipe “Voglio quella,....,non quella sorella!, Quella là in fondo...Tre fette,tre fette!”.

La fretta dettata dall'appetito gli fece portare alla bocca l'ennesimo boccone incandescente quindi prima di parlare i commensali assistettero ancora una volta ad un soffio di aria bollente “Nostro Signore ha voluto che al soglio ci fosse un Papa anziano...Nostro Signore vorrà quindi...”, si fermò un istante per trovare, nella sua mente annebbiata dalla fame, le parole migliori “Sempre con l'aiuto della preghiera e della provvidenza, riportarlo agli onori della sua gloria il prima possibile”.

Tutti gli illustri commensali all'unisono presero il calice di vino e lo portarono alla bocca come se fosse stata pronunciata una formula di brindisi, anche il cardinale grasso bevve con avidità “Non fraintendetemi, cari fratelli in Cristo, un nostro uomo in Vaticano potrebbe realizzare i nostri più grandi progetti!”, posò il calice completamente vuoto sulla tovaglia bianca “La Chiesa ha bisogno

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di modernizzarsi, dobbiamo catalizzare l'attenzione dei giovani, e soprattutto dobbiamo accogliere, con il dialogo, i nostri cari fratelli musulmani!”.

La giovane suorina delle tazzine del caffè fece cadere sul pavimento di marmo policromo la zuccheriera che si infranse facendone esplodere il contenuto di zucchero, “Sorella, sorella, se hai difficoltà, fatti aiutare...” i cinque commensali risero e scrollarono il capo con fare paternalistico.

La lingua del cardinale grasso che era ormai insensibile al calore non avvertì quello del caffè ed il suffisso del soffio di aria incandescente questa volta non introdusse la frase che stava per essere pronunciata “Tu sei il decano d'Africa, sei giovane, e dovrai far credere a tutti che la tua tendenza è la stessa del nostro fratello al soglio di Pietro.”

I due occhi bianchi del cardinale nero si sbarrarono un seconda volta per la difficoltà di trovare le parole in una lingua che non era la sua “Non so cosa devo fare...”.

Tutti i principi della Chiesa al tavolo rotondo sorrisero amorevolmente ma solo il cardinale magro ed ossuto parlò “Non è difficile, fratello, dovrai indirizzare le tue diocesi verso il conservatorismo, verso la tradizione, dovrai consigliare ai tuoi Vescovi di scegliere liturgie tradizionali e di interrompere i rapporti inter religiosi... ” i suoi occhi si sbarrarono e le sue spalle si inarcarono come quelle di un felino pronto a balzare sulla preda “Io sono troppo vecchio per essere eletto al soglio, a te spetterà questo onore ma dovrai rispettare” e si interruppe un istante “due regole”.

Al tavolo regnò il silenzio per alcuni lunghi istanti, nella sala il profumo di caffè aveva cancellato quello delle portate che l'avevano preceduto e al cardinale grasso spettò l'enunciazione delle regole “Ti affiderai a noi confratelli anziani per poter essere eletto così come ti affiderai a noi dopo l'elezione”.

Gli occhi del decano d'Africa questa volta non si sbarrarono per la difficoltà di pronuncia mentre il cardinale magro gli accarezzava teneramente la nuca con le sue ossute dita.

I muscoli delle gambe del cardinale grasso si tesero improvvisamente sotto il tavolo ed una delle sue pantofole sformate dal gonfiore del suo piede venne calciata verso la parete di fronte; gli altri commensali non si accorsero subito di ciò che stava accadendo ma sua tozza mano afferrò la tovaglia e la trascinò di scatto sul pavimento, una bottiglia di vino si rovesciò sulla sua tonaca donando col suo colore un tono rosso scuro alla sua tonaca.

I commensali si voltarono e videro un volto grasso devastato dalla contrazione muscolare, la mascella si aprì di scatto nel momento in cui il cardinale sputò fuori la sua lingua con un rantolo gutturale.

Le mani scure come l'inchiostro del giovane cardinale africano scattarono nel Segno della Croce mentre uno schizzio di sangue zampillavano dalle narici di quel volto devastato dal dolore, il corpo cardinale grasso cominciò a rotolare a terra con le gambe che si dibattevano sul pavimento come quelle di un naufrago che tenta di nuotare in un mare tempestoso.

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Il suono dei fruscii di quel corpo che nuotava verso la morte venne interrotto dall'urlo acuto e senza senso del cardinale magro che scattò in piedi dal suo posto al tavolo, il suo corpo si irrigidì come quello di un soldato sull'attenti anche la sua bocca si aprì mostrando una lingua che andò a lambirgli in maniera innaturale il mento, quando cadde a terra il contraccolpo sul pavimento gliela tranciò di netto.

Il cardinale d'Africa vide i corpi degli altri due commensali che nella stessa maniera si erano inarcati sulle sedie e d'improvviso avevano perso il controllo dei loro sfinteri.

Il cardinale nero guardò verso il pavimento e vide la sua bocca che sputava la sua lingua, i muscoli del suo torace gli permettevano solo di espirare, i crampi che lo irrigidivano non gli permisero di chiamare aiuto, anch'egli, prima di perdere conoscenza, avvertì il calore della propria urina che gli colava sulle gambe.

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A volte i nomi non rispecchiano il carattere o l'aspetto di ciò a cui si riferiscono e questo è stato il primo pensiero di Jack Heaulmet quando aveva raggiunto Malahide.

Era un piccolo villaggio irlandese di pescatori o meglio di ex pescatori poco distante da Dublino ed al contrario di come il nome lo definiva non era né malvagio né nascosto.

Neanche la piccola camera che Jack aveva scelto nella villetta che ospitava uno dei tanti bed and breakfast della costa era malvagia anzi la tappezzeria che la decorava così come le tendine fiorate raccolte da una passamaneria di pizzo facevano sembrare il mondo più buono.

Per la prima volta Jack si accorse di essere seduto comodamente sul piumone fiorato del letto senza provare il solito ribrezzo da camera di motel, così scostò quelle dolci tendine a fiori e notò che il loro tessuto spesso nascondeva il prato all'inglese della villetta, una stretta stradina con l'asfalto scurito da una pioggerellina fitta e tagliente ed una spiaggia umida invasa dalla sabbia della bassa marea, l'agente ebbe l'impressione di osservare un poster tanto era il silenzio che avvolgeva tutto.

Heaulmet pensò che era veramente difficile rompere quell'idillio fatto di fiori ricamati, di pioggia fitta in un imbrunire che stava facendo accendere la prime luci alle stanze delle altre piccole villette tutte uguali di fronte alla spiaggia che l'innalzarsi della marea stava accorciando eppure il profumo di torta nel forno della cucina al piano di sotto accompagnò all'orecchio dell'agente la voce di una donna che stava piangendo “O mio Dio, l'arcivesco O'Brian!...”.

La mano di Jack abbandonò il lembo della tendina colorata chiudendo il sipario su quel mondo tranquillo fatto di pioggia e di marea e si girò su se stesso verso lo schermo del piccolo televisore incastonato in un armadio bianco laccato.

Lo schermo di piccole dimensioni veniva ulteriormente ridotto dalla scritta rossa sovraimpressa della breaking news “Strage di cardinali in Italia”, le riprese concitate mostravano gruppi di giovani che piangevano in una piazza, la polizia italiana impediva ogni accesso alla diocesi mentre il segretario personale del Papa invitava tutto il mondo ad unirsi in preghiera in quel tragico momento di lutto che coinvolgeva tutto il mondo cattolico.

Heaulmet lasciò acceso il televisore e si precipitò sulle scale, i suoi passi vennero ovattati dalla moquette che ricopriva gli scalini, la proprietaria del bed and breakfast non notò il giovane agente uscire rapita com'era dalle notizie che la televisione trasmetteva , Heaulmet notò prima di varcare la soglia le mani della donna ancora sporche di farina.

La sua auto a nolo era questa volta una piccola Opel verde bottiglia e mentre la guidava diretto al Trinity college di Dublino non riuscì a pensare ad altro che a tenere la sinistra in quelle strade così strette e trafficate.

Quel giorno il Trinitty sembrava deserto, gli studenti si raggruppavano di fronte i pochi televisori a seguire gli aggiornamenti trasmessi dalla CNN, i professori avevano interrotto le lezioni, gli

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irlandesi si chiedevano chi ci fosse dietro la morte del loro arcivescovo, l'agente Heaulmet quella volta non chiese a nessuno di aiutarlo a cercare l'aula computer.

Una ragazza con gli occhi gonfi di lacrime scrollava il capo in silenzio e cercava aggiornamenti sui motori di ricerca Heaulmet scelse la solita postazione isolata ed iniziò una nuova sessione chat nella bbs protetta della CIA “Scrivo dal Trinity di Dublino, chiedo aggiornamento ordini a seguito dei nuovi accadimenti.”

Il cursore lampeggiò alcuni istanti mentre sulla finestra di destra appariva l'immagine dell'arcivescovo decano d'Irlanda John O'Brian, da Langley l'agente informatico Spencer prese a scrivere “Caro Jack reclina il tavolinetto ed allacciati le cinture di sicurezza perché la crisi sta decollando... a tutta velocità!”.

Sullo schermo si stavano susseguendo le immagini degli altri prelati coinvolti nella strage, prima uno zucchetto che copriva il capo di un uomo alto e magro poi un altro piccolo tozzo e sorridente ed infine lo schermo mostrò il volto di un cardinale di un giovane cardinale di colore sul cui petto pendeva una pesante croce d'oro, Jack notò come l'oro risaltasse sulla pelle color ebano del giovane porporato “Cosa diavolo è successo?”.

Spencer scrisse dall'atro lato del mondo “Tu parli del diavolo ma in Italia non sono state avvistate corna, nessun sospetto, niente di niente.”

L'agente Heaulmet pose entrambe le mani sulla tastiera e scrisse molto velocemente “Cosa facevano cinque cardinali di diocesi lontane nel modo attorno ad un tavolo a Milano?”

Spencer fece ballare il cursore sul video altrettanto velocemente “Sai quale è la qualità che preferisco nella gente? La semplicià! Tu, caro Jack, ne sei dotato : arrivi subito al nocciolo della situazione. Il punto di partenza è proprio questo.”

Jack si sentì gratificato dal complimento e continuò a scrivere “Cosa li collega?”

Spencer continuò questa volta con un fare meno canzonatorio “Del cardinale di colore non sappiamo niente perchè non ha fatto neppure a tempo ad officiare la sua funzione di insediamento in Africa, il Papa lo ha eletto cardinale questa settimana”, il cursore si interruppe alcuni istanti per poi riprendere a stampare parole sui pixel dello schermo “Degli altri quattro, però, sappiamo tutto: erano tutti cardinali con capacità elettorale per l'elezione del Papa, tuttavia erano al limite di età per poter essere eletti al soglio.”

Spencer non riusciva a tenere il suo tono serio per più di cinque righe “Cosa fanno quattro vecchi prelati a fine carriera ed uno giovane porporato fresco aitante e soprattutto papabile?”

Jack volle rispondere “Ai preti di tale rango la pensione non interessa credo che ad un cardinale che ,a quell'età, non abbia coronato la propria carriera interessi una sola cosa : esaudire i propri rimpianti.”

Spencer riprese “Heaulmet mi piaci sempre di più : i quattro vecchi porporati appartenevano ad un correntone ecclesiastico politico progressista, tradotto in termini cattolici parliamo di chitarre e

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batteria durante le funzioni religiose, di tonache nere che lasciano il posto ai blue jeans di comprensione per gli omosessuali e di matrimoni anche per i preti ma soprattutto, udite, udite di dialogo interreligioso.”

Heaulmet continuò “Ed il cardinale nero?”

Spencer rispose immediatamente “Le pedine bianche sono state mangiate nei precedenti conclavi ora stavano soltanto tentando di girare la scacchiera per una nuova partita.”

Jack si distese sulla scomoda sedia di legno dell'aula computer e per poter scrivere dovette allungare completamente le braccia “Dalle tue parole desumo quindi che vi siano alte possibilità di collegamento con la nostra organizzazione della lancia di Longino”.

L'agente informatico rispose con la solita rapidità “Appena la CNN ha trasmesso la notizia Cody ha convocato una riunione del team e secondo le parole della nostra professoressa Driver non ci sono dubbi.”

Jack si era completamente dimenticato di sembrare uno studente immerso nella sessione di chat “Parlami delle sue valutazioni”

Spencer riprese “Stando a quanto a detto in riunione la nostra Driver si aspettava un omicidio a sfondo religioso: qual è l'invasato che dopo aver rubato la spada che ha trafitto il costato di Gesù Cristo non si toglie la voglia di scannare almeno un cardinale?”.

Jack inviò in rete la sua risposta a Spencer, “questa volta l'invasato si è levato qualcosa di più di uno sfizio, diciamo che ha fatto indigestione :cinque cardinali in una volta sola!”.

Spencer continuò a riferire la valutazione della Driver “E' la stessa cosa che ha pensato la nostra professoressa: se l'omicidio fosse stato singolo il collegamento sarebbe stato remoto ma qui si parla di una riunione informale di cinque cardinali e l'informalità va di pari passo con la segretezza.”

Jack distolse per la prima volta gli occhi dallo schermo e si accorse di essere solo, ciò lo mise più a suo agio “Se la riunione era segreta, teoricamente, abbiamo alle spalle una ipotetica organizzazione che seguiva i passi dei cinque?”.

Le parole da Langley ripresero “Colpito! e la prova del nove, secondo la Driver, sta nel rapporto tra religione e politica: i nostri cinque non erano solo rossi nel vestito ma anche nell'anima, quindi la nostra indagine ha appena svoltato a sinistra”.

Attraverso gli ampi finestroni Jack notò la solita pioggia fitta e la tastiera riprese a ticchettare nell'aula deserta “Prima di svoltare vorrei soffermarmi sulla strage in questione : riferiscimi sulle cause di morte e su eventuali sospetti.”

Spencer rispose prontamente “Anche questa volta abbiamo pochissimo. Primo, le diocesi sono una specie di porto franco, la polizia italiana non è potuta intervenire e fare delle indagini; e pare che prima di procedere occorra un' autorizzazione da Roma, cosa che non è stata ancora concessa. Secondo, i cinque dopo le benedizioni del caso sono già partiti per i loro paesi di origine,

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evidentemente il Papa non vede l'ora di mettere sull'accaduto una bella pietra , magari quella di un sepolcro.”

Jack intervenne sconsolato “A questo punto è meglio se mi rimetto a caccia del nostro Sauer!”.

Spencer riprese a trasmettere “Fortunatamente no! Vedi Jack, l'Irlanda è molto lontana da Roma e per legge niente e nessuno viene sepolto senza una bell'esame autoptico ed è qui che intervieni tu e la dottoressa Zorin che proprio ora sta sorvolando l'Atlantico.”

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Secondo gli irlandesi ciò che in quel momento l'agente Heaulmet sentiva trasportato dall'aria umida era la puzza più salubre dell'isola. A Jack, invece, questo odore non piaceva, era l'aroma di luppolo fermentato che proveniva dalla vicina fabbrica della Guinnes e per di più la pioggia fitta ne amplificava la percezione.

Jack camminava spedito per le strette vie di Dublino che a quell'ora del pomeriggio erano poco trafficate e, proprio mentre cominciava ad essere seriamente infastidito da quell'odore di fermentazione, trovò la porta che gli era stato detto di varcare.

L'intensa luce dei neon di quel fabbricato di mattoni rossi unita al sottile odore di ospedale che ne pervadeva i corridoi gli fece presto dimenticare i propri fastidi.

“Agente Heaulmet... sono atteso”. Vi sono alcuni luoghi dove non è necessario procedere sotto copertura poiché per loro natura sono poco trafficati e, soprattutto, chi li frequenta non ha voglia né di parlare né di fare domande: la guardia all'ingresso di quell'obitorio gli indicò con l'indice della mano destra di entrare in un ascensore proprio in fondo all'atrio.

Era uno di quegli ascensori profondi, di solito usato per il trasporto delle barelle, ma che in quel caso, pensò Jack piuttosto a disagio, più che malati aveva visto cadaveri; pigiò in fretta uno dei due pulsanti e fu trasportato all'unico piano sopraelevato del vecchio edificio.

Se era possibile, l'illuminazione al neon del primo piano era ancora più intensa che nell'atrio e, sulle pareti di smalto luccicante, le tonache nere dei tanti sacerdoti presenti erano quasi un sollievo per la vista.

Quando la porta scorrevole dell'ascensore si aprì, gli sguardi di quegli uomini neri si rivolsero all'agente squadrandolo in malo modo. Nessuno di loro lo salutò, neanche con un cenno del capo.

Il disagio di Jack inaspettatamente aumentò, ma egli trovò la forza di essere fiero e ricambiò l'inaspettata scortesia di quegli uomini di Chiesa ostentando un'aria impassibile fino a che non si fu chiusa dietro di lui l'unica porta ad accesso riservato del corridoio.

L'agente Heaulmet si ritrovò in una stretta anticamera con una sedia in formica, un appendiabiti ed una piccola finestra oscurata da una veneziana; appena oltre vi era una pesante porta a chiusura ermetica, che egli spinse senza indugio avvertendo la leggera decompressione che proveniva dall'interno.

Il sorriso dell'agente Zorin era amplificato dai suoi piccoli occhi che sembravano due strette fessure, quell'“Agente Heaulmet!” esclamato con tono quasi materno tolse a Jack l'enorme tensione che lo attanagliava.

La corpulenta dottoressa nascondeva dietro di sé i piedi di un cadavere che, posti in maniera innaturale, non formavano un angolo retto con il resto del corpo steso supino su di un tavolo lucido d'acciaio.

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Quella visione non comune impedì a Jack di rispondere al saluto e dalla sua bocca uscì solo un “E quello cos'è?”.

“Quello è il problema!” gli occhi della dottoressa Zorin, sebbene ancora chiusi a fessura, non sorridevano più e con un gesto rapido la patologa scoprì il cadavere nudo di un uomo anziano, Jack fu impressionato dalla contrazione dei suoi muscoli e dall'enorme cicatrice a forma di Y sul torace e sull'addome.

L'agente Heaulmet fece un passo indietro “Dio come è contratto...”.

La Zorin riprese con il suo tono calmo “Stai osservando le spoglie mortali del Cardinal O'Brian, ho appena completato, suppongo per tua fortuna, l'esame degli organi interni senza riscontrare alcuna anomalia, a parte l'ispessimento arterioso dovuto all'età e ad una dieta non proprio frugale.”

La dottoressa si avvicinò poi al cadavere tentando di spostarne verso l'alto la pianta dei piedi, ma il rigor mortis glielo impedì “Come hai già potuto osservare, i muscoli erano estremamente contratti al momento della morte”.

La tozza mano dell'agente medico raccolse un piccolo recipiente chirurgico posto su di un tavolino lì accanto, “Dimenticavo di mostrarti anche questa piccola reliquia”, gli occhi di Jack squadrarono per alcuni istanti la lingua del cardinale macabramente adagiata in un liquido trasparente.

L'agente Heaulmet prese a parlare tentando invano di dimostrare un tono distaccato “Quindi non vi sono cause di morte?”.

La Zorin sorrise “Jack quando una persona muore, muore sempre per un motivo e qui abbiamo cinque persone morte nello stesso modo: muscoli contratti, occhi sbarrati, tre lingue mozzate... quindi ti ribalto la domanda: qual è la causa di morte?”.

Jack non ci pensò su un istante “Veleno...?” ed attese la risposta aggrottando le sopracciglia.

La Zorin annuì con fare didattico “Un veleno su cui non mi era mai capitato di imbattermi.”

L'agente Heaulmet scrollò il capo “Abbiamo un altro vicolo cieco?”.

La dottoressa Zorin posò la lingua del povero Cardinale sul tavolo degli strumenti e coprì il cadavere con un telo verde da sala operatoria “Al contrario, agente Heaumet, i cattivi hanno commesso un grave errore.”

Jack ritrasse il capo e squadrò con fare interrogativo la patologa che stava gettando i suoi spessi guanti di lattice in un contenitore per rifiuti biologici; “Vedi, Jack, l'errore sta proprio nella scelta della tossina: avrebbero dovuto utilizzare un veleno comune... una buona dose di cianuro è in grado di uccidere qualsiasi cardinale ed è tanto semplice procurarselo quanto può esserlo un'aspirina”.

Sul volto di Jack si lesse una nota di sollievo “Ma tu non conosci il veleno che ha ucciso i cinque cardinali!”.

La dottoressa ostentò una espressione di falsa superiorità “Con chi credi di parlare!?” e poi proseguì rabbonita, “Devo dirti la verità, ci sono tossine che intervengono sul sistema nervoso centrale, altre agiscono sul sistema muscolare, qui mi sono imbattuta su qualcosa che per me è del tutto nuovo.”

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La Zorin aprì il suo piccolo computer portatile che si attivò immediatamente “Ti spiego come ha agito la tossina in questione: per prima cosa il sistema nervoso centrale è stato posto in una condizione di sonno profondo, in quello stato il corpo respira in maniera incosciente, il problema, per i nostri arcivescovi, è stato che gli unici impulsi concessi da questo veleno erano quelli dell'espirazione. Questo spiega la posizione della lingua fuori dalle fauci : la tipica reazione di chi cerca invano di respirare.”

La patologa mosse il piccolo mouse da trasporto in fianco al computer portatile “Subito dopo la tossina è andata a colpire il sistema muscolare: milioni di impulsi sono partiti all'unisono ordinando una contrazione muscolare ciò ha letteralmente congelato il loro organismo in quello stato di espirazione”, si fermò un istante scrollando il capo “quei poveretti non potevano inspirare, deve essere stato terrificante”.

Jack stava annuendo con il capo “Mi stai dicendo che sei riuscita a scoprire di che veleno si tratta”.

Di nuovo il sorriso con quegli occhi così sottili “Può essere considerata una affermazione cinica ma ciò che ti sto per dire è la faccenda più affascinante che mi sia mai capitata da quando esercito la professione medica”, la Zorin si alzò chiudendo delicatamente il video del suo computer e poi si sedette sulla piccola scrivania sulla quale era posato “Siamo negli anni settanta e sull'isola di Zanzibar il boom del turismo non era ancora cominciato, alcune tribù autoctone vivevano, o almeno tentavano di sopravvivere, nell'ambiente incontaminato ma ostile dell'isola.”

La dottoressa si fermò un istante ed il suo volto si fece per la prima volta serio “Una delle tante spedizione scientifiche furono testimoni di una scena raccapricciante quando visitarono una piccola tribù di loro conoscenza: videro i corpi degli indigeni in posizioni innaturali, inarcati e contratti, che giacevano accanto alle loro lingue mozzate di netto dalle loro stesse mandibole.”

Jack fu impressionato dal discorso “Non pensarono ad una infezione di un virus di qualche tipo?”

La patologa confermò con un cenno dell'indice “Trascorsero una lunga quarantena sulla loro nave laboratorio in compagnia di alcune religiose che abbandonarono la missione che stavano impiantando da quelle parti.”

Jack osservò ancora una volta la sagoma del corpo che giaceva sotto il telo verde “E cosa scoprirono?”

“Scoprirono che non era un virus” alle parole della Zorin seguì un attimo di silenzio “Lo zucchero, agente Heaulmet, lo zucchero.”

Jack non capiva “Spiegati meglio.”

“Una delle religiose fece la stessa brutta fine durante il periodo di quarantena, lo spettacolo raccapricciante sconvolse gli studiosi, ma gli permise di capire: la religiosa aveva utilizzato un barattolo di zucchero che era stato infestato da qualche tipo di insetto portatore della tossina in questione”, la dottoressa Zorin si portò le tozze dita sulla fronte “Dimenticavo, la sostanza in

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questione ha un nome” dopo aver atteso una pausa teatrale “Quegli scienziati del National Geografic lo chiamarono il veleno dell'impiccato”.

Jack tentò di ricordare ma presto si accorse di non averlo mai sentito nominare “Come sono riusciti a procurarselo?”

La dottoressa Zorin rivolse verso l'alto il palmo delle sue piccole mani “Abbiamo già contattato il National Museum ed il barattolo di zucchero in questione giace con al sua bella etichetta in uno dei loro polverosi cassetti”.

Jack alzò il capo mostrando una espressione concentrata “Esiste un altro barattolo!”.

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