Infinity (Incompleta)

By selfdisclosure

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"Per un attimo è come se fossimo soltanto noi due, senza nessuno intorno, senza il peso di dover nascondere i... More

PROLOGO
CAPITOLO I
CAPITOLO II
CAPITOLO III
CAPITOLO IV
CAPITOLO V
CAPITOLO VI
CAPITOLO VII
CAPITOLO VIII
CAPITOLO IX
CAPITOLO X
CAPITOLO XI
CAPITOLO XII
CAPITOLO XIII
CAPITOLO XIV
CAPITOLO XV
CAPITOLO XVII
CAPITOLO XVIII
CAPITOLO XIX
Personaggi :)
CAPITOLO XX
CAPITOLO XXI
CAPITOLO XXII
CAPITOLO XXIII
CAPITOLO XXIV

CAPITOLO XVI

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By selfdisclosure

Sono sul divano, comodamente sdraiato, con un succo di frutta tra le mani e le cuffie alle orecchie.

Smalltown boy di José Gonzalez, suona, con il suo ritmo sereno, nel mio cervello, mentre cerco di portare gli occhi sul cellulare, cercando di nascondere quale sia il vero obiettivo dei miei occhi: un bellissimo Damian West, seduto sul divano di fronte al mio, intento a studiare matematica.

Sospiro come una ragazzina in calore e porto gli occhi sulla chat di Whatsapp quando noto che, i suoi occhi argentati, si sono concentrati su di me.

Fingo indifferenza.

Non ho intenzione di aumentare il suo ego a dismisura.

«Parli con qualcuno?» mi domanda, continuando ad osservarmi sottecchi.

«Non sono affari tuoi.» rispondo, perché, in realtà, la chat aperta, è solo un capro espiatorio.

«Non capisco questo esercizio. Spiegamelo.» dice, alzando il quaderno per mostrarmi la sua scrittura, elegantemente affusolata.

Lo guardo male.

«Sai benissimo come si risolve. Non perdere altro tempo, o domani verrai bocciato.» rispondo, secco, riportando la mia attenzione sul cellulare.

Lo sento borbottare qualcosa in sottofondo, ma passo sopra e continuo a fingere che non sia totalmente attratto dalla sua presenza.

«Sai cosa pensavo?» mi fa, ad un certo punto.

Lancio il brik di cartone, ormai vuoto, sul tavolino, e incrocio le braccia al petto, osservandolo.

«Dovremmo iniziare a cercare casa.»

Sgrano gli occhi, letteralmente, e le braccia mi cadono in grembo.

«In che senso?» sibilo.

«In che senso, secondo te?» mormora lui, come se fossi scemo.

No, aspetta, non ci siamo capiti.

«Casa? Noi due? Insieme?» alzo leggermente la voce, segnando con la mano lo spazio che ci divide.

«Ti ricordo che ad agosto andremo a Los Angeles. Dove pensi di vivere, in uno squallido dormitorio?»

Avete presente la luce del faro prima che la macchina ti investa?

Ecco, sono bloccato esattamente in questo modo.

«Tu sei fuori di testa!» urlo.

Lui, invece, mi osserva serio, come se non capisse il punto.

«Non capisco quale sia il problema.» mormora.

«Qual è il problema? Beh, qual è, Damian? Io e te, vivere insieme? Io e te?»

«Continuando a chiederlo, non cambia il punto.»

Lo guardo incredulo.

«Non se ne parla proprio.» concludo, allontanandomi per buttare il cartone del succo, vuoto.

Una scusa, ovviamente, per togliere le tende da quella situazione.

Ma, Damian West non si da per vinto e posso sentire i suoi passi pesanti calpestare il parquet di casa mia, fino alla cucina.

«Hai paura di vivere con me, Oliver Stone?»

Mi volto, e lo osservo. Ha un sorriso sghembo e le braccia incrociate sul petto.

«Devo smetterla con questa sceneggiata. E smettila di chiamarmi con nome e cognome ogni volta che pensi di avermi in pugno.» dico, a denti stretti.

«Sceneggiata? Quale sceneggiata?» mi domanda, confuso.

«Noi non siamo amici. E non andremo a vivere insieme. Domani darai il tuo maledetto esame, lo supererai e poi chi si è visto, si è visto. Tu tornerai ad essere Damian West, il bad boy, etero. Io Oliver Stone, il popolare finto etero.»

Pronunciare queste parole, è come dar voce a tutte le paure che mi hanno fatto compagnia in questi giorni in sua compagnia.

«E' questo quello che pensi?» mi domanda, stranamente serio.

Lo guardo, con un'espressione impassibile.

«Non è quello che penso, ma la realtà, Damian.»

Lui sembra pensarci qualche secondo. Lo vedo, nervoso, mentre si gratta la testa poi, fa un passo avanti, costringendomi a farne uno indietro e, proprio quando cerco di tradurre i suoi movimenti lui, gira i tacchi e torna in salotto.

«Proprio maturo.» borbotto, seguendolo.

Adesso sono veramente incazzato.

«Dove stai andando?» gli chiedo, vedendolo chiudere i libri.

«Non sono affari tuoi.»

Mi avvicino, lo prendo per il polso e attiro la sua attenzione.

«Che cazzo ti prende?»

«Hai ragione, Oliver, noi non siamo amici. Torno a recitare la parte del bad boy etero.» mi dice, scostando il polso dalla mia presa e uscendo da casa mia.

Cosa sta succedendo?

Perché se l'è presa così tanto?

Cosa ho sbagliato?

**

Mia madre torna a casa per ora di cena.

Penso che veda dalla mia espressione che qualcosa non va perché, una volta dentro, mi osserva qualche secondo prima di avvicinarsi e passarmi una mano tra i capelli come solo lei sa fare.

«Cosa c è che non va, tesoro?»

La osservo, in silenzio.

Poi, mi decido a parlarle.

«Ho litigato con Damian, credo.»

«Credi?» accenna un sorriso, sedendosi accanto a me.

«Beh, sì, abbiamo litigato. Di brutto.»

Lei rimane in silenzio, credo sia segno che voglia che vada avanti con il racconto.

«Ha iniziato con questa storia del vivere insieme a Los Angeles...» inizio, e non posso fare a meno di notare come il suo sorriso si apra.

La odio quando fa così.

«Mamma, ti prego.» mi lamento.

«Okay, okay, racconta.»

«Insomma, gli ho detto che non siamo amici e che non andremo mai a vivere insieme. Perché se n è uscito con un discorso del genere? Da dove spunta fuori? Come potrei vivere con lui?» mi passo una mano, frustrato, sul volto.

«Mi ha messo in crisi. Come posso dirgli la verità?»

Mia madre continua con la sua carezza.

«Non avrei dovuto dirgli che non siamo amici.» concludo, guardandola negli occhi.

Lei, al contrario di quello che mi aspettavo, continua a rimanere in silenzio.

«Fai quello che senti di dover fare, tesoro. Chiedigli scusa, digli che ti ha preso alla sprovvista. Per quanto riguarda Los Angeles, c è ancora un po' di tempo, no? Digli che vuoi aspettare il diploma prima di cercare casa.»

«Ok. Penso che farò così, sperando che mi perdoni.» le dico, alzandomi per andare in camera mia.

**

Oliver- Sono stato uno stronzo.

Fisso il cellulare per un tempo che sembra interminabile.

Domani avrà l'esame finale dell'unica materia in cui va male e io mi sono fatto prendere dal panico dicendogli tutto quello che non avrei dovuto dirgli.

Sono un idiota, dannazione!

Ma poi, mi viene in mente di fare una cosa e, passa molto poco prima che mi fiondi sulla sedia della scrivania per accendere il pc.

Oliver: Ci sei?

Un minuto, due minuti...

Se Damian è davvero Ian Solo, allora, sarà costretto a rispondermi per non farmi capire che è lui. Se non lo è, chiunque sia, mi risponderà lo stesso, credo.

Ian Solo sta scrivendo...

Ian Solo: Dimmi.

Freddo, freddo come colui che sta scrivendo.

Oliver: Ho bisogno di qualcuno con cui parlare. Possiamo?

Ian Solo: Non hai Andy per queste cose?

Sì, è vero. Ma non è con Andy che voglio parlare.

Oliver: Ho bisogno di un punto di vista...esterno.

Ian Solo: Attendo...

Sgranchisco le dita e mi preparo a scrivere solo che, cosa potrei dirgli?

Mettiamo caso che Ian Solo è davvero Damian. Cosa di cui sono praticamente certo. Quindi, in teoria, dovrei far di tutto pur di girare attorno al vero problema, no?

La cosa comica è che, anziché chiedermi per quale motivo Damian dovesse esserlo, mi creo il problema di mentire. Sono proprio cotto.

Oliver: Oggi ho litigato con un mio amico.

Ian Solo: Non pensavo avessi altri amici, all'infuori di Andy.

Cos'è, una frecciatina?

Scuoto la testa e riprendo a scrivere.

Oliver: No, c è anche Damian. E qui arriviamo al punto: sono stato uno stronzo, gli ho detto che non siamo amici. Però non lo penso. Il nostro rapporto è un po', come dire? Strano. Però lo considero un amico.

Ian Solo: E perché gli hai detto che non lo siete, allora?

Ecco, questo è il problema.

Oliver: Perché ho avuto paura.

E sono sincero.

Ian Solo: Paura di cosa?

Oliver: Ecco, su questo preferirei non rispondere. Il punto è che credo di averlo ferito e Damian è un tipo che non sembra prendersela mai per niente. Per questo ci sto male. Ho sbagliato, ma mi ha preso alla sprovvista.

Ian Solo: Non capisco di cosa tu possa avere paura. Ti ha preso alla sprovvista, in che senso?

Oliver: Mi ha chiesto di trasferirci nella stessa casa, quando saremo a Los Angeles per il college.

Ian Solo: E dove sta il problema?

Forse è il caso di mentire.

Oliver: Non ci avevo pensato, non credevo che il nostro rapporto fosse così...stretto. Lo frequento da poco e soltanto perché l'ho aiutato con le lezioni di matematica e, adesso, siamo sempre insieme.

Ian Solo: Magari ha trovato qualcosa in te.

Oliver: Già. Del resto neanch'io mi aspettavo fosse così.

Ian Solo: Così, come?

Oliver: Così speciale.

Mi tremano le mani. Ho una paura fottuta che sia davvero lui ma, allo stesso tempo, la consapevolezza che potrebbe essere proprio lui, il mio dannatissimo Damian, mi rende felice, perché, anche se non capisco per quale strano motivo abbia creato questo personaggio per parlarmi, adesso, ho la possibilità di parlargli senza filtri. Almeno in parte.

Ian Solo è offline.

Ed ecco che, quello che temevo, è successo.

Almeno, non posso dire di non averci provato.

**

Alle otto e trenta, l'orario in cui di solito mando un sms a Damian per dirgli che sono sceso, sono davanti alla casa di Andy, in attesa che muova le chiappe per andare a scuola.

Di Damian, nessuna notizia. Quindi, non so se fare strada verso casa sua o meno.

Oliver- Passo a prenderti?

Scrivo, anche se so che, probabilmente, prenderà la sua moto e non mi rivolgerà parola per il resto della sua vita.

Quando la porta dell'appartamento di Andy si apre, tutto mi sarei aspettato, tranne che vedere il mio migliore amico, completamente trasformato.

Ho la bocca aperta, ragazzi, letteralmente.

E se non fosse il mio migliore amico sin da quando ho memoria, giuro, che penserei che è davvero, davvero un gran figo.

«Cosa diavolo è successo?» domando, calcando su ogni parola.

«Amico, ho deciso di seguire i tuoi consigli da gay. Bet si pentirà di avermi detto no.»

«Eccome se si pentirà!» commento, osservandolo dalla testa ai piedi.

I capelli, prima ricci e scompigliati, adesso sono tagliati, più corti ai lati e leggermente più lunghi sopra, gli occhiali, sono completamente spariti e adesso, i suoi occhi dorati sono alla vista di tutti, insieme alle sopracciglia scure e folte, assolutamente perfette per il suo viso squadrato.

Addosso poi, ha una t-shirt nera con scollo a V, una camicia a scacchi grigia e nera sopra, aperta, e dei jeans scuri, abbastanza aderenti da mettere in risalto il suo fisico asciutto ma naturalmente scolpito.

«Ti ricordo che sono etero. Ma apprezzo lo sguardo.» mi dice, facendomi un occhiolino e salendo in auto.

Rimango qualche secondo ad osservarlo ancora. Non posso credere che abbia stravolto completamente il suo aspetto.

«Andiamo o no?»

«Sono senza parole.» dico.

«Pensi che possa piacerle?» mi domanda, incerto. Un atteggiamento che non gli appartiene affatto.

«Andy» sorrido «credimi se ti dico che, in questo momento, se ti vedessi in un locale, ci proverei con te fino allo sfinimento.»

E lui, mi sorride a trentadue denti, inforcando poi un paio di occhiali da sole neri e ordinandomi di andare in quella maledetta scuola a far vedere di che pasta è fatto Andy Corbell.

E io, non posso che essere d'accordo con lui.

**

Sono fuori dall'aula in cui so che, Damian, da quasi un'ora, è chiuso per il test.

Ho inventato di sentirmi poco bene durante storia, pur di essere qua, come una moglie in apprensione e sperare che, una volta che la campanella suonerà, ovvero tra circa tre minuti, e lui uscirà, non mi eviterà come la peste facendomi capire, una volta per tutte, che il nostro rapporto non esiste più.

Dio, come sono idiota.

Forse non sarei dovuto venire.

Effettivamente, per quale motivo dovrei essere qua? Con quale scusa?

Certo, sono stato il suo insegnante, anche se l'ho aiutato ben poco, considerando quanto fosse bravo di suo, però, considerando che mi odia...

Cosa potrei dirgli?

Un semplice "come è andata?" penso che vada bene.

Sì, farò così.

E se non dovesse parlarmi? Beh, in quel caso penso che ci metterei una pietra sopra. Per quanto sia possibile considerando quello che provo per lui.

Mi mangio le unghie, un gesto che credo di non aver mai fatto prima di adesso.

Come sono stupido.

Me ne vado, ho deciso.

Okay, al mio tre, vado.

Uno, due, tr-

«Cosa ci fai qua?»

Damian interrompe i miei pensieri.

«Cosa ci fai tu, qua!» ribatto.

Okay, bel modo per iniziare, Oliver.

Lui mi fissa serio, incrociando le braccia al petto.

«Voglio dire, e l'esame?» mi correggo.

«Già fatto. Sono andato al bagno.» risponde.

«E...e come è andato?» domando, mettendomi nella sua stessa posizione.

«Cosa ci fai qua, Oliver?» mi domanda, invece.

Cosa ci faccio qua? Bella domanda.

«Volevo sapere come fosse andato l'esame. Ci abbiamo lavorato tanto...»

So che non avrei dovuto rispondere così.

Idiota!

Lui, butta fuori l'aria e infila le mani nelle tasche.

«E' andata bene, ora puoi andare.» ribatte, sorpassandomi per entrare in aula.

«Damian.» lo fermo.

Lo osservo, ma lui ha il viso puntato sul pavimento.

«Io-» faccio per dire, ma la campanella prende a suonare, interrompendo le mie parole e sovrastando quella situazione.

Ottimo tempismo.

«Devo prendere le mie cose. Ci si vede.» dice, e io, non ho abbastanza coraggio per dire altro.




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