You are my home - One Shot

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You are my home.

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Tommy era terribilmente in ritardo.

Non solo gli si era rovesciato il caffè addosso, quella mattina, rovinando la camicia nuova, appositamente acquistata per il colloquio più importante della sua vita ma, adesso, completamente sudato, sulla sua affidabile bici portata con sé direttamente dall'Arizona, unico oggetto di suo possesso che potesse considerarsi di valore, si muoveva tra le strade di un'ancora sconosciuta New York, cercando una scorciatoia che l'avrebbe portato, entro i prossimi cinque minuti, alla Wayward Productions, che aveva sede proprio nel bel mezzo di Manhattan.

A quanto pare, come se già non gli fossero successe abbastanza cose da potersi definire uno sfigato di prima categoria, quella notte, il collegamento delle fognature, aveva deciso di esplodere, provocando la chiusura della maggior parte delle strade che, dal suo misero motel a Brooklyn, lo avrebbero portato alla fermata della metropolitana, costringendolo così, a fare un giro interminabile e facendogli perdere il treno giusto, ritrovandosi, a cinque minuti dal colloquio più importante della sua vita, nel bel mezzo delle strade della Grande Mela, stanco morto e, probabilmente, con un sentore di sudore addosso con cui non avrebbe fatto, di certo, bella figura.

Aveva ben pensato di attaccare lo smartphone, con del nastro isolante, al manubrio della sua bicicletta, come fosse un gps che l'avrebbe aiutato a non perdersi del tutto in quelle grandi e sconfinate strade ma, non aveva contato che, tra la fretta, la confusione e il traffico, si sarebbe concentrato troppo sullo schermo anziché su quello che aveva di fronte.

E fu così che, svoltando l'angolo, l'ultima cosa che vide fu il muso nero di un'elegante Bentley.

**

Il fastidioso ticchettio di un orologio svegliò Tommy nel bel mezzo di un sogno strano e confuso, in cui, protagonista, sopra la sua bicicletta, correva come un forsennato nel bel mezzo del deserto, inseguito da un'auto da centinaia di migliaia di dollari che, con tanto di occhi e bocca, aveva una risata maligna e continuava a dirgli "Alla prossima, svoltare a destra".

«Che diavolo?» mormorò, aprendo un occhio, poi un altro, cercando di capire dove si trovasse.

La prima cosa che notò, fu proprio l'orologio appeso sulla parete di fronte a sé. Segnava le cinque e venti e, stando alla luce che filtrava attraverso l'ampia finestra alla sua destra, era pieno pomeriggio.

Le pareti, bianche, raffiguravano locandine di famaci e giornate della prevenzione, il comodino, con sopra della frutta apparentemente fresca  e un budino al cioccolato confezionato nel cellophane, era sistemato accanto al letto, e non gli ci volle molto prima di notare la sua gamba sinistra, totalmente ingessata e tenuta leggermente alzata da una catena appesa al tetto.

«Oh cazzo!» esclamò, cercando di alzarsi ma, invano, vista la gamba.

Catturato da un vociare che proveniva dal corridoio, si passò una mano sul volto e poi tra i capelli corti e chiari.

Aveva la bocca impastata e sentiva il classico sapore amaro dei farmaci.

«Sei sveglio.» Qualcuno catturò la sua attenzione e il suo sguardo.

Un uomo, che da quella prospettiva sembrava piuttosto alto, con i capelli scuri e le iridi di un colore insolito, che poté solo ricollegare a quello della terra bruciata della sua amata Arizona, sorrise a malapena, mostrando uno sguardo quasi sollevato che enfatizzò le rughe ai lati dei magnifici occhi dal taglio lungo, quasi orientale.

Tommy rimase bloccato di fronte alla bellezza di quell'uomo. Non l'aveva mai visto prima ma la sua voce...era familiare.

«Ricordi cosa è successo?» gli domandò avvicinandosi piano e sedendosi sulla poltrona accanto al suo letto, come se l'avesse già fatto altre volte.

Tommy lo osservò confuso, per poi mormorare un leggero "No".

In quel frattempo, un medico affascinante quasi quanto lo sconosciuto, con tanto di cartellina in mano e occhiali da vista che nascondevano gli occhi color nocciola, fece il suo ingresso, portandosi dietro un sorriso da togliere il fiato.

«Cosa-cosa è successo?» chiese Tommy, lasciando che il dottore gli controllasse le pupille, armato di torcia e, la pressione cardiaca, tenendo il pollice stretto sul suo polso sinistro.

«Ricordi come ti chiami?» gli domandò il medico, mantenendo il suo sorriso.

«Io...Tommy. Sono Tommy. Vi prego, ditemi cosa è successo.» continuò a chiedere, più confuso che mai.

Il medico gli poggiò la confortante mano sulla spalla, costringendolo tacitamente a rilassarsi, poi, iniziò a parlare.

«Tommy, questa mattina hai avuto un brutto incidente. Sei finito con la tua bicicletta in una strada a senso unico...dalla parte sbagliata.» sorrise, e Tommy venne catturato dall'uomo seduto alla sua sinistra, che continuava a osservarlo preoccupato.

Preoccupato di cosa, poi?

«Sei finito dritto sulla macchina di questo signore.» continuò ironico, e Tommy capì il perché della sua presenza e, soprattutto, di tanta preoccupazione, voltandosi immediatamente verso l'uomo che, sorridendo, stavolta, alzò le braccia in alto, come a prenderlo in giro.

Tommy aprì la bocca, incredulo e, pian piano, flashback dell'incidente, si fecero vividi nella sua mente.

«Per fortuna non hai avuto alcun trauma cranico. L'unica ferita da considerare importante, è la frattura alla gamba. Dovrai tenere il gesso per sei settimane e poi, probabilmente, dovrai proseguire con un po' di fisioterapia, per far riprendere il muscolo. Normale routine.» concluse il medico.

Tommy si osservò la gamba, esausto nonostante avesse dormito almeno otto ore dopo l'incidente e poi riportò gli occhi sul dottore che, ancora, sorrideva. Aveva un aspetto cordiale e ti metteva a tuo agio, ma il giovane sentiva una strana tristezza nel petto, come se avesse dimenticato qualcosa.

«Non siamo riusciti a contattare nessuno dei tuoi parenti perché il tuo cellulare è andato distrutto nell'incidente e, considerando che hai perso anche il portafogli, con la caduta, non eravamo neanche a conoscenza del tuo nome. Quindi abbiamo semplicemente aspettato il tuo risveglio.»

I pensieri di Tommy andarono a sua sorella Maddie e a come avrebbe potuto reagire sapendo che suo fratello, unico membro della sua famiglia, si trovasse in un letto d'ospedale a miglia di distanza.

«Oh meno male.» mormorò, inconsapevole.

Sentì gli occhi dei due addosso e cercò di giustificarsi.

«Mia sorella si sarebbe preoccupata molto se fosse stata chiamata dall'ospedale. Si trova in Arizona, per questo sono contento che non siate riusciti a contattarla. D'altronde è solo una gamba rotta.» disse, facendo spallucce.

Improvvisamente, il suo sguardo venne catturato dal cognome scritto sul camice del dottore.

Wayward, Wayward....

«WAYWARD! OH MERDA!» esclamò, cercando, ancora una volta invano, di alzarsi.

«Ehi calma Tommy, ti farai male!» dissero i due uomini, quasi all'unisono, cercando di farlo sdraiare ancora una volta.

«No, no, no!» si lamentava Tommy, sotto lo sguardo stranito dei due.

Tommy li osservò per qualche secondo, passandosi poi una mano sul viso.

«Il colloquio! Il colloquio alla Wayward Productions...» piagnucolò.

I due si guardarono straniti, poi, il medico, venne chiamato da un'infermiera per un'emergenza in corso.

«Avevi un colloquio alla Wayward? Per questo eri di fretta?» domandò lo sconosciuto, attirando l'attenzione di Tommy, che liberò il viso dalle mani e portò gli occhi celesti su quelli dell'uomo.

«Sì.» sibilò, rendendosi conto di aver perso un'occasione d'oro.

«Era il colloquio più importante della mia vita.» continuò, fissando il tetto.

«Ci sono altre aziende come la Wayward.» mormorò l'uomo, ma Tommy lo fulminò con lo sguardo ceruleo, facendolo sorridere.

«Io sono...Bruce.» mormorò l'uomo, allungando la mano verso quella di Tommy che, dopo un attimo di incertezza, ricambiò la stretta.

«Mi dispiace esserti finito addosso.» mormorò il giovane, consapevole che l'incidente fosse soltanto colpa sua.

«A me no.» rispose Bruce.

**

«Attento allo scalino.» mormorò Bruce, tenendo stretto Tommy al suo fianco e accompagnandolo sull'ampio divano in pelle scura del suo salotto.

«Hai una casa stupenda, Bruce.» mormorò il giovane, guardandosi intorno.

«E' solo una casa.» rispose l'uomo, prendendo le borse di Tommy e portandole in una stanza in fondo al corridoio poco illuminato, tornando indietro con una coperta in cachemire e posandola sul giovane, goffamente sdraiato, con la gamba ingessata posata sul tavolino di cristallo.

«Preparo la cena, se vuoi, guarda un po' di tv.» sorrise Bruce, passandogli una mano tra i capelli.

«Credo che chiamerò Maddie.» rispose il giovane, sorridendo all'uomo e godendosi la carezza, uno dei tanti gesti di affetto ormai normali tra i due.

«Salutamela.»

Erano passate quasi due settimane dall'incidente e, Bruce, ogni giorno, dopo il lavoro, aveva fatto visita a Tommy in ospedale, passando con lui molte ore, anche sotto gli occhi infastiditi delle infermiere che tentarono più volte di mandarlo via dopo l'orario di visita, a parlare e parlare, conoscendosi e diventando amici.

Bruce aveva scoperto che, dal giorno dell'incidente, Tommy era arrivato a New York solo una settimana prima, appositamente per il colloquio poi mancato e che, a parte la sorella, Maddie, che viveva in Arizona con il marito e la piccola figlia di sette anni, non aveva nessun altro al mondo.

Lo aveva preso subito a cuore e non soltanto per la grande forza e la volontà d'animo che il giovane Tommy dimostrava nonostante i suoi ventiquattro anni, ben dodici in meno rispetto a Bruce, ma anche per la sua straordinaria bellezza, di cui, a quanto pare, non era per niente consapevole.

Dopo quasi due settimane di degenza in ospedale, Bruce aveva scoperto che Tommy risiedeva in uno squallido motel vicino Brooklyn, in una stanza al quarto piano senza ascensore e totalmente lontano da qualsiasi punto di collegamento con il resto della città e così, aveva mandato qualcuno a saldare il conto, prendere le sue cose, e lo aveva costretto a stare da lui, in un super attico nel centro del Battery Park di Manhattan.

L'uomo prese a cucinare della pasta all'italiana mentre, in sottofondo, sentiva chiaramente la voce divertita di Tommy, che salutava la sorella. Si era affezionato a quel ragazzo che, con il suo sorriso contagioso, l'impressionante bellezza e la grande forza, era entrato nel suo cuore in un lampo, mostrandogli come la ricchezza non è davvero niente, se non puoi condividerla con qualcuno che ami.

«Lo so, gliel'ho detto. No Maddie, non te lo passerò.» lo sentì dire dalla stanza accanto e, con un gran sorriso sulle labbra, sporse la testa fuori dal corridoio, per poi avvicinarsi e strappare il telefono a Tommy, che lo incenerì arricciando le labbra carnose.

«Ciao Maddy.»

"Bruce, grazie!" tuonò la ragazza, dall'altra parte della cornetta.

Bruce sorrise, osservando gli occhi chiari del ragazzo che, pian piano, assumeva una smorfia divertita.

«Non devi ringraziarmi, lo faccio con piacere.»

"Stai facendo tanto per Tommy, per me. Davvero. Non vedo l'ora di vederti per poterti abbracciare."

«Anch'io non vedo l'ora.» sorrise, dando le spalle al ragazzo, sentendolo sbuffare.

"Ehi Bruce..." iniziò la ragazza. "Io beh, penso che tu sia veramente una bravissima persona e sai che ti voglio bene, anche se non ti ho mai visto prima. Ti devo veramente molto per quello che stai facendo ma, ti prego..." Maddie prese un lungo respiro "Non farlo soffrire." Mormorò, con un tono di voce decisamente più basso.

«E' l'ultima cosa che voglio fare, Maddie. Te lo prometto.»

**

Tommy si guardò intorno nell'ampia stanza che, per il periodo della convalescenza, sarebbe stata sua.

Aveva capito che Bruce era ricco, ma non pensava fino a questo punto.

La sua camera temporanea, era grande quanto l'intero appartamento in cui viveva al college con altre due persone e l'arredamento, minimale ma di estremo design, sottolineava quanto fosse in realtà costosamente pensato per apparire proprio così.

L'enorme letto king-size, sottolineava la sua solitudine e le ampie finestre che davano sulla sconfinatezza di New York, gli fecero mancare, per un attimo, i paradisi semplici della sua Arizona, con il deserto sempre in vista e gli alberi assolati.

«Disturbo?» fece capolino Bruce, attirando l'attenzione di Tommy.

«No, anzi.» rispose il giovane e, per la prima volta da quando lo conosceva, si sentì intimorito.

D'altronde, erano da soli in quel grande appartamento e Bruce, era bellissimo.

«Volevo assicurarmi che ti sentissi a tuo agio.» mormorò nel buio l'uomo, carezzando i capelli di Tommy e sdraiandosi accanto a lui, tenendosi fuori dalle coperte, però.

Tommy lo osservò in silenzio e anche l'uomo fece lo stesso, continuando a passare la mano, con calma, sul viso liscio del ragazzo e poi tra i suoi capelli chiari.

«Sei bellissimo, Tommy.» mormorò, senza perdere un centimetro del suo viso con lo sguardo.

«Anche tu lo sei.» rispose, facendo perdere un battito all'uomo.

«C è una cosa che voglio fare. Ma non so se è giusto.» deglutì, portando lo sguardo sulle labbra carnose del biondo.

A Tommy non sfuggì il movimento di quegli occhi dal colore straordinario e, senza attendere ancora, posò una mano sul viso dell'uomo, toccando la barba ispida e avvicinando il volto al suo, lasciando che le punte dei nasi si toccassero per un momento, prima che le labbra si unissero in un profondo bacio.

**

Quando la luce del mattino colpì i corpi dei due uomini, riscaldandoli col suo tepore, Tommy aprì gli occhi, risvegliandosi da un sonno sereno che, da troppo tempo ormai, non lo accompagnava. Sentiva la mano pesante di Bruce sul suo petto e sorrise, ricordando quello che era successo la sera prima.

Si erano baciati, profondamente e a lungo. Tommy aveva avuto l'opportunità di respirare a pieni polmoni la fragranza di Bruce e, anche l'uomo, finalmente, ebbe la possibilità di unirsi, in maniera lieve ma comunque straordinaria, con l'unica persona che avesse mai desiderato tanto ardentemente.

Si erano addormentati poi, stretti l'uno nelle braccia dell'altro e Bruce, da gentiluomo, era rimasto fuori dal calore delle morbide coperte del letto di Tommy.

Il giovane, prese a carezzare il volto dell'uomo con gesti lenti. Lo amava, e questo già bastava a renderlo felice.

«Ehi...» la voce roca di Bruce fece capolino nella realtà.

«Ehi...» rispose il giovane, avvicinandosi per unire, ancora una volta, le labbra con quelle dell'uomo.

«Volevo ricordarmi che sapore hai.» si giustificò il ragazzo.

«Ah sì? Perché neanch'io ricordo bene, ora che ci penso.» approvò l'uomo, spingendosi in avanti per baciare ancora una volta Tommy, trasformando quello che era un semplice buongiorno, in qualcosa di più estremo, spinti anche da una voglia trattenuta, forse, tutta la notte.

La t-shirt di Tommy, infatti, venne sfilata dall'uomo con una frenesia incontenibile e, poco dopo, anche la sua stessa maglietta venne fatta volare via dal ragazzo che, con gli occhi accecati dalla lussuria, perse tempo ad accarezzare il petto scolpito dell'uomo mentre, questi, venne catturato da quello asciutto e glabro del giovane, che era proprio come si immaginava.

«Non posso credere che sta succedendo.» mormorò Tommy tra un bacio e un altro, cercando di stringersi il più possibile a Bruce, nonostante la gamba ingessata.

«Credici invece.» rispose affannato il più grande, scostando le lenzuola per godersi la vista di Tommy, coperto soltanto dai boxer bianchi di Calvin Klein che, lui stesso, gli aveva prestato, emettendo un verso gutturale, che esprimeva tutta la sua eccitazione.

Le mani di Tommy presero a carezzare il sedere tonico dell'uomo, fino a liberarlo dei pantaloni morbidi della tuta, così come dell'intimo, lasciandolo esposto, facendo lo stesso anche con quel piccolo pezzo di stoffa, che copriva anche la sua di intimità.

Non passò molto prima che, dai preliminari, si passasse a qualcosa di più tangibile e Bruce, catturato totalmente dalla bellezza di Tommy, vi si sedette sopra, lasciando che il giovane entrasse dentro di lui, muovendosi il minimo indispensabile, considerando la sua situazione.

Così, l'uomo si mosse sopra Tommy, raccogliendone i gemiti per ogni affondo e sentendo pian piano la sensazione di piacere che si raccoglieva nel suo bassoventre, concentrandosi nel punto più sensibile, stimolato anche dalla presa forte del giovane che, muovendosi a ritmo con i suoi affondi, lo accompagnò fino al culmine, seguendolo poi a ruota.

**

Gli occhi dei due amanti si osservarono a lungo dopo quell'amplesso. Bruce carezzava il volto di Tommy mentre, Tommy, sorridendo stancamente, percorreva il petto dell'uomo formando cerchi invisibili.

«Ti amo...» disse Tommy, con una naturalezza che non si aspettava lui stesso.

Bruce interruppe la carezza, sentendo il cuore uscirgli dal petto. Schiuse le labbra e fece per dire qualcosa ma, il ragazzo, posandogli le dita sulle labbra, gli sorrise, interrompendolo.

«So che è da pazzi. Ma è quello che sento. Non importa se non provi lo stesso per me. Io ti amo comunque, e non posso farci niente.»

Bruce prese il polso del giovane, liberandosi la bocca.

«Se non mi avessi interrotto, mi avresti sentito dire che anch'io ti amo. Ti amo in una maniera assurda e, probabilmente, sin dalla prima volta che ti ho visto, sdraiato per strada, con la gamba schiacciata sotto la ruota della mia auto.»

Il giovane ridacchiò, sentendo gli occhi farsi liquidi.

«E sì, è una brutta immagine, ma tu sei tutto ciò che ho sempre desiderato e, l'unica cosa che voglio, è passare il resto della mia vita con te, se anche tu lo vorrai.» concluse e l'unica cosa che sentì, prima di essere travolto da Tommy, furono le lacrime di quest'ultimo che gli bagnavano il volto.

**

Tommy era appena tornato dalla visita di controllo, quando si rese conto che Bruce non era in casa.

Gli avevano tolto il gesso solo due giorni prima ed era la prima volta che usciva da solo. Anche se sentiva ancora un po' di fastidio quando camminava, sapeva che le lezioni di fisioterapia stavano andando alla grande.

Si avviò verso quella che, ormai, era la camera da letto sua e di Bruce.

Avevano deciso di prolungare la convivenza a tempo indeterminato, ma soltanto perché Tommy aveva insistito per contribuire alle spese, pur sapendo che non avrebbe mai trovato un lavoro che potesse garantirgli tanto sfarzo.

Dopo una doccia ristoratrice, Tommy si avviò verso il laptop lasciato in salone per ricominciare l'attività quotidiana di invio di curriculum, attendendo che qualcuno lo chiamasse per un colloquio, in tempo breve.

Si era laureato solo sei mesi prima, nella prestigiosa università di Stanford, grazie a una borsa di studio che era riuscito ad ottenere tramite i suoi ottimi voti e anche per questo era riuscito ad avere un colloquio alla Wayward, la più importante agenzia di produzione di New York. Un sogno, per un laureato come lui in produzione cinematografica.

Ma dopotutto, se non fosse stato per l'incidente, non avrebbe mai conosciuto Bruce.

L'amore della sua vita.

Non gli importava più del colloquio perso, se immaginava una vita senza di lui. Non era mai stato tanto felice.

Bruce era tutto quello che desiderava.

Tommy diede poi una controllata alle email, notando che, una piccola agenzia di produzione teatrale, aveva risposto alla sua candidatura, annunciando che sarebbero stati disponibili per un incontro, proprio quella settimana.

Con un sorriso a trentadue denti, diede l'avvio per la stampa wi-fi visto che ancora non aveva un cellulare e aveva bisogno di segnarsi l'indirizzo e la data dell'incontro.

Se non ricordava male, la stampante si trovava nell'ufficio di Bruce, un luogo in cui ancora non era stato e che sperava avesse la porta aperta.

Muovendosi veloce, per quanto la sua gamba lo permettesse, riuscì ad entrare nell'ampio spazio con vista sul Central Park e si guardò intorno, notando molteplici foto del suo uomo in compagnia di personalità influenti, attori del cinema e...il Presidente!

Non poteva crederci.

«Alla faccia dell'import export.» mormorò tra sé, sorridendo e trovando, finalmente, la tanto agognata stampante. Soffermandosi per dare un'occhiata al foglio e vedere se era venuta bene la copia, la sua vista venne catturata da una rivista, anche piuttosto famosa, dove, in copertina, risaltava proprio Bruce, seduto su uno sgabello, con un completo di sartoria addosso e un sorriso fantastico sul volto.

«Non posso crederci...» mormorò, lasciando cadere il foglio sul pavimento e prendendo la rivista con mani tremanti.

LOGAN WAYWARD SI RACCONTA.

Era scritto, in bella mostra, sotto la figura del suo ragazzo.

Colui che amava con tutto se stesso.

Sentì un groppo in gola quando, sfogliando la rivista e ritrovando il servizio di dodici pagine a lui interamente dedicato, si rese conto che, in realtà, era innamorato profondamente di un uomo di cui non conosceva neanche il nome reale.

Corse verso il bagno e rigettò tutto quello che aveva mangiato.

Si sentiva esausto ma, soprattutto, sentiva un pesante peso sul petto, una sensazione opprimente.


«Amore mio!» disse preoccupato Bruce, entrando nella stanza e accovacciandosi accanto al suo ragazzo, ancora in preda al vomito.

«Che succede, hai la febbre?» domandava preoccupato e Tommy non poté che scostarlo malamente, tanto che Bruce cadde all'indietro, con l'espressione confusa di chi non sa cosa stia succedendo, almeno, finché non notò la rivista, gettata a terra e in bella vista, insieme al titolo.

«No...» mormorò, come se il mondo gli stesse cadendo addosso.

«Invece sì. Maledetto bugiardo!» disse, tossendo, il giovane, che prese della carta per pulirsi la bocca e cercò di alzarsi per darsi una sciacquata, come se pulendosi poteva togliere quella sgradevole sensazione di tradimento.

«No amore mio, no! Non è come pensi!» continuava a dire Bruce, prendendolo da dietro e cercando di abbracciarlo, ma senza riuscirci, perché Tommy continuava a muoversi per casa, confuso, spingendolo via a ogni tentativo.

«Non...non ce la faccio. Come ho potuto essere così idiota?!» piangeva Tommy, mentre prendeva le sue cose dall'armadio per gettarle sul letto su cui avevano fatto l'amore ogni notte sin dalla loro prima volta.

«No, no! Tommy guardami.» insisteva Bruce, toccando il suo giovane ragazzo che, proprio, non ne voleva sapere di starlo a sentire.

«Non toccarmi! Come hai potuto farmi questo? Ti amo, dannazione! Ti amo più della mia stessa vita! Mi sono innamorato di un uomo che neanche esiste...» disse l'ultima frase con voce flebile, interrompendo i suoi movimenti e fissando il vuoto.

Il dolore alla gamba era forte, ma non così tanto da prendere il sopravvento in quella situazione.

«Tu ti sei innamorato di me! Io sono sempre io! No importa il mio nome!» gridò Bruce, attirando l'attenzione degli occhi celesti del suo amore, arrossati e colmi di lacrime.

«Non importa il tuo nome...LOGAN? Dio! Mi hai mentito su tutto! Ero convinto avessi un'agenzia di import export! Non so niente di te! Non conosco neanche la tua famiglia! Su quante altre cose mi hai mentito? Tutto per cosa poi, qualche scopata?!»

«No! Non pensarlo neanche, Tommy! Io ti amo! Sei l'amore della mia vita! Ti ho mentito sul mio nome e sul mio lavoro. Solo su questo amore mio.» si avvicinò, prendendolo per i polsi e riuscendo a bloccarlo.

«Mi chiamo Logan Bruce Wayward e l'unico motivo per cui non ti ho detto la verità, è che, quella mattina, il colloquio, avresti dovuto averlo con me. Quando all'ospedale ne hai parlato, non sapevo come dirti che eri finito sopra quello che sarebbe potuto diventare il tuo capo. Eri troppo sconvolto, amore mio. Per questo nei giorni successivi sono venuto in ospedale. Un po' perché ero preoccupato, un po' perché mi stavo innamorando di te, un po' perché volevo dirti la verità ma poi...» fece un pausa, in cui gli occhi celesti di Tommy si alzarono nei suoi.

«Poi tutto è stato estremamente veloce. Non mi sono mai innamorato prima, Tommy, e il pensiero di perderti...» poggiò la fronte su quella del suo ragazzo.

«E conosci già la mia famiglia. Ho solo John, mio fratello.»

Tommy alzò di scatto la testa, ricollegando tutto.

«Il dottor Wayward è tuo fratello? Oh mio Dio!» era di nuovo arrabbiato, ma almeno capì perché erano così simili.

Bruce riprese il viso di Tommy tra le mani, costringendolo a guardarlo negli occhi color terra bruciata.

«Avevo intenzione di dirtelo, davvero.»

«Certo, adesso che posso camminare, come avresti giustificato il fatto che tutti ti avrebbero chiamato Logan?» mormorò stizzito il giovane.

Bruce sorrise e toccò il naso del giovane con il suo, respirandone il profumo inconfondibile.

«No, non è per questo.» mormorò, labbra contro labbra.

«Certo, in ogni caso avrei anche visto il cognome accanto al codice del citofono o, non so, sarei uscito con te a cena e uno dei tuoi amici famosi ti sarebbe venuto a salutare...»

«Oppure ti avrei chiesto di sposarmi e saresti diventato il signor Wayward.» lo interruppe.

«Ecco sì, ad esempio....COSA? Che-che hai detto?» si riprese subito il giovane, posando le mani su quelle del compagno e sgranando gli occhi.

«Ho detto che sarei stato costretto a dirti il mio cognome, perché stasera, avevo intenzione di chiederti di sposarmi.» rispose, con il cuore in gola.

«Ma tu come al solito mi prendi alla sprovvista.» sorrise, abbassandogli le mani ma tenendole comunque unite alle sue mentre si inginocchiava.

«Che stai facendo?» sibilò il giovane, stringendo la presa.

«Ti sto chiedendo, Thomas Cole Tracey, se vuoi diventare mio marito, rendendomi l'uomo più felice della terra.» disse, con le lacrime che scendevano sulle guance e le mani strette in quelle del ragazzo.

«Maledetto stronzo...» mormorò Tommy tra un singhiozzo e un altro, e Bruce non poté che sentire una fitta al petto, spaventato da una risposta negativa.

Sapeva, che non avrebbe potuto vivere senza il suo Tommy.

Poi, inginocchiandosi alla stessa altezza del suo fidanzato, Tommy emise una serie di singhiozzi e prese il volto di Bruce tra le mani, senza mai togliere la presa dalle sue.

«Solo se posso chiamarti Bruce per il resto della mia vita.» gli rispose, a un soffio dal suo viso.

«Credo proprio di poterlo sopportare.»

«Allora, sì. Ti sposo.»


FINE.


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