mad hatter

By krasopani

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"where is my prescription? doctor, doctor, please listen my brain is scattered, you can be Alice, I'll be th... More

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ultimo

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By krasopani

era in un corridoio buio.
le luci si accendevano e spegnevano, senza un ritmo preciso.
il ragazzo tremava, impaurito.
sogno o realtà?
si chiedeva.
non lo sapeva, e non riusciva a capirlo.
era sempre stato soggetto di incubi notturni, ma era un sogno quello?
non sapeva nemmeno questo.
non sapeva nulla, era consapevole solamente del terrore soffocante che provava.
Gli girava la testa, era sicuro che quella volta sarebbe morto.
Aveva paura.
Non voleva morire, la vita fino a quel momento era andata così bene.
dei passi.
una porta che scricchiola.
cercò di trattenere il respiro, per non farsi sentire.
leggeri passi di corsa dietro di lui.
si girò, spaventato, ma non vide nulla.
Altri passi, ancora dietro di lui.
Ma, ancora nulla.
Era come se la sua mente volesse fargli uno brutto scherzo, ma non era così sicuro che fosse tutto immaginario.
Cominciò a fare respiri profondi, cercando di calmare il panico che lo stava soffocando.
Era solo, completamente.
Non era mai stato solo nella sua vita, tutti gli erano sempre stati accanto.
Ma ora, non c'era nessuno.
Il ragazzo, titubante aprì una delle tante porte.
Non ne scelse una in particolare, aprì la prima che si trovò davanti.
Dentro c'era un cappio.
L'oscurità avvolgeva tutta la stanza, e l'unica cosa che rimaneva in risalto era quel pezzo di corda annodato al soffitto.
Il ragazzo lo guardò, impaurito.
Non sapeva cosa fare.
Il suicidio gli era sembrato sempre così lontano e astratto, quando ora invece lo sentiva tangibile, come una presenza che poteva quasi toccare.
Poteva afferrarla, e stringerla tra le sue braccia muscolose, e questo sarebbe significato dire addio alla vita che aveva ringraziato più volte di avere.
Ma non era sicuro fosse la realtà, quindi, perché non provare?
Si avvicinò al cappio, e sentì ancora dei passetti alle sue spalle, che lo fecero rabbrividire.
Non si guardò indietro, era troppo spaventato.
Mise la testa nel nodo creato, e cominciò a salire la piccola scala che era comparsa improvvisamente.
Chiuse gli occhi, e lasciò andare il suo peso, cosicché il suo collo si spezzasse e lo uccidesse.
Riaprì gli occhi.
Stava sprofondando.
Che ci faceva in acqua?
Si chiese il ragazzo, pensando di averla fatta finita.
Mosse le braccia e le gambe, nel tentativo di risalire a galla.
Ma scendeva, scendeva e scendeva.
La superficie dell'acqua si faceva sempre più lontana, e poteva sentire la pressione degli abissi premergli il corpo.
Cercò disperatamente di raggiungere la superficie, muovendo gli arti in movimenti scossi e panicati.
Ma niente da fare.
Era come se qualcosa lo stesse trascinando giù, negli abissi più bui.
L'ossigeno cominciò a mancare, e pian piano i suoi polmoni cominciarono a bruciare.
Voleva sopravvivere, o meglio, voleva che quella sensazione finisse.
Perse i sensi, e il suo corpo automaticamente lo fece respirare, affogandolo.
Si svegliò di nuovo.
Si guardò intorno, era nella sua camera da letto.
Aveva fatto due incubi terribili consecutivi, e non sapeva se quello che stava vivendo era un incubo o la realtà.
Provò ad alzarsi dal letto, ma vide che era incatenato.
Sentì ancora dei passetti, gli stessi che lo avevano perseguitato.
Si guardò intorno, ma non vide nessuno, di nuovo.
Chiuse gli occhi per un paio di secondi, e quando gli riaprì vide che, vicino al suo letto, in ginocchio, c'era sua madre, la persona a cui voleva più bene al mondo.
Sollevato, trasse un sospiro di sollievo vedendola, anche se le sembrava diversa dal solito.
Aveva un inquietante sorriso stampato in faccia, e non muoveva mai gli occhi, spostava la testa.
Sembrava quasi una bambola.
Si avvicinò a lui, con le braccia rigide e il sorriso ancora stampato in faccia.
«non aver paura, ora sarai uno di noi.»
il ragazzo urlò.
Avevano reso la persona che lui amava più al mondo, quella che lo avrebbe distrutto.
Lui chiuse gli occhi, sperando che tutto finisse velocemente.
Non capiva cosa stava succedendo.
Non capiva perché era successo.
Non capiva perché sua madre lo stava torturando.
Non capiva perché gli avevano fatto questo.
Non capiva chi era stato.
Non capiva nulla.
La madre, colei che lo aveva protetto tutti i giorni, che gli era stata accanto sempre, ora lo stava torturando.
Era un sogno?
Non ne era sicuro, ma sperava che lo fosse, anche se, il dolore era così reale, che perse le speranze di risvegliarsi ancora.
Aveva finito di cambiarlo, e aveva fatto in modo che la sua pelle sembrasse plastica.
Era rigida, e gli rendeva difficile respirare.
«è questa la vita?»
si chiese, chiudendo gli occhi e sperando di non riaprirli più.

s/r
la storia è finita.

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