seVen Years

By TheRabbitWriter

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È il 12 aprile del 2007, quando Meredith Ford viene rapita da un misterioso uomo di nome Allan White. la sua... More

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Ringraziamenti

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By TheRabbitWriter

Non aveva mai avuto così tante idee e dubbi infranti nella sua testa prima di all'ora, lo stomaco si scombussolò per la tensione e il cuore cominciò a rullare. Aveva così tante strade da prendere e tutte conducevano a finali diversi, dipendeva tutto dalla scelta che avrebbe fatto.

Girò le pupille alle estremità della coda dell'occhio e guardò l'auto della polizia accostata proprio affianco a loro, i due agenti se ne stavano tranquilli a fissare davanti la strada e al semaforo che segnava ancora il rosso. Non sapeva quando esso avrebbe cambiato colore, ma sapeva che doveva fare qualcosa.

«Non possono vederti, i finestrini della mia auto sono oscurati» disse l'uomo guardando il semaforo, non preoccupandosi nemmeno né di  Meredith né della polizia, sapeva che non avrebbe avuto il coraggio di gridare, sapeva di essere temuto e rispettato.
Ciononostante, Meredith restò speranzosa, si voltò verso l'auto della polizia e la vegliò, sperando e pregando che uno dei due agenti si sarebbe girato.
Ma la sua fede svanì via come il colore rosso sul semaforo, guardò la sua via di fuga allontanarsi e prendere un'altra strada dalla loro.

Eestò a fissar l'auto finché non scomparve dal suo campo visivo, il suo cuore che secondi fa pompava sangue come se non ce ne fosse più, in quell'istante si era ridotto in frammenti, i suoi occhi si inzupparono di lacrime e nella sua gola si formò un nodo pesante e fastidioso che la costrinse a singhiozzare.

Dopo un paio di minuti giunsero ad un'altra parcheggio, ma a differenza dell'altro esso era molto più desolato.

«Avanti scendi» disse Allan scendendo dalla macchina e facendo il giro per raggiungere lo sportello di Meredith, che nel mentre si stava slacciando la cintura di sicurezza.
Come scese dall'auto guardò il paesaggio e non ne fu per nulla meravigliata. Si era immaginata una destinazione a più colori e abitanti, quel parchetto invece, sembrava la culla dei colori più stenti e meno preferiti da lei.

«Facciamo una passeggiata»

Allan avvolse nella sua grande e fredda mano, la piccola mano esile e ruvida della bambina, e insieme presero passo verso la discesa della collina che portava al parco.

C'erano più alberi muti e cechi, anziché persone che avrebbero potuto vedere e parlare. Maggior grigio in cielo che verde sul terreno, Meredith capì che un'altra stagione era passata

Il parco era ospitato solo da alcuni anziani persi nel guardare per le ultime volte la natura, nessuno di essi poteva riconoscere la bambina e Allan lo sapeva.
Meredith notò come l'uomo fosse costantemente preoccupato a custodire l'orario sul cellulare e il cielo grigio, intuì dunque con timore, che a momenti se ne sarebbero tornati a casa. Non era ancora riuscita a scappare, pensava di alzarsi e iniziare a correre ma Allan l'avrebbe raggiunta subito con le sue lunghe gambe.
Restò a meditare su qualche piano di fuga mentre guardava e invidiava quei maestosi e graziati volatili angelici sul lago, persi e liberi da ogni pensiero e preoccupazione. Estranei a stanze buie e fredde, a guinzagli, a castighi e mura. Ammirava i loro movimenti agili e leggeri, amava vederli quando spiegavano le ali solo per scuotere o per tenerle tese durante una spinta.

«Tra poco andiamo»

avvertì Allan vegliando sulla ragazza, e quest'ultima gli domandò il motivo dato che c'erano stati davvero poco, e Allan irritato dalla curiosità di Meredith, rispose con arroganza.
«Non porre domande, se ho detto che ce ne andiamo, allora ce ne andiamo»

«Posso stare ancora un po'?» ribatté Meredith, frustrata dal fatto che non fosse riuscita a scappare, e quando alzò gli occhi ad Allan, si accorse che ciò che aveva detto lo aveva irritato molto. Si sentiva oltraggiato, e Meredith temendo ciò che sarebbe seguito, chinò lo sguardo e pregò che le fosse chiesto di ripetere ciò che aveva detto, affinché potesse revocare la richiesta e rimediare. Ma purtroppo Allan non reagì come sperato, si abbassò verso di lei e l'afferrò violentemente per il braccio.

Il gesto fu seguito da uno schiaffo in pieno volto, sufficiente per arrossirle la guancia.
«Andiamo-a-casa»
Disse, e lei con la mano premuta sulla guancia percossa, tese gli occhi alle assi di legno che componevano il ponticello che sporgeva sul lago, e con voce vacillante e remissiva rispose «Va bene, scusa...»

La sua risposta riuscì ad alleviare  l'espressione negativa sul volto dell'uomo, e dopo alcuni attimi di intenso silenzio, i due tornarono alla macchina.

La sera li accompagnò a casa, e come calò la notte, Meredith si trovò chiusa nella solita stanza, a respirare la stessa aria e a fissare gli stessi mobili.

Attendeva l'arrivo di Allan che a parer suo sarebbe varcato da quella porta furibondo e pronto a punirla per ciò che era accaduto al parco, si era preparata sia fisicamente che mentalmente. Ma la sua armatura calò quando udì bussare gentilmente alla porta.

"Niente botte?" pensò stranita, così tanto che per breve sospettò trattarsi di qualcun altro.

«Meredith, apri la scatola nel sacchetto che ho portato oggi e indossalo»

Meredith condusse lo sguardo al sacchetto appoggiato affianco alla porta, finora non lo aveva neppure degnato di un solo sguardo e presa dalla curiosità, si alzò dal letto e si avvicinò all'oggetto.
Si chinò ad esso per guardarne il contenuto che scoprì poi essere una scatola chiara e quadrata.

A

ppoggiò la scatola sulle gambe e l'aprì tirando fuori quello che si rivelò un vestito in pizzo rosso, accompagnato da un paio di ballerine rosse.
"Proprio come Dorothy", si disse, uno dei suoi personaggi dei libri preferiti, film che inoltre aveva guardato in compagnia di Allan settimane fa.

Si spogliò dall'ambito turchino che aveva e indossò con piacere ed entusiasmo quello rosso assieme alle scarpe, ed esaltata dal nuovo aspetto, girò su sé stessa per ampliare la gonna e osservare come questa girava, e mentre lo faceva, persa nella sua immaginazione il suo occhio cadde sulla porta sorprendentemente semi aperta. Si avvicinò e la aprì abbastanza da farci passare almeno la testa e guardare da entrambi i lati del corridoio, ma nessuna traccia di Allan.

Un profumino di fritto estasiò il suo naso e stimolò il suo appetito, così senza pensarci due volte si lasciò trasportare dalla succulente aroma che emanava il tacchino appena sfornato e dalle patate da poco uscite della padella d'olio.
Il tutto servito a tavola da Allan.

«Ti piace?» domandò vedendo la bambina entrare in cucina, e lei annuì guardando come fosse ben e ordinatamente apparecchiata la tavola. «Avanti accomodati» disse Allan prendendo posto.  «Ho seguito una ricetta dal libro» disse ridendo e afferrando le posate, e anche Meredith subito dopo prese in mano la forchetta, pronta ad affondarla nella tenera carne del tacchino sommersa nella salsa.

«Allora? Com'è? Ti piace?» chiese Allan.
«Certo è buonissimo, davvero» Rispose la ragazza a bocca piena, continuando ad ingozzarzi di un boccono dopo l'altro.
Il cibo era talmente buono che per Meredith pareva essere la sua prima e unica cena della vita, buona, cotta al punto giusto e saziente. E dopo l'ennesimo boccone, ecco che le sorse un dubbio, il profumo di fritto si mutò in puzza d'inganno. Magari quella cena era un diversivo, una trappola su cui lei ci era già cascata in pieno.

Forse era avvelenata oppure nel tacchino c'era qualche sostanza che l'avrebbe fatta cadere in un sonno profondo.

Rallentò, posò la forchetta e si pulì le labbra con il fazzoletto fingendo di essere sazia.
«Ehm...» esitò «Mi piace molto il vestito che mi hai comprato» disse sorridendo e guardando il piatto di lui, ed egli sorridendo annuì leggermente.
Meredith lo guardò mettere quei pezzi di cibo in bocca, masticarli e deglutirli in attesa di qualche reazione al veleno, ma ovviamente se il cibo fosse stato veramente avvelenato, il suo piatto sarebbe stato quello senza sostanze.

Dopo un paio di bocconi Allan appoggiò la posata al bordo del piatto attirando Meredith, e dopo aver deglutito disse con voce flebile e malinconica.
«Era di mia figlia...»

gli occhi della ragazza si spalancarono di sorpresa, le parole di Allan la trafissero di confusione.
«E dov'è lei?» domandò curiosa, e lui le rispose con il solito freddo silenzio e uno sguardo perso, sguardo che pian piano si arrossiva davanti agli occhi increduli di Meredith, che dentro di sé nutriva più fede nell'incontro tra due linee parallele, piuttosto che la visione di Allan in lacrime.

La scena la lasciò senza parole, non sapeva come reagire, né come consolarlo. Capì subito che la figlia doveva essere deceduta, e che quello che aveva addosso era il suo abito e non solo: ma il letto, l'armadio, i panni e i giochi che lui le aveva dato appartenevano tutti a lei.

Guardò timidamente il suo piatto e gincillò con le posate per distrarsi dalla scena rara e imbarazzante, lanciava continue occhiate svelte per vedere se si fosse ripreso e una volta che Allan si asciugò le lacrime, la ragazza riprese a mangiare.

«È ora di dormire»

disse alzandosi da tavola, e attendendo la ragazza alla soglia della porta che conduceva nel corridoio, Meredith si alzò da tavola e lo raggiunse a testa bassa.
Percorsero assieme il corridoio e la ragazza si fermò davanti la sua stanza per entrarci, ma prima che potesse anche solo aprire la porta, Allan si fermò e le ordinò di seguirlo.

Quella notte avrebbero dormito insieme.

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