Anoressia

By DavideGorga

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Serena è decisa a chiudere con il mondo, troppo sporco, ingiusto, letale; con il suo corpo, ostacolo inutile... More

Anoressia

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Iniziò a piovere lentamente, come in un accordo triste; le gocce scurivano il bordo dei marciapiedi, velavano la strada, piangevano dalle foglie scure degli alberi, intrecciavano il canto infuocato dell'alba con i tramonti dell'inverno, oscurando il sole sorgente in una nuvolaglia viola sul mare, indaco fino all'orizzonte lontano.
Gli edifici sfrecciavano veloci nell'aria fresca, sulle colline, sino alle alture da cui le montagne parevano potersi toccare con mano. E poi, sull'infinito nastro grigio dell'autostrada, il ragazzo e l'ombra blu che cavalcava furono un tutt'uno, trascinati via contro il vento della corsa.

«Come stai?»
«Secondo te?»
«Coraggio! Esci, godi dell'aria pura, il mondo non è poi così male!»
«Sì, lo so.»
«Serena, posso fare qualcosa per te?»
«Scusa Dario, non ho voglia di parlare.»
Lo scatto secco del telefono aveva chiuso ogni possibilità di riprendere il leggero legame che si era instaurato. Non avrebbe risposto di nuovo, questo il ragazzo lo sapeva. Si portò sul terrazzo; le stelle erano velate da una fitta coltre di pennellate violette, mentre all'occidente l'oscurità sembrava una belva acquattata, compatta, spessa, nera. Era il preannuncio di una tempesta. Serena non sarebbe uscita dalla sua stanza, non prima di aver consumato ogni briciolo di energia nel suo corpo, di aver estirpato la vita fisica e materiale, disseccata la fonte illusoria, estratto il coltello che le avvelenava l'anima. Non era la prima volta – ma ognuna di esse la avvicinava a quella che sarebbe potuta essere l'ultima.

Mentre le curve rompevano il ritmo veloce e il motore riprendeva il canto allegro e regolare nel vento, il ragazzo si lasciava trapassare dalle voci del presente e del passato – e da quelle del mondo, incantate, fiere, forti e sincere come i tronchi degli alberi che scurivano le cime.

Nero e bianco, bianco e oro, il casco rispose a un timido bagliore stilettante tra le nubi, come una speranza iridata che ancora non si era compiuta. Il vascello accelerò ancora. La luce non si alzò, e la pioggia iniziò a frustare inclemente la strada, le mani e la carena.
Neve bianca e d'argento risplendeva ai lati della piazzola in cui il ragazzo si fermò a indossare la tuta impermeabile, sottile e robusta. Viaggiava leggero. Come un desiderio inciso nel metallo incandescente.
In breve le nuvole scomparvero, sostituite da una semioscurità violacea e venata di malinconia. Dario le osservava in piedi, il volto deciso, addensarsi in massa dinanzi a lui, affianco alla sua motocicletta blu notte, al bordo di una piazzola tra il bianco ormai invisibile della tarda mattina. Trasse un sospiro, e ripartì.
Presto la pioggia si rovesciò in torrenti sulla carreggiata; muri d'acqua ghiacciata si levavano improvvisi e, passati come a guado, investivano il guidatore sino alla cintura. Infine il sole del primo pomeriggio fece capolino tra le nubi, quasi il maltempo avesse rallentato durante la corsa attraverso la pianura, ed illuminò come un gioiello Vicenza, le sue borgate e i suoi boschi sparsi. Dario guidò sicuro sino ad una chiesa al centro di un paesello, piccolo, angusto, dall'aspetto medievale. Si tolse gli abiti da viaggio e si asciugò alla meno peggio, avviandosi poi a passo svelto verso l'abitazione di Serena.

Lontana da occhi indiscreti, quasi cercasse di nascondersi a sguardi troppo insistenti, la casa ad un piano era circondata da bassi alberi, tra i quali un esile cancello dava acceso ad un passaggio lastricato. Il ragazzo suonò, ed una voce gracchiante rispose. Era la madre della ragazza. Dovette dare parecchie risposte sul perché si trovasse lì, che cosa volesse, che cosa cercasse; non gli fu aperto. Suonò di nuovo:

«Serena non vuol vedere nessuno! Neanche me! Si è chiusa in camera!»
«Va bene. Mi faccia solo provare. Se non mi vuole vedere me ne andrò, la prego.»

Infine il cancello non troppo amichevole si aprì ed il ragazzo percorse le pietre d'ardesia tra il prato di un verde abbagliante sino alla la porta di casa. Senza troppi complimenti, fu fatto entrare. Conosceva la strada.

«Sono giorni che non mangia.» esclamò la madre a mo' di congedo. Dario non mosse un muscolo. Quando la donna si fu allontanata, bussò alla porta di legno castano.

«Chi è?» domandò una voce familiare.
«Sono io, Dario».

Il rumore della serratura che scattò secco fu uno dei momenti più importanti della vita del ragazzo. In confronto ai pericoli, alle gioie, ai dolori che aveva affrontato, rappresentava la speranza. La vita.

Entrò nella stanza illuminata solo dal chiarore del meriggio che entrava a fiotti dalle finestre prive di tende; oltre i vetri, una tuia cresceva solitaria inondata dalla luce del giorno. Sul letto al fianco della parete, jeans, un maglione blu, una cascata di capelli corvini – ed un volto affondato nel cuscino.

«Ciao, mi avevi fatto preoccupare», esordì Dario; «che ne dici di farmi almeno usare il bagno? Sono stanco e ho bisogno di darmi una rinfrescata!»

Serena, finalmente, si voltò. Era pallida come neve, emaciata, gli occhi spenti che covavano una scintilla di collera verso il mondo, inespressa, velata, come un pugnale. Si levò a sedere e si alzò, quindi gli fece strada.
Dario chiuse la porta dietro di sé. Si accasciò al suolo e contò fino a dieci. "Trova la forza, accada quel che accada, ma trova la forza!" – lontano, nei ricordi confusi, un leone alato lo fissava ad occhi chiusi. Uscì dopo qualche minuto, un lieve sorriso e l'aria seria e leggera: «Hai da fare oggi?»

«Non devo fare più nulla. Assolutamente nulla. Perché sei qui?»
«Avevo voglia di fare un giro, e poi nell'ultima lettera mi avevi promesso che mi avresti fatto conoscere la città. Allora, usciamo?»

Serena lo guardò interrogativa, il fuoco nello sguardo sembrò mutarsi leggermente, come se una sfumatura di allegria – leggera e labile – si fosse insinuata nella melodia funebre che la incatenava.

Il paese era grigio e rosa, e verde e odoroso di fumo di legna e umidità e prati lontani e nuvole d'autunno nel cielo che si scuriva. E le parole cantavano come un controcanto e una melodia, una voce e una chitarra che danzassero intorno al fuoco. Lontano, la chiesa sorrideva.
E giunse il tramonto, come una benedizione insperata nella pioggia di foglie che le ventate frequenti portavano lungo i viali deserti e colmi d'essenze fragranti. E risa e sguardi e voci calde come un riparo in una notte d'inverno.

«Mi porti a mangiare qualcosa? Stamattina sono partito presto!» esclamò Dario.
«Se vuoi c'è un ristorante, qui vicino.» rispose esitante Serena.
«Perfetto! Andiamo!»

Al tavolo bianco nella sera sempre più scura, i due sedevano l'uno di fronte all'altra. Il cameriere tornò abbastanza in fretta dopo averli lasciati scegliere la cena.

«Per me una pizza "inverno". Direi che è adatta alla stagione! O quasi! Ah, e per te, Serena? Un'altra "Inverno", d'accordo? O preferisci una "margherita"?»
«Una "margherita", grazie.» mormorò decisa Serena.

La cena fu condita dai racconti del ragazzo, dalle sue letture, le fiabe, gli amici, le sere sempre più vicine, e terminò in un attimo.
Al termine, la ragazza aveva lasciato un pezzetto di cibo nel piatto; «Lo mangi?» chiese Dario, ed al diniego, allora, chiamò il cameriere e ordinò due gelati; «Ti va, vero? Fragola?»

«Vaniglia, grazie.» rispose l'altra, il viso severo su cui traspariva un lieve sorriso.

Scese la notte. La piazza della chiesa era deserta. I ragazzi si avvicinarono alla motocicletta; Serena era rossa in viso ed emozionata. Si salutarono. Un bacio sognato sospirò nell'aria scura. 

Presto l'autostrada accolse il ragazzo e il vento lo inghiottì. Lampi neri nella notte. – le ciglia del leone si sollevarono lente, splendendo alte nel cielo scuro; ali di luce sventagliarono nell'oscurità.

Le luci arancio dell'area di servizio lo accolsero in un'atmosfera irreale; il mondo non fuggiva più intorno a lui ma, nell'anima, una cascata si era risvegliata e ruggiva possente.
Mentre si apprestava a fare rifornimento, un ragazzo muscoloso gli si avvicinò, guardandolo dall'alto in basso;

«Senti, io devo tornare a Roma, ho finito i soldi. Non è che puoi darmi qualcosa?»
Dario sospirò, estrasse il portafoglio e gli allungò una banconota di piccolo taglio. L'altro insistette:
«Ehi, tutto qui!? Guarda che io devo tornare a Roma, hai capito? Che ci faccio con questa merda?»
«Mi spiace, il resto mi serve per tornare a casa. E vai a sacramentare da un'altra parte.»
L'altro gli si avventò contro: «Chi ti credi di essere? Molla quei soldi!»

Un calcio laterale svelto come un fulmine lo colpì in piena pancia prima che potesse rendersene conto. Indietreggiò di alcuni metri, barcollò e cadde. Quando si rialzò, tenendosi una mano sul ventre, era furibondo, ma non riusciva a reggersi in piedi. «Questa la paghi!» esclamò.
Dario si mise in guardia, una gamba avanti, l'altra dietro. Non disse nulla. Ora anche i suoi occhi ruggivano.
Presto una ragazzina tatuata si avvicinò all'altro, lo sostenne e lo trascinò via.
Dario terminò il rifornimento con cautela, quindi ripartì, solo, nell'oscurità.

A notte fonda, giunse a casa, buttò le chiavi della moto su un comodino, e si gettò sul letto.

Passarono i mesi. Al telefono, la voce di Serena era viva e cantante come un albero che rifiorisca al sole. E le sue lettere erano incastonate di amici, di passeggiate nella luce, di vita.

Si rividero dopo poco; il tempo sembrava volato, e Serena fu una guida eccellente per le meraviglie artistiche di Venezia. – La criniera del leone luccicava al vento. Risa di bambini, canti di chitarre, echi del futuro, leggende del passato in una pioggia di foglie verdi che carezzavano il mare; vele, navi ed infiniti sguardi e lame d'argento che trapassavano lo spirito. Si alzavano rinascenti le fiamme del sole sull'acqua, le corde squillanti nel cielo terso incantavano la città fresca e tersa come un cielo d'inverno precipitato nella promessa di fioritura; maggesi lucenti di pietra e muraglie di marmi azzurrati nell'abbraccio dell'orizzonte. Una danza gentile viveva intorno a loro, prendendoli delicatamente per mano. – La musica iniziava il viaggio senza sentiero oltre i confini della terra. Palazzi di sogno sull'acqua, cembali e saltimbanchi nella visione d'ebano armonico sotto un canto d'angeli possenti in esili petali di cristallo.

Giunse la primavera.

Non c'era più traccia di neve sporca e pioggia inclemente sull'animo di Serena, solo il candore era rimasto intatto. Dario decise d'incontrarla di nuovo. Ora la ragazza sapeva riconoscere le meraviglie dentro di sé, e, mentre camminavano lungo i viali e si fermavano a pranzare nel solito ristorante, il ragazzo le chiese:

«Sicura di non dovermi dire altro?»
L'altra arrossì: «Che cosa?»
«Niente. Meglio così. Allora, ascolta.» – ed in un incantevole giorno in cui i mandorli erano in piena fioritura, le confidò il suo amore.
Serena trasalì; «Dario, non puoi parlare sul serio.»
«Perché?»
«Perché per me sei un amico... »
«D'accordo, non preoccuparti. Lo sapevo da quando ho visto la foto sulla tua scrivania. Dimmi almeno come si chiama.»

Serena era ammutolita.

«Ha importanza!?» chiese d'impeto la ragazza.
«In verità, no.»

Il silenzio frusciava come un sussurro gentile.

«Ascolta, io rimarrò tuo amico per sempre. E se avrai bisogno di me, ci sarò. D'accordo?»
Serena accennò di sì con la testa. Dura, decisa, inflessibile. Eppure, forte e dolce insieme.

Il sole calava lento oltre il capo del golfo; Dario, le mani appoggiate alla ringhiera, gli occhiali da sole nonostante l'ora tarda, lo osservava immergersi nel buio e lasciare spazio ad una notte limpida.

Una giovane esile, castana, camminava canterellando lungo il marciapiede della strada del mare, e lo salutò con un cenno della mano. Il suo sorriso sembrava un'alba nascente contro il tramonto.
La musica della notte crebbe. I ragazzi parlavano ancora, soli, nel suono della risacca.

«Allora, un altro due di picche, non è vero!? Mi dispiace!»
«Due di picche?» rise l'altro di rimando, una di quelle rare risate lucenti come il sole; «Dopo tanti anni non mi conosci ancora, Chiara?»
L'altra sgranò gli occhi.
«Va bene, ascolta.» ora pareva la voce di un vecchio a parlare, bassa e grave, dimentica della spensieratezza di poco prima; «Serena aveva bisogno di qualcuno che l'amasse, di qualcuno che le parlasse il linguaggio dell'anima. All'inizio era solo un'amica, poi divenne la mia missione. Era quello che ero chiamato a fare. Non c'era nessun altro che lo potesse fare, lo capisci?»
Chiara fece cenno di no: «No, non lo capisco. Sei strano. Come sempre del resto. Di certo normale non lo sei mai stato.»
Il ragazzo guardò il viso accigliato ed accennò un sorriso: «Questa te la perdono giusto perché sei tu!», riprese, nuovamente giovane come un bambino; quindi proseguì: «Comunque sia, quando un fuoco è prossimo a spegnersi, ha bisogno di legna. Così, un'anima ha bisogno di amore. E una ragazza di sapere che può piacere come qualsiasi altra.»
«Almeno lui com'è?» riprese l'altra, con tono per nulla convinto.
«Non so, sembra il solito laureatino saccente, ma l'ho visto solo in fotografia.» rispose distratto il ragazzo.
«Insomma un bastardo. E che accadrà quando tra i due piccioncini finirà?»
«Serena soffrirà un po', piangerà, ma avrà la forza e la certezza di valere. Una volta acquisita, non è qualcosa che perdi per strada. È questo l'importante, non capisci?»

Chiara rimase un attimo interdetta. Sospirò forte. Appoggiò entrambe le mani sulla ringhiera, ed il mento su di esse. Quindi concluse con una vena di stizza: «Per cui, in definitiva, per tutti questi sette anni sei sempre stato innamorato di quella piccola stronza di Emanuela!?»
«Non chiamarla così!» protestò debolmente il ragazzo; «Non è come appare.»
«Hai ragione. È peggio! Ma con te è inutile discuterne.»
«Non capisci...» protestò il ragazzo, mentre l'altra osservava l'orizzonte;
«Capisco fin troppo...» poi, Chiara s'interruppe e guardò l'amico con occhi lucenti: «Dario, sei un adorabile matto da legare!» esclamò infine, rifilandogli una sonora pacca sulla schiena. Il suo riso fu oro nel più profondo cielo.

Lontano, un fiore d'argento guardava la Luna. Serena sentiva germogliare l'amore dentro sé, e, per una volta, era convinta di potercela fare. Perché sì, il mondo poteva essere alieno e difficile, ma in ogni caso, lei non sarebbe stata più sola.

Mai più.

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