Invisible

Door Toki_Doki_Q

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[COMPLETA] Angie Moran è una ragazza di vent'anni che sogna di diventare un'attrice. Per seguire il suo sogno... Meer

Prologo
Strana gente
L'attrice
Frisbee
Ragazzino viziato
Ciak, si gira!
Biscotti
Il pazzo, strambo, spericolato, James
Big Time Reunion Party
Il mondo dentro e fuori
Vivi
Paura
Ignorare
Grazie
Il resto non conta
Desideri
Balbettii
Il suo cuore
Partenza
Gelosia
Home, sweet home
Concerto
Twitter
Fuori controllo
Perfetti
Epilogo

Palestra

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Door Toki_Doki_Q

Palestra

Era la mattina del mio secondo giorno al Palm Woods. La sveglia digitale sul comodino segnava le nove e trenta. Mi stiracchiai e i muscoli indolenziti ripresero magicamente vita. Balzai giù dal letto e decisi che dopo la colazione sarei andata in palestra. A quanto diceva l'opuscolo, era di recente apertura e aveva sostituito la precedente. C'era anche scritto che era attrezzata con gli strumenti ginnici più moderni; i migliori che si potessero desiderare. A me, comunque, bastavano un tapis roulant e una cyclette perché dovevo limitarmi negli sforzi fisici.

Dopo il solito cappuccino e due biscotti, andai in bagno per legare i capelli in una coda alta e lavarmi i denti. Mi spostai poi in camera per abbandonare il pigiama e indossare i pantaloncini della tuta e una canottierina nera; presi l'asciugamano e una bottiglietta d'acqua liscia e mi recai verso gli ascensori. Dopo pochi istanti di attesa, si aprì quello a destra e scoprii che non era vuoto. Sentii uno strano imbarazzo crescermi dentro, forse perché temevo che quel ragazzo mi riconoscesse e ricordasse la figuraccia sul balcone. Ero quasi tentata di aspettare quello accanto, ma avrei peggiorato la situazione aggiungendo un'altra figuraccia alla lista. E allungare quella lista non rientrava nei miei piani, soprattutto se riguardava il cantante.

Entrai in quello spazio troppo stretto per i miei gusti e tenni lo sguardo fisso sui tasti numerici. Quello del piano della palestra era già illuminato, segno che anche James sarebbe sceso lì. Azzardai un'occhiata al suo abbigliamento e capii che c'era una forte probabilità che si stesse recando in palestra. In fondo quei muscoli avevano bisogno di tempo. Chissà quanto erano scolpiti i suoi addominali! Feci scorrere lo sguardo su quella maglietta nera aderente che lo fasciava alla perfezione. Quanto tempo passava ad allenarsi?

Il campanello suonò e l'ascensore si fermò in modo brusco, facendomi quasi sussultare. Mi affrettai a uscire e mi diressi in fondo al corridoio seguendo la freccia che indicava la direzione della palestra. Non potendone fare a meno, mi voltai per vedere da che parte stava andando quel ragazzo. I miei occhi incrociarono i suoi e mi girai subito, in completo imbarazzo per essermi fatta beccare.

Spalancai la porta della sala attrezzi e notai con piacere che l'opuscolo non mentiva. Senza esitazioni, attraversai la stanza e mi sistemai al tapis roulant per iniziare il riscaldamento, ma i tasti di quel macchinario e le impostazioni sullo schermo touch, non mi aiutavano a capire come utilizzarlo. Mi guardai intorno con la speranza di poter chiedere a qualcuno, però purtroppo c'eravamo soltanto James ed io. Non ci sarebbe stato nulla di male a rivolgermi a lui, ma mi sentivo in imbarazzo solo a pensarci. Quel ragazzo aveva qualcosa che mi metteva soggezione. Forse la sua altezza? I suoi capelli perfetti? Il fisico prestante? Quegli occhi così verdi e luminosi? No, c'era qualcos'altro. Qualcosa che non aveva a che vedere col suo aspetto, ma che non capivo ancora cosa fosse.

Lo osservai con la coda dell'occhio: era impegnato con i pesi. I muscoli gli si gonfiavano e tendevano a ogni movimento ed io me ne stavo lì come un'allocca, imbambolata a guardarlo e quasi con la bava alla bocca. Ok, era un ragazzo bellissimo, ma un po' di dignità e contegno!

James ripose i pesi e sollevò lo sguardo incontrando il mio. Distolsi subito gli occhi e li puntai sullo schermo di fronte a me. Pigiai qualche tasto per dare l'impressione di essere impegnata in qualcosa. Ma come si programmava quell'accidenti di tapis roulant? "Il meglio che si possa desiderare." Che tutti tranne me desidererebbero!

«Serve una mano?» La sua voce di James mi fece sobbalzare e sorrise divertito.

«Non ci capisco niente» confessai con non poco disagio.

«Col tempo imparerai.» Mi sorrise. «Sei nuova?»

«S-sì. Sono arrivata ieri.»

Premette un paio di pulsanti, impostò una velocità media e diede l'ok. «Dovrebbe andare. Se hai bisogno, chiamami.» Sfoderò un sorriso mozzafiato e tornò al suo lavoro.

Iniziai lentamente a correre e il tappetino si adeguò perfettamente alla mia andatura, che si mantenne costante per circa cinque minuti, poi aumentò progressivamente il ritmo ogni dieci minuti. L'impostazione programmata da James era perfetta e mi dissi che avrei dovuto farmi spiegare come inserirla.

Mentre proseguivo con il mio riscaldamento, mi convinsi che non sarebbe morto nessuno se mi fossi concessa di spiare per qualche minuto l'allenamento di James. Percorsi con gli occhi la stanza, ma non lo scorsi. Forse si era spostato in un'altra ala della palestra o aveva già finito.

Chiusi gli occhi per un istante e l'immagine vivida delle sue braccia si affacciò nella mia mente. Con quel velo di sudore e i capelli leggermente in disordine, era davvero sexy. Chissà quante ragazze gli facevano il filo, e chissà se era fidanzato. Avrei potuto fare delle ricerche in internet... La cosa non avrebbe dovuto importarmi perché, in qualunque modo stessero le cose, io ero invisibile. Nessuno mi notava e con il tempo avevo imparato a convivere con quella mia condizione sociale; avevo imparato ad amare la mia vita e le poche persone che ne facevano parte.

Per aiutarmi a smettere di pensare, pescai le cuffiette del lettore che tenevo in tasca e le infilai nelle orecchie. Feci partire la musica e la voce dolce di James mi entrò dentro.

La sera prima, appena rientrata dal giro in centro, avevo messo sul computer l'album dei BTR e l'avevo ascoltato mentre sistemavo la cucina e poi preparavo la cena. Le canzoni mi piacevano e trasmettevano energia, così avevo deciso di copiarle nel lettore per poterle avere sempre sottomano nel caso in cui mi fosse venuta una voglia improvvisa di ascoltarle. E avevo fatto bene dato che ora mi stavo allenando con quel sottofondo.

Continuai a correre per un'ora, poi passai alla cyclette come da programma. Cominciai a pedalare svogliatamente e con gesti meccanici, finché non notai una ragazza trotterellare al fianco di James. Lui prese posto su uno step, la bionda rimase in piedi accanto al macchinario. Con un sorriso stupido e lo sguardo lascivo, si toccava in continuazione i capelli e lasciava carezze sulla spalla di James, che sembrava non disprezzare quelle attenzioni.

Da lì non riuscivo a sentire cosa si dicessero - sia per la musica nelle orecchie, sia perché le loro voci erano attutite dai rumori degli attrezzi usati da alcuni ragazzi arrivati poco prima - ma lei sembrava divertita e completamente presa dalla conversazione. A un tratto James si voltò nella mia direzione e restò lievemente stupito nell'incrociare il mio sguardo. Per l'ennesima volta, aggiungerei. In quell'istante, qualcosa dentro di me cambiò e mi impedì di fuggire i suoi occhi perché quel qualcosa mi stava dicendo che James mi guardava davvero; non vedeva attraverso di me, ma vedeva me.

Restammo occhi negli occhi finché la ragazza non richiamò la sua attenzione e fu costretto a voltarsi.

Il mio cuore palpitava velocemente e la cyclette non c'entrava un bel niente. La colpa era solo e soltanto di quegli occhi verdi.

La musica si spense all'improvviso catapultandomi nella realtà che mi circondava, quella in cui non eravamo soltanto noi due, vicini come in verità non eravamo. Che mi stava passando per la testa? Non sarei mai stata vicina a quel ragazzo. Tre mesi e sarei tornata in Kansas, alla mia solita vita. Non speravo in una svolta. O meglio: non potevo sperarci per non rischiare di scottarmi troppo. La mia vita mi aspettava in Kansas, punto.

Tolsi le cuffie e le arrotolai intorno al lettore, poi lo ricacciai in tasca e appuntai mentalmente di metterlo in carica appena sarei tornata al mio appartamento.

Sbuffai dispiaciuta e mi obbligai ad aumentare il ritmo delle pedalate per terminare prima, tornare a casa, farmi una doccia e poi andare in piscina a studiare il copione che mi aveva fatto recapitare Daphne la sera prima. Non l'avevo neanche ancora aperto, quindi dovevo rimediare e comportarmi da brava bambina.

Rallentai piano piano fino a fermarmi, poi spensi la cyclette e asciugai il viso dalle goccioline di sudore che scendevano fastidiose sulla fronte. Bevvi un bel sorso d'acqua e mi avviai verso l'uscita, passando accanto a James, impegnato ancora con lo step e la bionda. Mi costrinsi a non guardarlo e tirare dritta per la mia strada, nonostante una forza invisibile mi diceva di guardarlo. Fui orgogliosa di me stessa quando riuscii a trattenermi e non sbirciare neanche con la coda degli occhi.

Una volta sul corridoio, tirai un sospiro di sollievo e mi sentii un po' più leggera. Mi fermai un secondo davanti agli ascensori, poi decisi che fare un po' di scale non mi avrebbe fatto male e avrebbe allungato di un minuto il mio allenamento. Proseguii verso il fondo del corridoio, ma fui bloccata da una voce. Da una domanda più che altro:

«Non prendi l'ascensore?»

Mi voltai per controllare che James ce l'avesse con me. I miei dubbi furono confermati: stava dicendo alla bionda in sua compagnia, ma io mi ero fatta il mio film come una scema.

«C'è posto anche per te, se vuoi» aggiunse, stavolta rivolgendosi davvero a me.

Mi sentii arrossire e feci no con il capo, cercando di ignorare lo sguardo assassino della ragazza. Ripresi a camminare con passo veloce e iniziai a scendere gli scalini. Dopo i primi due gradini, udii dei passi dietro di me. Non ti voltare; non guardare dietro. Poteva essere chiunque, ma non avrei retto un altro scambio di sguardi con James, soprattutto dopo non esser riuscita a pronunciare una frase di senso compiuto per declinare il suo invito a usare l'ascensore.

Stavo per cedere e voltarmi, ma la voce di James mi anticipò bloccandomi sul pianerottolo del secondo piano: «Ehi, dico a te!»

Il confronto era inevitabile, quindi mi voltai. «Scusa, non ti avevo sentito.»

Aggrottò le sopracciglia. «Perché mi eviti?»

Sgranai gli occhi. Quella conversazione stava avendo luogo sul serio? «Come si fa a evitare una persona che non si conosce?»

«Però mi guardi in continuazione.» Che faccia tosta!

«Q-questo cosa centra? E poi non è vero!» mi difesi debolmente, sentendo le guance scaldarsi sempre di più. Ripresi a scendere i gradini per uscire da quella situazione, ma una mano, la sua mano, si strinse intorno al mio braccio costringendomi a fermarmi di nuovo.

«Non mi piace quando mi ignorano» si lamentò, con tanto di - tenerissimo - broncio finale.

Mi scappò un sorriso e ne spuntò uno anche sul suo viso perfetto. «Scusa, ma devo andare» mi giustificai.

«Come ti chiami?»

«Angie Moran.»

Lasciò il mio braccio. «James Diamond, ma sono certo che tu già lo sappia.» Arrogante e pieno di sé.

«Sì» confermai come una povera cretina.

«Ci vediamo in giro.» Aprì la porta che dava sul corridoio del secondo piano e se la richiuse alle spalle.

Sospirai e mi diedi della scema per aver fatto la figura della ragazzina. O peggio: di una fan in panne. Per di più, avevo sceso due rampe di scale di troppo. Non potevo permettere a nessuno di distrarmi fino a quel punto: non avrebbe fatto bene al mio lavoro, né al mio cuore.

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