IO CI SONO. (workinprogress)

By GrafiteBianca

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Ero lì, ferma. Immobile in quel letto. Sentivo tutto ma il mio corpo non rispondeva. Avrei voluto gridar... More

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By GrafiteBianca


Scappa! Prova a scappare. Nasconditi. Corri. Prendi le distanze. Lontano.
Puoi scappare da tante cose, da un gesto, da una parola, da una persona.
Puoi rincorrere il vento fino alla fine del mondo, attraversare oceani, percorrere deserti, perderti in città sconosciute.
Certo!
Ora, però, prova a scappare dai ricordi, prova a scappare dal passato.
Eh no! Quelli ti rimangono appiccicati addosso, sulla pelle, sotto la pelle, nella testa, nel cuore e da lì, in qualunque parte dell'universo tu ti trova, non andranno mai via.
Sono dentro di te e ci sono solo due cose che puoi fare, affrontarli e riuscire a conviverci.
A volte hai come l'impressione che, in fondo, non fanno più tanto male o che il tempo ne abbia sbiadito l'intensità, poi due occhi, due mani, un volto, una somiglianza, una canzone e tornano nitidi come fossero accaduti appena pochi minuti fa. Scene che ti si ripresentano prepotenti davanti agli occhi e tu, pur di non lasciarti sopraffare totalmente di nuovo, devi affrontarle.

Penso a tutto questo, assorbo questa consapevolezza mentre sono qui, sdraiata su un letto, in questa asettica stanza d'ospedale. La mia è la classica stanza in fondo al corridoio, a destra. Un po' come il bagno.
Non so che ospedale sia questo, non so come io ci sia arrivata, non so quando, non so quanto tempo sia passato da quel momento.
Tento di aprire gli occhi, muovere una mano o stringere quelle di chi spesso me la prende fra le sue, ma non ci riesco, ancora nessuna parte del mio corpo mi risponde. Sono sveglia ma gli occhi sono serrati, le palpebre sono macigni che non riesco a sollevare. Confusa. Ascolto tutto e vorrei fare qualcosa per lenire la pena che sento nelle voci di mia madre, di mio padre, di chi viene qui a lasciarmi una carezza ma niente, non ci riesco.
Non ci riesco.
Non riesco più a capire come sono arrivata a questo punto.
Non riesco più nemmeno a piangere.
Non riesco più a comprendere come io mi sia lasciata sopraffare in quel modo.
Perché non ho reagito come al solito? Non ho sfoderato il mio sorriso migliore, ingoiato il dolore, alzato la testa?
Questa è una di quelle domande alla quale solo tu puoi dare una risposta. Un perché che non sei mai riuscita ad esprimere. Un perché che speravi venisse intuito da chi ti è più caro al mondo ma niente, evidentemente so nascondere molto bene i miei pensieri e il mio volto raramente mi tradisce.
Ma la risposta è semplice.
Sono un essere umano condito di tutte le sue debolezze. Fatta di carne ed ossa anch'io. Un involucro che, ad un certo punto, ha cominciato a creparsi sotto la pressione, le aspettative, la delusione.
Intorno a me, tutto nero. Quella mi è sembrata l'unica via d'uscita.
I ricordi si affollano nella mia testa. Vedo volti, sento voci, un paio di occhi che hanno il coraggio di fissarmi mentre, come proiettili, mi cadono addosso quelle parole, quelle parole che..
Un momento!
E' qui?!
Sento la sua voce. La riconoscerei fra miliardi. Sono nervosa. Ribollisco di rabbia. Vorrei gridare, scaraventargli addosso qualsiasi cosa avessi qui a portata di mano.
Sento che ogni più piccola fibra del mio corpo è in tensione. Lo sento ma non si muove niente. Poi, per quanto sia immaginabile, mi fermo. Fermo la lotta che divampa nella mia testa, il conflitto tra il cervello e il corpo. Potessi fermerei anche il battito cardiaco per impedirgli di accelerare così repentinamente. I medici lo notano, ma ormai sono convinti sia una reazione involontaria a determinate situazioni.
Mi fermo e addirittura penso che se riuscissi a muovere un solo muscolo proprio ora che è qui, qualcuno potrebbe pensare che sia perché davvero avverto la sua presenza, che l'accelerazione cardiaca non sia un caso, che sia merito suo, quando l'unico "merito" che ha è di essere la goccia che ha fatto traboccare il vaso, ma questo non lo sa nessuno, nemmeno i miei.
Non sono mai riuscita a parlare veramente neanche con loro.
Mi sento chiusa in gabbia. Ho voglia di esplodere, per la prima volta, e per un crudele, beffardo scherzo del destino non posso. Non posso piangere. Non posso aprire gli occhi, incrociare i suoi e lasciarli parlare per me, mostrargli chiaramente tutto il mio disprezzo!
Non posso fare assolutamente nulla.
Il battito accelera di nuovo.

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