Autostop • H.S.

By SilviaSandberg

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"Da che cosa stai scappando?" "Dalla mia vita" ** Un viaggio programmato, un evento inaspettato. Questa e' l... More

Prologo
Capitolo 1
Capitolo 2
Capitolo 3
Capitolo 4
Capitolo 5
Capitolo 6
Capitolo 7
Capitolo 8
Capitolo 9
Capitolo 10
Capitolo 11
Capitolo 12
Capitolo 13
Capitolo 14
Capitolo 15
Capitolo 16
Capitolo 17
Capitolo 18
Capitolo 19
Capitolo 20
Capitolo 21
Capitolo 22
Capitolo 23
Capitolo 24
Capitolo 25
Capitolo 27
Capitolo 28
Capitolo 29
Capitolo 30
Capitolo 31
Capitolo 32
Capitolo 33
Capitolo 34
Capitolo 35
Capitolo 36
Capitolo 37
Capitolo 38
Capitolo 39
Capitolo 40- Prima Parte
Capitolo 40- Seconda Parte
Avviso
Epilogo
So..
A Cruel Angel

Capitolo 26

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By SilviaSandberg

Urla, pianti disperati, lamentele. Era quello che succedeva ogni giorno, niente era fuori dall'ordinario. Ma quello era il giorno decisivo, il giorno in cui avrei smesso si essere trattata come una schiava. Se due persone odiano anche solo l'idea di avere dei figli, perche' farne? Me lo chiedevo spesso, senza mai trovare una risposta coerente.

"Scarlett, andiamocene" Singhiozzava Phoebe al mio orecchio, facendo morire lentamente anche l'ultimo pezzo di vitalita' in me. Continuavo a stringere il suo corpo con il mio , nascondendoci dentro l'armadio della nostra stanza. Dovevo trovare una soluzione, e al piu' presto.

Afferrai la sua mano, stringendola contro la mia. Mi alzai nel piccolo spazio, controllando la nostra stanza. Le urla dei miei genitori erano ben presenti, ma anche lontane. Lascicando la mano tremolante di mia sorella, mi incamminai verso la porta e la chiusi a chiave.

Ritornai davanti all'armadio, prendendo di peso il corpo stremato dallo stress di mia sorella. Asciugai qualche lacrima che bagnava le sue guance, afferrandole le gote rosse. "Ascoltami, non abbiamo tanto tempo prima che loro finiscano e vengano qui. Quindi, prendi tutti i tuoi vestiti e le tue cose, ce ne andiamo" La vidi annuire nella piccola stanza poco illuminata dalla luce del tramonto e, senza ripeterlo due volte, si avvio' a recuperare i suoi vestiti.

Dopo nemmeno cinqe minuti che le nostre mani erano indaffarate, tre colpi sferrati con violenza contro la nostra porta chiusa risuonarono nello spazio. Un lamento acuto lascio' le labbra della mia sorellina, ed io espirai profondamente. "Aprite questa dannata porta! Sapete che non potete chiudervi a chiave, sono le regole!" Urlo' mio padre, sbattendo contro la porta.

"Non fermarti" Comandai a Phoebe, prendendo tutti i libri di scuola, sia miei che suoi, e gettandoli dentro un borsone. Astucci, quaderni, vestiti ed intimi volarono per tutta la stanza, e le nostre quattro borse ormai erano piene.

"Ragazze!" Urlo' inferocita mia madre. I cardini della porta cominciavano a cedere, e sapevo che ormai era rimasto poco tempo. Guardai la finestra sbarrata con le assi di legno, e feci cenno a mia sorella di controllare di aver preso tutto. Mi diressi verso la finestra, aprendola e constatando se effettivamente potevamo scappare. Guardando mia sorella sconvolta ed impaurita, mi domandai come mai io non ero nelle sue stesse condizioni. Sentivo solo il bisogno di proteggerla, perche' nessuno l'aveva mai fatto con me.

Le mie speranze morirono sotto le suole delle mie scarpe quando la porta quasi si stacco', ma subito dopo i miei genitori cominciarono a litigare dietro la porta chiusa: questo forse poteva aiutarci. Tirai un pugno al legno, sperando che almeno si allentasse di poco, ma non lo fece. Cosi' mi allontanai e tirai un calcio contro il legno. Lo scontro mi fece male, ma vidi che un pezzo di legno era volato via. Mi avvicinai alla piccola fessura creata, e cominciai a togliere le assi di legno- staccando i chiodi arrugginiti da questa.

Appena il passaggio fu libero, Phoebe si avvicino' a me e getto' fuori tutti i borsoni che avevamo. Per fortuna eravamo a piano terra, quindi le possibilita' di scappare erano altissime. Ma se i miei genitori avessero smesso di urlare, forse si sarebbero accorti che qualcosa non stava andando come volevano loro.

Aiutai mia sorella a scavalcare il cornicione della finestra senza tagliarsi con i chiodi arrugginiti, e lo stesso fece lei con me quando fu fuori. Le urla continuarono a sentirsi anche da fuori la casa distrutta in cui vivevamo; distrutta a causa dei loro litigi. Non so quante volte io e i miei vicini avessimo chiamato la polizia o i pompieri per rimediare ai loro danni, ed a quante volte i miei genitori abbiano lottato contro lo stato per tenersi la custodia sia mia che quella di mia sorella. Ma ormai sentivo che era finita, che niente sarebbe andato storto.

La macchina arrugginita di mio padre era ancora parcheggiata nel vialetto, e sapevo che aveva lasciato le chiavi infilate dentro. Non le staccava mai, e nessuno in quel posto avrebbe mai avuto il coraggio di rubargli l'auto. Le spalle mi facevano male a causa dei borsoni pesanti, ma non mi diedi per vinta. Sistemai le borse frettolosamente, salendo in auto insieme a Phoebe.

Sentivo tutta la pressione soffocarmi il respiro, chiudendomi le vie aeree. Mi sentivo seguita, perseguitata da una famiglia disgregata in mille pezzi. E da quando i nonni erano morti, questa frammentazione si era fatta sentire ancora di piu'. L'odio puro dei nostri genitori era qualcosa che mi aveva sempre ferita, ed anche a Phoebe faceva questo effetto. Eravamo entrambe in un momento importante nella nostra vita, ed essere trattate in quel modo non ci aiutava per niente.

Misi in moto la macchina, quando la porta di casa si spalanco'. Le lingue di fuoco che mandavano gli occhi dei miei genitori erano qualcosa di raccapricciante, cosi' schiacciai l'accelleratore e scappai da quella casa. Sentii ridere Phoebe per un'istante, come se adesso fossimo davvero al sicuro. Ma non lo eravamo ancora, perche' loro potevano ancora trovarci.

Ma non mossero nemmeno un dito per cercarci, per chiedere alla scuola se frequentavamo ancora quei corsi. Non si sono mai fatti qualche domanda sulla nostra fuga, e forse e' stato meglio perderli per sempre.

**

La mia giornata non e' iniziata per niente bene, e sembra peggiorare ogni secondo che passa. Il mal di pancia e' insopportabile, e non capisco nemmeno il perche'. Il ciclo mi e' finito da poco, quindi quello non e', ed in piu' e' escluso che io sia.. si insomma.. incinta. Inoltre, stare seduta dietro quella scrivania e cercare di non mandare a quel paese ogni cliente che entra e' tremendamente difficile per me.

"Puoi stare tu un attimo qui? Devo andare a parlare con Harry.." Mormoro ad Henry, seduto fedelmente vicino a me, e lui annuisce dolcemente. "Grazie" Mormoro, alzandomi dalla sedia e dirigendomi verso il suo ufficio.

Busso velocemente, quasi impaziente, ed i crampi sembrano non voler andare via. La porta viene aperta quasi subito dal ragazzo riccio, e non riesco a fare a meno di sorridere leggermente. Ormai da una settimana abbiamo definito che cosa siamo: siamo una specie di coppia, che si sta conoscendo e che, al momento adatto, forse diventera' ufficiale. Dobbiamo solo capire se ci piace quello che abbiamo dentro, perche' l'attrazione e' visibile.

Sbuffa una risata, muovendo qualche ciuffo ricaduto sulla sua fronte. "Si accomodi, Signorina Hill" Mormora Harry, aprendo la porta e sbirciando dietro di me. Abbiamo promesso di essere una coppia quando usciamo dalla hall dell'hotel, perche' si potrebbero creare dei pettegolezzi tra il personale. Ma a me non dispiace far finta di niente quando Harry passa davanti a me, perche' trova sempre un modo buffo per richiamare la mia attenzione- facendo ridere Henry.

Chiudo la porta dietro di me, sistemandomi la gonna sui fianchi. Corruccio le labbra quando un altro crampo mi colpisce, e vorrei davvero che smettessero di uccidermi le interiora. "Qualche cosa non va?" Mi chiede lui, cambiando rapidamente la sua espressione.

Mi appoggio alla porta, sospirando pesantemente. "Sto male, Harry" Dico soltanto, contraendo la pancia per la millesima volta.

Lui si avvicina a me, sbottonandosi la giacca nera chiusa per prendere un respiro profondo. Si vede che e' stanco, e' stato molto impegnato in questo periodo. Mi sono sentita molte volte in colpa per avergli chiesto magari qualcosa fuori dal programma, perche' era davvero stravolto- anche se insisteva di accompagnarmi in qualsiasi posto volessi andare oppure avessi solo anche pensato di volere qualcosa, lui me la prendeva. "Che cosa c'e'? Ti vedo piu' stanca del solito" Mi chiede, poggiando le sue mani suoi miei fianchi. Sospiro pesantemente, cercando la causa di questo mal di pancia. Forse e' stato quel cibo indiano che abbiamo ordinato ieri sera?

"Ho mal di pancia e.. credo che sia stato il cibo di ieri" Mormoro, appoggiando la testa sulla sua spalla. Una sua mano raggiunge il retro della mia testa, accarezzando i capelli raccolti nella coda alta.

"Se vuoi possiamo andare, ormai il tuo turno e' quasi finito ed io ho finalmente firmato e controllato tutte quelle carte" Dice lui, facendomi annuire. In questi giorni siamo stati bene, sia al lavoro che non. Ma sento di volere di piu', e mi dispiace un sacco. Siamo presi entrambi dal lavoro, ed abbiamo avuto davvero poco tempo per parlare. E' stata una settimana di fuoco, dato che Marzo sta finendo e la pioggia sembra non voler smettere di cadere. In piu', Phoebe e' in periodo di esami ed ha davvero pochissimo tempo per venire a trovarmi, ma va bene cosi'. Mi sento un po' come una madre abbandonata da sua figlia. "E se vuoi, domani possiamo stare a letto tutto il giorno. Ce lo meritiamo"

Alzo la testa, sorridendo ampiamente, lasciando un bacio sulla sua guancia. Il dolore alla pancia c'e' ancora, ma sembra quasi scomparire con lui- dato che le farfalle cominciano e riempire lo spazio vuoto. "Ognuno a casa sua a dormire, insomma" Lo derido, vedendolo aggottare le sopracciglia in disaccordo.

Harry scuote velocemente la testa, facendo scontrare i nostri petti ancora di piu'. "Non se ne parla, tu dormi con me questa sera. E non accetto un no come risposta" Ridacchia lui, baciandomi il naso dolcemente. Porta le sue labbra velocemente alle mie, rubandomi un bacio a stampo veloce- ma abbastanza bello da calmare il crampo imminente alla mia pancia.

Alzo gli occhi al cielo. Aspettavo solo questo, a dire la verita': provocarlo era un modo per tornare a casa con lui, e magari farlo rimanere li'. Si allontana da me solo per recuperare solo il suo giaccone e la sua ventiquattro ore, e mi fa cenno verso la porta. La apro velocemente, uscendo prima di Harry ed andando a recuperare le mie di cose.

"Ascolta Henry, io devo andare via per finire le ultime cose, mentre Scarlett se ne andra' a casa. Domani riusciresti a fare anche il suo turno?" Gli chiede gentilmente Harry, mentre io mi copro fino agli occhi con la sciarpa bianca e mi nascondo dai suoi occhi curiosi.

Henry annuisce gentilmente, e io gli faccio un cenno con la mano per salutarlo. Esco pochi secondi prima di Harry, e raggiungo la mia macchina per prima. Il parcheggio che si trova davanti alla discoteca si sta affollando di macchine, cosi' mi affretto verso la mia per poter andare via.

"Ehi, aspettami!" Urla Harry, reggiungendomi con un braccio alzato.

Lo guardo divertita, mentre gioco con le chiavi della macchina. "Ci vediamo al cottage, fammi tirare fuori la macchina!" Esclamo, e lui annuisce per poi raggiungere la sua macchina.

Esco velocemente dal parcheggio, sentendo il mal di pancia essere quasi il mio unico pensiero. Non sento nessun bisogno fisiologico, solo la voglia di andare a letto ed abbracciare una borsa dell'acqua calda. La mia testa e' un mix di pensieri che non sono collegati tra di loro: insieme a quelli riguardanti la mia pancia dolorante, ci sono quelli rivolti verso Harry, a mia sorella e, per la prima volta dopo mesi, quelli riguardo ai miei genitori. Sono anni che non li vedo, e non mi mancano per niente- ma voglio sapere se sono vivi oppure no. Non ci hanno mai cercato, solo qualche chiamata forse una volta all'anno. Non so nemmeno perche' sto pensando a loro, ma mi piacerebbe vedere che fine hanno fatto.

Senza nemmeno rendermene conto, arrivo al cancello nero e sono costretta a rallentare per non superare il cottage. Entro lentamente, sentendo la ghiaia scricchiolare sotto le gomme. Subito dopo di me, la macchina di Harry mi segue e parcheggia esattamente affianco alla mia macchina. Esco dalla macchina, stringendo in mano le chiavi di casa.

Ci scambiamo un sorriso, anche se il mio e' nascosto sotto la sciarpa bianca. Lui sembra captarlo e mi accarezza il braccio, afferrando le chiavi di casa dalle mie mani ed aprendo la porta principale. Il caldo della casa mi rilassa dopo ore, e cerco di togliermi il cappotto e le scarpe al piu' presto possibile.

"Ti va un caffe' caldo?" Gli chiedo, appendendo il giubotto e liberandomi della mia sciarpa. Lui annuisce, togliendosi il cappotto e seguendomi in cucina. La sedia striscia sul pavimento quando Harry la sposta, richiamando la mia attenzione al pianeta terra. Sto pensando troppo e devo smetterla, subito.

Prendo due tazze grandi e metto le capsule nella macchinetta del caffe'. Quando sono pronti, li appoggio sul tavolo e prendo il barattolo di zucchero. Harry fissa ogni mio movimento, tenendo un'espressione neutra ed assente.

"Qualcosa non va?" Gli chiedo, passandolgi la tazza ed avvolgendo le mani fredde in torno alla ceramica calda.

Lui scuote la testa, prendendo un bel respiro. "Ora siamo un noi, quindi adesso non ci devono essere segreti.." Sospira, frugando tra i suoi pensieri. Devo dirti una cosa" Mormora. Due sentimenti contrastanti crescono in me, e so che potrei cadere dalla sedia da un momento all'altro.

Annuisco, concentrandomi sullo zucchero e mettendone un cucchiaino nel caffe'. "Ti ascolto" Dico, avvicinando la sedia a lui e mescolando il liquido scuro. Non riesco a tenere il suo sguardo, ma sono costretta ad alzare i miei occhi nei suoi quan do non parla.

Noto il suo labbro inferiore tremare, e so che ora devo iniziare a preoccuparti. "Ecco.. I-Iris.. Lei e' venuta a trovarmi e mi ha spezzato il cuore, dicendomi che lei ha bisogno di me e queste cose.. Ma io voglio te, capisci? Sono in lotta con me stesso, ma non perche' non so chi decidere, ma perche' non voglio averla qui. Le cose sono cambiate e lei mi sta solo facendo perdere tempo"

I ricordi di quella telefonata mi ritornano in mente, e quasi non mi strozzo con il respiro quando ricordo i suoi singhiozzi arrivare fino al mio timpano. Appoggio la tazza sul tavolo, con uno sguardo terrorizzato. "C-Che cosa intendi fare?" Chiedo, preoccupata.

"Voglio che tu le parli, che le dici come stanno le cose" Sospira. "Non voglio spezzarle ancora il cuore, non ce la faccio"

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