V.

Από Drevea

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Un viaggio sconvolgente, oltre i limiti. Giada Ferreri conduce una vita tranquilla e appagante e si riscopri... Περισσότερα

uno. Qualche settimana prima...
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cinquantadue

preludio

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Από Drevea

Immagina di poter scegliere un sogno. E di poterlo realizzare.

Durante quel viaggio mi scordai della mia vita. Volevo assaporare ogni singolo istante del sogno che stavo vivendo.

Atterrammo al Charles de Gaulle intorno all'una. Un'auto ci attendeva appena oltre le piste e non dovemmo nemmeno passare all'interno dell'aeroporto.

Durante il tragitto in macchina restammo un po' in silenzio. Lui probabilmente assorto nei suoi pensieri; io inghiottita dalla meraviglia.

L'auto ci lasciò davanti alla torre Eiffel.

Rimasi per un attimo ferma, ad ammirare l'imponenza di tutto quel ferro battuto, incrociato, che si ergeva nel cielo come a volerlo dominare. I grandi archi alla base a sorreggere la parte verticale come l'unione degli opposti.

C'erano due lunghe code di persone che aspettavano di poter salire a piedi fino al primo livello. Sullo sfondo, la magnificenza dei giardini dello Champ de Mars.

Provai un emozione impagabile.

Sorrisi.

Oltrepassammo la coda, prendemmo l'ascensore e, in un attimo, fummo sul tetto del mondo.

Un cameriere lo accolse come se lo conoscesse da tempo. Immaginai che andasse spesso a mangiare lì.

Chissà quante donne aveva sedotto, esattamente nel modo in cui stava seducendo anche me. Ma in fondo, forse, era meglio così.

«Vieni» disse, distogliendomi dai pensieri.

Il ristorante era circondato da grandi vetrate dal quale si vedeva tutta Parigi. Era magnifico. Il locale non era molto grande e i tavoli, disposti uno accanto all'altro, erano tutti occupati, tranne uno.

Mi tolsi la giacca e sentii il morso dei suoi occhi.

Fu una sensazione piacevole.

Il cameriere ci accompagnò a quell'unico tavolo libero. Era uno di quelli perimetrali, proprio accanto alla vetrata.

Una musica dolce, che non conoscevo, copriva il ticchettio delle posate e il vociare degli ospiti.

Dalle cucine si diffondeva un profumo meraviglioso.

Una volta seduta, mi sembrò quasi di cadere: c'era solo una lastra di vetro a separarmi dal vuoto. Da un lato avevo tutta la città mentre, dalla parte opposta, il resto della sala.

Di fronte avevo lui, che mi guardava scavandomi nell'anima.

Rimasi a lungo a guardare oltre la vetrata, inebriata dalla bellezza di Parigi.

«E' fantastico qui» dissi.

«Sono contento che ti piaccia». Mi guardò con occhi di ghiaccio.

In quel momento avrei voluto baciarlo e ringraziai il cielo che fossimo in un locale pubblico. Al contrario, non so se sarei stata in grado di resistere.

«Ordino io per te. Non preoccuparti. Fidati. Ti piacerà tutto».

«Va... va benissimo».

Si mise a parlare in francese con il cameriere. Aveva un fascino irresistibile.

Io ero abituata a un uomo che continuava a chiedermi se mi andava bene questo o quell'altro, se preferivo una cosa oppure l'altra e che dava a me la responsabilità di scegliere il vino da bere.

Ora mi trovavo con un uomo che prendeva tutte le decisioni senza chiedere. Sicuro che ne sarei stata entusiasta. Mi sentivo bene. Mi piaceva quella sensazione di avere a fianco qualcuno che pensa a tutto. Che ti fa sentire protetta.

Immersa nello stupore non mi accorsi nemmeno del tempo che trascorreva. Un cameriere portò al tavolo una bottiglia di champagne con un piatto di tartine calde e riccioli di burro.

Lo guardai, sorpresa.

«Allora? Non vuoi sapere com'è andata a finire l'altra sera?» Chiese con un sorriso beffardo.

«Mi sento ancora in colpa». Dissi.

«E' solo un gioco, Giada».

Corrucciai gli occhi. Non capivo cosa stesse cercando di dirmi, sempre che stesse cercando di dirmi qualcosa. Per come lo conoscevo fino a quel momento non era un tipo da girare intorno alle cose ma era proprio quello che stava facendo. O forse era solo una mia impressione.

«E' un gioco, e come tale ha delle regole. Ma non ho nessuna intenzione che tu partecipi a questo gioco».

Mi sentii un po' sollevata da quelle parole ma non so per quale motivo, una parte di me si sentiva...offesa. Una parte di me avrebbe voluto conoscere il gioco.

«Ma...dai, di che cosa si tratta?» Chiesi.

«E' un gioco fatto di scelte, oltre che di regole».

«Capirai che novità...»

«La novità è che tutti quelli che partecipano ci tengono in modo particolare alla loro privacy e una delle regole del gioco è proprio quella di non dire le regole».

«Bella cavolata, scusa. Ma allora uno come fa a partecipare?».

«Ha solo una possibilità».

Nel frattempo arrivò il cameriere a versare altro champagne e a portare via i piatti della prima portata.

«Quale?» chiesi incuriosita.

«Quella di partecipare».

«Scusa...Scusa ma hai appena finito di dire che non puoi partecipare se non conosci le regole, e ora mi dici che non puoi conoscere le regole prima di partecipare?».

Il cameriere tornò con una terrina di fuagrà con crostini caldi.

«Che delizia» dissi, dando un altro sguardo alla città.

«Certo che è così. Innanzi tutto devi ricevere un invito a partecipare e poi, nel caso in cui la regina decida per il sì, allora potrai conoscere le regole strada facendo».

«Mi sembra una cosa complicata».

«No, assolutamente. Non c'è niente di complicato. Si tratta solo di seguire le regole».

«Che però conosci strada facendo».

«Esatto».

«E nel caso uno si penta di aver partecipato?» Chiesi.

«Se uno si pente... non fa altro che ritirarsi dal gioco. Tutto lì. E' solo un gioco».

Fece un altro dei suoi sorrisi beffardi, che iniziavano a piacermi. «Solo che, una volta che decidi di ritirarti, non puoi più partecipare al gioco e nemmeno alle feste. Ed è per questo che non voglio che tu giochi. Non credo che tu abbia le capacità per partecipare e non voglio smettere di vederti proprio ora che stiamo diventando amici».

A quel punto ormai, era riuscito a stuzzicarmi: «Si può sapere perché cavolo io non dovrei avere le capacità di giocare al tuo gioco? Non mi sembra che gli invitati alla festa avessero chissà quali capacità più di me».

«Beh, in effetti potresti forse averle anche tu le capacità di giocare, ma se poi non ti piace il gioco? Smettiamo di vederci per sempre? A te andrebbe bene?»

«Credo di no. Ma scusa... Se ti interesso tanto, allora perché non fai uno strappo alle regole? Dopotutto sei tu il padrone di casa o sbaglio?»

«Semplicemente perché se dovessi trasgredire le regole allora rischierei di perdere anche il gusto di giocare. E poi non mi sembra una cosa corretta nei confronti di chi partecipa. In fondo è un gioco che tutti prendono molto seriamente».

Quell'uomo e, soprattutto quella discussione, stavano iniziando a farmi innervosire.

Quello stramaledetto gioco mi attraeva in modo irresistibile. Ma lo detestavo.

Nella mia mente incominciai a ripetere che avrei dovuto fregarmene di tutto. Potevo benissimo fare a meno di lui e delle sue cavolate, dei giochi da ricchi eccentrici e della varie stranezze collaterali.

Il cameriere tornò. Versò altro champagne e portò via i piatti vuoti.

Forse stavo esagerando. Perché cavolo dovevo prendermela? In ogni caso il nostro rapporto non sarebbe potuto continuare a lungo. Se avessi deciso di fare quel maledetto gioco e poi me ne fossi pentita, l'unico rischio era quello di smettere di vedere lui. Conclusione al quale sarei giunta presto, volente o nolente. Ero una donna sposata e non potevo pretendere più di un'avventura. Forse era anche già troppo così. Forse era meglio perderlo di vista.

Arrivata a quel punto, consapevole che prima o poi avrei dovuto sbarazzarmi di lui, allora, cosa poteva impedirmi di provare a partecipare al gioco per poi ritirarmi?

Ormai mi aveva incuriosita. Volevo sapere cosa diavolo combinavano a quelle feste anche se ero certa di essermene già fatta un'idea.

«E se invece volessi partecipare?» Chiesi.

«Dovresti presentarti di fronte alla regina appena eletta e chiedere a lei il permesso».

«Che delusione. Mi parli di questo gioco, mi incuriosisci e poi mi dici che è una, che nemmeno conosco, che deve decidere se posso partecipare o no».

Fece un sorriso. Ma era un sorriso diverso dai precedenti. O forse, ero io che lo vedevo in modo diverso. Era un sorriso magnetico, che avrebbe difficilmente lasciato scampo a una donna.

«In ogni caso, tornando al discorso di prima, spetterebbe comunque a me decidere se puoi presentarti davanti alla regina o meno. In fondo, come hai detto tu, sono io il padrone di casa».

Lo guardai dritto negli occhi. Non so cosa passò nella sua mente e non ho idea di che immagine stavo dando di me. Ma in quel momento non mi interessava molto. In quel momento la curiosità stava avendo la meglio su tutti i dubbi e credo che lui l'avesse già capito. Quell'uomo sapeva leggermi dentro come nessun altro.

«Non credo...non credo di poterti dire di no» dissi.

«Stai parlando di una cosa che non conosci, Giada. A volte è molto eccitante superare un proprio limite ma ci sono altre volte in cui la questione può rivelarsi davvero difficile».

«Guarda che non sono mica una ragazzina». Feci stizzita. «So badare a me stessa».

«Ma non è quello che intendevo, non essere così spavalda di fronte a questo gioco».

Le sue parole furono come una ventata di aria gelida. Ero consapevole di avere dei limiti che non avevo mai oltrepassato; nemmeno con mio marito; nemmeno prima di sposarmi; ma ci avevo pensato bene ed ero disposta a provarci. Anche se solo per una volta. Certo, a patto che fosse piacevole. Tremendamente piacevole. La verità era che sarei stata disposta a giocare fino a fare l'amore con lui. Ero sempre più convinta che non sarei riuscita più a togliermi dalla testa quell'uomo, almeno fin quando non mi avesse presa con quella sua virilità dirompente.

«Ho solo paura di quello che non conosco, dell'ignoto.» Dissi.

«A volte l'ignoto è come un sipario nero, che ci mette paura, altre volte invece, diventa un'euforia contagiosa, irresistibile.» Disse.

Mi stava guardando negli occhi, con occhi ch'ero arrivata anche a sognare durante certe notti. In quel momento i sensi di colpa erano spenti e avrei voluto che mi baciasse. Lo guardai desiderandolo e sono certa che lui capì quello che mi girava per la testa.

«Non ti preoccupare, parlerò con...la regina; e le dirò e di darti una possibilità».

«Cosa intendi? Guarda che non ho nessuna intenzione di farmi toccare da una donna. E' una cosa che mi disgusta anche solo a pensarci».

«Non è quello che ho detto Giada. Mi sembra di averti già spiegato come funziona il gioco. Spetta alla regina decidere se accettarti o meno ma non significa necessariamente che ti debba toccare. Anche se in fondo... potrebbe farlo. Non è forse anche quello un limite?»

«Si, certo, ma è un limite che non ho nessuna intenzione di oltrepassare».

Mi guardò dritta negli occhi per un lungo momento e poi sussurrò: «Sfilati le mutande».





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