† Since we were 18 † -Larry S...

By itsyourgirlMM

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《Mossi leggermente le labbra per intensificare il bacio, Louis mi leccò il labbro e quasi come se fosse autom... More

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•Capitolo 31•
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•Capitolo 34•
•Capitolo 35•
•Capitolo 36•
•Capitolo 37•
•Capitolo 38•
•Capitolo 39•
•Capitolo 40•
•Ringraziamenti e novità•
•Epilogo II•
•Epilogo III•
Avviso!
• Spin-off: Cosa è successo ad Eleanor?•
Avviso

•Epilogo•

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By itsyourgirlMM

6 anni dopo.

Era da sei anni che abitavo a New York e non ero mai tornato a casa.

Era da sei anni che lavoravo in un centro che mi pagava profumatamente e che mi aveva dato un posto di lavoro a tempo indeterminato e che si era offerto di farmi finire gli studi privatamente, lì a New York.

Chi avrebbe mai rifiutato? Uno stupido.

Avevo chiamato i miei e avevano pianto, stavolta senza nasconderlo, e avevo detto loro che sarei rimasto in America a tempo indeterminato.

Certo, c'erano cose che non sarebbero mai cambiate, come la videochiamata che facevo su Skype ogni venerdì sera con il mio migliore amico Niall, che era sempre colma di risate.

Mi sentivo molto più adulto di quanto non fossi: un ventiquattrenne solo in una città enorme da sei anni con un lavoro serio ed un appartamentino e una maturità superiore a tutta la situazione.

Non mi mancava niente, se non si contava il settore sentimentale... Non avevo più avuto una relazione seria da quando Louis e io ci eravamo lasciati. Avevo provato ad averne un'altra con un ragazzo biondo e gentile di nome Brian, che avevo conosciuto in un gay bar in una sera in cui mi sentivo molto solo, ma con cui arrivati a qualcosa di più intimo non riuscii a fare nulla; poi ci provai con una ragazza di nome Britney, credendo di essere etero e che Louis fosse un'eccezione (a causa di Brian) ma andò allo stesso modo, se non peggio, perché con le ragazze non sapevo proprio da dove cominciare...

Con una vita sentimentale disastrosa, l'unica cosa che potevo fare per svagarmi era uscire con gli amici, per cui c'era il mio coinquilino Jeremy, che viveva sul mio stesso pianerottolo da tre anni: vedevamo film insieme, giocavamo a calcio a volte ma comunque sentivo sempre che mi mancava qualcosa.

Quel Natale fu il mio capo a dirmi di tornare un po' dalla mia famiglia per quelle due settimane di ferie.

"Styles, prendi troppo sul serio questo lavoro davvero, dopo sei anni puoi prenderti anche due mesi di ferie!" furono le sue esatte parole accompagnate da un bel sorrisone e una pacca sulla spalla.

Ci pensai a lungo, e decisi che volevo tornare. Mi mancavano tutti e forse era arrivato il momento di riabbracciarli.

Così, preparai la valigia e andai a comprare un regalo di Natale a tutti quelli che mi venivano in mente: una volta tanto che avevo la possibilità di spendere i soldi che guadagnavo volevo cogliere l'occasione per far felice i miei cari.

Quanto mi mancavano! La mamma, papà, Gemma, Niall, Sara...

Louis...

Mi chiesi vagamente se quel ragazzo che mi aveva reso la vita sentimentale impossibile, perché non ci sarebbe stato nessun altro capace di arrivare ai suoi standard, stesse bene con Eleanor, se fosse felice...

Passai l'ultimo pomeriggio prima della mia partenza a sorpresa a comprare una collana di diamanti per mia madre, una cintura italiana per mio padre, un bracciale per Sara e uno per Gemma, dei pancakes direttamente da New York per Niall (che mi aveva detto di desiderare provare in una videochiamata) e dei souvenir della Grande Mela per chiunque mi fossi dimenticato.

Infilai tutto nella valigia, insieme a degli abiti. Poi cenai e mi misi a letto dopo essermi fatto una doccia, rigirandomi il biglietto aereo e quello del treno tra le mani riepilogando nella mia mente tutto il programma per il giorno dopo.

Partenza da New York alle 08:00

Arrivo a Londra alle 16:00 circa

Arrivo a Doncaster con il treno alle 18:00 circa
Sbuffai all'idea di dover viaggiare tutto il giorno e mi feci inghiottire dal sonno.

***

Il giorno dopo, dopo un'ulteriore lunga dormita durante le otto ore di volo, atterrai a Londra.

L'aria londinese, il verde che si vedeva dall'aereo, la simpatia delle persone, era qualcosa che mi era mancato più di quanto pensassi o dessi a vedere.

Mi si formarono anche le lacrime agli occhi e in un attimo mi sembrò di tornare bambino, quando mia mamma e il mio patrigno mi portavano a visitare i musei e a fotografare i monumenti.

Mi riscossi dal fissare il vuoto solo quando un turista mi urtò e mi disse qualcosa in un'altra lingua che sembrava molto offensivo.

Mi affrettai in stazione, lontana solo un paio di metri e mostrai il mio biglietto per Doncaster. Entrai in un vagone e mi sedetti, guardando fuori e distinguendo i tipici palazzetti inglesi. Mi si strinse il cuore a pensare a quanto quel posto significasse casa per me.

Nel treno mi immaginai le facce sorprese dei miei cari nel vedermi arrivare dopo sei anni senza aver avvisato. Almeno li avevo sentiti e avevo esorto loro informazioni in modo subdolo: erano a casa per le festività natalizie e di inizio anno nuovo, quindi tutto tranquillo, e sarei rimasto lì due settimane.

Appena il treno due ore dopo si fermò e uscii dalla ferrovia sentii un calore familiare espandersi per tutto il mio stomaco, mi si formarono le lacrime agli occhi e sorrisi.

Casa.

La mia città.

Trascinai le mie due valigie, sentendo la neve cadere dal cielo. Mi meravigliai che non fosse già tutta imbiancata, come New York, poi mi resi conto che temperature lì erano leggermente più miti.

Sorrisi ancora, osservai la città come se mi aspettassi che diventasse dieci volte più grande e apparisse Time Square e altre diecimila persone sulla stessa stradina sulla quale mi ero fermato come un idiota, senza parole.

Eppure quella non era New York, quella era Doncaster. Sulla strada di fronte non c'erano mille persone che correvano frenetiche, ma due vecchiette che si tenevano a braccetto.

Dopo essermi preso due minuti, mi resi conto di aver bisogno di qualcosa da bere. Entrai nel primo squallido piccolo bar a sinistra, intento a prendere qualcosa velocemente e mi trascinai dietro le valigie pesanti.

Mi sedetti al primo tavolino sentendomi stanco morto dal viaggio e aspettai che un cameriere dai capelli unti mi chiedesse cosa prendevo.

"Un bicchierino di Aperol, per favore." ebbi appena il tempo di dire, prima di sentire un rumore di infrangimento.

Cos'è successo?

Mi voltai verso quel rumore notando prima i tre bicchieri di vetro frantumati per terra e poi chi li aveva fatti cadere, ed era lui.

Era magrissimo rispetto all'ultima volta, con fossi scuri scavati sotto gli occhi blu, le labbra screpolate, i capelli più lunghi tirati indietro e la barbetta incolta. Indossava lo stesso completo del cameriere che aveva appena preso il mio ordine, lavorava lì, e mi guardava, scioccato, sconvolto. Se mi fossi visto probabilmente avrei notato che lo guardavo allo stesso modo.

"Ha-Harry?" spezzò il silenzio che il bar aveva creato. Mi accorsi che la sua voce era più roca e rovinata di sei anni prima.

Boccheggiai, non riuscii nemmeno a pronunciare il suo nome.

È proprio lui.

È veramente lui.

Nel frattempo probabilmente aveva anche lui notato i cambiamenti che avevo apportato al mio look: i miei capelli si erano allungati fino a sfiorare le spalle ed ero diventato ancora più alto, vestivo meglio e sembravo più elegante.

"TOMLINSON PULISCI QUEL DISASTRO O TI SOTTRAGGO I SOLDI DEI BICCHIERI DAL TUO STIPENDIO!" urlò un signore grassoccio con pochi capelli, probabilmente il proprietario. Lui annuì diligente, distolse lo sguardo da me e si chinò per raccogliere i cocci di vetro.

Fu quando fece una smorfia di dolore e si fissò un punto dove notai del sangue che mi alzai di scatto e istintivamente mi chinai accanto a lui per aiutarlo.

Appena mi abbassai mi guardò sbalordito con la bocca spalancata e potei osservare da più vicino quegli occhi stupendi inniettati di sangue, superstiti del sonno, contornati da grossi solchi neri.

Appena tutti i cocci furono nella spazzatura, il cameriere dai capelli unti mi chiamò al tavolo e posò il mio drink sulla superficie di legno. Mi sedetti e bevetti tutto d'un fiato, evitando di incontrare Louis con lo sguardo.

Sentivo tutte le cellule del mio corpo reclamare come stregate il corpo del magro ragazzo che aveva rubato il mio cuore sei anni prima e ammisi a me stesso che ero anche incuriosito da lui: dov'era finito il suo lavoro da attaccante del Chelsea?

Non ebbi tempo di pensarci oltre che l'oggetto dei miei pensieri si avvicinò ancheggiando al mio tavolo (e non potei giurare di non aver guardato i suoi sinuosi movimenti) e posò il mio bicchiere vuoto su un vassoio per portarlo via.

"Non far cadere anche questo." scherzai, sorridendo dolcemente.

Louis arrossì e scosse la testa ridacchiando.

"No, uh, io... Sono bravo nel mio lavoro, è solo che..." si guardò i piedi nervosamente e non sapendo come continuare alzò le spalle.

Fece due passi all'indietro, "Beh, allora..." fece un cenno verso il banco e se ne andò. Era così dolce, così nervoso... Sorrisi guardandolo andare via, facendo andare il mio sguardo più in basso di quanto avrebbe dovuto.

La rabbia che avevo nei confronti di Louis era svanita in quegli anni che ci avevano separati, l'attrazione no. Il fatto era che ero maturato e avevo messo al primo posto altre cose, non la rabbia. Avevo capito che non serviva niente covare vecchi rancori e il mio raggio di sole mi mancava, sposato o non.

Mi avvicinai al bancone dove Louis, con un cipiglio stava lavando il mio bicchiere e potei giurare di aver visto l'ombra delle lacrime sul suo bel viso.

"Quanto pago?" sobbalzò quando feci quella domanda e mi guardò negli occhi facendomi mozzare il fiato. Quegli occhi mi sarebbero sempre sembrati troppo blu, troppo belli. Sembrava un cucciolo di cane bastonato per come mi stava guardando.

"Uhm, t-tranquillo. Te lo offro io." ribattè deciso, e curvò gli angoli della bocca in un sorrisino tirato.

"Sempre il solito galantuomo." osservai, sorridendo sinceramente dopo tanto tempo quando arrossì, "Dai, dimmi quanto ti devo."

Scosse la testa con decisione e ripetè, "Te lo offro io."

"D'accordo." concessi divertito, e continuai a guardarlo negli occhi. Per il modo in cui stringeva il bicchiere avrei potuto scommettere che sarebbe esploso tra le sue piccole dita in un secondo.

"Quando finisci il turno?" sussurrai, non riuscendo a trattenermi dal chiederglielo.

"Fra un'ora." deglutì, la sua stretta attorno al bicchiere si fece ancora più nervosa.

"Che ne dici se mi sdebito con te e ci dividiamo una pizza? Offro io." proposi.

Certo, non ci stavo provando, sapevo anche che era sposato, ma intendevo andarci almeno da amici a cena con lui. Vecchi amici, niente di più. Volevo solo sentire come stava.

"Uhm, i-io... sì, v-va bene." tentennò, io gli sorrisi soddisfatto. Sembrava sconvolto, avrei voluto che mi sorridesse per bene, con quel suo sorriso luminoso e contagioso.

"A dopo, Louis." quasi lo vidi rabbrividire quando dissi il suo nome, chiuse gli occhi e insipirò per poi riapirirli e sorridere un po'.

"A dopo, Harry." sussurrò e il calore nel mio corpo si intensificò. Il modo in cui pronunciava il mio nome con quelle labbra piene era irresistibile.

Emozionato per tutto quello che stava accadendo uscii trascinandomi dietro le pesanti valigie rosse e imboccai la strada di casa.

Mi fermai di fronte alla mia villetta, osservai le luci accese, sentii confusamente la voce di mio padre e il rumore della tv, poi mi avvicinai tremando alla porta e bussai tre volte.

Sentii tutte le voci spezzarsi, e dei passi veloci avvicinarsi sempre più. Il cuore mi rimbombava nei timpani quando sentii il rumore delle chiavi girare nella serratura e gli occhi verdi di mia madre apparvero davanti ai miei.

La bella donna davanti a me boccheggiò, poi trattenne il fiato e le lacrime riempirono i suoi occhi mentre sorrise.

"Sorpresa..." mormorai dolcemente, lei emise un gridolino di gioia e mi buttò le braccia al collo.

"C'è nostro figlio!" urlò a mio padre, che subito si precipitò alla porta con un sorrisone.

"Figliolo!" mi strinse a sè quando mia madre mi lasciò e mi diede due pacche sulle spalle, "La prima volta che ti vedo da quando eri un ragazzetto del primo anno che va a studiare all'estero..."

"E ora guardati! Il mio ometto!" piagnucolò mia madre, io ridacchiai. Una volta mi sarei imbronciato per la sua iperprotettività ma in quel momento mi era mancata troppo per poterci pensare.

"Gemma?" chiesi sorridendo dolcemente al nome della mia sorellina, mi mancava anche lei.

"Sta tornando da casa della sua amica." mi informò mia madre.

"Oh. Preferite che i regali ve li dia ora o dopo?" domandai facendola passare per una domanda casuale.

"Oh tesoro! Regali?! Non dovevi, piccolo." mia madre baciò la mia fronte e sospirai felice di essere a casa, con l'iperprotettività di mia madre, le storie di mio padre e la fastidiosa piccola Gemma.

Dopo un'ora che Gemma non era ancora arrivata e mia madre e mio padre mia avevano sgridato bonariamente per i soldi spesi per i loro regali, annunciai di dover uscire.

Decisi di non cambiarmi; certo, mi sciaquai il viso e mi lavai i denti più per risvegliarmi dal jet-lag che per altro, e andai a prendere Louis. Non volevo dare l'impressione di essermi messo troppo in ghingheri.

Mi presentai di fronte al baretto ed era lì, bello come sempre pur se con meno curve. Si torturava le mani in modo nervoso, si guardava intorno e si mordeva le labbra. Si passò le dita fra i capelli e sbuffò, e dopo che diede un morso particolarmente deciso al suo labbro mi mostrai.

I suoi occhi blu si illuminarono e anche se ormai ero a pochi centimetri da lui non disse nulla, e mi fece chiedere se stesse respirando.

"Hey." sorrisi, lui ricambiò timidamente.

"Ciao." rispose dolcemente, "Dove andiamo?"

"Dove vuoi." alzai le spalle e lui sorrise guardando il pavimento e poi guardandomi negli occhi incerto.

Andammo in un ristorantino appartato, il primo che incontrammo per strada, e ci sedemmo in un tavolo per due uno di fronte all'altro. Ordinammo due pizze, poi ci guardammo negli occhi per una manciata di secondi, studiandoci.

"Non sei più il mio piccolo Harry." sussurrò infine, come se stesse aspettando di dirmelo da quando mi aveva visto un'oretta prima.

"Tu non sei più il Louis di una volta." ribattei, lui abbasso lo sguardo e giocò con le punte della forchetta.

"Come va con Eleanor?" domandai, cercando di reprimere l'accenno di rabbia che esplose quando pronunciai quel nome. In fondo era passato tanto tempo, dovevo calmarmi.

"Harry io... pensavo che tu l'avessi capito." ammise, rialzando lo sguardo.

Aggrottai le sopracciglia; cosa avrei dovuto capire? Vedendomi confuso si affrettò a spiegare.

"Non l'ho mai sposata." non potei fare a meno di reprimere un sorrisetto.

Non l'ha sposata.

Non è sposato.

Il sorriso qualche secondo dopo morì sulle mie labbra perché mi chiesi...

"Perché?"

"Non è ovvio? Volevo te, non lei. Sapevo che non sarei mai stato felice con lei, nonostante il lavoro, cosí l'ho mollata sull'altare e sono corso via a casa tua per dirti quello che avevo fatto ma tua madre mi aveva detto che eri partito." spiegò e il mio cuore smise di battere.

"Perché mia madre non me l'ha mai detto? Sarei potuto tornare prima!" mi accigliai, rendendomi conto solo dopo qualche secondo di averlo detto ad alta voce e arrossii.

"Dov'è che sei andato precisamente?" domandò sincero e io incominciai a parlargli della mia vita a New York e della borsa di studio che avevo avuto.

"Pazzesco." commentò alla fine, senza parole, "In effetti hai assunto un po' la pronuncia americana."

Ridacchiai, aveva ragione.

"Tu che fai qui a Doncaster?" gli chiesi, guardandolo negli occhi blu e realizzando solo in quel momento di averlo di fronte, proprio di fronte, e dovendo impedirmi di prendergli la mano e di stringerlo a me.

"Quello che hai visto." fece una smorfia disgustata, "È l'unico modo che ho per sopravvivere. Il padre di Eleanor è un uomo che mantiene le promesse... Sono stato rifutato quando ho fatto richiesta a lavori un po' più importanti. Il proprietario del bar in cui lavoro non s'interessa di quello che dice il signor Calder sul mio conto: che spaccio,ho precedenti penali e bla bla bla."

I suoi occhi si velarono di lacrime, deglutì e continuò: "Vivo nella vecchia casa di mio cugino Ed, che ora si è sposato e ha dovuto cambiare casa perchè la moglie è incinta e ha lasciato quella vecchia a me." sospirò, "Gli devo la vita."

"Lou..." non avevo parole per quello che mi aveva detto, solo maledizioni contro il signor come-si-chiama.

"Non importa." si affrettò a dire, e si obbligò a sorridere, "Dimmi di te, non parliamo della mia vita brutta."

"Io, uhm..." come potevo parlargli della mia vita? Vederlo stare così male mi spezzò il cuore e mi fece venire voglia di essere tornato prima.

Ringraziai tutti gli dei del cielo per avermelo fatto incontrare per caso quel giorno e sosprirai.

"Lou, cosa posso fare per te?" domandai schietto, abbassò lo sguardo e arrossì.

"Nulla." mormorò testardo, puntò i suoi taglienti occhi azzurri nei miei e sentii le gambe diventarmi gelatina, "Mi sei mancato."

"Anche tu..." sussurrai, rendendomi conto di averlo ammesso solo in quel momento.

"Mi manchi ancora." aggiunse con un tono talmente basso che era praticamente impercettibile. Spalancai la bocca riflettendo sul significato di quelle parole.

"Hai a-ancora dei sentimenti per me?" chiesi tentennante.

"Harry, ti amo da quando avevamo diciotto anni." rispose, trattenni il fiato. "Ho rinunciato a tutto per te e lo rifarei mille volte perché sei la mia ancora." abbassò lo sguardo imbarazzato ma io sorrisi.

Sorrisi, e per la milionesima volta in quella giornata le lacrime luccicarono nei miei occhi. E pensai a Louis e a me nel mio appartamentino a New York. A me e a Louis che quando tornavo da lavoro ci coccolavamo.

Pensai al tocco di Louis sulla mia pelle, a quando mi baciava fino a far stancare anche la mia anima. Pensai a noi, di nuovo insieme e una lacrima solcò la mia guancia.

"Ti andrebbe di fare un giretto a tempo indeterminato a New York? Potremmo ricominciare." chiesi commosso.

E forse dovevamo superare anni di lontananza, forse no, perché era come se non ci fossero mai stati quando i suoi occhi blu incontrarono i miei occhi verdi e quando un attimo dopo sorrise ugualmente commosso e si avvicinò per far combaciare le nostre bocche, le nostre lingue a fare l'amore.

Come se avessimo diciotto anni.

Da quando avevamo diciotto anni.

THE END.

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