MIND OF GLASS: OPERATION Y

By DarkRafflesia

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Dave Morrison, Capitano del Navy SEAL, è un uomo determinato, autorevole, ma sconsiderato e fiscale. Noah Fin... More

⭐RICONOSCIMENTI
Presentazione
Cast
Dedica
Prologo
PARTE PRIMA
Capitolo 1: Bravo (Parte 1)
Capitolo 1: Bravo (Parte 2)
Capitolo 2: Coinquilini
Capitolo 3: Demoni del passato
Capitolo 4: Una semplice giornata di lavoro
Capitolo 5: Insieme
Capitolo 6: Prima Tappa
Capitolo 7: Presenza
Capitolo 8: Sconosciuto
Capitolo 9: Ricordi bruciati
Capitolo 10: Il prossimo
Capitolo 11: Vacanza (Parte 1)
Capitolo 11: Vacanza (Parte 2)
Capitolo 12: Dolore lontano
Capitolo 13: Turbolenze
Capitolo 14: Scontro
Capitolo 15: Notizia
Capitolo 16: Lettere reali
Capitolo 17: Firmato...
Capitolo 18: Sui tetti
Capitolo 19: In mezzo alla folla...
Capitolo 20: Rientro
PARTE SECONDA
Capitolo 21: Adunata
Capitolo 22: Sorpresa?
Capitolo 23: Toc-Toc
Capitolo 24: Legami scomodi
Capitolo 25: Nuovi ospiti
Capitolo 26: La spia
Capitolo 27: Tocca a me
Capitolo 28: Il mondo continua a girare
Capitolo 29: Prurito ed ematomi
Capitolo 30: Fede
Capitolo 31: Rimorsi
Capitolo 32: Torna a letto
Capitolo 33: Fiamme
Capitolo 34: Scuse e incertezze
Capitolo 35: Analista per caso
Capitolo 36: Non puoi dimenticare
Capitolo 37: Bersagli
Capitolo 38: Ostacoli
Capitolo 39: Ho trovato Jake e...
Capitolo 40: La bomba
Capitolo 41: Shakalaka
PARTE TERZA
Capitolo 42: Scampagnata
Capitolo 43: Pausa?
Capitolo 44: Nuove conoscenze
Capitolo 45: Mercato finanziario
Capitolo 46: Linea
Capitolo 47: Safe International Hawk
Capitolo 48: Fregati
Capitolo 49: In trappola
Capitolo 50: Dimitri Malokov
Capitolo 51: Rancore
Capitolo 52: Portare via tutto
Capitolo 53: Insofferenza
Capitolo 54: Colpe
Capitolo 55: Operazione Y
Capitolo 56: Amicizia
Capitolo 57: Risposta inaspettata
Capitolo 58: Rivelazione
Capitolo 59: Con onore
Capitolo 60: Rottura
Capitolo 61: Solitudine
PARTE QUARTA
Dimitri Malokov & Iari Staniv
Capitolo 62: Egoismo
Capitolo 63: Apnea
Capitolo 64: Il prezzo da pagare
Capitolo 65: Anonimato
Capitolo 66: Saluto
Capitolo 67: Benvenuto nella squadra
Capitolo 68: Giuramento
Capitolo 69: Decisione
Capitolo 70: L'impegno che non serve
Capitolo 71: Lontanamente vicini
Capitolo 72: Vecchie amicizie
Capitolo 73: Vigilia
Capitolo 74: L'inizio
Capitolo 75: Le squadre
Capitolo 76: Patente?
Capitolo 77: La tana del lupo
Capitolo 78: Boom...
Capitolo 79: Maledetta emotività
Capitolo 80: Svantaggio?
Capitolo 82: Luccichio
Capitolo 83: La pace
Capitolo 84: Caduti
Capitolo 85: Respirare
Capitolo 86: Un'ultima cosa da fare
Epilogo
💜Ringraziamenti & Playlist💜

Capitolo 81: Iari Staniv

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By DarkRafflesia


Nel frattempo, Iari Staniv aveva smesso di sparare perché il suo elmetto corazzato si era riempito di polvere e non vedeva più niente. Il suo copricapo era munito pure di una visiera antiproiettile che lo avrebbe reso immune ai colpi in faccia, eppure questa era diventata tutta opaca e bianca. Dovette posare per terra il mitragliatore per il troppo peso, non potendo sorreggerlo con una sola mano, e provò a pulirsi con il guanto per vedere meglio. Peccato che spostò semplicemente lo sporco e non ottenne una visuale nitida di quello che stava accadendo. Furioso, imprecò sottovoce in russo e si privò dell'elmetto per osservare i suoi uomini venir uccisi da Dave, ad uno ad un uno; vide soprattutto il penultimo essere perforato da un proiettile, mentre scorse i due cadaveri a terra e adesso il bastardo dell'americano tentare di recuperare l'arma che il suo ultimo uomo non voleva lasciare andare. 

Cosa cazzo avevano fatto per rendere l'ambiente in quel modo? L'intera hall era stata abbellita da una nebbia che aveva reso il piano una foresta umida, un ambiente horror cliché dove all'improvviso sarebbe sbucato un essere paranormale pronto a sbranare tutti loro senza che se ne accorgessero. Quella non era l'effetto di una granata fumogena né di un qualche tipo di strumento tattico; ne conosceva a bizzeffe, aggiornandosi a tutte le innovazioni militari degli ultimi tempi. L'altra mano si agganciò nuovamente sul mitragliatore e lo sollevò per voltarsi e mirare verso Dave. Non gliene fregava nulla se il mercenario sarebbe morto, ma la tentazione di premere il grilletto e far sparire dalla faccia della terra il suo peggior nemico avrebbe potuto fargli guadagnare ciò che aveva sempre desiderato in quegli anni. 

Dimitri sarebbe stato fiero di lui, fiero del suo impegno, dei sacrifici che aveva attuato in tutta la sua vita da creare quello su cui loro si erano mossi; senza di lui non avrebbero potuto comunicare con la linea criptata, senza di lui non avrebbero potuto costruire la SIH.
Se quell'odio era diventato tangibile, era stato grazie a lui.
Se Dimitri aveva dato la scintilla, lui era stato il fuoco.
Era sempre stata la sua vocazione da quando aveva perso tutto quel giorno.

Quel giorno in cui suo fratello...

Un movimento alla sua destra gli fece svanire il viso adirato.
Non ebbe il tempo di voltarsi del tutto con l'arma che lo vide.

Noah uscì dall'ultima nube nell'aria e si catapultò verso di lui. Aveva esaurito l'intero estintore, dato che l'aria stava di nuovo facendosi limpida. Attento, valutò bene ogni passo, l'estintore saldo nelle mani e gli occhi fissi sul suo bersaglio. Salì sulla panchina di marmo che lo separava da lui e compì un salto per slanciarsi di poco; caricò quel recipiente di metallo all'indietro con una semi-rotazione del busto.
E con un ringhio sommesso lo sbatté in faccia a Iari.
Questi perse la presa sul mitragliatore, il quale emise un tonfo energico contro il pavimento che attirò l'attenzione di Dave. Indietreggiò di qualche passo, la mano sulla guancia ferita, lo zigomo che stava diventando subito nero, ed inclinò il capo per scoccare un'occhiata di sbieco all'artefice di quel giochetto di merda. Noah lo stava scrutando con uno sguardo affaticato quanto di sfida, imperturbabile, come se volesse dirgli implicitamente che qualunque cosa gli avesse fatto non lo avrebbe mai e poi mai messo alle strette.
Un affronto che non mandò giù.

«Non ti sopporto più!»

Non poteva farsi sconfiggere da un fottuto moccioso che non aveva neanche la metà della sua esperienza. Quel trucchetto, quindi, era stata opera sua. Un estintore. Un dannato estintore che aveva raso al suolo il suo piano, per l'ennesima volta. Quelle idee da adolescente non avrebbero potuto eliminare le sue abilità.

Non si sarebbe fatto sottomettere così.

Noah non ebbe neanche il tempo di fare un passo che Iari, con un verso famelico, gli occhi azzurri incendiati dall'odio, gli strappò bruscamente dalle mani l'estintore con una facilità aberrante. Dopodiché gli diede il ben servito, spingendo con forza la base circolare del metallo contro il suo busto. Noah, tentò a spostare immediatamente le braccia davanti ad esso come riflesso di sopravvivenza, ma l'urto lo sentì comunque; strinse gli occhi, sentendo l'aria venire meno nei suoi polmoni e le piastre del tattico comprimergli il petto da fargli aprire la bocca per emettere un gemito strozzato e soffocato. L'intensità lo spinse di schiena contro il pavimento, ove vi si contorse per il troppo dolore. Quello sì che era stato un colpo che non poteva essere equiparato al suo. Gli venne da tossire, il petto voleva recuperare l'aria perduta; fece lavorare le narici, tentando di prendere respiri profondi.
Ma cedette, gemendo e dovendosi mettere su un fianco per riprendersi.

«Noah!» tuonò Dave, catturando quei gesti secondo dopo secondo e perdendo la pazienza. Poi si rivolse al mercenario. «Levati di mezzo!»

Gli diede una testata aggressiva, liberando l'arma quando il nemico indietreggiò stordito. Dave la girò subito contro la sua fronte e sparò un singolo colpo per freddarlo.
Dopodiché si voltò per mirare al retro della nuca di Iari e sparare.
Se non fosse che il fucile fece tic! e basta. Nessun boato. Niente.
Dave riprovò, ottenendo lo stesso riscontro; adirato inclinò l'arma per averla orizzontale e controllò la canna per capire se fosse inceppata. Non lo era.

Era scarica.
Aveva finito i colpi.

Spazientito, gettò via il fucile per prendere la pistola dalla fondina alla vita, ma non riuscì neanche a mirare che un proiettile si conficcò su di essa e gliela fece volare via dalle mani. Spostando lo sguardo di fronte, notò Iari essersi voltato verso di lui e premere nuovamente il grilletto per sparargli. Dave si buttò dietro un carrello delle scartoffie nei pressi della scala antiincendio, schivandoli di striscio. Gettò lo sguardo sulla pistola più distante; il proiettile l'aveva deformata, rendendola inutilizzabile. Inspirò, le labbra strette in una linea sottile. Era rimasto totalmente disarmato, ad eccezione del pugnale, ma se fosse uscito sarebbe stato preso in pieno, non importava quanto potesse essere pericoloso e abile in quel caso. 

Una fitta lo costrinse a poggiarsi sul carrello, la mano sinistra sul braccio destro. Strinse gli occhi, reprimendo un gemito e deglutendo qualunque tipo di sofferenza per digerirla e non pensarci. Poi si guardò la mano: ottimo, stava continuando a sanguinare. In effetti solo in quel momento di vuoto si era accorto che tutto il braccio si era unto si sangue e la pallottola insisteva a scorticare le pareti del foro. Non aveva tempo per toglierla, doveva resistere. Abbassò le spalle, scoccando un'occhiata dietro il carrello.
Iari stava sorridendo, mentre dietro di lui Noah era ancora disteso sul pavimento a riprendere fiato.

Chi cazzo gli aveva detto di uscire dalla copertura? Avrebbe potuto nascondere le sue tracce e sparire dalla visuale di Iari, cosicché potesse mettersi al sicuro; anche se non sapeva quanto sarebbe stato conveniente. Il quindicesimo piano era presieduto da Dimitri, perciò potevano esserci altri uomini che avrebbero potuto ucciderlo, oppure catturarlo, col fine di portarlo dal russo e annunciare la sua morte davanti ai suoi occhi. Qualunque cosa avesse fatto sarebbe stata deleteria, per questo sarebbe stato meglio che lui rimanesse immobile da qualche parte, anziché buttarsi a braccia aperte da Iari.
Ma a giudicare dal livido che quest'ultimo portava sullo zigomo, quel colpo di estintore doveva aver fatto davvero male.

«Dimitri mi ha ordinato di non ucciderti, di lasciarti soffrire lentamente per portarti allo stremo delle tue forze. – colmò il temporaneo silenzio che si era trasformato in un acufene prolungato nelle orecchie dei tre presenti, Iari, camminando lentamente verso il carrello. – Vorrei tanto obbedire, ma dentro di me sento l'esigenza di farlo, di zittirti una volta per tutte.»

Dave soffiò, le spalle che facevano su e giù per la stanchezza che stava pervadendo nel suo corpo in quei momenti dove l'adrenalina non era risoluta abbastanza da pompare nelle sue vene incalzanti dal moto del cuore in petto.

«Non penso che ci riusciresti. Se ti avvicini potrei disarmarti. Ti ricordo che sei stato messo fuori gioco da un nordcoreano, dieci anni fa, perciò ho seri dubbi. Senza offesa.» si sporse di poco per mostrare il profilo, cosicché il russo potesse assimilare il ghigno scanzonato che aveva stampato in volto.

Un proiettile colpì il bordo del carrello e Dave lo scansò di striscio, ridendo.

«Scusa! Ti ho forse fatto incazzare?» pressò ancora sulla sua dignità.

Iari accorciò le distanze, furente quanto impaziente; rimase con la pistola tesa su Dave, digrignando i denti, gli occhi chiari infuocati dalla collera nel lasciare ad un bastardo assassino di prendersi gioco di lui con quelle provocazioni infantili. Chi credeva di essere? Credeva di conoscerlo? Lui non sapeva nulla.
Pressò il cane della pistola, scorgendo dal carrello una fessura vuota dagli oggetti sopra di esso, uno spiraglio che rendeva la giugulare di Dave bella incorniciata.
Fanculo, Dimitri. Lui lo avrebbe fatto fuori.

Gli arrivò un colpo dietro la nuca.

Iari andò in avanti con il busto, colto alla sprovvista, sospirando dal dolore.
Impreparato, abbassò lo sguardo sul pavimento: c'era un pezzo di marmo staccatesi dalla panchina. La mano toccò il punto colpito, dopodiché la portò davanti agli occhi; i polpastrelli dei guanti erano più scuri, sinonimo che si era creato un livido sanguinante. Si voltò, il viso attraversato dall'isteria e da un sentimento che non aveva più nulla a che vedere con il decoro ostentato le volte precedenti.
Noah aveva abbassato il braccio, mentre con l'altro stava sostenendo, in una posizione tra il disteso e il seduto, il suo corpo. Il suo sguardo era chiaramente stanco, ma la determinazione di agire non gli era mancata.

L'aveva lanciato lui. Aveva osato colpirlo e sfidarlo ancora.
Ancora.

La mano di Iari iniziò a tremare, vittima di convulsioni impossibili da reprimere; la mandibola si serrò di colpo, vibrando da una collera insostenibile.
Dave, all'oscuro di quello che era accaduto, ma perplesso dall'assenza di risposta che gli sarebbe dovuta arrivare da parte del russo, inclinò il capo per studiare il suo avversario. I suoi occhi videro per pochissimo la rapidità con la quale Iari aveva alzato la pistola per puntarla verso di Noah.
Il suo cuore sobbalzò.

«Brutto moscerino. – ringhiò gutturale il russo, le labbra arricciate in una smorfia perfida e priva di cuore. – Non so chi cazzo tu sia e da dove sei sbucato fuori, ma non osare crederti superiore a me.»

Frasi che Dave neanche ascoltò.
Uscì dalla copertura, balzando in piedi per buttarsi a capofitto sul russo. Non gli diede il tempo di girarsi, perché saltò, aggrappandosi alla sua schiena per avvolgere le braccia attorno il suo busto con l'intento di levargli la pistola dalle mani. Prendersela con un civile era l'atto di codardia e frustrazione più insulso e insignificante che Dave conosceva da quando aveva iniziato la sua carriera militare. Iari iniziò a dimenarsi a destra a e manca; indietreggiò con il corpo, in direzione del pilastro in gesso. Quando ci sbatté contro, la schiena di Dave scricchiolò; socchiuse gli occhi per il dolore, ma non mollò la presa, nonostante Iari iniziò a sparare a caso ogni qual volta la canna si puntava temporaneamente sull'americano, ma la traiettoria falliva nel colpirlo. Allora roteò il busto per indurre Dave e seguirlo con lui, con prepotenza, finché non ebbe la sua faccia nel campo visivo. Gli diede una gomitata sul naso, spingendolo via. Dave si adagiò nuovamente sul pilastro, il respiro ansante, mentre Iari gli puntò la pistola in faccia, godendo del sangue che gli stava colando dal naso.

«Fine dei giochi.» raschiò con ribrezzo.

Dave recuperò fiato, spossato. «Hai ragione. – concordò, mostrando la mano destra. Sorrise. – Fine dei giochi.»

Iari non premette il grilletto. I suoi occhi caddero su ciò che stava tenendo in mano Dave e rabbrividì.
Era una linguetta.
Una linguetta?
Abbassò la testa ed impallidì.
La granata che aveva sul tattico era stata privata della linguetta e adesso sarebbe esplosa.
Tornò a guardare Dave.

«бастардов!» "Bastardo!"

Entrambi si gettarono nelle direzioni opposte. Dave a sinistra del pilastro, verso il centro della hall, Iari verso la libreria, accanto ai corridoi.

La granata esplose.

Noah, non ancora ripresosi del tutto, si parò con le braccia il busto, coprendosi la testa con le mani per i detriti che gli arrivarono addosso. L'onda d'urto non fu potente, ma il frastuono della deflagrazione aveva costretto il suo cuore a fare una capriola dallo spavento. Strinse gli occhi, mordendosi l'interno della guancia per resistere al nervoso che aveva scaturito quel suono assordente. Come non detto; non gli erano bastati i suoni ripetuti del mitragliatore. Alzandosi di poco da terra quando nell'aria rimasero solo polvere, puzza, e una nube assurda che gli impedì di vedere peggio dell'estintore. Con l'esplosione, la vetrata del decimo piano era stata ridotta in mille pezzi, ma solo nella parte più vicina; la pressione era stata veemente da spaccarlo del tutto, mentre sul pavimento Noah si ritrovò circondato da pezzi di gesso.

Gesso? Si guardò confuso. Quel piano era ridotto ai minimi termini, altro che ristrutturazione: c'era lo schifo. Non solo i cadaveri che Dave aveva ucciso – i primi tre – ma anche gli altri quattro. Poi udì dei gemiti, grugniti sonori che provenivano dall'agglomerato di polvere che si stava diradando.

I suoi occhi si spalancarono non appena videro che il pilastro in gesso era crollato.
Tuttavia si era rotto solo in parte ed era caduto verso la hall.
Sopra Dave.

«Cazzo...!» sospirò Noah, mettendosi subito in piedi per correre da lui.

Da quel lato non vedeva niente, solo il braccio sinistro dell'uomo che si muoveva tentoni, di pochissimo e con debolezza, per tentare di sollevare quel blocco pesante. Girò dall'altro lato e sospirò.
Dave era cosciente e non era stato schiacciato totalmente dal pilastro. Lo aveva bloccato dalla clavicola sinistra alla coscia sinistra, quindi tutto quel lato, impedendogli di liberarsi in qualunque altro modo. Dagli occhi serrati, sembrava fosse doloroso, sebbene il gesso fosse più leggero del marmo che gli avrebbe sicuramente spezzato qualche osso.

«Che cazzo hai combinato?!» Noah si inginocchiò vicino all'uomo dal petto scattante.

Questi schiuse le palpebre, inclinando il capo per guardarlo. «Non... avevo altre idee e non avevo ipotizzato che il pilastro mi cadesse addosso. Ma quantomeno... – alzò la nuca, per quanto potesse, e scrutò ciò che aveva davanti; il muro di una stanza era crollato a pezzi e aveva creato un cumulo di macerie. Si spalmò sul pavimento, svuotando i polmoni. – ...finalmente è morto.»

«È stata l'idea più stupida che potessi avere.»

«Oh, certo. Perché lanciare un pezzo di marmo in testa ad un fottuto terrorista armato o sbattergli l'estintore in faccia è stato da Oscar.»

«Non puoi neanche muoverti, ma la voglia di rompere il cazzo è sempre presente.» soffiò Noah con scontrosità.

Dave roteò gli occhi al cielo. Provò a sollevare nuovamente il blocco, ma il braccio destro, anche se libero, era ferito e non era in grado di mettere abbastanza forza. «Dammi una mano invece! Cristo, quanto fa male!» mormorò dallo sforzo.

Il ragazzo non si fece supplicare come ad Appleton, anche perché il tempo scorreva e loro dovevano assolutamente raggiungere il quindicesimo piano. Allungò le mani per posarle sotto il gesso, nei pressi del fianco di Dave ed incanalò le sue energie per sollevarlo. Ma quando mai lui era forte e robusto da poterci riuscire. Strinse gli occhi, usando tutte le sue energie.

«Merda! È troppo pesante, cazzo!» biascicò. Il dolore al petto non lo aiutava per niente.

«Dai, ti aiuto. Facciamolo insieme, come on!» Dave appoggiò la mano e spinse per sollevare il blocco.

Iniziò a muoversi, percepì il peso diminuire un po', il che significava che in due in quel modo potevano farcela.
Eppure ci fu un sparo.
E quello che Dave sentì dopo il sollievo fu un bruciante e lancinante dolore alla coscia destra. Lasciò andare il gesso che, solo con la forza di Noah, ricadde di quei pochi centimetri sul suo corpo e gridò, graffiando la gola. Il ragazzo lasciò andare il pilastro non appena vide la testa dell'uomo andare all'indietro e gli occhi stringersi, dopodiché mosse la nuca in direzione dello sparo e trasalì.
Sulla coscia si era andato a creare un foro che prima non c'era. Un foro che la mano di Dave aveva coperto e stava stringendo con foga.
Era stato sparato, ma chi...?

«Allontanati da lui... moccioso anonimo... di merda.»

Noah sbiancò, seguendo la voce.
Proprio accanto alle macerie del muro, Iari Staniv stava camminando, o zoppicando per via di una scheggia conficcata sulla coscia, verso di loro, pistola puntata su Dave per avvertirlo che gli avrebbe sparato di nuovo se non avesse obbedito. Era stato in grado di levare la granata e lanciarla via prima che gli esplodesse addosso, sopravvivendo all'onda d'urto grazie alla corazza che lo proteggeva. Noah fece come richiesto e si mise in piedi col fiato mozzo, innescando in Iari un sorriso.

«Non vali niente. Usi solo i tuoi trucchetti da hacker, ma poi non sei niente.» ribadì con rabbia e scherno.

Noah si morse l'interno dalla guancia. Gettò brevemente lo sguardo su Dave, sul suo prendere respiri profondi per resistere ad una seconda pallottola dentro il suo corpo.
Le sopracciglia si incurvarono dalla realizzazione.
Aveva capito.

«Almeno io rimango me stesso.» rispose, guadagnandosi non solo l'attenzione di Iari, bensì quella di Dave, che comprese solo dal tono dove stesse andando il suo coinquilino. «Non devo cambiare carattere per compiacere qualcuno...o per fare finta di compiacere qualcuno.»

Il volto di Iari subì una variazione.

«Cosa vorresti insinuare?» domandò, la voce roca e bassa.

Noah volle allontanarsi da Dave per puntare l'attenzione su di lui, ma proprio questi gli afferrò il lembo dei jeans, nei pressi della caviglia, perché aveva capito tutto solo con una frase. Una volta incrociatesi con i suoi occhi grigi, apatici e vuoti, comprese ancora di più, il suo istinto vigile abbastanza da allarmarlo.

«Non...Non usare la tua lingua, Noah.» mormorò dolorante, pregandolo di non fare ciò per il quale lui non sarebbe potuto intervenire in quello stato.

Se la risposta alle sue provocazioni era uguale per tutti, doveva liberarsi più velocemente che poteva. Eppure in quella maniera, con quel dannato blocco sopra il suo corpo, non era in grado di scivolare via e di uccidere quel dannato russo. Iari era sempre stato più capace con le strategie, rispetto a Dimitri. Dopotutto, come Gregory, era il secondo comando che doveva essere efficiente quasi quanto il leader. Anche se per Dave, quella destrezza gli era sembrata troppo per uno che doveva sottostare agli ordini di un superiore.
Un momento...
Il suo volto si contorse di meraviglia, annichilito.
Se Noah aveva esordito con la sua lingua, significava che aveva scoperto qualcosa a riguardo?

«Allora datti una mossa. – mormorò quest'ultimo, mandandogli un messaggio con lo sguardo. – E liberati.»

Con uno strattone, si liberò dalla presa, e Dave non riuscì a fermarlo di nuovo.
No. No. Che cazzo fai, idiota di un nerd!
Pensò, riprovando ad opporre resistenza al blocco di gesso. Ma era inutile, non si muoveva. Cazzo!

«Noah. No.» ringhiò per l'energia esercitata.

Ma Noah non lo ascoltò nemmeno, distanziandosi per fare in modo che Iari si focalizzasse su di lui.

«Se hai studiato le fondamenta dell'informatica, e so che le hai studiate, sai bene che la vita funziona come un codice. – iniziò, flemmatico. – Nessun codice è perfetto, c'è sempre una porta più debole nascosta da qualche parte. E si dia il caso che io ho trovato la tua.»

Iari abbassò la pistola. «Hai trovato la mia? – sospirò una risatina dalle narici. – Non farmi ridere, io non ho punti deboli.» avanzò, l'arma che iniziò a vibrare e il sudore sulla fronte sporca di cenere e polvere da sparo lucido e visibile. «Non puoi usare le tue tattiche con me.» il suo tono traballò, e non fu ignaro ai due agenti della CIA.

Noah schioccò la lingua in senso di negazione. «Smettila di autoconvincerti di essere qualcuno che non sei. Hai recitato così bene la tua parte da fonderti con essa. Ma non sei così credibile come pensi.»

Sia Iari che Dave trasalirono. Se il primo lasciò andare la pistola, la quale cadde a terra con un piccolo tonfo, il secondo smise di opporre resistenza a ciò che rimaneva del gesso per squadrare con occhi spalancati il russo in chiara difficoltà. Cosa significava? Che aveva un disturbo doppio della personalità? Iari Staniv non poteva soffrire di tale disturbo, altrimenti non sarebbe mai potuto entrare nell'esercito russo. Possibile che lo avesse sviluppati dopo l'Operazione Y o che fosse stato talmente bravo a nascondere la sua vera natura da abbindolare gli psicologi? Ci pensò Noah a chiarire le idee e tutti i punti interrogativi.

«Mentre alla SIH Dimitri fronteggiava Dave, provocandolo sugli eventi di dieci anni fa, tu hai messo in mostra degli atteggiamenti contrastanti che tutt'ora continui a dimostrare, togliendomi ogni dubbio.» raccontò Noah, chinando lo sguardo per fissare con freddezza Iari, lo shock di Iari. «Da un lato provi pena per Dimitri, affetto, amore, un attaccamento che va oltre l'alleanza per una vendetta. Dall'altro... vorresti disobbedire ai suoi ordini, fare di testa tua, prendere il comando di tutta la sua operazione. Perché nutri rancore. Nutri rancore verso Dave, per aver distrutto la tua nuova vita, ma nutri rancore verso Dimitri: perché ha distrutto chi sei veramente.»

La goccia che fece traboccare il vaso.
La palpebra sinistra di Iari vibrò e il suo corpo si mosse come una bestia verso Noah. Le nocche corazzate della sua divisa collisero perfettamente contro la sua guancia sinistra, spingendolo indietro verso il mobile. Il ragazzo si adagiò su di esso, curvando le schiena e reprimendo un gemito di dolore.

«No! Ehi! Lascialo stare!» Dave osservò la scena col fiato mozzo, tendendo la mano come a voler vanamente aggrapparsi al braccio di Iari per tirarlo via.

Ma era tutto inutile, il raziocinio del russo era andato perduto.

«Chi cazzo ti credi di essere, fottuto bastardo?!» urlò questi, i capelli scompigliati e il respiro furente. «Tu non sai niente di me. Non sai niente di tutto!»

Noah tornò dritto con la schiena, pulendosi con il retro della mano il labbro inferiore spaccato. Raggelò il sangue nelle vene di Dave quella nonchalance, l'indifferenza nel subire quei colpi, come se ne fosse ormai avvezzo da provare il solletico. Lo stava facendo apposta. Doveva liberarsi, e in fretta, prima che la situazione degenerasse. Anche se non usava i proiettili, si poteva tranquillamente uccidere una persona a suon di pugni, e Noah non poteva essere una di quelle.

«Non so niente? Allora perché ti stai scaldando così?» lo aizzò il giovane.

«Perché tu non sei nessuno, inutile pezzo di merda!» rispose Iari.

Un altro pugno, questa volta sull'altra guancia. Noah dovette aggrapparsi al bordo per evitare di cadere e di far cedere le gambe, muovendo la testa in direzione di Dave, che registrò perfettamente per quel millesimo di secondo il volto sofferente e i suoi occhi serrati per la guancia che stava diventando violacea per l'impatto che il rivestimento del guanto aveva avuto sul suo zigomo.

«Basta, Noah. Stai zitto!» gli disse, arrivando quasi a supplicarlo con il tono rotto dall'agitazione.

Ma Noah aveva appena incominciato. Riaprì gli occhi, scoccando un'occhiata glaciale a Iari e ignorando la voce di Dave. Poi si toccò il punto ferito, senza trasudare un minimo di cedimento.

«Sai... bene che... la persona che stai mostrando adesso non è Iari Staniv.» proseguì, il tono fermo. «Sai bene che ormai la vita che avevi un tempo è irrecuperabile per colpa di Dimitri.»

«Non provare a parlare così di lui! Non devi minimamente nominarlo!» Iari raschiò la voce, quasi disperato.

«H-Hai ragione... – Noah tirò su col naso, la voce un po' congestionata. – Dopotutto i fratelli maggiori sono soliti proteggere i più piccoli.»

Silenzio. Ci fu un silenzio tombale che bloccò l'aria nei polmoni di Iari da non fargli muovere più nemmeno un muscolo. Era come se l'energia vitale fosse stata risucchiata via con quella sola sentenza, rendendo il suo corpo un fantoccio che aveva eliminato la sua personalità dominante per fare uscire chi era veramente, l'uomo che aveva nascosto e celato per anni, mascherando una verità che adesso stava venendo a galla. Era andato avanti convinto di aver preso in giro tutti, di aver potuto fottere il sistema.
Ma Noah era più bravo di lui in questo.
E Dave lo percepì quando i pori delle sue braccia si irrigidirono dai brividi.

«C-Cosa?» balbettò interdetto. «Fratello maggiore?»

Noah annuì, senza ricambiare lo sguardo. «Io devo sempre capire con chi ho a che fare, quanto bugiarde sono le persone che mi circondano...» tossicchiò, sentendo la testa vorticare e le guance vibrare. «Dimitri è cresciuto in una famiglia mafiosa, ma insieme a lui c'è sempre stato un fratello maggiore che ha visto sì e no nella sua infanzia, dopodiché è sparito per essere addestrato alla malavita e allontanato fino a quando Dimitri non sarebbe stato accondiscendente quanto lui. Questo ho letto nei fascicoli, nelle sue dichiarazioni.» confessò. «Una volta denunciato il fatto, si è iscritto all'esercito per forgiarsi e avere una nuova vita più soddisfacente. Ma si dia il caso che il fratello maggiore non sia mai stato arrestato. Non c'è scritto nulla su di lui, ma ho facilmente intuito il perché. Potrebbe aver pagato con gli ultimi soldi che gli erano rimasti qualcuno per cancellare la sua vera identità e rinascere come Iari Staniv.»

Dave rimase di sasso. Cosa stavano udendo le sue orecchie? Quello davanti a lui, quello con cui aveva combattuto dieci anni fa era...il fratello maggiore di Dimitri Malokov? Gli occhi color nocciola si spalancarono al vedere quanto pallido fosse diventato Iari, quanto il suo volto si fosse spento, gli occhi azzurri persi nel vuoto, come se non fosse lì con loro, come se non vedesse Noah, ma qualcos'altro.
Il suo passato.

La sua vera vita.
La sua vera identità.

Aveva sempre etichettato Iari come l'opposto di Dimitri, eppure aveva notato anche lui che quei due fossero troppo sulla stessa lunghezza d'onda per poter essersi conosciuti solo negli Spetsnaz; non avrebbero mai potuto avere lo stesso rapporto che lui e Gregory avevano coltivato dall'infanzia fino ad adesso, era impossibile per chi si era arruolato e, nel passato, aveva avuto solo otto anni per conoscersi e fortificare il legame. Era strano. Per lui Iari era sempre stato strano; alle volte freddo, alle volte scherzoso, alle volte troppo fedele a Dimitri, alle volte troppo rimproverante. Uno stoicismo che la vita da soldato gli aveva forgiato per impedire al suo odio di prevalere sul fratello che gli aveva rovinato la vita. Come se per lui, Dimitri non fosse solo una sorta di nemico, ma anche l'unico membro della famiglia che gli era rimasto e che non aveva potuto vedere per volere della mafia. Allora perché aveva seguito Dimitri nella vita militare? Perché stava facendo tutto questo? Perché i suoi atteggiamenti erano discordanti con quello che stavano vivendo quel giorno? Che cosa voleva Iari da Dimitri? Perché voleva proteggerlo, ma al tempo stesso sbarazzarsi di lui?

«Sei un'incoerenza vivente che si è sdoppiata. – Noah non si fermò, perché doveva collegare tutti i tasselli, tutto quello che aveva scovato in quella settimana in cui si era chiuso nei laboratori della CIA. Non poteva combattere, ma le parole non gli sarebbero mai mancate. – Hai iniziato ad apprezzare Dimitri Malokov, ammettilo. Hai dimenticato il passato, la tua gloria da mafioso, e lo hai seguito.»

«Fa' silenzio...» mormorò Iari, scuotendo la testa e portandosi le mani sui capelli.

«Tu vorresti ucciderlo? Forse sì, ma non ci sei mai riuscito. Hai addirittura falsificato la tua età per apparire suo coetaneo, ma lo hai sempre trattato come qualcuno di più piccolo.»

Le stesse parole che il defunto Jude Collins gli aveva ripetuto prima di essere portato alla fabbrica ed essere accolto nell'aldilà. Quelle parole che lo avevano fatto vacillare, squilibrare, a tal punto da essere ad un passo dal premere il grilletto se non fosse stata per l'occhiata che Dimitri gli aveva lanciato per farlo tornare ad essere il suo cagnolino accondiscendente.

«Non è vero.»

«Dimitri ti fa pena. Ti ha sempre fatto pena, anche dopo tutto quello che ti ha fatto. Hai visto un animo buono in lui, e ti sei affezionato. Per non far destare sospetti a nessuno, deduco che hai imparato ad accettare di essere Iari, ma l'Operazione Y ha rovinato tutto e ti ha portato via anche la seconda vita che avevi costruito. In fin dei conti tu e Dimitri avete vissuto le stesse cose, ed è per questo che ti sei unito alla sua causa, anzi, mi correggo, che ti sei approfittato delle sue debolezze per creare tutto questo.» Noah allargò le braccia per indicare la distruzione attorno a loro. «Il tuo vero obbiettivo non è solo uccidere Dave, ma anche fottere la mente di Dimitri. È questo il tuo rancore... – fece una pausa. – Caro Danila Malokov.»

Iari riaprì gli occhi, accecati dall'isteria. Si scagliò contro Noah e gli riversò un pugno più intenso delle volte precedenti, spingendolo nuovamente contro il mobile.

«Io sono Iari Staniv!» si toccò il petto con foga. «Io sono Iari Staniv!»

Il ragazzo si sollevò, riprendendo fiato.

«C-Cut the shit...Tu sei Danila Malokov.» ripeté.

Un altro pugno, sempre sulla stessa guancia. I lividi sul viso aumentarono, tanto che sullo zigomo un po' di pelle venne scorticata ed iniziò ad uscire sangue.

«Io sono Iari Staniv!» ripeté in una litania il russo.

Frustrato.
Disperato.
Scioccato.
Inibito.
Sottomesso dai ricordi e da ciò che aveva mascherato per così tanto tempo da essere ormai un povero reietto che doveva essere compianto alla stessa maniera di come lui aveva commiserato Dimitri da affezionarcisi come un coglione. 

Quel ragazzino non aveva il diritto di parlargli in quel modo. Aveva tollerato i suoi trucchetti, l'aver smontato la sua linea, l'aver anticipato i suoi piani, l'esserselo ritrovato alla NASA per fermare il satellite, ma mai e poi mai lo avrebbe perdonato per essere andato a fondo nella sua psiche, per essersi intrufolato nei server più sperduti della Russia, quei fascicoli che sapeva sarebbero stati meno protetti e ormai gettati nel dimenticatoio da recuperarli con uno schiocco di dita, senza attivare la sicurezza informatica e senza insospettire il Cremlino. 

Per il mondo continuava a non valere nulla, ma quel giorno sarebbe cambiato tutto, perché avrebbe vinto su tutti. Avrebbe vinto su Dave, avrebbe vinto su di Dimitri, facendogli capire che doveva esserci lui a capo di tutta l'operazione, che il mondo doveva essere suo. Ma soprattutto avrebbe vinto su di Noah, non tollerando che un fottuto marmocchio che non sapeva nulla della vita potesse fargli il lavaggio del cervello in quel modo, sbattendogli in faccia una verità che non esisteva più, una verità che lui aveva cancellato per azzerare tutto.

Sentiva le urla di Dave, ma erano solo un eco. Voleva eliminarlo sulla faccia della Terra. Dimitri voleva che Morrison soffrisse? Che mentalmente fosse allo stremo? Oh, avrebbe esaudito la sua richiesta nella maniera peggiore che potesse esistere. Diede un pugno contro il petto di Noah. In risposta, il ragazzo sbatté contro il mobile, rimbalzando in avanti, e spalancò gli occhi; boccheggiò, la mano sul punto e il busto piegato in due. Le gambe non ressero il corpo e si inginocchiò sul pavimento. Pur di continuare a guardarlo dall'alto verso il basso, Iari caricò un calcio che lo prese in faccia, costringendolo a distendersi su un fianco, con il viso rivolto sul suolo.

«Noah!» strepitò Dave, non potendolo vedere bene da quella angolazione perché da disteso ai suoi occhi risaltavano solo le gambe e il busto, le braccia distese davanti al corpo.
Ma fu abbastanza lampante il fatto che Noah aveva smesso di muoversi.
«Merda...Merda!» proseguì, dando pugni contro il gesso dalla collera. «Lascialo stare, Staniv! Basta!»

Iari non le captò nemmeno, quelle parole; si passò una mano sui capelli per portarli indietro e posò la suola della scarpa sulla spalla del ragazzo. Superbo e sdegnoso, diede una piccola spinta per far sì che il suo corpo si spalmasse riverso.
Il viso inespressivo di Noah spiccò alla vista di entrambi: il sangue dalle narici era colato lungo la guancia, mentre il braccio rimase sul torace, la mano ancora a stringere il petto. Una vista che tartassò l'animo allarmato di Dave, e al contrario deluse quello insaziabile di Iari.

«Non svenire, Noah. Non abbiamo ancora finito.» lo invogliò ad aprire gli occhi.

Noah schiuse pigramente le palpebre, tentando di riprendere fiato, di recuperare quell'ennesimo momento di fermo che avevano subìto i suoi polmoni. Più voleva evitare di tormentarli, più le circostanze si accanivano su di essi. Era inutile. Ma non ebbe neanche un secondo per inspirare che Iari si mise nei pressi della sua nuca ed infilò la mano sul suo collo per ghermire il cappuccio della felpa.
Iniziò a tirarlo per trascinarlo verso la vetrata ormai distrutta del decimo piano.
E lui dovette portare entrambe le mani sul colletto per allentarlo nel momento stesso in cui iniziò a comprimergli il collo e a soffocarlo.

«Fermati! Non ci provare! Iari!» gridò Dave, in preda al panico.

L'immagine di Noah che scalciava contro il pavimento per dimenarsi dalla presa del russo era l'unica scena che i suoi occhi erano in grado di vedere. Voleva buttarlo giù. Voleva fargli assaporare ogni attimo della sua vita, ogni momento di sofferenza prima che tutto arrivasse al termine. Non poteva rimanere lì a guardare. Lì a non fare nulla quando era lui il motivo per il quale Noah stava affrontando tutto questo. Avrebbe solo dovuto farlo arrivare alla sala comandi del quindicesimo piano, invece stava passando le pene dell'inferno perché lui era bloccato sotto un fottuto pilastro di gesso per una traiettoria calcolata male. Diede altri pugni contro la superficie, urlando privo di controllo.

Cazzo! Merda! Porca puttana! Gridò dentro la sua testa, fregandosene di rovinare le nocche.

Poi le sue iridi color nocciola caddero su qualcosa poco più distante da lui.

La pistola che Iari aveva lasciato cadere.

Lo sguardo si mosse verso quest'ultimo e Noah, nei pressi della vetrata aperta.
Aggrottò le sopracciglia, corrugando la fronte in un cipiglio risoluto e adirato. Serrò la mascella, intirizzì i muscoli, dopodiché afferrò saldamente il gesso con entrambe le mani, stressando non solo il braccio con la pallottola ancora all'interno, ma anche le gambe, annullando il dolore che stava riscontrando nella coscia. Il viso diventò più roseo, i muscoli si gonfiarono per le energie esercitate. Il respiro usciva caldo dalle narici, ma non gli importava.
Da quando in qua un agente senza competenze offensive doveva fare il suo lavoro?
Non avrebbe permesso ad un fottuto nerd di mandare all'aria il suo codice morale.

**

Noah tossicchiò, continuando a tentare di allentare quella presa che gli stava comprimendo il collo. Non riusciva a respirare, neanche a riprendere fiato a causa del dolore al petto. Serrò gli occhi, stringendo le labbra in una linea sottile, mentre il suo corpo continuava ad essere trascinato, finché non iniziò a sentire una brezza fredda accarezzarli il corpo e scuotergli i capelli che gli ricevano sulla fronte. Poi la presa sul cappuccio venne meno e fu libero di ansimare per un millisecondo, perché le mani guantate di Staniv lo agganciarono per il colletto e lo misero forzatamente in piedi, sebbene da solo – in quel preciso istante e in maniera così irruenta – non ne fosse in grado. Il suo stomaco fece una capriola non appena i suoi talloni non toccarono più terra, trattenuti solo dalle punte delle scarpe e dalla forza che le mani di Iari esercitavano sul suo colletto.

Riaprì gli occhi e trasalì.

Non perché davanti a lui vi fosse lo sguardo assettato quanto superiore e stoico del russo, ma perché metabolizzò dove fosse stato portato.
Si trovava ai piedi della vetrata, tra il vuoto e la terra ferma.
Azzardò a scoccare un'occhiata alle sue spalle, al gelo che voleva accoglierlo per farlo sentire a suo agio in quella situazione, il vento che gli spostava i ciuffi mossi e gli raschiava il viso lentigginoso; non appena si incontrò con tutta l'altezza che lo separava dal suolo, spontaneamente le sue mani si mossero sui polsi di Iari, in cerca di un sostegno che non lo lasciasse andare, il volto tinto dal panico.
Era inclinato così tanto che gli sarebbe bastato a quest'ultimo mollare la presa per concludere i giochi.

«Sai, quando cerchi di arrivare in alto, poi finisci per cadere. – Staniv lo scosse per essere guardato. Quando si incrociò con quegli occhi grigi, inclinò il capo. – È inevitabile, Noah.»

Noah deglutì, il respiro usciva dalle narici repentino e instabile.
Non aveva calcolato questo particolare. Picchiato sì, ma essere sbattuto fuori dalla finestra per spiccare il volo, anche no. Solo che non trovava un modo per liberarsi e recuperare il vantaggio. L'azione non sarebbe mai stata il suo punto forte, perciò in quelle occasioni non c'era niente che potesse fare. Non aveva neanche le forze di tirarsi su e spingere il corpo di Iari per ribaltare le posizioni, di quanto fosse magro e privo di muscoli. Non era qualcosa di sua competenza. Per questo la presa del russo non era neanche così dura da essere indistruttibile: era consapevole di avere davanti un ragazzo qualunque.

«Mi pento di non averti fatto fuori quando ne ho avuto la possibilità.» continuò Iari, schifato quanto disgustato. «Adesso prenditi ciò che meriti. – caricò il suo corpo, tirandolo un po' per dargli la spinta necessaria per gettarlo giù. – Rifiuto um-»

Le sue parole si interruppero.
Quello che arrivò alle orecchie di Noah non fu il completamento della frase, di quegli insulti che il russo gli stava scaricando con una rabbia e ribrezzo per essere stato sfidato e affrontato il più delle volte, uscendone sconfitto, bensì un rombo simile ad un'esplosione che terminò con uno strano suono di appiccicaticcio. Gli era bastato battere le palpebre per quella frazione di secondo per vedere che Iari non stava più rivolgendogli quegli occhi colmi di rancore, di una superiorità di chi cedeva di aver vinto; il suo colore azzurro era diventato perso nel vuoto, oltre l'orizzonte, mentre una linea di sangue stava percorrendo il setto nasale fino ad arrivare lungo il mento con molta velocità. 

Questo perché sulla fronte del russo era comparso un foro che prima non c'era.

Un movimento catturò fugacemente la sua attenzione; gli bastò semplicemente abbassare di poco lo sguardo per andare al di là di Iari che lo vide.
Dave si era liberato dal blocco di gesso ed era riuscito a raggiungere la pistola.
In una posizione tra l'inginocchiato e il carponi, la canna dell'arma era diretta verso il russo, fumante e precisa; aveva il fiatone, mentre sul pavimento il sangue del foro alla gamba stava imbrattando ogni cosa.

Tuttavia quel momento durò attimi, simili ad eternità. Noah ritornò su Iari non appena percepì la presa sulla sua felpa venire meno. Il corpo senza vita, dalla testa trapassata dal proiettile, si mosse in avanti. Essendo puntellato sulla soglia della vetrata, con il corpo inclinato oltre il baricentro verso il vuoto, Noah non poté aggrapparsi a nulla e la gravità iniziò ad attirarlo per farlo precipitare. Spalancò gli occhi, il fiato mozzo e il cuore bloccato alla gola da estinguergli la voce. Vide Dave fare lo stesso, tendendo una mano verso di lui, ma la sua figura venne rimpiazzata dal cielo.

No. No. No. No. Ripeté la sua testa, priva di una soluzione che potesse impedire l'irreparabile. Non fu in grado di annaspare, di muovere le gambe e le braccia con la disperata ricerca di un appiglio. Il suo stomaco venne perforato da quell'odiosa sensazione di vuoto, nonostante l'avesse provata abbastanza da averci dovuto fare l'abitudine.

Ma la verità era che lui non aveva mai smesso di precipitare in quell'abisso.
Stava solo andando più in fondo, lontano dalla superficie per poter essere salvato.
Strinse gli occhi, terrorizzato, e attese che la forza di gravità lo attirasse verso il basso, che lo stomaco si spappolasse a causa delle vertigini, che il suo corpo venisse avvolto dalla morsa del vento.
Tuttavia tutto rimase immobile.
Statico.
Immutato.

Il suo braccio destro rimase teso in avanti, i muscoli che tiravano stressati.

Noah sentì il vento continuare ad accarezzargli il viso, quella costante leggera brezza che non aveva nulla a che vedere con la velocità della sua caduta.
Titubante e incerto, schiuse le palpebre, l'espressione attonita, e guardò dritto davanti a sé.
Sospirò dallo stupore non appena notò che il suo braccio era sporto in avanti, perché era tenuto saldamente da una mano insanguinata; le sue scarpe erano ancora puntellate ai bordi, il corpo inclinato pericolosamente verso il basso.
Ma non stava cadendo.

Non stava cadendo perché Dave lo aveva impedito per pochissimo.

La sua mano destra era saldamente ancorata al suo polso, mentre la sinistra si era aggrappata al lato della vetrata per sorreggere il suo corpo e fare in modo che questo non cadesse insieme a lui.
Noah non poté fare a meno di essere attratto dal guardare verso il basso, tanto che inclinò la testa per osservare quanto il suo corpo fosse ancora più disteso di prima. Impallidì, gonfiando il petto, nel momento esatto in cui vide il corpo di Staniv collidere dopo tutti quei metri al suolo, sfracellandosi.
Oh mio...

«Ehi! Ehi! Occhi a me, Noah!»

Una voce lo riportò alla realtà.
Subito mosse la testa in quella direzione, come se travolto da un incantesimo che gli impedì di controllare la sua volontà. Un tono alto come quello di un tenore riuscì a varcare di nuovo ogni cosa.
Ciò che si riflesse nelle sue iridi grigie ansiogene, fu l'espressione contratta, determinata quanto dolorante, di Dave; la gamba ferita era quella che non gli permetteva di stare dritto con il corpo, sgorgante di sangue dal foro di proiettile, eppure l'uomo stava stringendo i denti per resistere, facendo in modo che lui non precipitasse.

«A-Aggrappati... – ringhiò dallo sforzo, prendendo respiri repentini dal naso mentre stringeva le labbra in una linea sottile. – A-Aggrappati a me...Forza...»

Noah si rinsavì.
Guardò Dave, poi la mano di Dave sul suo polso. Sentiva tutta la tensione del suo corpo in quella singola presa, il tremore e il vigore esercitato per tenerlo in bilico a causa del proiettile sul braccio. Come aveva fatto a liberarsi e a raggiungerlo in tempo, non lo sapeva: la sua mente si era momentaneamente spenta. Senza perdere altro tempo, la mano circondò a sua volta il polso di Dave, cosicché fossero uniti.

Il soldato abbassò la testa, strinse gli occhi e corrugò la fronte in un cipiglio esausto.
Non lo avrebbe fatto cadere. Mai e poi mai lo avrebbe fatto. Lo avrebbe salvaguardato fino alla fine di quella missione. Avrebbero concluso il caso insieme. Era già stato frustrante rimanere a guardare mentre Iari lo picchiava fino a recargli tutti quei lividi in corpo, ma Noah aveva calcolato tutto, una piccolissima probabilità; temporeggiare per far sì che Iari se la prendesse con lui a suon di pugni, affinché lui riuscisse a muoversi. Avrebbe potuto usare tutte quelle informazioni da subito, ma non lo aveva fatto; erano state il suo asso nella manica, l'ultima spiaggia in una situazione di emergenza.

Forse non aveva previsto la boccata d'aria, ma quantomeno Dave gli aveva impedito di fare quella fine.

Con un ringhiare gutturale e roco, incanalò tutte le sue energie sul braccio e tirò con veemenza. Andò all'indietro, caricandosi il corpo di Noah, il quale venne allontanato dal vuoto come una calamita. Con uno strattone deciso, entrambi finirono a terra l'uno accanto all'altro, ansimanti e stremati. Se Noah era prono sul pavimento, Dave era disteso riverso, col fiatone. Il petto si abbassava e rialzava celere, ma nulla di preoccupante. Riaprì gli occhi, combattendo contro le fitte che la gamba non smetteva di lanciargli, e scoccò un'occhiata al ragazzo.

«S-Stai bene?» chiese, sollevando il busto coi gomiti.

Il giovane si passò la manica della felpa sul naso sanguinante ed inghiottì il cuore che stava ritornando a pulsare ad un ritmo più stabile. «Yeah...»

Dave si umettò le labbra con risolutezza, le sopracciglia aggrottate. «È stata l'idea più stupida che potessi avere.»

Il ragazzo lo guardò, le labbra schiuse per la ripresa di fiato.

«Almeno ti sei liberato in tempo.» borbottò tra il seccato e il sollievo. «Dobbiamo muoverci. Il satellite sta per entrare nell'atmosfera, e quel bastardo ci ha fatto perdere troppo tempo.» puntellò le mani sul pavimento e si diede la spinta per mettersi carponi e poi in piedi, combattendo con i capogiri.

Dave lo guardò con una leggera punta di panico ancora manifesta nei tratti del viso più espressivi. Doveva stare più attento, non poteva abbassare la guardia in questo modo e rischiare che gli facessero ancora al male o che, peggio ancora, lo uccidessero davanti ai suoi occhi. Era come le missioni di scorta a cui aveva partecipato quando era più giovane; scortare un agente della CIA al punto di riferimento per permettergli di agire e poi tornare indietro sani e salvi.
Con Noah doveva essere la stessa cosa. Non doveva esserci nulla di diverso. 

Quelle ferite dovevano bastare; non era concesso che ne subisse altre.

Provò ad alzarsi, ma gemette. La mano si posò nuovamente sul braccio ferito, mentre la gamba faticava a muoversi correttamente per aiutarlo ad alzarsi. Le scottature che queste ferite gli recavano nel corpo erano lancinanti; ogni movimento azzardato che compiva era una punizione in più, soprattutto dopo aver tenuto i muscoli contratti per togliersi il peso del gesso di dosso e poi sostenere il corpo di Noah che, per quanto potesse essere leggero, in quelle condizioni gli era parso maledettamente pesante. Si morse l'interno della guancia e trasse un respiro profondo, non rendendosi conto di aver chiuso gli occhi e di aver rivolto la testa verso il soffitto. Il tutto davanti allo sguardo indagatore di Noah.

«Are you...»

«...Bene. Sì, sto bene...» finì al posto suo Dave, ondeggiando la mano per sminuire il problema. Riaprì gli occhi e sbatté le palpebre più volte. «Sbrighiamoci.»

Riuscì ad alzarsi,abituandosi al dolore alla gamba per andare a recuperare la pistola di Iari.Controllò il caricatore ed imprecò sottovoce. Solo due colpi disponibili. Nonbene. La posò comunque dentro la fondina e si passò il retro del braccio sullafronte, il fiatone ansante e pesante.

Noah rimase dietro di lui, non potendo fare a meno di scoccare un'ultimaocchiata alla vetrata. Il sol pensiero che fino a qualche istante fa lui era suquel bordo, in procinto di cadere, gli fece provare un brivido dietro la schienache avrebbe voluto non sentire.
Dopodiché indietreggiò per recuperare il passo con Dave, accorgendosi delsangue che ormai aveva imbrattato il braccio scoperto e il pantalone delladivisa.
Assottigliò lo sguardo, chiudendo le mani in dei pugni.
Non gli stava per chiedere come stesse – quando aveva formulato la domanda – bensìcome cazzo avrebbe potuto affrontare Dimitri Malokov in quelle condizioni.

________________________________________________________________________________

Angolo autrice:

QUESTO, SIGNORI, È IL CAPITOLO.

HO ADORATO SCRIVERE QUESTA SCENA E SE POTESSI LA SCRIVEREI DI NUOVO PERCHÈ HO PROVATO MILLE EMOZIONI.

Questo capitolo è nato mentre ascoltavo Ta fête di Stromae. Adoro questo cantante; mi ha aiutato troppo nella realizzazione. Non so perché. Sarà perché ai tempi uscì un trailer del videogioco Rainbow Six che annunciava il nuovo personaggio ed era stata utilizzata proprio questa canzone, mi ha tipo dato uno schiaffo. 

È venuta a galla la personalità di Iari. Ve lo aspettavate? Che colpo di scena vi è sembrato?

E Noah? Che si è praticamente fatto picchiare, affinché Dave si liberasse e lo salvasse? 

Ci stiamo avvicinando allo scontro decisivo, alla resa dei conti, ma non solo abbiamo un Noah tutto ammaccato, bensì un Dave ferito con due proiettili dentro il corpo.

Ce la farà? 

Lo scoprirete la prossima settimana! Ci vediamo martedì con il Capitolo 82: Luccichio.

Buon week-end!

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