Glimpse of Hope

By Artvmary

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𝐍𝐞𝐰 𝐘𝐨𝐫𝐤 𝐂𝐢𝐭𝐲 Nadine Morris, da quando ha memoria non è mai riuscita ad esternare ciò che aveva de... More

author's note
info+TW
prologo
1. Raggi di sole
2. Tre moschettieri
3. Volare
3.1 Lust
4. fascino o paura?
5. Pretend
6. Us
7. Strawberry
8. Chaos
9. Run away with me
10. The two of us, under the same sky (1)
11. Like Modigliani's paintings (2)
12. A bond that will never break
13. this is the last time
15. It's saturday in New York

14. wounds and wine

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By Artvmary

"Sbagli su Sbagli.
Ma quanti sbagli servono
per fare la cosa giusta?"

Josh's pov

Mi affretto ad allontanarmi dalla porta un attimo prima che venga spalancata e vada a sbattere contro il muro.

Faccio finta di niente mentre mi siedo nuovamente davanti al bancone, cercando di non fissare troppo i ragazzi che stanno rientrando dal retro.

Ho sentito delle botte e alcune urla, mi sono avvicinato per capire cosa fossero ma non ho capito un granché.

L'unica cosa che noto è lo stato in cui sono ridotti Trevor, Kyle e Dylan.
Sapevo centrassero qualcosa con questo locale, l'ho capito dalle mille altre volte in cui li ho visti qui al di fuori delle serate che organizzano.

Con la coda dell'occhio li vedo trascinarsi fuori dal locale.

Cos'hanno combinato stavolta?

Per quanto io giochi nella loro stessa squadra non abbiamo mai instaurato nessun tipo di rapporto al di fuori della palestra e del campo.
Io, a differenza di Samantha, non riuscirei a stare accanto ad uno di loro neanche se mi pagassero, non dopo tutte le voci che girano su di loro all'interno e all'esterno dell'accademia.

I pettegolezzi su di loro sono all'ordine del giorno, soprattutto da quando Kyle è rimasto solo per mesi dopo che hanno portato gli altri due. Alcuni erano e sono proprio assurdi, ma l'unica cosa in cui credo è che tutti e tre siano dei coglioni.
Qualsiasi cosa abbiano combinato per finire in riformatorio gli si sta ritorcendo contro.

Hanno iniziato a creare casini anche durante le partite. Spesso non si presentano, fanno ritardo e saltano gli allenamenti, il coach li ha avvisati più volte che rischiano di non ricevere i crediti per finire l'anno e in più, con il progetto dello sponsor di mezzo, hanno molto da perdere.

Al contrario di loro, io ho bisogno di quello sponsor. Fin da piccolo sapevo che il basket sarebbe diventata la mia passione e adesso voglio che si trasformi in qualcosa di duraturo.

Ricordo quando da piccolo, andavo fuori in giardino con mio padre, lui prendeva dal garage il canestro e mi insegnava a tirare.

«Metti il piede più avanti tigre» mi spiega papà, abbassandosi alla mia altezza.
«Devi mettere i piedi in questa posizione» mi sposta, facendomi barcollare un po' mentre tengo in mano la palla.

Pesa tantissimo, ma devo abituarmi.

Stringo la presa riacquisendo l'equilibrio.
«E ora metti le mani così e punta il canestro» la sua mano copre la mia facendola scomparire.
Mi guarda.
«Ce la fai?»
Annuisco, rinforzando la presa e facendolo sorridere.

«Ora, finta di dover saltare, datti una spinta con le ginocchia e tira» mi molla, allontanandosi un poco.

Sposto lo sguardo da lui al canestro altissimo che ho davanti.

Le braccia e le gambe mi fanno male per le troppe volte in cui ho provato a tirare.
«So che ce la fai» mi incita.

Stringo i denti e punto l'obbiettivo.

Ce la faccio.

Lancio la palla e mi blocco, non staccando gli occhi da dove voglio che arrivi.

L'enorme palla arancione passa attraverso il centro.

Sento papà battere le mani e un enorme sorriso mi fa far male le guance.

Mi volto e papà è a braccia aperte. Corro verso di lui e salto, facendomi prendere al volo.

«Ce l'ho fatta» urlo. Papà ride e annuisce.
«Sapevo ci saresti riuscito tigre»

Ridiamo mentre continua a tenermi in braccio e si abbassa a raccogliere la palla.

«Che succede qui?» la voce di mamma mi fa voltare.
Ha addosso il grembiule e sta sorridendo confusa.

«Hai davanti a te un futuro campione» risponde papà.
Gonfio il petto e annuisco.

Lei scuote la testa continuando a sorridere.
«E questo futuro campione sa che deve finire i compiti sennò domani niente gita?»
Mette le mani sui fianchi.

Papà si gira verso di me.
«Certo che lo sa, stava giusto dicendo che ha intenzione di andarci ora»
Spalanco la bocca ma lui mi fa l'occhiolino.

Mi fa scendere, sbuffo ma annuisco.
«Quando diventerò un campione non mi dirai più di fare i compiti» le punto il dito contro.
Lei annuisce.
«Affare fatto, ma non puntare più quel piccolo ditino verso di me» ribatte, copiandomi.

Abbasso il braccio e sento la mano di papà appoggiarsi sulla mia spalla.
«A me invece prometti di diventare un campione?»

Sorrido.
«Promesso»

Uniamo i mignoli per sigillare la promessa.

Mi muovo sulla sedia, i drinks che ho bevuto finora non mi hanno alleviato il mal di testa per niente, mi sento più scosso di prima.

Sposto lo sguardo su Levine impegnato a servire i tavoli e a Katerine che ritorna dietro al bancone.

Sono agitato.

Vederli in quello stato mi ha fatto pensare subito a Sissy, a cosa potrebbe pensare e a quanto si preoccuperebbe per Kyle se solo lo sapesse.
In più i flash di Dylan che vede me e Lev insieme mi stanno facendo scoppiare il cervello.

Tamburello le dita sul bancone e sbuffo.

«Che succede?» Katerine mi lancia un'occhiata mentre serve un cliente accanto a me.

Scuoto la testa non rispondendo.
Lei continua ad alzare gli occhi verso di me mentre prepara i drinks per altri clienti.

Appoggio la fronte sul bancone e sbuffo.
«Che succede Josh?» sento nuovamente la voce di Katerine.
Levine è accanto a me, sta sistemando i bicchieri sul vassoio.

Non mi giro totalmente a guardarlo ma percepisco i suoi occhi su di me.

Cazzo.
Devo risolvere troppe cose.

Rialzo la testa.
«Devo chiamare Samantha» dico, prendendo il cellulare dalla tasca.
Katerine mi guarda confusa e Lev continua, lentamente, a poggiare tutti i bicchieri.

«Non li hai visti?» domando, portando il cellulare all'orecchio.
«Visto chi?»
Faccio un cenno verso l'ingresso.
«Trevor, Dylan e Kyle, sono riusciti a malapena a trascinarsi fuori dal locale»

Entrambi spalancano gli occhi.
«Ma che stai dicendo-»
«Cosa-» dicono all'unisono.

Non sono pazzo, devono averli visti anche loro, o almeno Lev.
Annuisco.

Lo sguardo di Katerine si punta sulla porta mentre Lev continua a guardarmi.

«Pronto?» la voce di Sissy dall'altra parte del cellulare mi fa sussultare, ricordandomi che effettivamente avevo fatto partire la chiamata.

«Dove sei?» rispondo subito.
«In camera, stavo studiando. Perché?» sento dei rumori e suppongo si sia buttata sul letto.

Sospiro.
«Me ne sarei dovuto fregare, ma ti voglio bene e so che ci tieni. Si tratta di Kyle»

«Cos'è successo?» il cambio di tono mi fa ricordare il perché non dovevo dirle nulla.

Nadine's pov

Mi guardo intorno mentre aspetto Kristian fuori dal cancello dell'accademia.
Sono sfinita, ho avuto lezioni fino al tardo pomeriggio e ho dovuto anche rinviare l'incontro con Edward a domani.

Ho avuto solo il tempo di fare una doccia e prepararmi in fretta e furia.

Sento il leggero vento della sera colpirmi le gambe scoperte, facendomi riempire di brividi.

Nonostante sia solo inizio ottobre e la mattina ci sia ancora il sole caldo di fine estate, durante la sera le temperature si abbassano e un lieve venticello ti fa capire che l'estate è ormai passata, portandoci a indossare non più le maniche corte ma le solite magliette leggere di cambio stagione.

Proprio per questo motivo ho deciso di indossare una semplice maglia a maniche lunghe non tanto pesante e di un marroncino chiaro, abbinandola ad una gonna liscia nera.
Non volevo impegnarmi troppo e passare per la ragazza troppo emozionata e ancora alle prime armi con i ragazzi e gli appuntamenti, anche se è la verità.

Ho vissuto all'interno dell'orfanotrofio e, nonostante ci fossero anche dei ragazzi, non ho vissuto nessun amore adolescenziale da far girare la testa.
A 19 quindi mi ritrovo davanti all'accademia che ho sempre sognato di frequentare, mentre aspetto il primo ragazzo che mi abbia mai chiesto di uscire.

Ho un leggero peso sullo stomaco da quando ho accettato, ho cercato di distrarmi e non pensarci durante le lezioni e soprattutto di non entrare in panico poco prima di uscire dalla stanza.

Kristian sembra un bravo ragazzo, ho detto cosa penso di lui a Sissy e, nonostante il piccolo tarlo che si è creato nel mio cervello, dopo la conversazione che ho avuto con lei sull'arresto e tutta quella faccenda, sono sicura che ci sia una motivazione del perché li ha lasciati soli lì. Non ho intenzione di giudicarlo ancor prima di conoscerlo almeno un po', il che mi fa pensare a come io abbia giudicato fin da subito Trevor.

È bastata una sua stupida frase e il mio stomaco si è ribaltato. Il suo comportamento è scostante e mi scombussola, non riesco a stare calma quando mi è vicino o anche solo nella stessa stanza, il che è grave perché situazioni del genere devo proprio evitarle, tendo ad agitarmi e a farmi prendere dal panico anche per le piccole cose e sentirmi costantemente confusa e in bilico non mi aiuta.

Ho intenzione quindi di vivermi al meglio questo primo appuntamento e provare davvero a conoscere qualcuno senza aver paura di ciò che può accadere o di ciò che l'altra persona può pensare di me.

Il vento continua a soffiare e porto qualche ciocca dietro l'orecchio prima che un clacson mi faccia sussultare.

Un audi nera si ferma proprio davanti a me, abbassando il finestrino.

Guardo dentro e lascio un sospiro di sollievo vedendo Kristian sorridermi.
«Eccomi qui» mi guarda.

Mi avvicino alla macchina ma prima che io possa arrivare alla portiera, lo vedo scendere e farmi il gesto del "no" col dito.

Confusa riabbasso il braccio, lui si posiziona accanto a me e apre la portiera.
«Prego signorina»

Sento le orecchie e le guance bruciarmi. Sono sorpresa.

«Grazie» mormoro, entrando in auto.

Chiusa la portiera, si affretta a raggiungermi.

«Esistono ancora i gentiluomini visto?» dice facendomi l'occhiolino e mettendo in moto.

Ridacchio e annuisco.
«Sono pochi ma guarda caso sono così fortunata da averne incontrato uno»
Ride anche lui, scuotendo la testa.

Sento ancora le guance andarmi a fuoco e mi sistemo meglio sul sedile, schiarendomi la gola.

Faccio del mio meglio per non guardarlo e spero con tutta me stessa che non abbi notato le occhiate furtive che gli lancio.

Indossa dei jeans neri, una camicia nera e ha tirato su le maniche, arrotolandole fino al gomito. Per la prima volta riesco a vedere i tatuaggi che gli ricoprono le braccia.

Distolgo lo sguardo non appena lo vedo voltarsi verso di me. Sento i suoi occhi addosso, su tutto il corpo.

«Sei proprio bella Nadine» la sua voce bassa mi fa rabbrividire, percepisco un sorriso sul suo viso.

Guardo in basso prima di voltarmi verso di lui e mormorare la seconda parola da quando siamo insieme.
«Grazie»

I miei occhi si spalancano però, non appena osservo meglio il suo volto. Uno zigomo viola risalta sulla sua carnagione chiara e il taglio sopra il sopracciglio mi fa sussultare. Non ha un bel colore.

Lo osservo meglio, con più attenzione stavolta. Noto anche come le nocche delle mani poggiate al volante siano sbucciate e dei leggeri lividi tra un tatuaggio e l'altro lungo le braccia.

Mi stacco dallo schienale voltandomi verso di lui.
«Cos'è successo?»

Lui mi guarda, i suoi occhi che prima mi guardavano con un leggero luccichio ora sono completamente neutri.

«Nulla» risponde, voltandosi nuovamente a guardare la strada davanti a lui.

«Cos'è successo Kristian? Perché sei conciato in questo modo?» insisto.

Dal suo profilo noto che serra la mascella e le nocche delle dita perdere colore.

«Non preoccuparti Nadine, non è nulla» mormora, non degnandomi di uno sguardo.
«Ma-»

«Trevor»

Spalanco di nuovo gli occhi.
«Trevor?»

Cosa c'entra Trevor ora?

«È stato lui a conciarmi così, senza nessun motivo. Ha qualcosa che non va, ce l'ha con me per nessuna ragione, ha iniziato a comportarsi così da quando è tornato da quel posto di merd -scusa- e non capisco cosa voglia da me» sospira.

Stringo la mano posizionata sulla coscia in un pugno mentre con l'altra l'appoggio sul suo braccio.

Non so perché, non mi sono mai azzardata a toccarlo per prima ma adesso mi sembra proprio necessario, sembra stanco e affranto.

«Mi dispiace» mormoro, guardandolo e facendolo girare verso di me. Accenna un sorriso prima di scuotere la testa.

«Non devi dispiacerti, ormai me ne sono fatto una ragione. Ho capito che il Trevor che conoscevo io non esiste più o forse non è mai esistito. Tutte le voci che girano su di lui sono vere, è egoista, insensibile e immaturo, pensa solo a se stesso»

Il petto mi si stringe. Durante la settimana ho sentito tutte le voci che girano su lui e i suoi amici, vedere Kristian così triste mi fa capire che magari non sono solo voci di corridoio.

«Penso anche io che sia molto immaturo purtroppo, ma tu sei una brava persona Kristian» tento di sorridere. «Stai provando in tutti i modi a riavvicinarti a qualcuno che non fa per te, non continuare a ferirti sapendo già come si comporterà»

Sorride anche lui e questa volta annuisce.
«Ti ringrazio, Nadine»

«Di nulla, ci conosciamo poco ma per qualsiasi cosa puoi parlare con me, non sarò la migliore consolatrice ma posso ascoltarti»

Scoppiamo a ridere entrambi.

«Non volevo rovinare l'atmosfera, cambiamo argomento, hai mai mangiato al Marea?»
Scuoto la testa.
«Perfetto, allora ho proprio scelto bene»

«È un ristorante che serve cucina italiana, eccolo lì»
Guardo fuori e noto l'enorme insegna al neon, circondata da una ghirlanda di erba e fiori colorati.

Un piccolo sorriso mi spunta sulle labbra.

Tutti questi colori mi mettono allegria.
«È bellissimo»

«E aspetta di vederlo meglio e assaggiare i loro piatti, sono fantastici» Continua, parcheggiando la macchina nel primo posto libero.

Scendiamo dall'auto e noto la nostra vicinanza con Central Park.
Ricordo le passeggiate che Angelina ci faceva fare durante le giornate di primavera, il profumo dei fiori e i loro colori sgargianti.

Mi sembra proprio tutto perfetto.

Entriamo dentro il ristorante e l'interno mi lascia senza parole. È tutto così luminoso ed elegante.

«Riner, per due» risponde Kristian all'uomo dietro il piccolo bancone.

L'uomo vestito di tutto punto annuisce e ci sorride, chiamando un suo collega per accompagnarci al tavolo.

Continuo a guardarmi intorno finché una mano che sfiora la mia, mi fa sussultare.
Abbasso lo sguardo notando la mano di Kristian unita alla mia.

Lo guardo e lui si avvicina al mio orecchio.
«Ti piace?»
Annuisco.

Ci sediamo e l'uomo, un ragazzo per lo più, domanda se vogliamo qualcosa da bere mentre ordiniamo.

Non sono solita bere alcolici neanche durante le cene, quindi per me andrebbe bene anche della semplice acqua. Kristian però decide di ordinare del vino bianco.

«Posso assicurarti che oltre ai primi, i secondi di pesce sono eccezionali»

Parliamo del più e del meno mentre ci portano i primi piatti che abbiamo ordinato, mi racconta come procedono i suoi studi all'ultimo anno e dei tirocini che sta facendo in alcune classi, io invece dell'importante compito che la Professoressa Skyleen ci ha assegnato, l'unico mio pensiero più importante durante questi giorni e probabilmente fino alla fine dell'anno credo.

«Non sapevo stessi studiando per diventare professore» commento.

«Non era nei miei piani in realtà, ero molto bravo a Basket e facevo parte della squadra i primi anni, poi ho deciso di abbandonare e di concentrarmi sulla musica»
«Fai lezioni di strumento quindi?»
«Più o meno, diciamo che insegno le basi per leggere gli spartiti degli strumenti nelle prime classi e qualche volta aiuto i professori durante le prove»

Annuisco, portando in bocca un'altra forchettata di pasta.

«Tu invece sembri proprio una ragazza a cui piace l'arte, sono sicuro che il compito andrà bene. Hai Edward come compagno hai detto no?»
«Sì»
«Allora andrà benissimo, mi ricordo di lui, è un ragazzo che si impegna nello studio e non solo in campo»

Sono felice di sentirglielo dire, spero proprio di fare un buon lavoro e di riuscire ad arrivare a presentare l'opera alla mostra. Ma se così non fosse spero comunque di impegnarmi al massimo per essere fiera del lavoro.

La cena passa tranquillamente dimenticandoci totalmente della conversazione avuta in auto.
Guardando fuori dalle enormi vetrate del ristorante si nota il cielo scuro e le luci delle strade di questa città fanno pensare che la notte sia qualcosa che non esiste, illuminano talmente tanto da far sembrare giorno.

Arrivati al momento di ordinare il dolce però, l'atmosfera si distrugge e la suoneria del suo cellulare ci fa sussultare entrambi.

Continuo a rimanere stupita da quante volte lo chiamino, sembra un centralino telefonico. Sono anche sorpresa di essere riuscita a fare una conversazione con lui senza che venissimo interrotti come le altre volte.

«Scusami un'attimo» dice, alzandosi ed allontanandosi.

Rimango così, sola con davanti una bottiglia di vino bianco a farmi compagnia.

I minuti sembrano interminabili e sinceramente la voglia di mettere qualcosa di dolciastro sotto i denti dopo la cena a base di pesce, sta aumentando.

Tamburello le unghie sulla tovaglia del tavolo, mentre i minuti sembrano non passare mai.

Controllo l'ora nel cellulare.
Kristian si è alzato venti minuti fa.

«Signorina»
Sussulto, vedendo il cameriere di prima fermarsi accanto al tavolo.

«Un ragazzo mi ha detto di avvisarla che la sta aspettando fuori»
Lo guardo confusa e faccio fatica a non mostrarmi scioccata da ciò che ha appena detto.

Come un ragazzo.

«Intende il ragazzo con il quale stavo cenando?»
Lui scuote la testa.
«No, l'altro ragazzo è ancora lì» indica dietro di me, facendomi voltare.

Kristian è vicino alla vetrata un po' più lontano dall'ingresso e sta ancora parlando al cellulare.

Annuisco e mi alzo, facendomi accompagnare all'ingresso.
«Torno subito» dico, ringraziandolo.
Lui annuisce e torna servire gli altri tavoli.

L'aria fredda mi colpisce farcendomi finire qualche ciocca davanti al viso.

Trevor's Pov

Aspiro dalla sigaretta, cercando di ignorare il dolore che sento al fianco.

Ho ancora il labbro che mi brucia e le mani indolenzite per le botte di qualche ora fa.
Quando hanno finito di sfogarsi su di noi, ci hanno dato la nuova roba da vendere.

Abbiamo provato ad incassare meno colpi possibili e uscire di lì velocemente.
Nessuno di noi ha alcuna intenzione di continuare così, dopo oggi la situazione deve cambiare e finire del tutto, ci sono troppi casini e sembrano aumentare ogni giorno di più.

L'arresto, mio padre che continua a darmi sui nervi, le partite e il coach che mette pressione per la finale di quest'anno. Per non parlare di quel fottuto sponsor e dei professori.

Ora come ora l'ultimo mio pensiero è impegnarmi in quei cazzo di allenamenti.
Ho intenzione di far finire tutta questa merda e tirarci fuori dai casini, sapere che mio padre sta già provando a risolvere attraverso accordi e nuove ricerche non basta.

So perfettamente che a Carlos non piace sporcarsi le mani se non è proprio necessario, ha tutta una squadra di uomini dietro che lavorano per lui, il che mi sorprende che ancora non sappia la verità e continui a tenerci lì con lui, per niente.

Quando siamo saliti in auto prima, ancora doloranti abbiamo deciso che aspettare che le risposte ci piovano dal cielo sarebbe una cosa da pazzi.
Se mio padre ha intenzione di contattare i suoi amici ben venga, ma intanto noi dobbiamo muoverci in fretta per bloccare almeno uno degli accordi presi con Carlos.

Il matrimonio.

Un accordo che non verrà mai rispettato, per questo motivo abbiamo intenzione di trovare le registrazioni di quella sera e fargliele vedere in qualche modo.
Basteranno a salvarci il culo? Probabilmente sì, sono prove concrete ma che nessun giudice accetterebbe in questo modo.

Il riformatorio ha ammesso che ci fossero delle telecamere attive quella sera ma che i filmati sono spariti. Nessuno ha fatto domande e pur controllando, non è stato trovato nulla.

Nonostante questo abbiamo deciso di ricontrollare. La polizia può anche levarsi dal cazzo per quanto mi riguarda.

Un piccolo sorriso mi fa bruciare ancora di più il taglio sul labbro inferiore non appena vedo spuntare dall'ingresso del Marea, Nadine.

Mi è sembrato troppo strano vederla salire su un Audi mentre accompagnavo Dylan e Kyle in accademia.
Li ho lasciati lì e seguendo poi quell'auto, l'ho riconosciuta.

Kristian.

Perché mai dovrebbe salire sulla sua macchina, soprattutto vestita con quella gonna troppo stretta?

Seguirli fino a Central park è stata un'agonia, vedergli guidare un'audi in quel modo mi ha fatto salire la nausea e in quel momento ho provato un po' di pena per quella povera ragazza, che probabilmente l'ha dovuto ascoltare per così tanto tempo.

Quando poi li ho visti entrare al Marea per poco non sono scoppiato a ridere.
Kristian in un ristorante del genere con una ragazza? Vuole proprio far colpo.

Ho aspettato in auto per quasi tutta la durata della loro cena, finché dalla vetrata non ho visto lui alzarsi e lasciarla sola per non so quanto tempo.

Ha sembra fatto così, pure quando uscivamo tra noi, se c'era qualcosa di più importante o che riguardava lui, era pronto ad abbandonare tutto.
Si è sempre messo al primo posto, il che non è del tutto negativo, ma quando inizi a sentirti superiore a tutti, lì è troppo.

«Lasciarti sola al tavolo sembra esagerato anche per me» dico, vedendola uscire dall'ingresso.

Sussulta e alcune ciocche di capelli le volano davanti al viso per colpa del vento.

Ho deciso di scendere dall'auto quando ho visto che non lui non tornava al tavolo e chiedere al cameriere di farla uscire.

Probabile si stava annoiando, o semplicemente volevo vedere la faccia di Kristian quando una volta tornato non l'avrebbe più vista lì ad aspettarlo.

«Trevor?»
La guardo mentre mi fissa confusa nel trovarmi lì.

«In carne ed ossa, stellina» aspiro un'altro tiro dalla sigaretta.

La vedo tremare leggermente mentre si sistema i capelli.
La felpa marrone che indosso e abbastanza imbottita per questo vento che si sta alzando, a differenza della maglietta leggera che indossa lei.

Noto la pelle d'oca che le si è formata sulle gambe scoperte dalla gonna e ricordo noi due, stesi nel giardino di casa mia e il mio corpo sopra il suo.

«Che ci fai qui?» scatta in avanti.

«Passavo per caso e ho visto una povera ragazza seduta sola in questo ristorante» faccio spallucce, facendo un cenno verso il locale.

Alza gli occhi al cielo e mi trattengo dal ridere, è troppo divertente vederla arrabbiata.
«Mi stavi spiando?»
«Perché mai dovrei spiarti?» sbuffo una risata. «È capitato che mi trovassi per caso qui fuori dal locale» butto la sigaretta a terra e mi stacco dal muro.

«Piuttosto, il tuo cavaliere dov'è? Non lo mangiate il dolce insieme?»
«Mi hai davvero spiata» alza la voce, spalancando gli occhi.

Sbuffo mettendo le mani in tasca.

La vedo osservarmi attentamente il viso per poi fare lentamente qualche passo verso di me.

Confuso continuo a ricambiare lo sguardo finché non si ferma ad un metro da me.
«Cos'hai fatto al viso?» domanda di getto.

Deglutisco e faccio un passo indietro, passando una mano tra i capelli.
«Niente che ti riguardi»

Incrocia le braccia al petto e sbuffa.
«Queste risposte da bambino non bastano con me Trevor, sei ricoperto di lividi e sanguini dal labbro»

Questa volta sono io ad alzare gli occhi al cielo.
«Ottima osservatrice» dico. «Ma non ti devi intromettere, te l'ho già ripetuto troppe volte. Se proprio vuoi saperlo chiedi al tuo amato cavaliere e vediamo cos'ha da dirti lui»
«Ha proprio ragione» dice, facendomi davvero interessare alla conversazione ora.

«Ah sì? Riguardo a cosa, sentiamo?» ghigno, avvicinandomi a lei.
«Sei solo egoista, l'unico modo per farti ascoltare è tirando pugni alle persone, non ti interessa se gli altri si preoccupano per te, pensi solo a te stesso» il suo sguardo si fa serio, una leggera ruga d'espressione le si forma sulla fronte.

Continua a tenere le braccia conserte mentre dai suoi occhi percepisco il disprezzo che prova per me in questo momento.

Stringo i pugni, arrivando ad un passo da lei.
«È questo quello che ti ha detto eh» le sussurro a pochi centimetri dal suo viso.
«Sapere che lui, ti ha detto che sono egoista, mi fa proprio ridere»
«E perché mai?» domanda, non staccando gli occhi dai miei.

Sembra troppo sicura di se nonostante la nostra vicinanza, se facessi anche solo un passo in più ci ritroveremmo con le labbra a pochi centimetri l'una dall'altra e sono sicuro che tutta questa sua falsa sicurezza scomparirebbe.

Mi avvicino di più, le punte dei nostri nasi ad un soffio dallo sfiorarsi, porto una mano sotto al suo mento.
Abbasso lo sguardo sulle sue labbra ghignando, sento la sua sicurezza vacillare.
«Continuano a non essere affari tuoi» soffio sulle sue labbra, e la guardo negli occhi.

Non ricevo nessuna risposta, abbassa anche lei lo sguardo sulle mie labbra prima di allontanarsi.

«Non avvicinarti mai più così» urla.

Scuoto la testa.
«Continua a credergli Nadine» sorrido.
«Vedremo chi è il vero egoista» mi allontano prendendo velocemente un'altra sigaretta dal pacchetto.

Riesce ad innervosirmi con pochissimo, mi fa saltare i nervi ma vedere che riesco ad infastidirla almeno quanto riesce lei, è una vittoria.

Butto fuori il fumo dopo aver fatto il primo tiro.

Lei è ancora di fronte a me, l'espressione sicura sta cedendo e intravedo la voglia di chiedermi cosa intendevo.

Lancio un'occhiata dentro al ristorante, notando Kristian dirigersi verso il tavolo.

Divertiamoci un po' con Kristian ora.

«Vieni con me» le dico, voltandomi.
«Come scusa?» domanda, scioccata.
«Non vengo da nessuna parte con te»

«Vieni con me e stai zitta» la supero, iniziando a camminare lungo il marciapiede.
Con la coda dell'occhio la vedo spostare lo sguardo da dentro il locale a me.

Dai su, vieni con me Nadine.

Si sistema la gonna e supera l'ingresso, raggiungendomi.

Mi volto verso la strada, facendo un'altro tiro di sigaretta per nascondere il sorriso soddisfatto che rischia di spuntarmi sul viso.

«Me ne pentirò?» domanda, guardandomi.
Alzo le spalle.
«Probabilmente»

Il rumore delle auto che riempiono questa strada principale, rendono questo silenzio tra noi.

«Non ho lasciato neanche la mia parte a Kristian per pagare» mormora ad un certo punto.
«Pagherà tutto lui, è un gentiluomo sai» dico ironico, per poi lanciare un'occhiata verso di lei. La vedo torturarsi le mani con le unghie.

Ora che ci penso non è la prima volta che lo fa. Durante alcune lezioni, la vedevo mordersi il labbro mentre stringeva le mani fino a far diventare le nocche bianche.
Soprattutto quando la Skyleen ha parlato del nuovo progetto di quest'anno, l'ho vista tremare, mentre il labbro le diventava rosso e il resto del viso perdeva colore.

La vedo torturarsi il labbro e mi volto di nuovo davanti a me per non fissarla troppo.

«Vieni» allungo la mano per prendere la sua e fermare la tortura che si sta affliggendo sola.
La tiro verso la gelateria all'angolo della strada.

Nonostante sia sera, qui dentro è ancora pieno di persone.
«Mi hai portata a mangiare il gelato?» domanda confusa mentre cammina davanti a me.
Sposto le mani sulle sue spalle e la spingo leggermente verso il bancone.

«Buonasera, cosa prendi?» la voce della ragazza dietro al bancone mi fa spostare lo sguardo.
Mi sorride, mentre si sporge in avanti indicando i gusti dei gelati.

Noto la camicetta bianca leggermente sbottonata e la targhetta col nome accanto.

Ricambio il sorriso, spostando nuovamente lo sguardo dalle sue tette al viso.
So che mi ha visto.
Il suo sorriso si allarga mentre si sporge di più per mettere in mostra ciò che quella camicetta copre a malapena..

«Per me un cono» Nadine risponde ancora prima che possa farlo io, facendo voltare Cassidy verso di lei.
«Siete insieme?» domanda, indicandoci.
«A quando pare» borbotta Nadine di rimando.

Mi trattengo dal non scoppiare a ridere e annuisco.
«Anche per me un cono»

Cassidy si ristampa sul viso un sorriso finto, finisce di prendere l'ordinazione e ci consegna lo scontrino.

Lo metto subito in tasca, notando un numero   di telefono scritto sopra.

«Spiegami come fai a mangiare il gelato al pistacchio» dico, uscendo dalla gelateria.
Nadine alza su le spalle, prendendo del gelato con il cucchiaino.
«È buonissimo, l'hai almeno assaggiato prima di fare quella faccia?» domanda, continuando a camminare.
«No e non ne ho alcuna intenzione» la mia espressione schifata le fa scuotere la testa.

«Quella lì per poco non cadeva dentro le vaschette dei gelati» mormora, facendomi andare il gelato di traverso.
«Cosa?» la guardo.
«Non fare il finto tonto adesso Trevor, sai benissimo di cosa sto parlando» si volta, continuando a gustarsi il suo buonissimo gelato.

Vedere le sue labbra avvolgersi attorno a quel cucchiaino mi fa serrare la mascella.

Nadine finiscila.

«Di fare cosa?» si volta verso di me confusa.
«Cosa?»
«Mi hai appena detto di finirla, ma di fare cosa?»

Cazzo, l'ho detto ad alta voce?

«Nulla»

Mi fissa per qualche secondo, tornando poi a mangiare il gelato.

Forse dovrei prendere quello scontrino e chiamare adesso quella ragazza.

Continuiamo a camminare e non so esattamente cosa o chi mi stia trattenendo, ma lo ringrazio, perché ad un certo punto questa fottuta ragazza ha deciso di buttare il cucchiaino e iniziare a leccare il cono con troppa tranquillità.

Penso di non aver sentito così tante scosse al mio cazzo prima d'ora. Ho finito il gelato velocemente sperando di alleviare il calore che provavo ma non è servito.

Guardo la strada cercando, nuovamente, di ignorare la sua lingua che continua a muoversi contro quello stupido gelato.

Due ragazze stanno camminando sul nostro stesso marciapiede e non osso fare a meno di notare come una di loro guardi Nadine.

«Nadine» sorride, sventolando la mano.

La vedo irrigidirsi sul posto e spalancare gli occhi.

La scena sembra surreale. Le ragazze si avvicinano e iniziano a parlare con lei, che più che una conversazione sembra più un monologo. Nadine non fa altro che rispondere a monosillabi o annuire, ha un sorriso tirato e vedo il gelato che ha in mano sciogliersi.

«Quindi sei entrata in quell'accademia allora?» domanda, la ragazza dai capelli neri, incrociando le braccia.
«Sì»

Le due ragazze si scambiano un'occhiata prima di ricominciare a parlare.
«Menomale, pensavo avessi perso anche la passione per l'arte dopo-»
«No» scatta Nadine.

L'aria si fa più pesante e noto la sua mano libera chiudersi in un pugno.

Faccio un passo avanti facende voltare verso di me.
«Oh e chi è lui? Non ce lo presenti Nadine?»

Mi porgono la mano presentandosi.
Mariam e Trina.

«Trevor Pierce»
«Pierce? Sei il figlio dell'avvocato?» domanda la ragazza dai capelli biondi, Trina.

Annuisco.
«Fantastico, noi studiamo legge, è venuto un paio di volte durante le lezioni»
«Capisco, spero vi abbia aiutato a capire ciò che vi serviva» sforzo un sorriso.

Nadine accanto a me, ha lo sguardo puntato oltre le due ragazze e continua a stringere la mano e a torturarsi il labbro.

Interrompo la conversazione, scusandomi e trascinandola via.

La sento tremare, mentre ho la mano avvolta attorno al suo polso.
Le lancio un'occhiata e vedo il suo petto alzarsi e abbassarsi velocemente.

«Che succede?» mi blocco.
«Ho bisogno di un attimo» si stacca da me, portandosi una mano sul petto iniziando a respirare lentamente.

La vedo iniziare a tremare e il labbro stretto tra i denti si lacera.
«Nadine» mi avvicino, mettendole una mano sulla spalla.

Lei alza lo sguardo e punta gli occhi nei miei.
Dei brividi mi percorrono il corpo, ha gli occhi completamente assenti.

«Mi senti Nadine?»
La tengo con entrambe le mani mentre la vedo barcollare.
«Scusami» la sento sussurrare prima di cadermi tra le braccia.

Il cellulare le squilla per la terza volta da quando siamo insieme e lo ignoro, prendendola in braccio dirigendomi verso la macchina.

Cazzo, Nadine.

Provo a svegliarla, mentre è tra le mie braccia ma non risponde.
Il fianco mi fa male per i pugni di oggi pomeriggio e sento le ferite sulle mani riaprirsi.

Arrivati in auto la faccio sedere e attacco la cintura, per poi salire anche io e mettere in moto.

Il suo cellulare continua a squillare e lo prendo, spegnendolo.

Fanculo Kristian.

Guido verso il primo luogo che mi viene in mente, accelerando anche durante i semafori rossi.

Kyle's pov

Ho le ossa che mi fanno male e i tagli nelle mani che bruciano. Dylan accanto a me non sembra messo meglio, ha la testa poggiata al muro e gli occhi chiusi.

«Cazzo, si sono vendicati alla grande questa volta» biascica.
Annuisco anche se non può vedermi, parlare adesso farebbe aumentare il dolore alle costole che sento.
«Come facciamo a prendere quelle registrazioni lì dentro» continua.
«Non lo so» mi sforzo di rispondere.
«Ma dobbiamo farcela senza farci scoprire, se vi beccano siete fottuti davvero questa volta»
Lui annuisce.
«Il problema rimane, come entriamo?»
Alzo le spalle.
«Cerchiamo di farlo nel momento giusto, c'è troppa gente che entra ed esce da lì dentro e se vi fate vedere, vi riconoscono sicuro»
Sbuffa, senza rispondere.

Qualsiasi punto del mio corpo mi fa male, ma il mio pensiero principale è, come faccio a tornare a casa così? Le ferite, i lividi, in quella casa non dev'esserci niente di tutto questo. Non più.

Chiudo gli occhi, cercando di non scoppiare e di trovare una soluzione a tutto questo casino.

Trevor ci ha lasciati qui, abbiamo le tasche piene di quella stupida droga che ci ha consegnato Carlos. Dobbiamo solo riprendere fiato e tornare io a casa e Dylan nella sua stanza.

Siamo abituati a qualche calcio, qualche pugno, ma oggi hanno voluto esagerare e conciarci per le feste.

Bruce aveva ancora la gamba fasciata dal colpo di pistola ma nonostante questo non si è tirato indietro e si è unito agli altri.

Sento qualcuno urlare e mi volto di scatto, facendo scrocchiare l'osso del collo e strizzando gli occhi.

Samantha sta correndo verso di noi, seguita da Josh. Sbuffo, appoggiando anche io la testa al muro.
«Cazzo» dico.
Dylan ride leggermente, tenendosi la pancia.

«Ma che problemi avete?» urla Samantha, non appena arriva davanti a noi. La preoccupazione nella sua voce e palpabile.

«Ma che avete combinato?» domanda Josh, facendomi serrare la mascella.
Ci mancava solo lui, che le va dietro come un cagnolino a seguirla anche qui.

«Niente» dico freddandola, con voce rauca.
«Sei stupido? Ci avete fatto prendere uno spavento incredibile, ma vi pare il caso di farvi conciare in questo modo?» allarga le braccia, spalancando gli occhi.

Scuoto la testa.
«Nessuno vi ha detto di spaventarvi o preoccuparvi, non vi abbiamo chiamato» insisto.
«Ma stai zitto» ribatte subito, facendomi trattenere un sorriso, nonostante il nervosismo.
«Non vi reggete in piedi, menomale che vi abbiamo trovati. Avete messo qualcosa su questi tagli? » domanda, prendendomi un braccio ed analizzandolo.

Sbuffo, ritirando il braccio.
«No e non ne abbiamo bisogno»
«Parla per te Ky, io qui sto morendo» si intromette Dylan, facendomi alzare gli occhi al cielo.

«Perfetto, aiuta lui allora, non me» scatto, guardandola negli occhi.
Lei si volta e senza dire nulla inizia a mettere qualcosa sulle sue ferite.

«Cazzo brucia» si lamenta Dylan.
«Fai l'uomo e stai fermo, ora passa»
«Soffia soffia» piagnucola ancora.

Sento gli occhi di Josh addosso e mi volto, ricambiando lo sguardo.

Capisco che non mi sopporta e che rispondere così alla sua amichetta peggiora solo le cose, ma non posso fare altrimenti.
Non devono starci così vicini, non possono vederli con noi.

Non devono farle del male.
Non me lo perdonerei mai.

Lui in primis deve allontanarla da me, da noi. L'unico modo che ho è farmi odiare, non deve volermi vicino e non deve rivolgermi la parola, mai più.

Stringo la mano in un pugno, facendo bruciare le ferite e chiudendo gli occhi.

Sento qualcosa sfiorarmi la mano, la tiro via spalancando gli occhi.
«Fatti aiutare Kyle» mi guarda Samantha.

È ad un passo da me e sento il fiato iniziare a mancarmi.
Riesco a contare le sue lentiggini da qui.
I suoi occhi sono puntati nei miei e il mio cuore batte così forte che rischia di scoppiare.

La mia rossa.

Riprende la mia mano e io lascio la testa ricadere contro il muro, sbuffando.

Qualsiasi cosa stia mettendo, brucia.
Cerco di reprimere la mia espressione di dolore ma a quanto pare, lei non si perde nulla.
Sbuffa una risata, mentre avvicina le labbra alle mie nocche e soffia.

Un brivido mi percorre la spina dorsale e percepisco la pelle d'oca su tutto il corpo.
Non stacco gli occhi dalle sue labbra così vicine al poggiarsi sulla mia mano.

Stringo l'altra in un pugno, fregandomene del bruciore e del dolore.
Sento solo lei, le sue mani avvolgere la mia e il suo respiro contro la mia pelle.

Cazzo.

Strattono via la mano, facendola allontanare e tirando via la benda che ha in mano.
«Faccio da solo ho detto» sputo.

La guardo, cercando di non perdermi in quei occhi che una volta non mi guardavano con tanto disprezzo.

«Non ti permettere a trattarla così» scatta Josh.
Sbuffo una risata, portando una mano tra i capelli.
«Cos'è l'amichetto qui è geloso?»

Dylan scoppia a ridere facendoci voltare verso di lui.
«Scusate, scusate, continuate pure» scuote la testa.

«Cura le sue di ferite se ne ha, io sto bene così» continuo.

Josh mi fulmina con lo sguardo e Samantha accanto a lui poggia una mano sul suo braccio.

Lo tiene, come se potesse farmi qualcosa.
«Sai che c'è?» inizia, guardandomi.
«Spero davvero tu riesca a medicarti solo, questa volta, vaffanculo Kyle»
Si volta iniziando a camminare verso l'ingresso dell'accademia.

Questa volta.
Si ricorda. si ricorda tutto.
Di noi.

Josh non si muove e mi guarda schifato.
«Te lo dico ora e non ho voglia di ripeterlo di nuovo in futuro. Non rivolgerle la parola se la devi trattare così, reputati fortunato che sei già ridotto di merda sennò ti avrei spaccato la faccia» Lo ignoro, sventolando la mano.

Si allontana senza salutare, raggiungendola.

La guardo, i suoi capelli rossi ondeggiano mentre cammina a passo spedito, sparendo dietro l'angolo.

Odiami ti prego, odiami con tutta te stessa.
E scusami.

«Ma sei coglione? Perché l'hai trattata così?» scatta Dylan.
«Cos'altro potevo fare Dy? Non posso rischiare che attacchino lei per prendersela con me» mi stacco dal muro, prendendo una sigaretta dal pacchetto.
«Preferisco saperla al sicuro lontano da me, è l'unica soluzione»

Scuote la testa.
«C'è sempre una soluzione diversa Ky, se le spieghi cosa sta succedendo capirà» insiste.

Mi volto, buttando fuori il fumo.
«Mi manca averla in giro» mormora.
«E manca anche a te» poggia una mano sulla mia spalla e la mia faccia si deforma per il dolore.
«Cazzo» scatto.
«Oh scusa» ride, togliendo la mano.

La ferita sulla spalla pulsa e abbasso lo sguardo sulla benda che ho in mano.

Certo che mi manca. Mi manca come l'aria.

È tutto un casino.

Samantha's pov

Faccio entrare Josh e chiudo la porta alle mie spalle. Le mani mi tremano dal nervosismo e sento le lacrime minacciare di uscire.

«Non capisco perché ti fai trattare così, è un coglione Sissy, inutile continuare a provarci» si siede sul letto, sbuffando.

L'intera stanza è in disordine, quando ho saputo che gli era successo qualcosa sono andata nel panico e ho lanciato tutti i libri correndo fuori per cercarlo. Josh mi ha raggiunto e abbiamo girovagato un po' prima di trovare sia Kyle che Dylan nel retro dell'accademia.

«Non ho voglia di parlarne» mormoro.

E invece sì, voglio parlarne, voglio urlare e piangere.

Perché deve fare così? Perché ha cancellato il nostro rapporto come se fosse nulla? Perché mi odia?

Una lacrima mi riga la guancia e mi butto sul letto, schiacciando la faccia contro al cuscino.

Le lacrime escono e cerco di trattenere i singhiozzi. Due mani si appoggiano sulle mie spalle e sospiro.

«Sissy..» sussurra Josh.
Mi volto, lanciandomi tra le sue braccia e scoppiando a piangere.

Sento il cuore farmi male e tutti i singhiozzi mi impediscono di respirare normalmente.

Mi manca come l'aria.

«Voglio solo sapere il perché» sussurro, tra le lacrime.
La mano di Josh mi accarezza i capelli mentre con l'altra mi tiene stretta a se.

«Ti voglio bene Sissy, lo dico per te è meglio lasciare stare e andare avanti»

Sospiro, il mento mi trema e le lacrime non sembrano voler fermarsi.

Forse sono solo io che sento la sua mancanza, solo io ho dato importanza a tutti questi anni, solo io ho pensato che il nostro rapporto avesse qualcosa di speciale.

Solo io.

Forse è meglio lasciare stare davvero.

Mi allontano dall'abbraccio e le mani di Josh mi avvolgono il viso, asciugandomi le lacrime sulle guance.
«Non piangere per lui, non se lo merita»

Annuisco, tirando su col naso e sforzandomi di fare un sorriso.

Mi alzo ed entro in bagno per sciacquarmi la faccia.
«Chissà come sta andando l'appuntamento di Nadine» dico, con l'asciugamano sul viso.

«Nadine aveva un appuntamento?» domanda Josh, alzandosi.
«Sì, con Kristian» alzo gli occhi al cielo, poggiando l'asciugamano sul mobiletto.

Josh spalanca gli occhi e la bocca, allargando le braccia.
«Siete uscite fuori di testa entrambe? Perché andate dietro a dei coglioni del genere?» sbuffa.
«Le ho già detto di non fidarsi molto di lui, ma è solo un'uscita non succederà nulla» alzo le spalle per poi correre e buttarmi sul letto.

Josh mi raggiunge, sedendosi sull'altro letto e tirando fuori il cellulare.

A proposito di uscite...
«Devo raccontarti una cosa» dico velocemente.
Sposta lo sguardo su di me.
«Non mi piace questo tono, cosa devi dirmi?» mi punta il dito contro.

Mi volto, stendendomi a pancia in su.
«La settimana scorsa siamo state all'Universal io e Nadine»
Lo vedo fare mente locale per poi spalancare gli occhi.
«Okay..e?»

«Diciamo che è successo qualcosina quella sera..» mormoro.
«Cos'è successo Sissy?» dice lentamente, non staccando gli occhi dal mio viso.
«Potremmo aver assistito ad una sparatoria e la polizia ci ha inseguite» borbotto velocemente.

I colori dal suo viso scompaiono e spalanca la bocca.
«Voi cosa?» urla alzandosi.
«Ma siete pazze? Avete idea di cosa avete rischiato? Ma poi cos'è successo? Perché eravate lì e perché vi hanno inseguite?»

Le mille domande mi fanno portare le mani sulla faccia dall'esasperazione.
«Abbiamo sbagliato okay? Ho seguito Kyle fuo-»
«Sempre lui!» urla, alzando davvero la voce.
«Sappiamo che tipo di ragazzi sono, te l'ho detto di non avvicinarti a loro da quando sono tornati» continua. «Anche prima» sussurra.

«Non pensavo sarebbe successo qualcosa del genere» insisto, sedendomi.
«Ma siamo entrambe ancora vive» allargo le braccia. «Quindi non c'è da preoccuparsi»
«Non c'è da preoccuparsi? Hai rischiato di morire» si batte una mano sulla fronte e sbuffa.
«Non so cosa dirti» si risiede sul letto.
«Almeno siete vive davvero» continua, stendendosi.

Rilascio un sospiro per poi ricadere sul letto.
«Almeno siamo vive» mormoro.

«Sai almeno a che ora torna Nadine?» domanda, facendomi voltare.
«No» scuoto la testa.
«Probabilmente la riaccompagna Kristian, mi ha detto che sarebbe ventuto lui a prenderla»

Alza gli occhi al cielo e io scoppio a ridere.
«Dai magari non è male..»
Spalanca la bocca e scuote la testa.

«Tu sei pazza, hai la sindrome da crocerossina per caso? Perché andate dietro a questi ragazzi?» si lamenta, continuando a scuotere la testa.

Prendo un cuscino, lanciandoglielo addosso.
«Non ho nessuna sindrome da crocerossina» urlo, ridendo.
«Semplicemente l'ho vista troppo presa dalle lezioni ultimamente e penso le faccia bene uscire un poco, anche se non le consiglierei di uscire con lui»

Lui ricambia lanciandomi l'altro cuscino.
«Sappiamo tutti che Kristian non è tipo da relazioni serie, come nessun altro di quel gruppetto» stringe gli occhi, facendomi capire chi intende.

Alzo le spalle. «Lo so anche io, poi Kristian ha qualcosa che non va da molto tempo e l'ho già detto anche a Nadine, vedremo comunque»
Lui annuisce e sbuffa, prima di tirare fuori il cellulare dalla tasca.

«Ma tu cosa ci facevi all'Universal oggi?» domando confusa, ricordandomi che effettivamente non mi aveva detto nulla di oggi pomeriggio.

Continua a tenere gli occhi fissi sullo schermo e a digitare qualcosa.
«Sono passato di lì per salutare Katerine e Zyra»

Sorrido, alzando le sopracciglia.
«Non è che tu e-»
Si volta di scatto, facendomi ridere.
«Beccato, non è che tu e Katerine mi nascondete qualcosa? Vai sempre a trovarla ultimamente»

Scoppia a ridere, tenendosi la pancia.
«Non iniziare con i tuoi film mentali, non c'è niente tra me e Katerine» mi punta il dito contro.
«Allora tu e Zy-»
«Neanche»

Sbuffo, incrociando le braccia al petto.
«C'è qualcosa che non mi dici, dai Josh» piagnucolo, cercando di convincerlo a parlare.

«Nulla da nascondere capitano» porta una mano sulla tempia per poi tornare a guardare il cellulare.

Alzo gli occhi al cielo.
«Prima o poi me lo dirai» lo punzecchio, lanciandogli un'ultima volta il cuscino.
Lui ride senza rispondermi.

Katerine's pov

Sbuffo, lanciandomi sul letto.

La testa mi fa male e non riesco a smettere di pensare.

Josh ha lasciato me e Stefan lì al locale, correndo fuori per raggiungere Samantha. Non potevamo seguirlo in nessun modo, ci siamo scambiati un'occhiata e siamo tornati a servire i clienti.

Sono sicura però, che neanche Stefan sia riuscito a togliersi dalla testa il pensieri di quei tre ragazzi, o magari solo di Josh.

Essendo migliori amici mi ha raccontato qualcosa di quello che sta succedendo tra lui e Josh, e che va avanti da un bel po'. Gli ripeto sempre che deve prendere posizione e non lasciarsi trattare così ma non mi ascolta. Continuano a litigare per tutto e a nascondersi, come se amare qualcuno fosse un reato.

Ma mentre lui molto probabilmente pensava a Josh, io non riuscivo neanche a preparare i drinks veloce come al solito.
Avevo la testa piena di domande su cosa quei tre ragazzi possano aver combinato per essere stati pestati in quel modo.

Non mi sorprendo però, perché le voci che girano su di loro sono tante, troppe. E che questo locale sia il loro preferito è risaputo.

Quel cretino di Dylan era tranquillo prima di sparire con i suoi amici, non capisco proprio cosa possano aver fatto.

«Cos'hai?»
La voce di Zyra mi fa sussultare.

«Nulla» scuoto la testa, prendendo il cellulare.

Siamo entrambe stanchissime, i turni a lavoro si fanno sempre più faticosi e aumentare le ore credo proprio sia stato un errore. Nessuna delle due però lo ammetterà mai, i soldi ci servono e se non vogliamo più sentire quelle urla, dobbiamo continuare così.
«Non ci credo, a tavola non hai quasi toccato cibo» si stende anche lei nel letto accanto al mio.
«Non avevo fame» alzo le spalle.
«Credi davvero di avere una sorella così stupida? Mi ferisci» si porta una mano al petto, fingendo di star per scoppiare a piangere.

Prendo un cuscino e lo lancio verso di lei.
«Finiscila»
Mi alzo su, mettendomi seduta con la schiena poggiata alla spalliera del letto.
«Sono preoccupata» ammetto.
«Per chi?»
«Per noi» inizio. «Mamma e papà ne parlavano in cucina quando siamo arrivate, non hai sentito?» annuisce e sospira.
«Dobbiamo solo continuare a lavorare, finire gli studi e trovare qualcosa di stabile. Papà sta cercando qualcosa da fare ogni giorno, non possiamo lasciare che facciano tutto soli, lui e mamma»
Questa volta sono io ad annuire.
«Dobbiamo solo stringere i denti un'altro poco» mormoro.
«Non sei preoccupata solo per questo vero? Ti ho vista stasera con i clienti, non eri tu» mi guarda, sorridendo debolmente.
«A cosa stai pensando?»
Sospiro, spostando lo sguardo davanti a me.

Ho un peso nel petto da oggi pomeriggio, accade ogni volta e non so cosa fare.
Io, Zyra, mamma e papà, abbiamo i nostri problemi, ma come se non bastasse, il pensiero che qualcuno stia vivendo qualcosa di simile o che gli stia capitando qualcosa mi fa stringere il cuore. Mille pensieri mi occupano il cervello e automaticamente i suoi problemi diventano i miei.

«Quei ragazzi che vengono spesso al locale, li sai no?»
Mi guarda confusa per poi spalancare gli occhi e annuire.
«Ecco, sto parlando con uno di loro-»
«Che vuol dire stai "parlando" con uno di loro» urla mettendosi anche lei seduta.
Metto le mani in avanti e scuoto la testa.
«Non in quel senso» dico frettolosamente, urlando anche io.
«Uno di loro, Dylan-» «Jonson» ribatte.
Annuisco.
«Lui, ecco siamo capitati in coppia per il compito di quest'anno, quello per la mostra e lo sponsor»
Annuisce.
«Ecco, oggi però l'ho rivisto a lavoro e-» mi blocco. E se lo dicesse al capo e finissero nei guai? So come ragione lei, è molto razionale e non lascia che le emozioni la comandino.

«-Mi sembrava strano, anche perché ancora non ci siamo messi a studiare e prepararci per il compito quindi sono preoccupata» invento, sentendo lo stomaco stringersi per averle mentito.

Lei mi guarda per poi sospirare.
«Non hanno una bella reputazione, ne lui ne i suoi amici. Dovresti stare attenta, tu concentrati sul compito e basta» dice, alzandosi.
«Vedrai che tutto andrà bene»

Annuisco, mentre lei si allontana ed esce dalla stanza.

Il cellulare sul letto, si illumina. Lo prendo, sbloccandolo e notando i messaggi di Stefan dove si lamenta di Josh.

Alzo gli occhi al cielo e scorro, finendo sulla chat di Dylan.

Devo scrivergli? Magari ha bisogno di qualcosa?

Scuoto la testa.
«Da quando tutti questi problemi Katerine» dico ad alta voce.
«È solo uno stupido messaggio»

Tu:
        Ei Dylan, tutto okay?

Invio, per chiudere il cellulare e sospirare.

«È solo un messaggio» ripeto, chiudendo gli occhi e ridendo di me stessa.

Non ho mai avuto nessun problema a non farmi mettere i piedi in testa, specialmente dai ragazzi. Ti fanno ridere, si mostrano dolci e poi ti lasciano lì senza spiegazioni.

Conoscere le voci di corridoio dell'accademia è utile anche per questo, la reputazione di Dylan e i suoi amici in fatto di ragazze, li rende i classici badboys di turno, pieni di tutte le esperienze possibili.
Non c'è nessuna che non vada dietro ad uno di loro, ma nonostante questo, non scopano con chiunque gli si presenti davanti. Molte ragazze infatti hanno ricevuto un rifiuto da parte loro durante le serate, le feste o anche direttamente in accademia.

Hanno ragazze che fanno la fila per loro a quanto pare.

Sussulto al sentire la vibrazione del cellulare.

Dylan Jonson:
Ti preoccupi per me ora, Katerine? Tutto okay comunque😜

Sbatto una mano contro la fronte, pentendomi di avergli scritto.

«Che stupido» mormoro, con un sorriso che però scompare subito.

Non devo sorridere. Brutto segno.

Dylan Jonson:
Sai ora che ci penso sto un po' male, vuoi venire a giocare alla dottoressa e il paziente? 👩🏻‍⚕️

Tu:
   Sei proprio scemo Dylan Jonson,
        volevo solo sapere come stavi
       visto che mi hanno detto che ti
                 hanno conciato per bene

Dylan Jonson:
Mi ferisci così 💔
Ora si che devi venire a curarmi..

Tu:
           No, ti lascio lì col cuore
        spezzato, mi dispiace😞

Dylan Jonson:
Sei pure dispiaciuta,
forse dovresti venire davvero..
(io potrei farti venire sicuro)

Spalanco gli occhi, scoppiando a ridere.

Tu:
         Non credo proprio, 
  Jonson.

Preoccupati della partita
di domani piuttosto

Dylan Jonson:
Non è nulla, domani vinceremo come al solito

Mi mordo l'unghia non sapendo cosa rispondere.

Delle urla dal piano di sotto mi fanno spalancare gli occhi.
Non di nuovo.

Sbuffo per poi scrivere la prima cosa che mi viene in mente.

Tu:
se vinci ti offro da bere

Dylan Jonson:
Prepara i drink dolcezza, domani si festeggia

Ridacchio scuotendo la testa. Forse me ne pentirò o forse lo sto già facendo.

Tu:
     Stai attento davvero Dylan

Dylan Jonson:
Tranquilla, ce la farò

Mi volto dall'altro lato del letto e poggio il cellulare sul comodino, cercando di nascondere un sorriso per poi sentire Zyra rientrare.

Trevor's Pov

Sistemo Nadine sul letto, sentendo la spalla scrocchiare.
«Cazzo» mormoro.

Ho corso su per le scale evitando Rosy e Claire al piano di sotto, è quasi mezzanotte e non so come faccia quella bambina ad avere ancora le energie per correre in tutta la casa.

«Trevor»
Mi volto di scatto, sentendo la sua piccola vocina e precipitandomi davanti alla porta.

«Chi c'è lì?» domanda, cercando di guardare oltre le mie gambe.
«Nessuno piccolina, torniamo da Rosy» dico, provando a chiudere la porta, non riuscendoci perché le piccole gambe di Claire si muovono più velocemente del previsto superandomi ed entrando in stanza.

«Ma è la ragazza dell'altra volta» urla, facendomi spalancare gli occhi e prendendola in braccio per uscire di corsa fuori di lì.
«Non urlare» bisbiglio.

Annuisce, ridendo e facendomi scuotere la testa.
«Non avevi detto che non sarebbe più venuta? Poi perché è nella tua stanza?» dice, scendendo dalle mie braccia.

Non so cosa rispondere, non mi ero accorto di averla messa nel mio letto, ho corso fino a lì senza pensarci.

«È stata male e l'ho portata qui, non verrà di nuovo tranquilla»
Mette il broncio, incrociando le piccole braccia.
«Non ti credo»
Mi abbasso, arrivando alla sua altezza.
«Dovresti»

Scuote la testa e inizia a correre giù per le scale.
«Rosyy» urla, facendomi sussultare.
«C'è una ragazza nella stanza di Trevor» continua, facendosi inseguire giù.

«Claire, stai ferma» la rincorro ritrovandomi in salotto con lei dietro le gambe di Rosy.

La donna ci guarda confusa prima di poggiare il vaso sul tavolino accanto a lei.
«Che succede?»

«Nulla»
«Trevor ha-»
«Nulla» ripeto velocemente, guardando Claire negli occhi, pregandola.

Mi fa la linguaccia e si volta verso Rosy.
«Trevor ha portato una ragazza sopra» indica le scale e io batto una mano sulla fronte.

Non che sia la prima volta che porto qualcuno in casa, ma di certo non lo dico a loro o le faccio vedere. Rosy è qui da un paio di anni, mi conosce ma non le ho mai presentato chi mi scopavo.

Scoppia a ridere, abbassandosi per prendere Claire in braccio.
«Hai fatto bene a dirmelo, e tu» mi punta il dito contro.
«Offrile almeno qualcosa a quella povera ragazza»

«Sta dormendo» dico, facendola confondere.
«Dorme? Da quant'è che è qui?»

«Sono arrivato ora, si è sentita male e l'ho portata qui, non è nulla di grave probabilmente deve solo riposare» continuo, parlando velocemente.

Annuisce.
«Se hai bisogno di qualcosa, chiamami allora. Cosa le è successo?» domanda.
Alzo le spalle, senza rispondere.

Non so davvero cosa sia successo, aveva gli occhi completamente persi e sembrava proprio non mi vedesse nonostante fossi davanti a lei. Si è aggrappata a me e si è scusata, lasciandomi confuso e preoccupato.

È successo tutto così velocemente che ho fatto fatica a collegare cosa fosse successo.

Rosy si allontana con Claire che continua a tenermi il broncio.

Mi sposto, andando in cucina, vedendo ora Claire seduta al tavolo e Rosy impegnata a finire qualcosa.

«Non dovresti andare a dormire Claire?» dico, aprendo il frigo e tirando fuori una birra.
Rosy mi guarda per poi puntare lo sguardo sulla mia mano e scuotere la testa.

La piccolina sbuffa, scendendo dalla sedia e correndo fuori.
«Non è tornato ancora vero?» domando, avvicinandomi a Rosy.
«No, sono fuori entrambi da tutta la giornata, già non c'erano quando sono arrivata stamattina» sbuffo, aprendo la birra e bevendone un sorso.

Se non ci fosse Rosy, Claire starebbe sola quasi tutta la giornata. Quel coglione di mio padre non si rende conto di quello che fa, peggio ancora, sua mamma Jane. Entrambi insieme non ne fanno una giusta, non che mi importi di averli a casa, se fosse per me potrebbero stare fuori quanto vogliono. Penso a Claire invece, che si merita di viverli e di cresce con loro, con genitori presenti.

«Piuttosto» si volta facendomi sussultare. «Tu signorino come te li sei fatti tutti questi lividi, guardati-» avvicina la mano al labbro. «Sei tutto tagliato»
«Niente di che» scrollo le spalle. «Sto bene»

Beh mica tanto, ho la spalla che mi fa male ad ogni movimento e un livido gigante viola sul fianco, per non parlare del viso.

«Sto bene» ripeto, ricevendo uno sbuffo da parte sua.
«Eh poi non dovresti essere tu a preoccuparti per me, così» rido.
«È ovvio che mi preoccupo per te Trevor» mi da una botta sul retro del collo, facendomi ridere ancora di più.

«Vado a vedere cosa combina la piccola» mi allontano, lasciando la birra sul bancone.

Tiro fuori il cellulare, sentendo nell'altra tasca quello di Nadine.

Tu:
Claire vi sta aspettando.
                  Di nuovo.

Invio il messaggio per poi riposarlo nella tasca della felpa, sapendo che probabilmente non riceverò nessuna risposta.

«Claire» la chiamo, uscendo in giardino. Il cielo è cupo, nuvoloso.
«Che fai piccola» domando, sedendomi accanto a lei sull'erba.

Si volta di lato, senza rispondermi. 

Trattengo un sorriso e mi corico completamente sul prato.

«Vorrà dire che le conterò solo le stelle stasera» lei si gira di scatto, guardandomi offesa.
«No, anche io» piagnucola, coricandosi accanto a me.

Si appoggia con la testa sul mio braccio e guarda su.
«Ma è nuvoloso» nota.
«Vorrà dire che staremo qui lo stesso, finché le nuvole non passano e poi le contiamo»
Sbuffa, senza rispondere.

Nadine's Pov

Sussulto, spalancando gli occhi.
Sento le mani sudate e il cuore battere velocemente.

Davanti a me noto una scrivania e all'angolo un grosso specchio.
Mi volto, spostando gli occhi in ogni angolo della stanza.

«Dove sono?» mormoro, togliendo le coperte di dosso e mettendo i piedi a terra.

Mi reggo al letto, non appena un giramento di testa mi fa sbandare.

Oddio mio. Ti prego.

Ricordo l'appuntamento con Kristian, lui che mi lascia lì, Trevor che si presenta...

Trevor.

Mi precipito davanti la finestra e riconosco il giardino dell'ultima volta.
«No ti prego, non davanti a lui» piagnucolo, scuotendo la testa.

Noto una figura, stesa sull'erba e nello stesso istante un tuono mi fa sussultare.

«Ci mancava la pioggia ora»
Esco dalla stanza, cercando di non fare rumore e non cadere.

Il mio cellulare non era accanto a me e addosso non ho tasche.

Scendo giù, non sentendo nessun tipo di rumore e con quasi tutte le luci spente.

«Trevor» lo chiamo, non appena metto piede nella veranda.

Lui non si muove e non risponde.

«Trevor» ripeto non appena sono vicina a lui.

Sta dormendo e ha il cappuccio della felpa alzato.

Sento che sta per iniziare a piovere e dei brividi mi fatto battere i denti.

Poggio una mano sulla sua spalla e un fulmine seguito da un tuono mi fanno lasciare un urletto.
«Trevor, dai svegliati» lo smuovo.

Delle gocce iniziano a cadere e stringo gli occhi.
«Trevor sta piovendo, svegliati» piagnucolo, alzando lo sguardo verso il cielo e vedendo le gocce cadere velocemente.

«Trev-» un tuono mi fa sussultare, facendomi finire quasi addosso a lui.
«Sono sveglio» dice.

Provo ad alzarmi, con le gocce che continuano a cadere e le mani che mi tremano.
«Piove» dico, non riuscendo a formulare una frase.
«Ho notato» sbadiglia, mettendosi seduto, con me in ginocchio accanto a lui.

«Paura di un po' di pioggia, stellina?»

Strizzo gli occhi, sentendomi leggermente in imbarazzo.
«Può essere» ammetto.

Scuote la testa, ridendo.
«Andiamo dentro» si alza, pulendosi la felpa.

Un'altro tuono mi fa chiudere gli occhi.
«Hai davvero paura della pioggia?» domanda, squadrandomi.
Annuisco.
«Tu che dici, genio?» lo supero, cercando di tornare dentro.

«Perché eri-» non finisco la frase che un'altro tuono mi fa distrarre e scivolare su me stessa.

Sento le sue mani avvolgersi sui miei fianchi e rilascio un sospiro, a pochi centimetri dal prato.

Mi gira, facendomi scontrare con il suo petto.
«Guardami» dice.

Alzo gli occhi, guardandolo in viso e notando come i suoi capelli siano zuppi di pioggia ed entrambi i nostri vestiti si stiano bagnando.
«Rientriamo Trevor, per favore» lo prego.

Non stacca gli occhi dai miei.
«Chiudi gli occhi»

Scuoto la testa.
«Solo per un secondo Nadine»

Sbuffo, con il mento che mi trema.
Chiudo gli occhi, sentendo ancora il suo sguardo addosso.

Il vento sulle mie gambe scoperte mi fa rabbrividire. Sento il rumore dell'acqua che si scontra contro gli alberi.

«Cosa-»
«Ascolta senza pensarci troppo» mormora.

«Sto ascoltando Trevor e sento anche tutti i miei vestiti inzupparsi» scuoto la testa.
«Non riesci a stare zitta un secondo vero?» mormora ancora.

Mi zittisco, sentendo le sue mani muoversi sui miei fianchi.

Sento lui, l'acqua che continua a cadere copiosamente sulla casa e sulle foglie degli alberi e il vento che sembra ululare.

I brividi diminuiscono e le mani, poggiate sul suo petto, sembrano smettere di tremare leggermente.

«Ecco, ti ho detto di ascoltare»

Apro gli occhi, ritrovandomi i suoi, di un verde più scuro del solito, fissi nei miei. I nostri visi così vicini e l'acqua che ormai ci ha bagnato i capelli ad entrambi.

Il suo sguardo si sposta sulle mie labbra e trattengo il fiato.
«Trevor» dico, facendo tornare i suoi occhi nei miei.

Lo vedo leccarsi le labbra.

Si avvicina, i nostri nasi si sfiorano e la pioggia sembra ormai qualcosa che non interessa a nessuno dei due.

«Che dici se-» Un tuono lo interrompe, facendomi sussultare e staccare da lui.

Mi guarda, con la bocca leggermente spalancata e le gocce di acqua a bagnargli il viso.

Corro dentro, urtando la staccionata della veranda.

Ho il fiato corto e gli occhi spalancati.

Sono indecisa ora però, se effettivamente a farmi quest'effetto sia stato il tuono o lui.

Lo sento rientrare e chiudere la portafinestra.

Lo seguo con lo sguardo fino alla cucina per poi guardare il divano e sedermi.

«Ne vuoi?» domanda affacciandosi dalla cucina e facendomi vedere una birra.

Il suo tono di voce è diverso da quello di poco fa. Più freddo, meno roco.

Scuoto la testa, rifiutando.

«Giusto, sei più tipa da vino» mormora, rientrando.

«No, non bevo»
Alza le sopracciglia.
«Avrei giurato di averti vista bere qualche sera fa»
«Qua-»

Il flash di me che ballo con Kristian mentre lui non mi stacca gli occhi di dosso, ricompare nella mia mente.

«-Ndo» continuo, facendolo ridere.

«Ecco appunto» dice. scuotendo la testa.

«Mi accompagni in accademia? Sono tutta bagnata e devo tornare a dormire lì» chiedo, passandomi le dita in mezzo ai capelli bagnati.

Lo guardo alzare le sopracciglia e portare la bottiglia alle labbra.
«Cosa?»
«Sei bagnata?»

Spalanco gli occhi.
«Oh stai zitto per favore, puoi accompagnarmi?»

Scuote la testa.
«Piove, non ho intenzione di guidare a quest'ora»
«E io come faccio» allargo le braccia.
Scrolla le spalle.
«Domani ti riaccompagno, devo andarci anche io in accademia sai»

Alzo gli occhi al cielo, poggiando la schiena alla spalliera del divano.

«Il mio cellulare ce l'hai tu?»

Annuisce, allungando una mano verso la tasca e lanciandomelo.

«Spento?»
«Non la smetteva di squillare, già è tanto che non l'ho lanciato dal finestrino» sbuffa, bevendo un'altro sorso.

Lo accendo, ritrovandomi piena di chiamate da parte di Sissy e Kristian.

«Oddio»

Kristian.
Chissà cosa pensa adesso, l'ho lasciato lì e non l'ho neanche avvisato.

Per cosa poi? Non ho scoperto nulla da parte di Trevor.

Apro l'unico messaggio da parte di Angelina.

Angelinaa:
Nadine, porta pioggia oggi, non so quando inizierà ma per qualsiasi cosa chiamami.

Sorrido, ripensando a tutte quelle sere dove mi distraeva insieme ad altri ragazzi, mentre fuori diluviava.

Tu:
     È tutto apposto,
  grazie angelina❤️

Invio il messaggio prima di cliccare sul nome di Kristian e far partire la chiamata.

Trevor si è spostato e mi fissa, mentre sta appoggiato con le spalle al muro.

«Che ti guardi?» dico, arricciando il naso.

«Nadine? Pronto? Come stai?» la voce di Kristian dall'altra parte del cellulare mi fa distogliere lo sguardo da lui.

«Ei Kristian, sto bene, scusami se sono scompar-»
«Tranquilla, mi sono preoccupato però, non rispondevi pensavo fosse successo qualcosa» sento dei rumori mentre parla e mi scappa un sorriso.

«Tranquillo, non è successo nulla, sto bene» lo tranquillizzo, sentendo un sospiro dall'altro lato.
«Menomale, ora dove sei? Sei tornata in accademia?» domanda.

Mi guardo intorno, sentendo gli occhi di Trevor addosso mentre si stacca dal muro e si avvicina al divano.

«Ora io-sisi, sono-»

Non posso dirgli dove sono, cosa potrebbe pensare di me? L'ho lasciato lì al ristorante e ora sono con un'altro ragazzo? Non che stia succedendo qualcosa o altro.

«Sì, sono in accademia, in stanza con Samantha» dico di getto, facendo scoppiare a ridere Trevor.

Lo guardo, spalancando gli occhi e mimandogli di stare zitto.

«Oh okay, sono contento che sia tutto apposto. Volevo chiederti se»

Trevor si avvicina, posizionandosi davanti a me e facendomi alzare lo sguardo su di lui.

Poggia la birra sul tavolino dietro di lui prima di abbassarsi e poggiare le mani sulla spalliera del divano ai lati della mia testa.

Lo guardo, spalancando la bocca.
«Che stai facendo?» mimo con le labbra, allungando una mano contro il suo petto per spingerlo.

Non si muove di un centimetro e si avvicina.

«Nadine? Mi stai ascoltando?» Kristian mi richiama, facendomi ricordare della chiamata.

«Nono, scusami davvero, la mia amica mi stava parlando» invento, facendo tremare il petto di Trevor.

«Tranquilla» ride. «Dicevo, domani c'è la partita in accademia, ti andrebbe di vederla insieme? So che oggi è andata così e mi dispiace, ma magari se ci vediamo domani andrà meglio» sorrido.

Annuisco.
«Sì, certo»
«Perfetto allora, ci vediamo lì»

Trevor si sposta, facendomi irrigidire, il suo respiro è contro la pelle sotto il mio orecchio, sento l'intera zona coperta di brividi.
Una sua mano si sposta sulla mia coscia prima di lasciare un bacio nell'incavo del mio collo.

«Sei pazzo?» gracchio, spingendolo e facendolo ridere.
«Sono pazzo? Perché Nadine? Mi senti?»

Mi porto una mano alla bocca scioccata, mentre Trevor davanti a le ride tenendosi la pancia.

«Scusami scusami, Kristian, non dicevo a te» dico, velocemente.

Trevor si posiziona di nuovo davanti a me e allunga una mano, tirando via il mio cellulare e portandoselo all'orecchio.

Scuoto la testa, allungando le braccia per riprendermelo.

«Dovresti vederla Riner, com'è bella qui sul mio divano» dice, con voce roca, mentre mi guarda dall'alto in basso, leccandosi le labbra.

Il punto dove ha posato quel bacio sembra andare a fuoco.

Spalanco la bocca, battendomi una mano sulla fronte e riprendendomi il cellulare.

«Kristian-»
«Trevor? Nadine sei con Trevor?»

«Non è come sembra, posso spiegarti-»
«Non devi spiegarmi nulla Nadine, tranquilla, ci vediamo domani in accademia» riattacca, lasciandomi lì senza parole.

Sposto lo sguardo sul troglodita davanti a me, ha la faccia compiaciuta mentre continua a bere la birra che aveva lasciato sul tavolino.

«Ma sei coglione?» grido.

«Uh dici le parolacce ora Nadine, mi piace» scuote la testa, ridendo.
«Era un piccolo scherzetto» continua.

«Un piccolo scherzzetto? Ma ti senti? Quanti  anni hai? cinque?» mi alzo andandogli incontro.
«Chissà cosa pensa di me adesso, sapendo che sono qui con te»
«Che ti volevi divertire davvero, e sei venuta da uno che ci sa fare al contrario suo» scrolla le spalle.

«Se ti giudica perché sei qui, senza ascoltarti, non dovresti più vederlo» beve un sorso, allontanandosi verso le scale.

Alzo gli occhi al cielo. «E ora dove vai?» domando.

«A dormire, ho una partita da giocare domani, non posso stare a sentirti mentre ti lamenti per uno stupido scherzo» si gira.

«Eh certo, ti sei divertito e ora mi lasci qui a dover risolvere»
«Rimango qui solo se vuoi divertirti davvero anche tu, e con divertirti Nadine, intendo scopare»

Spalanco la bocca, facendolo ridere.
«Ti ho già rifiutato una volta, la risposta non è cambiata»

«Come vuoi» scrolla le spalle. «Buonanotte»
Scompare, salendo su per le scale.

Sblocco il cellulare, provando a richiamare Kristian, fallendo perché il cellulare si spegne dopo il primo bip.

«Perfetto» sbuffo.

Mi sposto, andando verso la cucina e avvicinandomi al frigo per prendere un po' d'acqua.

«Davvero un gentiluomo Trevor, grazie per l'ospitalità» mormoro, ironicamente.

Butto giù due bicchieri d'acqua prima di sentire un rumore vicino le scale.

Un leggero pianto mi fa affacciare.
«Piccolina che hai?» mi avvicino, notando la stessa bambina, la sorella di Trevor, scendere gli ultimi gradini e guardarsi intorno velocemente.

Mi ignora, entrando in salotto.
«Non ci sono vero?» la sento sussurrare.

Di chi parla? Forse dovrei chiamare Trevor.

Sbuffo, guardando su, notando tutte le luci spente.

«Chi cerchi piccolina?» mi abbasso, notando le lacrime che le rigano le guance.

«Mamma e papà»

Il cuore mi si stringe e il petto mi inizia a far male.
Allungo le braccia, stringendola a me.

«Non piangere» le ripeto, mentre continua a singhiozzare.

Dei tuoni fuori ci fanno sussultare entrambe.
«Hai paura della pioggia?» domanda, con un filo di voce, rotta dai singhiozzi.

Annuisco, facendo un piccolo sorriso.
«Un po'»

Si passa il dorso di una mano sugli occhi.
«Anche io» ammette.

Mi siedo sul divano, mettendola accanto a me.
«Non piangere, vedrai che tra poco i tuoi genitori tornano» dico.

La pioggia. La macchina. Mamma e papà.

Stringo una mano intorno al cellulare e lo poggio sul bracciolo del divano.

«Ti va di guardare qualcosa mentre aspettiamo?»
Annuisce, strofinandosi gli occhi.
«Sei sicura che non vuoi tornare a dormire?»
Scuote la testa.
«No»

Questa volta sono io ad annuire, per poi vederla alzarsi e prendere il telecomando della tv.

La guardo risedersi e accederla, selezionando tra i cartoni Barbie e le dodici principesse danzanti.

Sorrido. Sono anni che non lo guardo.

Si riaggomitola su se stessa, accanto a me e io incrocio le gambe ad otto e appoggio le spalle dietro di me.

Il suono delle voci che provengono dalla tv, non ci fanno più prestare attenzione ai tuoni e alla pioggia fuori.

Kristian's Pov

Lancio il cellulare sul divano, prima che le mie nocche si scontrino contro il muro accanto a me e lanciando un urlo.

Trevor Pierce, di nuovo.

È sempre colpa sua, qualsiasi cosa succede, lui è in mezzo. Perennemente presente, ovunque.

«Fottuto coglione» dico, senza fiato per colpa della rabbia.

Stava andando tutto bene durante la cena e lui come al solito ha rovinato tutto.
Era tutto perfetto, il ristorante, io e Nadine, la conversazione.

Tutto stava filando liscio, per la prima volta dopo tanto tempo.

«Che succede Kristian? Ho sentito urlare» la   sua fottuta voce mi fa innervosire ancora di più.

«Niente. Non succede niente Crystal» sibilo, guardandola negli occhi.

Quegli occhi tanto chiari e belli, su una persona tanto meschina ed egoista.

«Ora se non ti dispiace, puoi pure tornare a farti i cazzi tuoi» muovo le mani, indicandole la porta da dove è entrata.
«Sai che puoi parlare con me-»

Mi avvicino, finendo a qualche centimetro dal suo viso.
Stringo i pugni trattenendomi dall'urlare nuovamente.

«Non ho bisogno di te, del tuo aiuto. Non sei nessuno per me tu» sputo.
Lei mi guarda, facendo un passo indietro.

Incrocia le braccia al petto, e sorride. Quel sorriso sadico che fa parte di lei.

«Che ti piaccia o no, io sarò qualcuno per te, e non puoi farci niente. Dormici su Kristian, domani è un'altro giorno» mi accarezza il braccio, regalandomi un sorriso di scherno prima di uscire dalla stanza.

«Fanculo» un'altro pugno sul muro.

Le ferite sulle nocche si riaprono, e insieme a loro i lividi sulle braccia iniziano a pulsare.

Carlos ha voluto vendicarsi di quello scontro nel vicolo, e io ci sono finito nel mezzo. Non che tirare qualche pugno a Trevor e gli altri due sia qualcosa che rifiuterei mai, ma loro hanno ricambiato, e forte.

Mandare quelle foto al padre di Trevor è stata una ottima idea, lo conosco e so come potrebbe aver reagito. Ora si trovano tutti costretti a seguire le regole, che lo vogliano o no, sono costretti a non farsi notare troppo.

Scuoto la testa, mentre una risata mi scuote il petto.

«E mentre loro cadono giù, io posso finalmente vincere» mormoro, riprendendo il cellulare ed uscendo dalla stanza.

Quasi tutte le luci sono spente, l'intera casa sembra dormire e il suono della tv infondo al corridoio mi fa capire di non essere l'unico ancora in piedi.

«Non dormi?» dico, entrando nello studio.

La sedia gira.
«No, come vedi»

Mio padre mi guarda, con un bicchiere di vino nella mano destra.
«Vieni qui» mi richiama, con un cenno del capo.

Lo raggiungo, sentendo l'odore di vino invadermi le narici.

Si alza, costringendomi ad alzare di poco la testa per continuare a guardarlo negli occhi.

Sorride, mentre la sua mano libera colpisce velocemente la mia guancia, facendomi voltare di lato.

Mi rigira, bloccando con le mani la mia mascella.

«Non provare ad urlarle in quel modo un'altra volta. Permettiti e finirai senza un tetto sopra la testa» sputa, a pochi centimetri dal mio viso.

Annuisco, mentre le sue dita scavano nella mia pelle.

Stringo gli occhi.
«D'accordo» sussurro.

Le sue mani non sono più sul mio viso ma continuo a sentire le sue dita avvolgermi.

La gola mi brucia e stringo i pugni, cercando di mantenere la calma mentre lui si risiede, voltandosi e continuando a sorseggiare il suo bicchiere di vino.

Esco dalla stanza, con il petto pesante.

Quello che sto facendo, è giusto, non mi importa cosa dicono o cosa diranno.

È giusto così.

Stefan's Pov

«No Josh, sono stanco, non ho intenzione di starti a sentire di nuovo» urlo, stringendo il cellulare.

Sono stanco, nervoso e di nuovo...stanco.

Tutta questa situazione sta diventando stressante. Il nasconderci, l'ignorarsi e poi tornare a parlare sta diventando un loop infinito.

«Per favore ascoltami» la sua voce, dall'altra parte del telefono sembra quasi esasperata quanto la mia.

«Ma ti rendi conto di cos'hai fatto oggi? Non contiamo tutte le volte che dobbiamo nasconderci, non guardarci, non parlarci. Ma oggi Josh» sospiro. «Mi hai fatto sembrare un pazzo molestatore agli occhi di Dylan Jonson, mi si è lanciato addosso, che cazzo di frase è?» continuo, con la voce che stride ad ogni parola.

Un sospiro come risposta dall'altro lato.

Il silenzio, il solito silenzio che continua ad esserci tra noi ogni volta che succedono queste cose.
Passiamo da un estremo all'altro, prima ci urliamo contro e poi stiamo zitti, ormai stanchi di rivivere sempre le stesse situazioni.

Passano i minuti così, nessuno dice nulla, si sentono solo i nostri respiri che riempiono le nostre orecchie di parole non dette.

«Sono fuori la tua porta, mi apri?» sussurra ad un certo punto.

Chiudo gli occhi, cercando di mantenere la calma e di far rallentare il battito del mio cuore.

Mi alzo dal letto, per aprire la porta e ritrovarmi lui, così bello con quegli occhi azzurri purissimi, a guardarmi in un modo che mai mi era successo prima.

Sorride, facendo illuminare ancora di più quelle due pietre luminose che ha al posto degli occhi e il mio cuore perde un battito.

Mi fa sempre lo stesso effetto, non c'è un giorno dove il mio cuore non faccia delle capriole ogni volta che lo vedo, dove il mio stomaco non faccia danzare mille farfalle al suo interno.

Si avvicina, chiudendo dietro di lui la porta per poi poggiare entrambe le mani sui miei fianchi.

Il calore delle sue mani mi fa l'effetto opposto di ciò che qualcosa di caldo dovrebbe fare, mi fa rabbrividire, mandando delle scariche per tutto il corpo.

Avvicina il suo viso al mio provando a baciarmi.

«Non ci pensare proprio» dico, spostandomi di scatto e allontanandomi da lui.
«Se sei venuto qui per questo, hai proprio sbagliato»

Lui mi guarda, sbuffando e passandosi una mano tra i capelli.

«Sono venuto qui perché mi mancavi» ammette.
«Cazzo non attaccarti troppo a quello che ho detto, non sapevo cosa fare» si avvicina.
«Dylan è spuntato così, sai benissimo che nessuno sa di me, di noi»

Allargo le braccia e spalanco la bocca.
«Non stai facendo del male a nessuno Josh» urlo. «Sei te stesso, non capisco perché hai paura. Sissy e tutti gli altri ti vogliono bene, accetterebbero la cosa» sospiro.

Sbuffa, superandomi e sedendosi sul letto.
«Non capisci? Non voglio che si sappia così, voglio essere io a dirlo»

«E quando succederà?» chiedo, mettendomi davanti a lui.
«Non lo so» scuote la testa, poggiando i gomiti sulle ginocchia e tenendosi la testa con le mani.

«Sto solo aspettando...sto aspettando il momento giusto» alza la testa, guardandomi.

Mi si stringe il cuore a vederlo così spaventato, spaventato di essere se stesso, come se provare amore per qualcuno fosse un reato gravissimo.

«Il momento giusto non esiste Josh» mi avvicino, poggiando le mani sulle sue spalle.
«Non devi aspettarlo, non esiste. Devi solo prendere coraggio e capire che non fai niente di male se sei te stesso»

Mi guarda, poggiando la guancia sul mio braccio.

«Voglio solo stare con te ora» allunga le braccia, circondandomi la vita.

Passo una mano tra i suoi capelli e sorrido, facendogli brillare gli occhi.

Mi abbasso e poso le mie labbra sulle sue.
«Allora stai con me» mormoro, prima che le sue mani si spostino a coppa sulle mie guance per approfondire il bacio.

I brividi mi percorrono tutto il corpo e sento il cuore esplodermi mentre le nostre lingue si sfiorano sempre di più.

Finiamo sul letto, senza staccarci un secondo.

Le nostre mani che vagano, toccandoci con smania, come se il tempo per noi potesse finire da un momento all'altro.

«Posso farmi perdonare?» mi sussurra a fior di labbra.

Non rispondo, ma annuisco.

La sua bocca percorre tutta la mia mascella fino a scendere verso il collo.

Ho il fiato corto e trattengo un gemito quando lo sento soffermarsi su un punto preciso.

Sorride, lo percepisco sulla mia pelle.

Rimane fermo lì, a baciarmi, mentre i nostri bacini si sfiorano, facendomi gemere.

«Cazzo» ansima.
«Cazzo» ripeto, senza fiato, assecondando quel movimento che man mano aumenta di velocità.

La sua mano mi sfiora il ventre e poi scompare sotto il pantalone della tuta.

Gemo, al contato della sua mano contro la mia erezione.

La sua testa scende, continuando a lasciare una scia di baci. Abbasso lo sguardo incontrando i suoi occhi azzurri ora un po' più scuri, pieni di desiderio.

Mi mordo il labbro e porto il bacino per avanti non appena la sua mano inizia a muoversi su e giù lungo il mio cazzo.

Sposta ogni indumento, facendomi ansimare e gemere non appena il suo fiato colpisce il mio punto più sensibile.

Lo guardo mentre i suoi occhi continuano ad essere puntati sui miei, apre la bocca tirando fuori la lingua e leccando la punta, mandandomi scariche di piacere per tutto il corpo.

Butto la testa all'indietro non appena sento la sua bocca riempirsi con la mia intera lunghezza.

Muovo il bacino assecondando il suo movimento.

Geme, facendo vibrare anche me.

«Cazzo Josh» allungo il braccio, poggiando la mano sulla sua testa, in mezzo ai suoi capelli.

Sento la sua lingua ruotare mentre continua ad andare su e giù.

«Calmo-pian-piano» ansiamo.

Non voglio venire subito, ma lui continua aumentando la velocità e facendomi ruotare gli occhi.

Sento le dita dei piedi arricciarsi mentre un calore bollente si diffonde per tutto il ventre.

Stringo i suoi capelli tra le dita e gemo rumorosamente.

«Sto per-»

«Vieni per me angioletto» mormora, staccandosi per un secondo.

Questo nomignolo.

Spalanco gli occhi, sentendo il sangue pulsare più velocemente e gemo, venendo nella sua bocca.

Tremo, il mio bacino continua a muoversi per qualche secondo cercando di alleviare quegli ultimi secondi di piacere.

Lo guardo, mentre si avvicina a me e sorride.

Ho il fiato corto e la vista mezza appannata, ma ricambio il sorriso.

Ha i capelli scompigliati, le guance rosse e le labbra gonfie e lucide.

Lo attiro a me, baciandolo.

«Mi perdoni vero?» dice, lasciandomi dei semplici baci a stampo.

Rido, scuotendo la testa.
«Tanto vinci sempre tu»

Mi fa l'occhiolino e sorride, prima di alzarsi dal letto.
«Ho fame» ammette.

Spalanco la bocca per poi ghignare.
«Ma hai appena mangiat-» inizio.

«Cibo vero, ho fame di cibo vero Lev. Ma se vuoi continuo. Sappi però che continueremo all'infinito, perché non mi sazierei mai» si risiede, ghignando e io porto entrambe le braccia sotto la testa.

È così bello, un vero angelo. Chiama me angioletto ma non capisce che qui l'unico ad essere un vero angelo caduto dal cielo è lui.

Un angelo peccatore però, non credo che quello che è appena successo faccia di lui un angelo casto e puro.

Rido, facendolo sorridere come un bambino.

Il suo stomaco brontola facendomi morire le parole in bocca.

«Ordiniamo qualcosa?»
Annuisce.

Il mio stomaco, che sembra essersi risvegliato non appena ha sentito il suo, emette un suono rumoroso facendoci ridere entrambi.

«Ordiniamo qualcosa» ripete, annuendo.

Mentre io scuoto la testa e alzo il pantalone della tuta.

Sarà una lunga notte.










spazio autrice🎨:
ecco a voi il nuovo capitolooo, orario un po' diverso dal solito lo soo ma non vedevo l'ora di pubblicarloo💃💃

Spero che il capitolo vi sia piaciuto e soprattutto vi aspetto su
ig: @/artvmarystories per commentarlo insiemee🤞🏻
VOGLIO SAPERE LE VOSTRE OPINIONI E I VOSTRI PENSIERII✨
le cose iniziano a farsi interessanti soprattutto con l'arrivo di questi nuovi pov🧘🏻‍♀️

Vi voglio bene, ricordatevi la stellina ⭐️ per supportarmi💙

(vi aspetto anche su tiktok: @/artvmarystories )

🫂💙🫂

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