Alla ricerca di Denvar

Von renton_simo

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Due anni fa, Vaelor ha perduto un tassello fondamentale della sua esistenza. Denvar, il suo migliore amico d'... Mehr

𝐈.
𝐈𝐈.
𝐈𝐈𝐈.

𝐈𝐕.

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Von renton_simo

Deserto del Bolan. Casolare.

Una pantera psichica – nient'altro che un puntino nero, in mezzo ai colori caldi del Bolan – corre spedita tra le dune. Le sue zampe sfiorano appena la superficie della sabbia chiara, lasciandosi dietro una scia d'impronte, appena visibile dal tetto del Casolare. 

Vaelor assottiglia lo sguardo. Il Sole, ormai basso in quella direzione, allunga le zona d'ombra in prossimità degli avvallamenti, e quasi lo acceca. Eppure, è sicuro di averla vista. 

La pantera psichica, grande quattro volte una pantera comune, non è un semplice animale selvaggio. È una creatura mistica, che viaggia nelle intercapedini tra il piano di Arcadia e quello del Regno delle Ombre. Non emerge nel mondo fisico, se non è stata evocata da qualcuno. Per questo, esiste solo nelle Foreste attorno a Skotor... ed è la tipica cavalcatura degli Elfi Scuri del Sacerdozio del Buio. 

Sono tante, dunque, le persone a cui quella bestia potrebbe appartenere. Tra queste, però, ben poche avrebbero un qualche motivo di dirigersi verso il Casolare.

Anzi... Per la verità, solo una.

«Merda» borbotta il guerriero di Eldorian. Sigilla le palpebre, si isola in se stesso, e si morde il labbro inferiore. Trae un lungo, profondo respiro. Si solleva in piedi, con lentezza, sulle tegole. Beve l'ultimo sorso d'infuso e, con un gesto di stizza, getta lontana la borraccia ormai vuota, sulla sabbia, là dove si dissolve in un milione di pixel, come se non fosse mai esistita.

La figura umanoide, ammantata di nero dalla testa ai piedi, è ormai visibile, sulla schiena del grosso felino. Vaelor le volta le spalle e rientra dalla finestra priva d'imposte.

*

Poteva scegliere di non farsi trovare. Dissolversi, proprio come la borraccia che ha gettato via, così da evitare dell'incontro sgradito. Ha davvero valutato l'opzione, mentre scendeva le scale per raggiungere l'unica stanza spoglia del pian terreno. Ma, alla fine della fiera, un moto d'orgoglio – e di rancore – lo ha tenuto qui. 

Lui non ha alcun motivo di scappare. Non ha nulla, nulla, di cui vergognarsi. 

Ora se ne sta seduto, in attesa, su una delle due panche in legno a fianco del tavolino. Il suo sguardo è proiettato fuori dalla finestra, verso quel piccolo riquadro di sabbia e cielo in cui, poco a poco, la figura s'ingrandisce. 

La Sacerdotessa del Buio, giunta a pochi metri dalla porta, smonta dal dorso della sua pantera. Non ha redini, quella cavalcatura, né briglie. Non ha bisogno di essere governata, si ferma quando le viene richiesto. 

Le dita sottili dell'elfa ne accarezzano il manto scuro, tra le orecchie rotonde. Poi, solleva il viso. I suoi occhi, luminosi e privi di iride, scrutano all'interno della costruzione, da sotto il cappuccio nero bordato da finissime rune, ricamate col filo d'argento. 

Vaelor non si alza. Non si muove, non parla. Con espressione cupa e lo stomaco in subbuglio, tiene solo le braccia incrociate sul petto, strette in una tensione sfibrante, e segue con lo sguardo i contorni della lunga veste, che ondeggia piano sotto la spinta del vento. 

L'elfa sparisce nel punto cieco tra la finestra e l'ingresso. I suoi passi risuonano sulle assi del portico. Solo pochi istanti, e la porta – priva di maniglia e dai contorni rosicchiati dal tempo –cigola sotto la spinta leggera della sua mano.

Quando i loro occhi s'incontrano, un silenzio pesante, denso di un livore che proprio nel non detto ha trovato terreno fertile per attecchire, li estranea dallo scenario attorno a loro – dal quel deserto, dal Casolare – e li proietta su un altro piano, composto solo d'angoscia e di frustrazione.

Sul viso dell'elfa, il sollievo è sporcato da spruzzi di una delusione attesa. 

«Lo sapevo, che ti avrei trovato qui» gli sussurra. 

A passi lenti, avanza dentro la stanza. I suoi occhi rapiti scrutano tutt'attorno. C'è ben poco da vedere, in quel piccolo ambiente, e niente che lei non conosca già. Ma, sotto lo sguardo teso e impaziente del guerriero di Eldorian, lei solleva le dita al termine della lunga manica a sbuffo, e, nel camminare, sfiora le assi della parete. Poi è il turno del coperchio in ferro battuto dello scrigno appoggiato sul mobile stretto, poi dell'unico frammento di vetro, rimasto attaccato alla finestra... E si ferma.

Di fronte a lei, appesa a un chiodo, c'è una mantella corta e logora, di colore grigio, ormai piena di polvere. È solo una Cappa dell'Elusione Minore, priva di valore monetario. Ma l'elfa, turbata oltre ogni dire, allunga la mano tremante verso il tessuto. «Dio, questo posto... mette i brividi...» bisbiglia..

Vaelor stringe la mascella. Non c'è un motivo razione, ma non vuole che la tocchi. Cazzo, non deve toccarla. Non lei.

«Che cosa ci fai qui, Irina?» le chiede brusco.

L'elfa blocca la mano mezz'aria. Si volta, con un'espressione di compatimento sul volto. Lascia ricadere il braccio lungo la veste nera. 

«Cercavo te.»

Il guerriero si passa una mano sulla barba scura. «Ah, e c'era proprio bisogno di venire qui, per trovarmi?»

«A quanto pare sì, Maksym. Visto che, in altro modo, sei diventato irrintracciabile.»

Vaelor alza gli occhi al soffitto. «Cristo...» Proprio il tipo di conversazione che avrebbe voluto evitare.

«Non rispondi ai messaggi, non accetti le telefonate... Non ti alzi nemmeno per venire ad aprire la porta, se qualcuno ti suona al campanello. Ringrazia che sono venuta qui, e che non ho allertato i vigili per farti sfondare la porta... Visto che, per quanto ne sapevo io, avresti anche potuto essere... un cadavere.»

Il guerriero accenna una risata. Ma non è nient'altro che uno sbuffo amaro. «Be', come puoi vedere, non sono un cadavere. Stai pure tranquilla. E ora che il tuo dubbio ha trovato risposta...» Poggia la mano sul tavolo, si solleva in piedi. «Puoi anche andartene.» Si avvia verso le scale. «È stato un piacere rivederti. Io torno di sopra.»

«Maksym...»

«Che c'è?!» Si volta, nervoso.

«Ho parlato con Lyudmila, due giorni fa. Era il suo compleanno, te ne sei scordato?»

Il guerriero non risponde.

«Mi ha detto che vi siete lasciati.»

«Sì, è vero. E con ciò...? Non mi risulta che siano affari tuoi.»

«Quattro mesi fa, cazzo. Vi siete lasciati... quattro mesi fa. E mi ha detto anche che non ci lavori più, al magazzino, e che ora passi le giornate... da solo. Non parli più con nessuno. Nemmeno Viktor ti ha più sentito... almeno dal settembre scorso.»

Vaelor serra le mascelle. «Forse perché non mi va di vedervi né sentirvi» le sibila contro, cattivo. «Ci hai pensato, prima di presentarti qui di prepotenza? Hm?»

«Dio, basta con queste stronzate. Si può sapere che cosa cazzo ti succede?!» L'elfa fa tre passi in avanti, nervosa, e cerca il suo volto. «Che cosa ci fai, qui?!»

Ma Vaelor distoglie lo sguardo. Alle sue spalle, al di là della finestra, il Sole ha ormai iniziato a sparire oltre la linea dell'orizzonte.

«Prova... a risponderti da sola, Irina. Secondo te... che cosa ci faccio?» Cupo, gelido, torna su di lei «Eh?! Dimmelo. Vediamo fino a che punto si spinge la tua rimozione.»

«Maksym...»

Con una mossa improvvisa, Vaelor si distacca da lei. Le volta le spalle. «Faccio solo quello che voi... Che tutti voi... avete smesso di fare.»

«Maksym, porca puttana... sono passati due anni...»

«Sì. E quindi?! Cosa cazzo vuol dire, che sono passati due anni?! Che adesso... non ci importa più?! Che dovrei prendere esempio da voi, lasciarmi tutto alle spalle, divertirmi un po'... eh? Come se nulla fosse successo, hm? È così che fate voi, no...? Voi... avete smesso di cercarlo.»

«Maksym, ti prego, basta! Basta!» si lagna lei, con le mani in faccia, e il respiro sempre più corto. «Accetta la realtà, cazzo! Non, non–»

«No» sibila lui. «Sta' zitta.»

«Non... Non c'è più nulla da cercare...»

«Sta' zitta!» Con una pedata, la panca finisce a terra. Le va sul muso, fremente di rabbia. «Tu non lo sai! Non lo puoi sapere, Irina! Hai visto il suo corpo quando stavamo scappando, per caso?! Eh?! Hai letto il suo nome nei bollettini?! No, perché se ci fosse stato il suo nome, l'avrei visto io, per primo, visto che io ci penso! Io, sono l'unico che ancora controlla... Io sono l'unico che lo aspetta!»

Ma l'elfa, per nulla intimorita dal suo scatto d'ira, non arretra di un passo. «Cazzo, Maksym. Devi smetterla. Non... Non puoi andare avanti così.»

E, per un attimo, il guerriero si chiede se quella non sia la verità. Quanto ancora potrà resistere, prima di perdere il contatto con la vita reale... prima d'impazzire.

Deglutisce. Volge le spalle alla Sacerdotessa del Buio, e proietta lo sguardo al di là della finestra. Il Sole è sparito, ormai. E, anche se non può vederla, sa che da qualche parte, nella volta del cielo di Arcadia, risplende la Luna piena.

La Luna di Arcadia. Priva di fasi, Sempre... e soltanto... piena. Un mero oggetto di scena.

«Io non sono come voi, Irina» mormora, a mezza voce, senza guardarla. «Io non posso andare avanti... in nessun modo. Questo è solo... l'unico che mi resta. L'unico modo... che abbia un senso.»

«Ah, sì? Ha un senso? Questo ha un senso, per te...? Passare le giornate qui, nel MMORG in cui giocavamo da ragazzini, nella speranza che... che cosa?! Che Yuri, a distanza di due anni, a un certo punto, si logghi... e venga qui, o a Eldorian, per fare una quest con te...?»

«Il fatto che non fosse con noi sul treno per Užhorod non significa nulla, Irina. Ci sono... Ci sono un sacco di paesi che accolgono i rifugiati. Lui... Lui potrebbe essere ovunque, in questo momento. E se... Se non avesse altro modo di mettersi in contatto con noi, allora...»

La Sacerdotessa, alle sue spalle, sospira. «Devo sloggare, ora.»

Un flebile tintinnio, simile a quello di una tenda di cristalli smossa dal vento, riecheggia alle sue spalle. Quando Vaelor si volta all'indietro, Irina non è più nella stanza. Di lei, sono rimasti altro che gli ultimi flebili bagliori del log out.

Maksym, in uno scatto d'angoscia, si cala le cuffie dietro la testa. Ha un nodo in gola, non... non riesce a respirare. Non... 

Spinge le nocche contro i bulbi oculari, e preme. Non... piangere, non... piangere. Dieci secondi di apnea, il joystick in grembo, il caos attorno. 

Poi, il cuore ricomincia a battere in modo regolare. Le sue orecchie sono piene di un suono continuo e ovattato, e gli occhi, svuotati di ogni emozione, sono fissi sulla lattina di Monster, gettata poco prima contro il muro. 

Inspira piano dal naso, si riempie i polmoni. Si rimette le cuffie.

In effetti, a pensarci bene, la Sacerdotessa ha detto una cosa giusta.

Ha sempre dato per scontato che il primo posto sarebbe stato il Casolare. Non ha mai pensato di cercarlo... a casa.

Lo scrigno. In un attimo, Vaelor lo raggiunge; digita il codice per l'apertura, fa scattare il lucchetto. Ed eccolo lì, il ciottolo grigio con sopra una runa acquamarina. La Pietra del Ritorno.

«Riportami a Eldorian» sussurra il guerriero, prima di sparire in un vortice di luce azzurra. È improbabile che lo ritroverà lì, proprio stasera. Ma potrebbe esserci indizi... del passaggio.


Fine

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