Obsession

By Eris_Flames

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LA STORIA NON È ADATTA A UN PUBBLICO SENSIBILE! Nel cuore di Manhattan, il Red Tears è un elegante strip club... More

Diritti D'Autore
Personaggi Principali e Secondari
🦋
Prologo 🔴
Capitolo Uno
Capitolo Due
Capitolo Tre
Capitolo Quattro 🔴
Capitolo Cinque
Capitolo Sei
Capitolo Sette
Capitolo Otto 🟠
Capitolo Nove
Capitolo Undici Parte Prima
Capitolo Undici Parte Seconda
Capitolo Undici Parte Terza 🔴🟠
Capitolo Undici Parte Quarta 🔴
Capitolo Dodici 🟠🔴

Capitolo Dieci 🔴

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By Eris_Flames

Il profumo salmastro dell'oceano permeava nell'aria, densa dal sottile olezzo di smog che da generazioni caratterizzava la metropoli. Le onde battevano contro la costa, creando una melodia costante e rilassante. Le palme, maestose e spoglie, si protendevano verso il cielo nuvoloso, le loro fronde oscillavano leggere al ritmo della brezza marina.

La lussuosa limousine nera solcava le strade trafficate di Los Angeles, sfiorando il flusso frenetico di veicoli che si muoveva intorno. I vetri oscurati filtravano i raggi del sole e impedivano ai pedoni di ficcanasare al loro interno.

Con un'esecuzione impeccabile, il tassista parcheggiò davanti al Luminance Royale: il casinò più prestigioso di tutta la California. Scese dalla vettura e si diresse alla parte anteriore della carrozzeria. Aprì la portiera con un movimento deciso, rivelando due figure vestite in modo elegante e sobrio. Salutò con un inchino e si rimise al volante per sistemare la macchina in una delle aree preposte per gli habitué della bisca.

La scena circostante era un mix caotico di luci abbaglianti, clacson che suonavano e voci che si fondevano in un brusio di voci costante. Il cuore pulsante della megalopoli si dispiegava davanti ai loro occhi con i suoi grattacieli immensi che si elevavano verso il firmamento e le innumerevoli insegne fulgide che riempivano le loro facciate. Gli odori della città si mescolavano nelle loro narici: il cibo dei ristoranti vicini, la fragranza dei fiori di un mercatino nelle vicinanze e il sottile sentore di benzina causato dal traffico.

L'uomo arricciò il naso, disgustato dalla forte zaffata di hot dog proveniente dal baracchino posizionato sul l'altro lato del vicolo. Tra la confusione e il vociare dei viandanti che lo attorcigliava come una coltre sonora, si tolse i suoi Bose Frames per riporli dentro la tasca del suo smoking verde marcita di Ralph Lauren. Nella mano stringeva una valigetta nera di pelle. Con passo fermo e sicuro, allungò il braccio in direzione della donna al suo fianco, volendo farle da galante mentre entrambi si muovevano per attraversare il marciapiede e raggiungere la scalinata in pietra levigata di Carrara.

«Sul serio, Judas? Dopo così tanti anni non hai ancora imparato che queste cose non fanno per me?» pronunciò Eris, stizzita. Gli lanciò un'occhiataccia severa; si tolse il soprabito dalla tonalità del gesso e, con una smorfia diabolica dipinta sul volto, lo rassettò sopra la spalla larga dell'altro. «Se proprio non puoi farne a meno, tienimi questo.»

Judas si accigliò; con un mossa fluida, prese la giacca per posarsela sull'avambraccio muscoloso. Poi, con un certa nonchalance, affermò ai quattro venti: «Sei sempre così acida. Dovresti rilassarti un po'!» Di ricambio, ottenne un vaffanculo mimato solo con le labbra. Per un momento, aggrottò le sopracciglia in un atteggiamento di sdegno, ma dopo essersi ricomposto, si lasciò scappare un lieve sorriso.

Adorava quella donna.

A lei non interessava che fosse il figlio di Gabriel Veach: uno dei politici più influenti e ricchi degli Stati Uniti.

Il casinò si ergeva come un gigante imponente di fronte a loro con la sua struttura architettonica. Le linee moderne e sontuose disegnavano un profilo accattivante rispetto agli altri edifici vistosi. L'enorme insegna luminosa, bianca e scintillante, catturava facilmente l'attenzione dei passanti mentre le fontane scroscianti, adornate da statue dorate e dalie arancioni, conquistavano gli sguardi grazie al dolce fonema del loro profluvio ininterrotto. L'ingresso principale, ornato da colonne maestose e sculture suggestive, accoglieva i visitatori con un'eleganza regale.

Raggiunsero l'ingresso principale e si avviarono verso la reception. Con eleganza, estrassero il loro Vip Pass e li mostrarono al portiere, che con un sorriso deferente li fece passare all'istante. Superarono l'atrio principale, con le piastrelle di marmo che rispecchiavano la luce soffusa dei lampadari di cristallo, e si diressero in direzione della seconda hall situata al secondo piano. Lungo il percorso, furono costretti a muoversi tra la moltitudine di persone, ciascuna immersa nel proprio svago e divertimento. Il brusio vivace e festante della folla si fondeva con il suono snervante delle slot machine e dei tavoli da gioco, creando un ambiente elettrizzante.

Salirono sull'ascensore e dopo averlo azionato Judas gettò un occhio sul suo Rolex dorato. Si strofinò la fronte e sbuffò in balia della pigrezza; come sempre, erano in anticipo.

L'elevatore arrivò al livello desiderato; l'ambrogetta aveva ceduto il campo a una lussuosa moquette alizarina e a un'atmosfera più discreta. Una fila di bodyguard sorvegliava l'accesso all'unica zona privè di tutto lo stabile: un luogo riservato solo i giocatori più importanti ed esperti; una lega destinata solo per quelli che possedevano un patrimonio considerevole e che erano proclivi a rischiare esagerate somme di denaro unicamente per il gusto di trascorrere il tempo in oziose distrazioni.

Eris oltrepassò gli addetti alla sicurezza, dove una ragazza dai lineamenti orientali li attendeva coperta da un tipico Hikizuri blu polvere. Con una smorfia determinata, tirò fuori la lingua e palesò il suo lasciapassare: un monogramma verticale impresso col fuoco sulla superficie del glosso.

Judas si allentò il nodo della cravatta nera e fece altrettanto.

La Geisha ingoiò a vuoto, le dita tremarono un poco, però riuscì a nasconderle senza problemi sotto la manica lunga del Kimono. I margini della bocca, tinti di un rosso acceso, dissimularono in malo modo un fremito fugace. Ammodo, si inchinò in avanti; i capelli neri tenuti insieme dal kanzashi viola traballarono un poco. Le palpebre, dipinte da un ombretto verde smeraldo che metteva in risalto le sue iridi nere e dilatate, si assottigliarono in un scialbo tentativo di accortezza. «Stamani, la Signora Yamamoto non è molto propizia a visite non prefissate. Ci sono state delle inconvenienze negli ultimi giorni», poi si voltò si spalle e aprì il battente intarsiato da molteplici motivi floreali.

Gli altri due si lanciarono un'occhiata obnubilata, ma continuarono a seguirla attraverso l'ambulacro munito giusto da un paio di mobili ornamentali e stampe sumi-e tradizionali; le sopracciglia di Eris si curvarono dall'irritazione, strinse i denti e fece segno al suo accompagnatore di porgerle una delle sue Malboro rosse. Si accese una sigaretta, aspirando un paio di tiri di quel fumo compatto e amaro. Il suo volto si contorse in un'espressione di disgusto: la carta da parati arancione era un ulteriore fastidio al suo umore. I tramezzi venivano animati dal ritmo delle ombre proiettate dal sottile bagliore delle Tourou cilindriche appese al soffitto.

Il suono strisciante dello Shamisen cominciò a farsi udire tra il lene via vai dei frequentatori, crescendo d'intensità a ogni passo. Le note melodiche, evocative di tradizioni secolari, si insinuavano nel milieu con armonia ed equilibrio. L'odore di incenso s'infittì in modo progressivo, saturando l'aria con il suo estratto esotico e ipnotico.

Judas si coprì le froge con la sua pochette beige: non riusciva proprio a sopportare quel tanfo ottenuto dalla miscela di miele, resina e patchouli.

Arrivati a un bivio di due porte, supervisionate da due entraîneuse, si posizionarono lungo quella a destra. La miko, fasciata dal suo Jūnihitoe di seta rossa, riverì entrambi con un saluto formale. Senza dire una parola, estrasse dalla manica un tantō d'acciaio e lo rivolse verso astanti; il copricapo bianco, decorato con un nastro rosso e campanelli d'argento, tintennò a ogni delicato movimento.

Eris afferrò il manico del pugnale con foga, serrò la mascella e se lo passò senza alcuna esitazione sul palmo della mano destra. La lama tagliente affondò nella sua carne, generando un solco fine ma profondo; il sangue iniziò a germogliare dovizioso dalla ferita e a scorrere sull'avambraccio, delle minute gocce di liquido scarlatto finirono anche sul suo vestito asimmetrico dalle sfumature ametista. Poi si avvicinò alla sacerdotessa giapponese e, facendo scivolare la zona palmare grondante di cruore sul suo viso immacolato, recitò impassibile: «Watashi wa tada hitotsu ni tsukaeru.»*

Poi fu il turno di Judas; a differenza dell'altra optò per la mano sinistra.

La donna iterò la frase, li offrì due pezze pulite per tamponare la lesione e si piazzò lateralmente alla soglia di legno per girare la sua maniglia in ottone.

Lo sportello dell'adito si aprì con una lentezza aberrante, rivelando una stanza straboccante di opulenza e bramosia. Nella camera, Kaede Yamamoto giaceva sulla dormeuse, sdraiata nel suo Uchikake di lino dai colori vivaci; i ricami in oro brillavano al fulgore del camino in funzione. Con fare regale, teneva tra l'indice e il medio il suo Kiseru di bambù. Il suo vapore si librava nel salone, scontrandosi con l'aroma distinto e pastoso del takimono. Accanto a lei, su un vassoio di rame casellato, i frammenti di oppio emanavano un effluvio seducente e pericoloso.

La damigella che li aveva scortati per tutto il viaggio si prostrò per terra, in segno di riverenza. «Mia Signora... I vostri ospiti sono giunti»

Nel frattempo, un abile tatuatore lavorava utilizzando con maestria la tecnica del Teburi sulla spalla scoperta della matriarca. Ma si ritirò non appena gli venne dato l'ordine di fermarsi.

Madame Yamamoto si aggiustò la parte slacciata del Tomoeri e si alzò dalla sua comoda postazione per raggiungere con calma la dama china sul polito parquet. «Sakura, mio piccolo bocciolo di ciliegio... Lasciaci soli. È una questione importante», poi si piegò in basso e accarezzò la guancia pienotta della figlia minore.

Sakura annuì e seguì le indicazioni senza obbiettare.

«Precisi come il battito del gong», sentenziò Kaede, mentre ritornava a posto. Li invitò a sedersi proprio sulla pouf in cashmere di fronte alla sua. Con un gesto di teatrale protervia, agitò il polso sinistro e ordinò a una delle Nuhi presenti di servire loro del Matcha caldo.

«Sono passati mesi dall'ultimo rendez-vous, Kaede. Ho una consegna importante che mi attende. Va' dritta al punto», declamò Eris, più sbrigativa del solito. Aveva tanto altro di cui occuparsi, ed era già mezzogiorno.

La capostipite della fazione Yamamoto accavallò le gambe e socchiuse gli occhi in due strette fessure. Iniziò a tamburellare con la pipa sul tavolino dinnanzi alle sue ginocchia e corrucciò le ciglia; non sopportava quella ragazzina. I suoi modi irrispettosi e qualunquisti l'aizzavano parecchio. La sua insolenza era un affronto diretto alla sua autorità. Ma si trattenne dal farle la ramanzina.

D'altronde, si trovavano sullo stesso lato della scacchiera.

«Abbiamo avuto un piccolo inconveniente alla 123 Fifth Avenue, Appartamento 7B», pronunciò Kaede, mentre posava sulla superficie del tavolino delle fotografie stampate in formato A4. Dopo essersi passata le dita tra i capelli lunghi, dalle ciocche corvine e lisce, continuò: «Brandon C. Nall è solito rompere qualcosa durante le sue prestazioni. Il suo amore per il sadomaso e il roleplay sfocia spesso in un paio di buchi al muro... Questa volta, però, si è spinto oltre.»

Eris afferrò i fogli e li scrutò con attenzione.
Le raffigurazioni in color seppia raccontavano di pareti scalfite e macchiate. C'erano mobili rovesciati e danneggiati. La moquette, sporca e macchiata da liquidi vari, era da sostituire. Del vetro frantumato era sparpagliato ovunque, testimone di bottiglie infrante e di uno sfogo violento.
Una ruga si formò nella sua fronte; si morse l'interno della gota e lanciò le immagini all'aria. Con un colpo secco, si alzò dal sofà, sbattendo le mani sull'asse levigata del banco. In preda a un forte senso di deplorazione, sbraitò incurante di chi si trovasse davanti: «Ci hai convocato qui per una bagatella simile? Mi prendi per il culo, Kaede? Sei ore di volo per questa misera questione?», si massaggiò le tempie doloranti e sospirò per alcuni istanti per riprendere il controllo sui suoi nervi. «Avresti potuto chiedere un semplice assegno.»

Rispetto alla contingenza, la loro presenza appariva sconfacente.

Gli Yojimbo scattarono all'immediato: estrassero le loro pistole dalle fodere di nylon e le puntarono sugli anfitrioni.

Judas abbozzò un sorriso caparbio e lambì il fianco della figura al suo fianco. «Datti una calmata», le impose con pacatezza, mentre si destreggiava a tirar fuori un Davidoff Oro dal suo umidor portatile. Lo accese e prese un paio di boccate. «Come è risaputo, la mia assistente scarseggia di pazienza. Ma, a ben vedere, non posso rimproverarla del tutto. Il viaggio è stato lungo e ci rallegriamo per la vostra affabile accoglienza. Tuttavia, sarebbe stato più fruttuoso richiedere un assegno. Non è forse questa la prassi?»

Ex novo, la Oyabun sopportò in silenzio. Torto non avevano. Gesticolando, intimò alle proprie guardie del corpo di retrocedere e far finta di nulla.

Eris, dal canto suo, si buttò sul materasso imbottito del divano e si stiracchiò la schiena, non curante.

I loro sguardi si scontravano come katane affilate, senza pietà e con il chiaro proposito di sottomettere l'altro.

Una delle servitrici fece ritorno insieme a un vassoio contenente delle Yunomi di porcellana chiara e una teiera fumante; la postura, impettita ed esemplare come il suo fiato corto ma regolare, s'incurvò con eleganza per allestire il ripiano del Chabudai. Dopo, con la stessa compostezza, servì loro il tè verde.

Madame Yamamoto piegò il capo dinnanzi alla défaillance, stringendo il bocchino della pipa tra le labbra, coperte di rossetto blu. Rassegnata, ingoiò il rospo velenoso che le bloccava la gola. «La superbia è un pessimo consigliere, Eris, inesorabilmente condanna i suoi adepti alla rovina», propugnò con malizia. Il suo volto, dai tratti delicati e gli occhi scuri penetranti, esprimeva astuzia e fermezza. I suoi zigomi, abbelliti da brillantini arancioni, si sollevarono un poco, tradendo il suo disappunto per l'atteggiamento protervo della giovane. Il suo portamento fiero e pragmatico trasmetteva una sicurezza incolmabile, tuttavia, di fronte a Eris tutta quella sensazione di gloria svaniva come un granello di sabbia trascinato via dal vento.

Si lasciò sfuggire un sibilo di fastidio. Come poteva essere possibile che in casa sua non riuscisse a detenere il comando assoluto? Nessuno avrebbe mai osato parlarle in quel modo. Eppure, quel tenero faccino non aveva indugiato nemmeno una volta a usare il suo capo come appoggiapiedi.

Alla presenza di Eris, il suo ego si piegava sotto il potere del suo stesso timore.

Contro di lei, si sentiva impotente.

Per anni aveva bramato di poterle anche solo darle un pizzicotto, ma quella ragazzina era come una statua d'avorio: intoccabile.

Agguantò la tazzina di ceramica gialla e prese un sorso della bevanda senza zucchero.
Dopo un leggero colpo di tosse, urlò a pieni polmoni. «Takeshi.»

Uno degli Shoji si aprì; l'anta di legno scorse in modo silenzioso lungo il suo binario di cedro, producendo un leggero fruscio. La carta di riso incollata sopra di essa scricchiolò appena.

Una sagoma si stagliava nell'ombra, circondata da una bruma enigmatica e carismatica. In secondo ordine, lontano dai riflettori, incominciò a fare i suoi primi passi. Le linee slanciate e atletiche suggerivano una grazia naturale; il suo ritratto rivelava poco a poco una miscela affascinante, dovuta al suo ascendente gallico e nipponico. La cesarie scure e ricciolute, cadevano sui lati della collottola, incorniciando un viso dalle sembianze misurate e attraenti. Le iridi cobalte, eredità del padre francese, contraddicevano la sua espressione riservata e misteriosa. Vestito di un completo burgundy su una camicia bianca, avanzava deciso, con un borsa fra le dita, verso la sua signora.

A un tiro di schioppo dalle caviglie della madre, scaraventò di peso il sacco sul pavimento.

«Questa è la seccatura per cui siete stati convocati», pronunciò Kaede, rigida come un palo di ferro. Afferrò una porzione di droga e la inserì nella camera di combustione del suo kiseru.

Judas sospirò e di controvoglia, con un cenno delle ciglia, fece aprire la zip sigillata del borsone.

«Tutto qui?», ridacchiò Eris. Emise un volontario sbadiglio di dileggio e, insieme a Judas, si alzò per andarsene via. Senza alcuna incertezza, salutò neghittosa.

Avrebbe provveduto a risolvere quel microscopico e insignificante impiccio.

Alla fine, disfarsi di un corpo era una delle sua specialità.

Prese il cellulare e iniziò a digitare sui tasti dello schermo. Poi si aggiustò le pieghe dell'abito con la scollatura asimmetrica e liberò in ghigno subdolo.

Darla in pasto ai maiali sarebbe stato più che sufficiente.

⚜️

*Watashi wa tada hitotsu ni tsukaeru: Io servo un solo Signore.

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