Undercover

נכתב על ידי hajarstories_

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⚠️TW⚠️ In questo libro saranno presenti argomenti come: stress post traumat!co, maf!a, sostanz3 stupefacent... עוד

Capitolo 1
Capitolo 2
Capitolo 3
Capitolo 4
Capitolo 5
Capitolo 6
Capitolo 7
Capitolo 8
Capitolo 9
Capitolo 10
Capitolo 11
Capitolo 12
Capitolo 13
Capitolo 14
Extra Kathrine
Capitolo 15
Capitolo 16
Capitolo 17
Extra Alejandro
Capitolo 18
Capitolo 19
Capitolo 20
Capitolo 21
Extra Weston
Capitolo 23
Capitolo 24
Capitolo 25
Capitolo 26
Capitolo 27
Epilogo
Ringraziamenti

Capitolo 22

220 15 54
נכתב על ידי hajarstories_

Se un uomo ha una
coscienza soffrirà per
i suoi errori, quello
sarà il suo castigo e
anche la sua prigione.
Dostoevskij

⋅•⋅⊰∙∘☽༓☾∘∙⊱⋅•⋅

San Diego, California

Alejandro

Il Natale era sempre stato una perdita di tempo e di soldi. Perché mai avrei dovuto spendere centinaia di migliaia di dollari in regali e addobbi?

Sin da quando ero un bambino, non mi era mai stato possibile ricordare un Natale passato in famiglia e quell'anno non era stato di certo diverso da quelli precedenti.

L'unica cosa che vedevo davanti ai miei occhi, in quel momento, era il mio piano. Nient'altro. Niente tavola imbandita, regali impacchettati, alberi addobbati e men che meno lo spirito natalizio. Solo a quell'ultimo pensiero risi di gusto.

"Spirito natalizio", sul serio? L'uomo aveva inventato migliaia di cose durante il corso dei secoli, ma la concezione dello "spirito natalizio" era una delle più assurde.

L'uomo passava l'intero anno compiendo azioni abominevoli per poi rincuorarsi il venticinque dicembre cercando di fare qualche gesto premuroso che avrebbe potuto non procurargli un biglietto di sola andata per l'inferno. Eravamo egoisti. Di fare bei gesti per far contenti gli altri non ci importava niente. L'importante, alla fine, era stare bene con sé stessi. E io, stavo alla grande! Non avevo bisogno di donare metà del mio patrimonio a un orfanotrofio per dormire sonni tranquilli la notte. Mi bastava sapere di essere lontano dall'FBI e che il mio conto corrente aveva un gran numero di zeri.

Ormai il primo dell'anno si stava avvicinando e il mio corpo era pervaso dall'adrenalina.

Il piano era semplice ma anche incredibilmente meraviglioso: un'opera d'arte.

Da tempo ormai avevo allargato il giro di spaccio. Trasportare un intero container da un paese all'altro contenente armi e droga non costava di certo poco. Così, per racimolare più soldi possibile, mi è bastato vendere più droga. Facendo così, non solo guadagnavo più verdoni, ma facevo in modo che più gente diventasse dipendente e, di conseguenza, diventasse mio cliente. L'obiettivo finale era quello di trasportare quel container a San Diego, certo, ma non avrebbe avuto senso se non avessi avuto clienti a cui vendere la droga.

Il secondo step era stato quello di contattare mio cugino. Avevo affidato a lui il ruolo di ultimare i dettagli finali dopo esser ritornato sul suolo americano. Infatti, un paio di mesi prima, ero andato io stesso a Tijuana per vedere come stesse procedendo la situazione. Era ovvio, però, che non potevo permettermi di far costantemente avanti e indietro dall'America al Messico se non volevo avere problemi. Così, avevo affidato il tutto nelle mani di mio cugino Alvaro.

Alvaro era sempre stato come un fratello per me. Non ci parlavamo molto ma sapevamo che ci saremmo sempre stati l'uno per l'altro in qualsiasi situazione. Ed era sempre stato così, sin da quando eravamo piccoli.

Sarebbe tutto avvenuto tra meno di una settimana.

Meno di una settimana e avrei creato un vero e proprio impero.

Meno di una settimana e sarei stato il narcotrafficante più grande e più temuto dell'intero continente americano se non del mondo.

⋅•⋅⊰∙∘☽༓☾∘∙⊱⋅•⋅

Houston, Texas

Claire

Per la prima volta dopo anni la mia coscienza mi aveva dato tregua almeno per ventiquattro ore. Avevo trascorso a Houston dei giorni sicuramente molto movimentati, ma non mi lamentavo. E come avrei potuto?

Ero felice.

Avevo rivisto e riabbracciato la mia amata mamma e avevo rivelato tutta la mia storia a Weston sentendomi di conseguenza più leggera.

Stavamo insieme.

Weston non mi aveva abbandonata.

Certo, una parte di me temeva che mi avrebbe lasciata, esattamente come avevano fatto George e Monica, però mi ero prefissata di non ascoltarla. Avevo un altro motivo per il quale lottare. Il sonno molto probabilmente non sarebbe ritornato e la cicatrice sulla coscia avrebbe continuato a far male, ma avevo un po' più di forza e di speranza.

L'amore, cosa che ancora non credevo di provare, non mi avrebbe di certo guarita perché per quanto avessi voluto, quella non era una fiaba, ma la vita reale. Potevamo dire che la mia relazione con Weston aiutava. In quel momento non ero più sola intenta a percorrere quel percorso buio e tortuoso, ma avevo una persona che mi avrebbe appoggiata a sostenuta lungo il cammino fin quando entrambi non avremmo trovato un percorso migliore da seguire.

Il moro aveva ragione. Nessuno dei due stava bene e avremmo sicuramente dovuto chiedere aiuto a qualcuno di esperto. Per le nostre vite, per il nostro lavoro e, soprattutto, per noi stessi.

Avevo già intrapreso un percorso con una psicoterapeuta anni prima, subito dopo la morte di George. Insomma, non che avessi avuto molta scelta.

Scesi le scale con la valigia e fissai quel punto davanti alla porta e, come per magia, la figura di mio padre accasciata al suolo comparve davanti ai miei occhi. Le urla degli agenti di polizia e le sirene delle loro auto si propagarono attorno a me. Spostai lo sguardo e accanto a mio padre vidi la me di otto anni che guardava pietrificata il corpo di quello che ormai non riconosceva più. Sorrisi amaramente quando percepii nuovamente le braccia dell'agente che mi strinse contro il suo giubbotto antiproiettile affinché non continuassi a vedere quella scena.

«Claire?» chiamò ad alta voce Weston toccandomi il braccio. «Tutto bene?» continuò con aria preoccupata.

Weston mi ricordava un po' quegli agenti che avevo incontrato vent'anni prima. Anche lui si era armato di pazienza e aveva atteso l'attimo giusto.

Quella era la mentalità degli agenti che non sempre era quella giusta.

"Meglio avere un trauma che perdere la vita". Ero certa che tutti quegli agenti avevano pensato la stessa cosa.

E io ero incerta.

Insomma, certo, era bello essere vivi, ma sarebbe stato decisamente stupendo riuscire a dormire la notte e non avere problemi di fiducia.

L'unica cosa positiva di tutta quella faccenda? Mio padre era morto. Io e mia madre eravamo vive. Quello era ciò che più importava.

«Ricordi» sussurrai voltandomi verso di lui con un sorriso triste. Ormai era inutile mentirgli dato che in un modo o in un altro riusciva sempre a capire quando non mi sentissi bene come in quel momento.

«Andiamo?» domandò accarezzandomi i capelli che avevo fatto ritornare lisci.

Annuii per poi chiamare a gran voce il nome di mia madre che subito accorse verso di noi.

«State già andando via?»

«Abbiamo l'aereo tra un paio d'ore» risposi mentre stringeva tra le sue braccia Weston che dovette chinarsi un po' data la bassa statura di mia madre.

«Va bene. Mi raccomando, non fatevi male, non mettetevi in pericolo, se succede qualcosa chiamate Mary e fatevi aiutare. E tu, signorina, una volta finita questa missione prenditi una pausa e vieni a visitare la tua vecchia mamma. Weston, lo stesso discorso vale ovviamente anche per te, intesi?» continuò mia madre puntandoci un dito contro con un'espressione severa in viso.

«Staremo bene, mamma, non ti preoccupare» risposi abbracciandola e lasciandole un bacio sulla guancia.

Dopo essermi staccata con un sorriso triste in viso, afferrai la valigia seguendo Weston verso la porta.

Il taxi che avevamo precedentemente chiamato era già fermo che ci aspettava e, dopo gli ultimi saluti e dopo aver messo la mia valigia e il suo borsone nel portabagagli, partimmo in direzione dell'aeroporto.

L'IAH, ovvero l'aeroporto Intercontinental George Bush di Houston, era uno dei più grandi aeroporti sul suolo americano, anche se non era niente di paragonabile al LAX o l'ATL.

Dopo tutti i controlli necessari e qualche minuto d'attesa, finalmente salimmo sull'aereo alla ricerca dei nostri posti.

«14D e 14F» disse Weston guardando i biglietti che teneva tra le mani mentre io avanzavo davanti a lui guardando i numeri sotto le cappelliere.

«Siamo-» qui. Avrei voluto dire "siamo qui" se non mi fossero morte le parole in bocca.

C'era una figura seduta vicino ai nostri posti, esattamente in 14E.

I corti capelli biondi le accarezzavano il viso magro mentre il sorriso beffardo si allargava sulle sue labbra. Le mani affusolate e pallide accarezzavano il pancione coperto da un maglione di lana a causa del freddo invernale.

«Kathrine! Ma che bella sorpresa! Cosa ci fai qui?» domandai curiosa cercando di far finta di niente.

«Dovrei chiedervelo io. Questa non mi sembra Chicago...» disse mentre Weston posizionava i nostri bagagli nelle cappelliere dopo l'ordine dell'hostess di prendere posto.

Mi sedetti vicino al finestrino e vidi Weston sedersi vicino a Kathrine che era in mezzo a noi.

«Oh, abbiamo fatto scalo qui. Tu, invece?» domandai allacciandomi la cintura mentre cercavo di non mostrare il mio nervosismo.

«Non mentirmi, Claire...»

A quel nome pronunciato dalle sue labbra un brivido mi passò lungo la schiena facendomi immobilizzare all'istante.

«Cosa stai dicendo? Kathrine io sono Elizabeth.»

«Sapete, non è stata una mossa molto furba quella di venire qui in Texas, non credete? Sì, forse andare fino a Chicago durante questo freddo non è una delle migliori esperienze da fare, ma sarebbe stato meglio» continuò incurante delle mie parole.

«Cosa vuoi, Kathrine?» domandò Weston con tono serio girandosi verso di lei.

Era davvero finita?

Eravamo davvero spacciati?

Mi passai una mano tra i capelli dandomi della stupida. Perché? Perché avevo deciso di rischiare così tanto? Perché ero stata così incredibilmente stupida?

«Alejandro lo sa?» domandò il moro mentre io stavo pensando alla prossima mossa.

Kathrine era una marionetta. Era manipolabile, soprattutto dal messicano.

«Dovreste temere il vero boss del cartello, non un sempliciotto come Alejandro» continuò la bionda mentre l'aereo prendeva quota in direzione di San Diego.

«Cosa intendi dire?»

«Il vero capo del cartello di Tijuana non è Alejandro, anzi, se vogliamo dirla tutta, non lo è mai stato» rivelò continuando ad accarezzare il suo pancione.

Kathrine prima di essere una tossicodipendente, una pallavolista, una marionetta nelle mani di Alejandro, era una madre.

«Un accordo di immunità, ti offriamo un accordo di immunità, Kathrine.»

⋅•⋅⊰∙∘☽༓☾∘∙⊱⋅•⋅

Kathrine

A quelle parole il mio sorriso svanì.

«E perché mai dovrei volere un accordo di immunità? Vi ho scoperti, appena atterreremo mi basterà una singola telefonata e sarete entrambi morti. Sono io che ho il coltello dalla parte del manico» affermai a denti stretti verso la donna che sedeva accanto a me.

«È Xavier, vero? È lui il boss del cartello, non è così?»

«Come...?» sussurrai incredula a ciò che avevo sentito.

«Sono "la mentirosa", Kathrine, la miglior agente speciale sotto copertura dell'intera DEA. Credevi davvero che non l'avrei capito? Tu tremi davanti ad Alejandro ma se non è lui il vero boss allora non può che essere Xavier, suo padre. Per questo alcune volte sparivi per ore per poi fare ritorno senza che Alejandro lo venisse a scoprire. Andavi a San Francisco e, sono certa, che se adesso dovessi chiamare la DEA, mi invierebbero i filmati delle camere di sicurezza del carcere nel quale vi è Xavier Garrido. Non mi sorprenderei se dovessi vedere il detenuto parlare con una giovane donna dai capelli biondi a caschetto e con un pancione. Coraggio, dimmi che mi sbaglio! Dimmi che il boss del cartello di Tijuana non è Xavier!»

Rimasi a bocca aperta. Xavier mi aveva detto di seguire Elizabeth e io l'avevo fatto. Avevo mentito ad Alejandro dicendogli che sarei andata in Oregon per fare pace con la mia famiglia. Inutile dire che avevo seguito la coppia durante il loro viaggio in Texas per poi fare ricerche per scoprire il più possibile informazioni su di loro. Inizialmente non capivo perché avessero scelto proprio Houston al posto di andare effettivamente a Chicago ma, chiedendo un po' in giro e seguendoli, avevo scoperto le loro vere identità.

«I miei complimenti, mentirosa. Ma sentiamo, di cosa si tratta questo accordo di immunità di cui parlavi?» domandai assottigliando lo sguardo curiosa.

«Dieci anni» disse con un sorriso di scherno.

A quelle parole strabuzzai gli occhi sistemandomi meglio sul sedile per poi scoppiare in una fragorosa risata.

«Dieci anni, stai scherzando?»

«Scegli, Kathrine! Ti fai dieci anni di carcere e quando esci tua figlia avrà lo stesso numero di anni che avrai passato dietro le sbarre. Avrai ancora tutta la vita per crescerla nel migliore dei modi. E, tra l'altro, potrebbero farti uscire prima per buona condotta. Se rifiuti, ci sono due scenari: il primo prevede la nostra vittoria contro Xavier e la tua incarcerazione. Non sei solamente una complice, ma eri il sicario di Alejandro, non dimentichiamocelo. Sono minimo trent'anni. Trent'anni, Kathrine. Esci di prigione e tua figlia avrà la stessa età che hai tu adesso. Avrei perso tutti i momenti più importanti e la bambina crescerà in qualche comunità, orfanotrofio o famiglia adottiva che sia. L'altro scenario è che voi abbiate la meglio. Io e Weston saremo morti, tu darai alla luce tua figlia e la crescerai per quello che potrai. Poi, Alejandro, o peggio Xavier, la crescerà allenandola affinché un giorno possa prendere le redini del cartello diventando una narcotrafficante.
A te la scelta.»

Pochi minuti e già potevo affermare che parlare con Claire era decisamente più interessante che parlare con Elizabeth.

«Ah, e non dimentichiamoci di Miguel...»

«Cosa c'entra Miguel?» domandai innervosendomi al sentir pronunciare il suo nome.

«Credi davvero che non me ne fossi accorta? Tutti quegli sguardi alle spalle di Alejandro...» sussurrò sogghignando con sguardo vincente mentre mi accarezzava i capelli sistemandomeli dietro l'orecchio.

Era lei ad avere il coltello dalla parte del manico in quel momento.

Rimasi in silenzio pensando a ciò che avrei dovuto fare.

Accarezzai il pancione e in quell'esatto istante percepii la piccola calciare.

Dovevo scegliere ciò che era meglio per lei, non per me.

Xavier aveva promesso che ci avrebbe protette ma, in fondo, era lui l'uomo che aveva cresciuto Alejandro. Era lui stesso un mostro, sennò come sarebbe stato possibile per lui crescere Alejandro in un'altra maniera?

Volevo che mia figlia crescesse lontano da tutto quel caos. Volevo che avesse la vita che io sin da piccola avevo sempre sognato di avere.

Volevo che fosse felice e che crescesse bene. Volevo essere una brava mamma per lei che era parte di me.

Una lacrima scappò incontrollata lungo la mia guancia e mi affrettai ad asciugarla con mani tremanti.

Mi voltai verso Claire e la trovai in attesa di una risposta.

Un altro calcetto che mi ricordò della presenza nel mio piccolo angioletto.

Un'altra lacrima.

«Va bene, accetto l'accordo d'immunità, agente...»

⋅•⋅⊰∙∘☽༓☾∘∙⊱⋅•⋅

Nota dell'autrice

Ciao a tutti, come state spero bene.

Ecco a voi il capitolo di oggi!

Ormai manca poco al piano di Alejandro e, di conseguenza, alla fine.

Abbiamo scoperto chi è lo sconosciuto che seguiva Wes e Claire ma la situazione sembra risolta. SEMBRA.

Spero che il capitolo vi sia piaciuto e vi avviso già che il prossimo sarà l'extra di Weston.

Vi ricordo inoltre che se volete leggere il mio primo romanzo "Le profezie dello zodiaco", potete trovarlo disponibile su Kindle/Kindle unlimited e se invece volete la copia cartacea potete scrivere nei direct alla casa editrice (read&lovepublishing).

Vi voglio bene!

Alla prossimaa<33

ig: hajarstories_

tik tok: hajarstories__

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