Still A Lie

By MyMangaWorld

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Quando la droga diventa la tua unica dipendenza, non hai vie di scampo, sei consapevole di vivere la tua vita... More

02- Ho paura e ti amo
03- Di te, di me, dimmi che cosa resterà?
04- Quante volte nei sogni mi hai chiamata Amore
05- Per tornare insieme a te in un'altra realtà, sono tornato alla droga
06- Ogni giorno della mia vita, mi manchi
07- Dove sei? Riesci a sentirmi?
08- Resta qui con me, non andare via

01- Ancora una bugia

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By MyMangaWorld

"Sono caduto e nessuno mi ha rialzato perché la gente si cura solo di se stessa, non si è mai preoccupata del prossimo."

Ed eccolo lì, stesso bar, stesso posto, stessa compagnia. Ian era così, ogni mattina come sua consuetudine prendeva sempre un croissant e un espresso insieme al suo migliore amico, Paul.

Era qualcosa che lo faceva stare bene e lo faceva preparare mentalmente alla sua giornata lavorativa, che giorno dopo giorno, si mostrava sempre più impegnativa.

Ian aveva trentatré anni, coniugato e padre di un figlio. Amava la sua famiglia più di ogni altra cosa al mondo, ma qualcosa gliene faceva dimenticare, gli controllava la testa fino a fargli perdere la ragione: la droga.

Quell'attrazione irresistibile lo faceva addentrare in un altro mondo, gli faceva dimenticare di ogni forma di pensiero e gli faceva rincontrare chi adesso non poteva più vedere, qualcuno di caro che purtroppo aveva perso nel corso della sua vita.

Questo era lui, questo era il suo modo di affrontare le perdite e i problemi.
La droga, di questo Ian viveva.

Ma tutto questo solo perché non aveva scelta nella vita, era condannato e viveva solo di questo. Non era felice, non sapeva cosa stava facendo della sua esistenza. Non sapeva ribellarsi al suo io, non aveva nessuno che potesse aiutarlo. Ed era questa la sua condanna a morte, nessuno lo salvava.

Ma quell'uomo dai capelli nero corvino, e dagli occhi trasparenti, in realtà aveva soltanto bisogno di comprensione. Di qualcuno che potesse farlo cambiare.

«Ian, è maleducazione guardare altrove quando proprio davanti a te ci sono io. Dovresti saperlo» rimproverò spiritosamente Paul, aggiungendo dello zucchero nel suo espresso. «Ultimamente ti vedo molto turbato e questo mi disturba. Non mi racconti più niente da un paio di giorni. C'è qualcosa che non va in te. Dimmi, come va con tua moglie, avete litigato ancora?» chiese notizie Paul, cercando di capire cosa potesse avere Ian.

«Futili discussioni, ma va tutto a gonfie vele, ci amiamo e questo è quello che conta, no? O almeno è così che si dice» rispose Ian, che stava picchiettando le dita sul bancone, ma in maniera molto nervosa. Stava dicendo una bugia, non sapeva nemmeno lui come stavano in realtà le cose con sua moglie. Nulla andava per il verso giusto.

Si chiedeva frequentemente per quale ragione sua moglie Rebecca, quando lui ne aveva necessità, gli forniva l'eroina invece di aiutarlo. Perché non provava a salvarlo da quel vizio incorreggibile?

Ma il suo migliore amico Paul nonostante tutte le confidenze, non sapeva niente di tutto questo. E non comprendeva delle volte il perché del suo strano atteggiamento. Era a conoscenza del suo malessere, ma non era al corrente di una cosa tanto grave. Ian non gliene voleva parlare, era davvero troppo difficile da raccontare tutto questo proprio a lui, non lo avrebbe accettato e non lo avrebbe compreso.

«Sono le nove in punto, dovrei fare lezione, è la mia ora. Augurami buona fortuna» salutò in fretta l'amico e corse via, lasciandogli un sorriso. Mentre Paul rimase lì, sarebbe andato alla fine delle lezioni all'uscita dell'università come ogni giorno, per incontrare una delle alunne di Ian con cui era in ottimo rapporto.

Ian era un professore, adorava il suo lavoro e aveva faticato tanto per arrivare a dove era adesso. Faceva tanti errori, eppure lì dentro spiegava giorno per giorno il senso della vita, cercava di non far commettere ai suoi alunni degli errori, che ironicamente poi commetteva lui.

Ma perché spiegare quale dono prezioso essa sia per poi sbagliare e cercare di togliersela?

Era una domanda che si poneva raramente, ma quando lo faceva era l'unica alla quale non trovava mai una risposta. Ma la verità era che non esisteva giustificazione a tutto questo.

«Buongiorno ragazzi!» salutò col gesto della mano gli alunni, mentre a passo veloce cercò di arrivare con rapidità in aula. «Ciao Elena, spero di trovarti più calma degli altri giorni» disse alla sua alunna, intenta a sfogliare le pagine del suo diario in mezzo al corridoio.

«Professore, non si preoccupi di questo» corse verso di lui. «E mi dispiace per la discussione che abbiamo avuto ieri in aula. Cercherò di tenere a freno la lingua la prossima volta» chinò il capo come se stesse aspettando il suo perdono, il perdono di quell'uomo a cui lei teneva particolarmente nonostante il loro brutto rapporto.

«Non pensarci nemmeno, abbiamo dei punti di vista differenti. E poi si tratta di te, so che farai sempre così» sorrise accarezzandole la testa, cosa che Elena non si sarebbe mai aspettata. Difficilmente manifestava affetto verso quella ragazza e di questo si preoccupava. La pace fra di loro sarebbe durata poco. «Verrai a lezione o andrai via come al solito?»  chiese, gentilmente.

«C-certo» balbettò imbarazzata e subito dopo abbassò lo sguardo verso il pavimento, quella figura davanti a lei aveva il potere di farla cedere, non riusciva a guardare i suoi occhi azzurri per più di qualche secondo. «Certo che verrò» rassicurò e poi sorrise.

Ian la guardò per un istante per poi voltarsi ed entrare in aula.
Tutti si sollevarono in piedi per poi tornare subito dopo a sedersi. Mentre Elena rimase ancora un po' fuori dall'aula immersa nei suoi pensieri.

A venirle incontro fu Caroline, la sua compagna di banco dal carattere un po' strambo, ma sapeva come farsi volere bene.

«Che ti prende Elena?» chiese sventolando la mano davanti i suoi occhi, anche se la bella mora sembrava come ipnotizzata. «Ci sei? Su avanti, andiamo, il professore ha iniziato la lezione» avvisò, cercando di tirarla verso sé con un braccio.

Ian era in aula da un pezzo, spiegava ma in maniera completamente assente. Aveva lo sguardo perso nel vuoto e quella stanza riempita da appena trenta ragazzi, gli dava come l'impressione che fossero tanti dei suoi errori in miniatura. Per ogni viso, uno diverso. 

Nonostante le sue azioni sbagliate lui li dentro, indipendentemente dalle sue materie assegnate, spiegava il senso della vita. Diceva a tutti quanti che la vita era il dono più prezioso e poi eccolo pronto a mettervi un piede sopra e schiacciarla.

Non vedeva più il panorama perfetto di cui tutti godevano, il suo mondo lo aveva calpestato. E per quanto aveva cercando di raddrizzarlo, era storto rispetto a prima, non era uguale.

Questo mondo per lui, era una bestemmia.

Ma qualcuno bussò alla porta dell'aula. Un tocco dato appena ma che fece sobbalzare tutti.

«Avanti!» diede il permesso Ian sbuffando. Odiava i ritardatari ed Elena lo era sempre.

La porta si aprì lentamente e lei entrò tenendo basso lo sguardo.

Entrando si scusò per essere arrivata tardi a lezione. Ma a lui non importava delle scuse, né tanto meno dei suoi ritardi che erano sempre più frequenti. Lui era lì a fare il suo lavoro, gli alunni decidevano per se.
Non gli importava.

«Elena, non cercare di discolparti. Sta a te decidere se esserci o meno. A me non riguarda. In ogni caso ogni giorno con te è sempre la stessa storia» rimproverò Ian che si sedette sulla sua cattedra ignorandola subito dopo. «Copia gli appunti dalla tua compagna di banco, non ho intenzione di spiegare per la seconda volta» informò, continuando a guardare davanti a sé infastidito.

Lei quasi si irrigidì a quel tono glaciale. In effetti Elena e il suo professore non erano in grandi rapporti. Nell'incontro in corridoio c'era stata l'unica chiacchierata carina prima di ritornare alle origini del loro rapporto. Estranei, questo loro erano.

«Ha ragione, mi scusi per la confidenza di prima. Sembrava troppo bello per essere vero» si scusò nuovamente e tornò a sedersi. Non riusciva a trattenersi, diceva sempre quello che pensava anche se questo equivaleva a farsi dei nemici.

Ma qualcosa non andava più in Ian. A guardarlo il suo viso era cambiato nel giro di cinque minuti e la sua pelle era più candida.
Quello che notarono subito tutti furono le sue gambe che tremavano con insistenza.
E le sue mani? Erano fuori controllo, non riuscivano a tener nemmeno più la penna che lasciò cadere lungo il pavimento.

«Professore è tutto okay? Sembra che ci sia qualcosa di strano in lei oggi» si preoccupò Caroline, precipitandosi nella sua direzione.

Ma Ian allungò una mano verso lei, stava a significare di stare ferma. Lei fece due passi indietro, poi qualcuno in più e col viso deluso tornò a sedersi vicino Elena che era quasi irritata.

«State ai vostri posti e non correte mai più in mio aiuto. Sono un adulto e come tale io so badare a me stesso» si congedò con quelle parole e andò via.

«Non riesco a tollerare più il suo carattere» si infastidì Elena mentre afferrò il suo zaino. «Caroline non ho più alcuna voglia di seguire la lezione, meglio che vada via anche oggi. Ogni volta che entro in questo posto me ne pento» disse ancora, andando via sotto lo sguardo dei suoi compagni che oramai erano abituati a quell'atteggiamento.

Elena corse per i lungi corridoi dell'università. Si fermò quando sentì la voce di Ian a metà corridoio e sostò un attimo per la curiosità. Era una tipa molto curiosa e non poteva fare a meno di ascoltare le conversazioni degli altri, specie se si trattava del suo professore.

«Ti ho detto che ne ho bisogno adesso, sto per impazzire. Non fartelo ripetere due volte» si agitò lui che bloccò immediatamente la chiamata e fece strada fuori.

Elena si incuriosì ma decise di lasciar perdere. Così uscì fuori e andò incontro a quel ragazzo che era lì ad aspettarla su una moto. Era Paul, il miglior amico di Ian. Ma anche il migliore amico di Elena. Era l'unica cosa che i due avevano in comune. Salì sulla moto e insieme andarono via.

Ian invece arrivò presto a casa sua e al suo rientro trovò la moglie ad aspettarlo con la sua droga in mano, come ogni giorno. Come se quell'atteggiamento fosse normale. Non si rendeva conto delle condizioni in cui si trovava suo marito, sembrava non importargliene.

«Ecco a te» gli dedicò un sorriso forzato e tornò ai fornelli. Per lei tutto ciò non aveva niente di strano, era la sua quotidianità «Cosa vuoi che ti prepari?» alzò il timbro della voce per farsi sentire.

«Niente Rebecca, non ho fame. Ho mangiato fuori dopo il lavoro» disse anche se non era vero. Solo che lui non ne aveva bisogno. In quel momento lui si stava già nutrendo di altro, della sua droga.

Prima di iniettarsi quel veleno nelle vene si fermò a guardare la moglie.
Non era più sicuro di amarla, nonostante dall'inizio della loro relazione non c'era mai stato un profondo amore. Aveva iniziato a volerle bene solo tempo.

Ma una cosa non gli dava pace. Lei gli procurava la droga come se nulla fosse e in alcuni momenti era lei stessa a drogarlo. Perché? Una qualsiasi moglie avrebbe aiutato il marito a disintossicarsi non lo avrebbe mai aiutato a morire.

Ma non diede più peso alla cosa perché già quel veleno di cui lui necessitava stava facendo strada nel suo corpo. Era ancora in grado di distinguere il reale dal surreale ma passati gli otto o dieci minuti, Ian, si sarebbe ritrovato nella dimensione che più abitava.

«Nikki, sei qui. Sei tornata» urlò lui a tutta voce facendo sobbalzare il bambino che fino a poco prima, dormiva beatamente nel divano del salotto.

«Ian, non c'è nessuno qui» disse la moglie che capì tutta la situazione quando vide il marito con lo sguardo perso nel vuoto. «Capisco, ti sei già fatto» sbuffò e lo lasciò lì da solo.

Sembrava non importargliene.
Lo aveva lasciato nuovamente solo, lui era solo. Non aveva nessuno.
Lo aveva spogliato del suo vero se stesso. Quello che richiamava il nome della sorella deceduta non era più Ian, era la disperazione di un uomo che per colpa della vita aveva fallito ogni suo piano. Aveva bisogno di aiuto e non di morire.

È di un aiuto che lui necessitava, lo stesso aiuto che non era disposta a dargli la moglie.

Perché?

Lo faceva perché non gli importava o lo faceva solamente per non far impazzire il marito?

«Piccolino vieni qui da me, andiamo in camera mia» si precipitò dal piccolo Erik e lo prese in braccio. Non voleva fargli vedere il padre in quelle condizioni pietose. Finché poteva doveva almeno proteggere lui da tutte quella situazione assurda.

«Mamma papà sta bene?» chiese il bambino che non capendo nulla, era preoccupato per il suo papà.

«Certo, certo che sta bene» lo rasserenò. «Sta solo giocando, non vedi?» inventò portandoselo via.

Che modo crudele di affermare quello che Ian faceva.
Lui non fingeva, lui purtroppo faceva sul serio. Nemmeno a lui tutto ciò piaceva, ma non aveva alcun sostegno. E non avendo aiuto da nessuno non aveva forza di volontà per andare in comunità a disintossicarsi.

Passarono otto ore e Ian dormiva beatamente sul divano finche la suoneria del suo cellulare lo fece svegliare di soppiatto. Portò le mani sulla testa che in quel momento era dolorante ed afferrò il cellulare.

Era Paul. Chissà cosa lo aveva portato a chiamarlo, si domandò. Ian si alzò velocemente dal divano e mentre rispose alla chiamata camminava per la casa in cerca della moglie.

«Si?» rispose in maniera completamente distratta.

«Ian. Sono parecchie ore che ti cerco. Sono le diciannove e non ho ricevuto nessuna chiamata da parte tua. Dove sei finito?» chiese l'amico ormai spazientito.

«Scusa Paul, ho dormito e non mi sono reso conto del tempo che è passato. Avevamo qualche impegno per caso? Adesso non ricordo, schiariscimi le idee» chiese, mentre con pollice e indice circondò la sua fronte che era confusa e camminando di stanza in stanza non vide sua moglie. Non c'era.

«Con me no, ma all'università si. Sono passato lì con Elena e i tuoi colleghi chiedevano di te. Hanno fatto una testa enorme alla tua alunna ingiustamente, avresti dovuto vederli con quale cattiveria si sono arrabbiati con lei. Dovevi esserci tu a gestire questa situazione» rimproverò.

«Accidenti, la riunione! Me ne sono dimenticato» si agitò «Vediamoci al solito bar fra dieci minuti» agganciò e prese i suoi occhiali da sole per poi scendere di corsa le scale. Giù che stava per rincasare vide la moglie insieme a suo figlio.

«Ti sei ripreso?» domandò quasi come per prendersi gioco di lui e poi gli diede una pacca sulla spalla  «Le tue condizioni non erano ottime oggi» rise.

«Si. Lo so» rispose Ian che non sapeva che dire. «Dove sei stata» Domandò curioso, dal momento in cui lei non lo avvisava neanche più quando usciva, approfittava del suo stato.

«Da mia madre. Cosa c'è di strano?» disse tutta d'un fiato. «Tu piuttosto, dove vai caro?» chiese sviando il discorso.

«Avevo una riunione all'università ma ho dormito per tutto il tempo e non sono riuscito ad andare. Adesso ho un appuntamento con Paul, ci vediamo fra poco» spiegò mentre salutò lei e suo figlio, quel bambino di cui era perdutamente innamorato.

Quando arrivò al bar vide Paul fuori insieme ad Elena che ridevano e scherzavano lanciandosi il gelato addosso. Involontariamente Elena, che portò dietro la schiena il suo gelato, camminò all'indietro leggermente per non farsi prendere da Paul. Ma si scontrò contro Ian che non sembrava felice dell'accaduto. Infatti sulla sua camicia bianca presto si notò una macchia color fragola.

«Scusi! Scusi! Scusi!» portò le mani sulle labbra, come se l'avesse combinata grossa. Era probabilmente l'ultima cosa che voleva che accadesse.

Paul rise alla scena buffa e si avvicinò ad Elena tirandola verso sé con un braccio. Mentre Ian che si sollevò da terra era piuttosto silenzioso.

«Non è colpa tua Elena» la rasserenò Paul come al suo solito. Era sempre estremamente dolce con lei. «Non potevi mica sapere che ti saresti scontrata con qualcuno» Spiegò sorridendole, e lei annuì innocentemente.

«Ma avrebbe dovuto immaginarlo» s'intromise Ian in maniera fredda, distogliendo lo sguardo da lei. «Caffè?» propose a Paul.

«Mi dispiace io sono con Elena, entro se almeno per oggi evitate di discutere» spiegò ciò che gli dava fastidio al suo migliore amico.

«Non importa. Lo berrò da solo» sbuffò facendo strada all'interno del bar ignorando anche l'amico.

Elena che rimase delusa a quelle parole, lo richiamò facendolo tornare indietro nei suoi passi. Mentre lo sguardo di lei era ferito. Lui in qualche modo riusciva sempre a ferirla.

La verità era che le piaceva Ian, stare vicino a lui provocava in lei una serie di cose che da un anno purtroppo doveva nascondere.

«Nessun problema Paul, io vado via. Non mi sembra il caso di restare, non sono desiderata» disse delusa, facendo così voltare Ian in sua direzione. «In quanto a lei, alla sua età dovrebbe sapere che trattare così una ragazza non fa di lei il grande uomo che vuole mostrare di essere» disse a labbra tremanti distogliendo lo sguardo da quello di Ian.

«No. Elena cerca di ragionare» la fermò Paul, preoccupato. «Devo riaccompagnarti a casa, non andare da sola» la pregò, mentre si rattristò. Odiava vederla stare male.

«No, la mia presenza qui non è gradita. Ci vediamo domani tesoro. Ti lasciò in buona compagnia» baciò la guancia di Paul e corse via.

Ian si sentì quasi in colpa per aver cacciato la ragazza, ma la cosa gli venne spontanea. Si incuriosì però a vedere che Paul non la seguì, si interessò a guardare Ian da cima a fondo.

«Allora?» chiese Ian. «Non vai a prenderla? Lo fai sempre» disse, mordendosi il labbro. Si era pentito di quello che aveva fatto, ed Elena aveva ragione. Non era comportandosi così che faceva di lui un uomo.

«No. Questa volta no» rispose Paul in maniera fredda e distaccata. «Tu andrai a prenderla e anche subito. L'hai fatta correre via e tu me la riporterai qui sana. Chiaro?» si infuriò e non era da lui.

«La andrò a prendere solo perché non voglio avere nessun tipo di problema con te, capito?» spiegò Ian che corse via e a pochissimi metri vide la ragazza seduta su di una panchina.

Lui era dietro di lei, ma non la chiamò subito. Perché vide la ragazze con gli occhi puntati al cielo che stava parlando con se stessa.

«Mi manchi fratello, probabilmente con te qui le cose sarebbero andate diversamente» disse, chiudendo gli occhi.

Ian non rispose bene a quelle parole di Elena. Si intenerì un po' e gli si illuminarono gli occhi. Ma non fece capire nulla.
Anche lui due anni fa dopo poco il suo matrimonio, perse la sorella maggiore, Nikki. E da lì iniziò a drogarsi, da quando le morì davanti gli occhi.

Elena guardò dietro di lei e quasi sobbalzò alla vista di quell'uomo dai capelli neri e occhi color ghiaccio davanti a lei.

«Vedo che non sono l'unica curiosa qui. Non avresti dovuto ascoltare una cosa così privata» sospirò lei, guardando altrove. «Perché mi stava ascoltando? E soprattutto perché è qui?» chiese irritata, mentre dai suoi occhi lucidi poteva ben capirsi che aveva pianto.

«Non vedo perché tu debba nasconderlo, Elena» disse. «Anch'io ho perso una sorella. So quello che si prova, capisco come tu ti sia sentita» confessò guardandosi intorno.

L'aria si fece più pesante, il dolore dei due si unì per diventare tutt'uno.

Era troppo il dolore sopportato.

«E dimmi...» cercò di fargli una domanda, Elena. «In che modo hai affrontato la tua perdita? Se sai come fare dimmelo perché io non lo so» scoppiò a piangere involontariamente, anche se proprio lì con lui non era il momento adatto.

Ma per un attimo si sentì compresa. Lui non avrebbe mai avuto il coraggio di abbracciarla e consolarla con le sue carezze. Ma cercò di consolarla a parole, consolandola con una bugia, una bugia a fin di bene.

«L'ho superata e basta. Ancora è fresca la ferita e fa male ogni volta che ci penso. Ma mi creo una maschera e faccio finta di dimenticarla a fin di bene per un po', cosi che possa affrontare la giornata» spiegò Ian, sospirando.

In parte era vero, ma la storia non era proprio così.

Lui dopo la perdita di Nikki, per tante ragioni iniziò a drogarsi. Perché oltre che considerarlo uno sfogo era un modo per vederla nella sua immaginazione.

«Andiamo a prendere questo caffè insieme a Paul» disse iniziando a far strada senza di lei. «Ci sta ancora aspettando» si girò verso lei che sobbalzò nuovamente e camminò dietro di lui.

'Perché sei venuto a riprendermi?' Avrebbe tanto voluto chiedergli.

Ma no, meglio non parlare.

Meglio così.

••••

#MyMangaWorld.

Ciao a tutti, ai vecchi e ai nuovi lettori. Questa è una storia che ho iniziato a scrivere circa 7 anni fa. Oggi ho voluto riprenderla e revisionarla tutta per bene. 
La storia è già tutta pronta e due volte alla settimana pubblicherò i nuovi capitoli.
Il Mercoledì e la Domenica. Vi aspetto in tanti.

Per i nuovi lettori che stanno leggendo la storia per la prima volta, come avrete notato ho scelto una trama molto forte e ve ne accorgerete anche avanti.

Spero per chi abbia letto questo primo capitolo che prosegui con la storia aspettando ogni mio aggiornamento, perché su questa storia soprattutto ho messo anima e corpo. E' la storia del mio cuore.

Lasciate un voto e fatemi sapere che ne pensate tramite i commenti. Adoro confrontarmi con tutti voi su ciò che accade.

Per chi volesse saperlo il titolo del libro è : STILL A LIE, che tradotto in italiano vuol dire "Ancora una bugia"

Baci.

Ian Somerhalder

Paul Wesley


Elena Gilbert


Caroline

Rebecca

Still a Lie

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