Wicked Game

By _shadowhunters_96

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Quattro fratelli. Due coppie di gemelli. Quattro ladri e portatori di guai. Una piccola cittadina, al confin... More

Cast
00. Regole
Prologo
01. Sei una divinità
02. Sono allergico ai gatti
03. Sfidarmi ti costerà caro
04. Sei il mio incubo
05. Sei completamente matta
06. Un fantastico partner in crime
07. Raven Parker è sempre stata un problema
09. Guess who's back?
10. Sei nuda, Raven
11. Azriel cosa ne pensa?
12. Mi hai davvero scattato una foto?

08. Soltanto per cinque secondi

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By _shadowhunters_96

Taylor Swift - Haunted
01:00 ━❍──────── - 04:05
↻     ⊲  Ⅱ  ⊳     ↺
VOLUME: ▁▂▃▄▅▆▇ 100%


Adoro correre. È liberatorio. E io sono veloce.

Mi sento leggera, soprattutto, quando il vento soffia forte e mi spinge in avanti. È per questo che amo correre anche in inverno.

Mi piace sentire l’aria gelida sferzarmi le guance. Come il bacio tenero dell’inverno che mi si posa sul viso, tingendomi gli zigomi di una sfumatura rosea.

I miei occhi abbracciano avidi l’ambiente che mi circonda, anelano a raggiungere una libertà quasi proibita. E io corro, corro e non mi fermo, perché soltanto i perdenti si fermano quando sono vicini al traguardo.

Con la coda dell’occhio intravedo un’altra figura invadere il mio campo visivo, percorrere la mia stessa strada.

Punto il naso all’insù, accentuando il mio sdegno.

Corre al mio fianco senza dire una parola. Ma lo fa con il sorriso sulle labbra.

Lo fa per dispetto.

Lo fa per farmi innervosire.

«Sparisci, Bailey», ringhio mentre aumento il passo. Sento i muscoli dei polpacci bruciare, tendersi e contrarsi.

«Il percorso non ti appartiene, Parker», ribatte e mi impongo di non girarmi verso di lui.

«Tra tutti i maledetti posti…», mormoro e cerco di prendere le distanze da lui, ma al contrario Elias continua a mantenere il mio stesso ritmo. Non si stanca. Di solito tutti si fermano per una breve pausa. Lui sembra determinato come me. «Gliel’hai già fatta pagare ad Aaron?», domanda.

Lo guardo di sbieco. «L’avresti già saputo», rispondo con gelida indifferenza.

«Devo preoccuparmi? A lui farai saltare in aria la casa?», chiede e percepisco il sorriso nelle sue parole. Se sapesse che non sono stata davvero io bruciargli l’auto, ma che ho avuto un piccolo aiuto, la pianterebbe di lanciarmi frecciatine?

«Dovresti pensare a te stesso, Elias», ribatto, il tono neutro.

Accorcia ancora un po’ le distanze. «Perché?»

Guardo l’Apple watch che ha al polso e scorgo rapidamente l’ora.

«Perché quando ti preoccupi troppo per gli altri, abbassi inevitabilmente la guardia. Qualcuno potrebbe colpirti quando meno te l’aspetti.»

Lo sento ridere. «Parli per esperienza?»

«Ti stavo avvertendo.»

«Felice di sapere che sono ancora io il tuo preferito.»

Arriccio il naso. «Non ho intenzione di ferire il ego oggi. Non voglio farti piangere.»

«Di solito sono io che faccio piangere gli altri», diventa di colpo serio.

«Ah, davvero? Da piccolo piangevi per ogni cosa. Me lo ricordo bene.»

«Anche io» alle sue parole, mi giro per guardarlo in faccia. «Quella volta al cinema, te la ricordi?»

Rimescolo i ricordi, ma vedo soltanto immagini confuse, quindi scuoto la testa.

«Ero andato a vedere il mio primo film horror, c’eri anche tu. Eri con tua madre e Azriel.»

«L’ho rimosso dalla mente.»

«Mi avevi dato una gomma da masticare, Hubba Bubba alla fragola e panna, per farmi smettere di piangere.»

Mi acciglio. «Sono passati anni da allora, no? Come fai a ricordartelo così bene?»

«Ho conservato la carta in cui era avvolta la gomma e il biglietto del cinema. Non volevo dimenticare», confessa. Un’ondata di stupore mi si riversa addosso. Anche lui conserva alcuni oggetti per tenere vivi i ricordi?

«Dimenticare cosa? Che te l’eri quasi fatta addosso dalla paura?»

«Te», risponde prontamente, senza alcun accenno di disagio. «Quando non eri ancora diventata una stronza insensibile fuori controllo», replica e alzo gli occhi al cielo. «E per non dimenticare le tue parole. Ero seduto sulle scale, impaurito, tu eri davanti a me con un enorme lecca-lecca arcobaleno a forma di girella in una mano. Indossavi un basco cremisi e uno strano vestitino bordeaux di velluto.»

«Quali parole?», gli chiedo, ma non sono certa che lui stia dicendo la verità. Potrebbe riempirmi la testa di stronzate in questo momento. Non mi fido di lui, eppure la descrizione sembra troppo accurata. Non è abbastanza furbo da inventare una bugia così su due piedi.

«In un mondo così grande i mostri diventano più piccoli se li guardi da lontano», recita e per poco non mi blocco. Adesso ricordo. È la frase che mi ripetevo ogni volta che avevo paura. Molto spesso vivevo circondata da paure irrazionali. Azriel mi ha insegnato a non essere una fifona.

Ho condiviso la mia frase con lui? Provo odio verso la me bambina.

«È per questo che corri? Per allontanarti da-»

«Ci vediamo davanti al Road flowers», gli dico e corro ancora più veloce, cercando di superarlo.

Lui non intende demordere e velocizza il passo, raggiungendomi di nuovo.

Bastardo competitivo!

Arresto di colpo la mia corsa e lo guardo mentre procede come un fulmine, preciso e instancabile. Retrocedo e cambio percorso. Attraverso la strada sorridendo sotto i baffi e inizio a correre tra i vicoli. Conosco una scorciatoia. So come batterlo. Arriverò lì prima di lui.

Sto per girare l’angolo, ma qualcuno mi afferra per il gomito e mi spinge con violenza contro il muro di mattoni alle mie spalle. Un dolore acuto si diffonde lungo la mia schiena e sento la mia pelle bruciare.

 Per un secondo il mondo intorno a me sembra una macchia sfocata, ma quando la mia vista si stabilizza, metto a fuoco l’uomo davanti e spalanco gli occhi. Ha una mano posata sul mio petto, mi sta tenendo ferma. Alle sue spalle un altro uomo rasato e con una lunga cicatrice sulla guancia sinistra sghignazza.

«Sei tu il piccolo corvo», esordisce l’uomo che mi tiene ferma. «Sei la figlia di Charles Parker.»

Mio padre.

«Sei sua, ma a breve sarai nostra», sorride mostrandomi il suo disgustoso dente dorato.

«Abbiamo prestato dei soldi a tuo padre. Aveva davvero un gran bisogno, lo sai? Ma certo che sì. Ormai mezza città sa che tua madre lo ha rovinato e adesso è nei guai, dolcezza», mi fa sapere il tizio rasato. Divarica i piedi assumendo una posizione minacciosa e incrocia le braccia al petto.

Cosa diavolo sono? Strozzini?

«Ha offerto te come garanzia», Dente d’oro mi stringe il mento, la mano è callosa e ruvida. «E indovina un po’…», fa schioccare la lingua contro il palato. «Non abbiamo ancora ricevuto neanche un soldo da parte sua. Ci ha fatto giurare che non l’avremmo toccato, ma non abbiamo mai promesso che non avremmo toccato te.»

«Questo è il primo avvertimento. Digli di darsi una mossa, piccolo corvo, altrimenti tu sarai nostra. E non vuoi sapere cosa facciamo alle belle ragazze come te», mi accarezza la guancia con le nocche, il materiale freddo degli anelli mi fa rabbrividire.

Mi lascia andare e io crollo sulle ginocchia come se mi avessero tolto tutta l’energia dal corpo. Sollevo la testa verso i due uomini che mi guardano dall’alto. Non so cosa provare. Non so come sentirmi. Non so come agire.

«Perché io?», chiedo con un filo di voce.

Il tizio rasato si stringe nelle spalle. «Chiedilo al tuo papino, no? Ecco quanto vali», ride insieme al suo amico. «Sappiamo ciò che ha fatto tua madre. So che avete delle conoscenze. Chiedi aiuto, non mi importa come farai, ma quei soldi devono tornare nelle nostre tasche, capito?»

«Io non posso aiutarvi. Non sono come mia madre e per quanto riguarda mio padre, può andare all’inferno», sbotto, la rabbia si annida dentro di me.

«Tuo padre dice che sei ingegnosa e opportunista. Sono sicuro che troverai un modo per risolvere il suo problema. Non prenderti il disturbo di cercarci, ci faremo vivi noi al momento giusto. Sappiamo tutto sulla tua famiglia, Raven. Salutaci i tuoi fratelli: Peter, Mallory e Azriel. A proposito, tua sorella è un gran bel bocconcino.»

Una scarica incandescente mi attraversa il corpo. Sono stanca che usino i miei fratelli contro di me. Ed è tutta colpa dei miei genitori. Se non avessero lasciato a me il compito di tenere la famiglia unita, ora non mi ritroverei in questa situazione di merda.

Non voglio ricontattare Rico. Non voglio più avere niente a che fare con lui. Ma senza il suo aiuto non potrei tirarmi fuori da questo guaio. Oppure… forse una possibilità c’è.

I due si scambiano un’ultima occhiata complice e poi tirano su il cappuccio della felpa ed si separano, uno va a destra e l’altro a sinistra. Rimango da sola nel vicolo, tremante e sudata. Ruoto le spalle per sciogliere la tensione.

«Cosa cazzo è appena successo?», sussurro. Mi prendo la testa tra le mani, ma non posso cedere. La disperazione non mi avrà mai. Trovo sempre un modo per venirne a capo. Questa volta non sarà diverso.

Esco dal vicolo e continuo la mia corsa.  Lascio che i pensieri spariscano nel vento,  cerco di riprendere fiato.

Non funziona.

Il respiro diventa sempre più corto e per la prima volta mi sento sopraffatta. Tra due mesi compirò ventuno anni, ma io sono già stanca di tutto.

Corro. Corro. Corro.

Scorgo la figura slanciata di Elias in lontananza. È lì che gongola come uno stronzo perché è arrivato prima di me. Solleva di poco la maglietta grigia di cotone e si pulisce la fronte madida di sudore.

All’improvviso inciampo e cado a terra. Il ginocchio e il gomito bruciano da morire. Sono a carponi, la testa china e il fiato corto. «Fanculo», biascico e cerco di alzarmi.

«Ehi, hai bisogno di aiuto?», chiede un ragazzo fermandosi a mezzo metro di distanza da me.

Mi siedo sul marciapiede, la schiena appoggiata al lampione e lo sguardo rivolto verso l’alto.

«No, sto bene», gli dico sforzandomi di sorridere.

«Hai del sangue sul ginocchio e sul gomito», mi fa presente.

«Sì, lo so, ma sto comunque alla grande. Sono soltanto graffi», sollevo il pollice e lui annuisce comprensivo. «Tieni, magari  ne avrai bisogno» apre lo zaino ed estrae qualche cerotto. «Non ho altro, mi dispiace.»

«Grazie», gli dico con un sorriso pieno di gratitudine. Se ne va e io abbandono il capo contro il lampione e chiudo gli occhi.

«Sei un disastro, volpina.»

Mi viene voglia di colpirlo. Forte.

Apro gli occhi e trovo la sua mano protesa verso di me.

«Che vuoi?», gli chiedo con un nodo alla gola.

«Aiutarti, non è ovvio?», replica, squadrandomi. I suoi occhi percorrono lentamente il mio corpo, fermandosi un po’ di più sul mio gomito.

«Non ho bisogno del tuo aiuto. Puoi andare se vuoi», arriccio il naso e distolgo lo sguardo.

«Io non sono come il tizio di prima», mormora, togliendosi la maglietta. «So quando menti.»

Lo incenerisco con lo sguardo. «Non ho intenzione di toccarti, quindi stammi alla larga», dichiaro.

«Bene. Io sì, invece», si abbassa sulle ginocchia, serra le dita intorno al mio braccio e usa la sua maglietta per pulirmi.

«Che diavolo stai facendo?», gli chiedo.

«Non vedi? Ti sto pulendo», dice sottovoce. Sì, lo so. Ma perché? Perché lo sta facendo?

«Come hai fatto?», domanda mentre la sua mano ora mi sfiora il polpaccio. Allungo la gamba con uno scatto brusco e lui accenna un mezzo ghigno. Inizia a tamponare il tessuto morbido della maglietta anche sul ginocchio, levando con delicatezza il sangue. «Dammi i cerotti», ordina.

«Sono inciampata», rispondo burbera. «L’hai visto anche tu. L’hanno visto tutti, a dire il vero.»

«Perché ci hai messo tanto?», si acciglia. Riesco a vedere tutti i dubbi danzargli negli occhi.

«Oggi sono più lenta del solito», ribatto. Finisce di mettermi i cerotti e poi mi solleva da sotto le ascelle e mi rimette in piedi. Barcollo per un secondo e mi appoggio istintivamente a lui. Soltanto per pochi secondi.

Lui me lo permette. E io non capisco nemmeno il perché.

E odio ammetterlo, ma in questo momento è bello non sentirsi soli.

Elias non dice niente. Mi rivolge soltanto un’occhiata scettica.

«Rinnovo il mio disgusto nei tuoi confronti», gli dico, ma non accenno a volermi allontanare.

«A volte non fa male appoggiarsi a qualcuno», mi dice, come se mi avesse letto nel pensiero.

«Soltanto per cinque secondi», rispondo.

«Soltanto per altri cinque secondi», conferma lui.

Li conto mentalmente e poi finalmente mi stacco da lui. So che sembro debole e in realtà le ferite non mi fanno così male. Ma il mio umore è completamente sotto terra.

Dopo un attimo di silenzio, Elias dice: «Tu non sei più lenta di me», i suoi occhi indugiano sul mio sguardo.

«Quindi hai appena ammesso che sono più veloce di te», la mia voce è allegra. Troppo.

Elias mi guarda, la sua espressione è imperscrutabile. «Potrei averlo fatto, sì.»

«Dovrò assolutamente segnarlo da qualche parte», una traccia di sarcasmo nella mia voce.

«Che succede?», mi chiede e punta i suoi stupidi e bellissimi occhi nei miei.

«Te l’ho detto, sono inciampata», ripeto.

«No. Che succede?», stringe i denti e mi fissa, facendomi sentire in trappola, indifesa.

«Cosa diavolo non capisci? Sono inciampata!», la voce inizia a incrinarsi.

«Risposta sbagliata, Raven. Che succede?», ripete per la terza volta. So che lo fa perché vuole vedermi dare di matto.

«Sono-», mi blocco mentre cerco di riprendere fiato. «Sono inciampata! Dio, sei testardo come un mulo.»

«Cosa-»

Cerco di soffocare un singhiozzo. Non ho il coraggio di sollevare la testa.

«Sei inciampata, come no…», borbotta. Allaccia le dita di una mano intorno al mio polso e io alzo di scatto la testa.

«Tu non inciampi mai.»

Mi libero dalla sua presa e mi allontano da lui zoppicando. «A volte anche i migliori cadono.»

Elias ghigna. «Non sembri molto convinta.»

«E tu da quando pulisci le ferite alle persone che odi? Hai la sindrome da crocerossina?», gli chiedo, cercando di cambiare discorso.

«Non sono come te. Sarò pure uno stronzo arrogante, ma se qualcuno è ferito e, soprattutto, sull’orlo di una crisi di pianto, cerco di rendermi utile. Anche se si tratta della persona che più disprezzo», inclina il capo e mi guarda con un lampo di perfidia. «Ecco cosa mi rende migliore di te.»

Non do molto peso alle due parole, perché la mia mente vola da un’altra parte.

Mio padre mi ha offerta come garanzia. Sua figlia. E questo è il momento in cui capisco quanto il suo interesse nei nostri confronti sia diventato miserabile.

Ha venduto me. Non Azriel. Non Mallory. Non Peter.

Ha offerto me come se fossi un oggetto inutile di cui liberarsi.

Deglutisco rumorosamente e mi appoggio nuovamente con la spalla al lampione. Qualcosa dentro di me si agita e mi spezza come se fossi fatta di carta velina.

«Non ti ho scelta come rivale per vederti abbattere così», mi guarda disgustato.

«Non sono dell’umore. Adesso potresti pure levarti», lo fulmino con lo sguardo.

Lui accenna appena un sorriso. «Hai di nuovo quello sguardo», mi fa presente.

Lo guardo interdetta.

«Da predatrice», mi scruta con indiscrezione.

Apro la bocca per ribattere, ma lui mi interrompe: «So che nascondi qualcosa. Mi fai venire voglia di scavare più a fondo. Più conosci il nemico, più sai dove colpirlo.»

Vorrei sferrargli un calcio tra le gambe.

«Fattela passare, questa voglia», alzo il mento in un motto di sfida.

«Sono costretto a farlo. Il tempo scorre. A breve non ci vedremo più e io mi sento sinceramente sollevato.»

«La mia presenza ti disturba tanto?», chiedo, l’angolo della mia bocca si solleva fino a formare un sorrisetto astuto.

«A volte mi disturba più di quanto immagini», risponde con espressione seria.

«Bene, bene», non sa cosa lo attende. «Grazie per l’aiuto.»

«La mia camicia?», fa un passo verso di me. «L’hai bruciata davvero?», domanda.

«Sì. Puoi chiedere a Azriel, se non mi credi», faccio spallucce.

«Perché?», aggrotta le sopracciglia.

«Il tuo profumo mi dava la nausea. E poi, non c’è bisogno che io te lo dica davvero. Ce l’avevi addosso. Quella cosa ha sfiorato prima te e poi me». Mi concedo di esagerare. Con lui oltrepasso sempre i limiti. Poiché mi rendo conto di quanto il suo ego sia intoccabile, mi diverto a intaccarlo ogni volta che mi è possibile.

«Quindi stai dicendo che avere qualcosa di mio addosso ti disgusta?», inarca un sopracciglio, ma l’espressione lo tradisce. Sembra infastidito anche se si sta sforzando di apparire indifferente.

«Non hai idea quanto», rispondo e riprendo a camminare in direzione opposta alla sua, sperando che lui mi lasci andare.

«Non sai quanto cazzo mi fa piacere sentirtelo dire, Parker», tuona alle mie spalle. Il suo tono trasuda rabbia, dunque volto appena il capo per guardarlo, ma strabuzzo gli occhi quando lo vedo piegarsi leggermente e poi circondarmi le cosce con le braccia. Mi solleva, posandomi sulla sua spalla. Penzolo all’ingiù come un cadavere e mi ci vogliono un paio di secondi per capire cosa sta succedendo.

«Ma che fai?», grido e inizio ad agitare le gambe in aria. La sua presa diventa ancora più salda. «Lasciami!», grido imperiosa.

«Non ci penso minimamente, ma ammiro la tua determinazione nel volerti liberare.»

Osservo la gente intorno a noi. Le persone in fila davanti alla fioreria si girano per guardarci e iniziano a confabulare a bassa voce. «Ci stanno guardando tutti, Elias!», mi lamento, reprimendo a stento l’istinto di afflosciarmi sulla sua spalla e arrendermi.

«Non mi importa», cantilena.
«Mi metterò a gridare, sappilo», minaccio e gli assesto uno schiaffo tra le scapole.

«Non ho intenzione di fermarti, quindi scatenati pure», mi strizza il polpaccio e sto per colpirlo di nuovo, ma una voce molto familiare pietrifica entrambi.

«Elias?»

Il mio sedere è praticamente rivolto verso la faccia di Adeline. «Ehi, tesoro», esclama Elias.

Alzo gli occhi al cielo.

«Che cosa stai facendo? Quella è Raven?», chiede e sollevo una mano per salutarla. Finalmente il suo ragazzo si ricorda di mettermi giù.

«Sì. Le stavo dando una mano», le spiega, i suoi occhi vivaci mi cercano, quasi come se si aspettasse una conferma da parte mia. «L’ha investita una macchina. Ho dovuto aiutarla. È contro la legge non prestare soccorso», continua a farneticare.

«Stai delirando?», gli chiedo, ma la sua rapida occhiata mi zittisce.

«Ma è terribile», Adeline si porta una mano davanti alla bocca, celando il suo finto stupore. Potrei giurare di averla vista ghignare. Infatti, il suo dispiacere si dissolve immediatamente, lasciando spazio alla sua solita sfrontatezza. «Be’, sono contenta che tu stia bene. Elias è sempre così buono», gli accarezza il bicipite. «Ma credo sia in grado di camminare sulle sue gambe. Inoltre, tu la odi. Hai detto che vorresti vederla dietro le sbarre», gli ricorda amabilmente. Sentirle dire una frase simile è strano. In qualche modo lo rende più reale.

Elias non mi guarda più. All’improvviso sono diventata invisibile ai suoi occhi.

«È così», conferma, schiarendosi la gola. «Torni a casa con me?», le chiede.

«Sì, perché dobbiamo parlare», asserisce lei, assottiglia le labbra. «Prima fermiamoci qui. Devo prendere dei fiori per una mia cara amica. Stasera siamo invitati al suo compleanno», sposta i capelli sulla spalla e infila il braccio nell’incavo del suo gomito, stringendo con fare possessivo Elias. «Da quando vai a correre senza maglietta?»

«Ma chi sei, la Gestapo?», le chiedo con un sorriso impertinente. Elias si morde il labbro per nascondere il divertimento, lei invece mi ignora e si rivolge di nuovo a lui: «Sai, dovresti farti perdonare.»

«Lo so, lo so e ti prometto che lo farò. Odio quando mi tieni il broncio», le circonda le spalle e le dà un bacio sulla tempia. Per poco non do di stomaco. Se ne va senza neanche salutarmi.

Sono diventata uno spettro.

Sono nessuno.

Gli do le spalle e inizio trascinarmi goffamente verso casa. Non pensavo che la sua indifferenza potesse darmi così fastidio.

Sono trascorse ormai un paio di ore da quando mi sono chiusa nella mia stanza. Ho la testa piena di domande, alle quali ho trovato esattamente zero risposte.

Qualcuno bussa alla porta.

«Avanti», rispondo.

Azriel è il primo ad entrare. Ha in mano un muffin al cioccolato e l’ombra di un sorriso sulle labbra.

Il secondo a farsi avanti è Peter. Ha un libro stretto al petto. «Te lo posso prestare, se vuoi.»

Amo leggere e lui lo sa. Ma se devo scegliere tra me e lui, allora scelgo di risparmiare e comprargli tutti i libri che vuole. Ogni tanto, quando si sente particolarmente generoso e meno geloso, me li presta. 

Mallory spunta alle sue spalle, si alza sulle punte per sbirciare oltre la sua spalla. Ha le dita strette intorno ad una tazza. «Ti ho portato una tisana. L’ha preparata Peter, esattamente come piace a te.»

«Ho un aspetto così terribile?», chiedo mentre mi tiro su e appoggio la schiena alla testiera del letto.

I miei fratelli si scambiano un’occhiata complice. Mallory allunga la tazza e io ne bevo subito un sorso.

«No, ma sembri giù e noi vogliamo tirarti su», dice Peter.

«Sapete cosa potrebbe rendermi davvero felice?», chiedo, guardando Mallory. Lei sorride.

«Civil war?», azzarda Azriel e annuisco.

«Allora andiamo», mi prende in braccio, facendomi ridere e mi trasporta al piano terra.

«Ma il muffin lo vuoi ancora o posso mangiarlo io?», domanda Peter dietro di noi.

«Lo dividiamo», rispondo mentre Azriel mi butta sul divano e accende la TV.

I film della Marvel sono come un nastro. Ci tengono uniti. Forse è addirittura l’unico momento in cui non battibecchiamo.

«Peter Parker, in questo film spunti tu», gli dico scoppiando a ridere. Peter mi dà una gomitata e appoggia la testa sulla mia spalla, i suoi riccioli biondi mi solleticano la guancia.

Azriel mi fa allungare le gambe sul tavolino e poi si siede accanto a me. Il suo mignolo si intreccia al mio e mi tocca la coscia con la sua.

Va tutto bene, vorrei dirgli. Un’ondata di tristezza mi pervade il corpo, ma cerco di ignorarla.

«Più tardi mi racconterai cos’è successo», sussurra al mio orecchio.

«Cosa?», gli chiedo, facendo finta di niente.

«Smettila, lo sai che non puoi fregarmi.»

«Di qualsiasi cosa si tratti, ricordati che i Parker sono uniti. Quando uno crolla, è compito dell’altro rialzarlo. Hai dato tu un significato nuovo alla parola famiglia, ricordatelo», interviene Peter, lasciandomi un bacio sulla guancia. È rapido e timido. Cerca di non farmi sentire a disagio.

Se solo sapessero cosa ha fatto papà… Mallory lo difenderebbe ancora? Lo vedrebbe finalmente per quello che è? Peter sta già soffrendo abbastanza per colpa di nostra madre. Perché fargli pesare anche questa cosa?

Me la caverò. Li porterò via da qui.

Più tardi, quando tutti dormono e in casa regna il silenzio, io scendo in cucina e guardo la lancetta dell’orologio che adesso segna le due del mattino.

Rileggo la lettera e mi convinco sempre di più che è la scelta giusta da fare. Dobbiamo andarcene da questo posto.

La porta si apre con un leggero scricchiolio e io infilo la lettera nell’elastico dei pantaloni del pigiama e la copro con la maglietta.

Papà entra furtivamente in casa, lascia le scarpe all’ingresso e percorre silenziosamente il corridoio.

«Ciao», gli dico, il tono freddo.

Lui si blocca e si gira lentamente verso di me. Sospira e viene a sedersi davanti a me. Le guance scavate sono coperte dalla barba incolta, i capelli sono brizzolati e arricciati sulla nuca e intorno alle orecchie. I pantaloni beige adesso gli stanno più larghi e la camicia stropicciata che indossa sembra di una taglia più grande. Ha perso peso. Non interessarmi attivamente alle sue attività notturne mi rende un mostro? Una pessima figlia? Non sapere nulla a volte fa bene all’anima.

«Raven», mi saluta con un cenno del capo.

Questa volta mi faccio forza e glielo chiedo, senza preamboli. «Che cosa hai combinato, papà?»

Lui si gratta il collo e distoglie lo sguardo. Inizia ad agitarsi e per me è già una risposta.

«Niente di cui tu ti debba preoccupare», minimizza la grandezza reale del problema e mi strappa una risata nervosa.

«Non devo preoccuparmi? Due tizi mi hanno minacciata oggi. Hai offerto me come garanzia. Me, papà», premo l’indice contro il mio petto. «Sono tua figlia», la voce inizia a incrinarsi, ma cerco di non lasciarmi sopraffare dalle emozioni.

«Perché sei la più furba, te la caveresti in ogni caso. Tuo fratello, Peter, morirebbe d’infarto. Azriel preferirebbe uccidersi con le proprie mani e Mallory… Mallory non deve finire nei guai», si stringe nelle spalle.

«Ti ascolti quando parli?», dico con un filo di voce. «Io non sono un robot. Sono una persona e sono tua figlia. Io sono-»

«Non ero lucido», taglia corto. «Non ero in me in quel momento. Ho sbagliato, ma i soldi mi servivano, Raven.»

Non batto ciglio.

«Mi servivano», insiste.

«Non mi importa come farai, ma è compito tuo tirarti fuori dalla merda.»

«Prenditi cura dei tuoi fratelli, è tuo dovere. Non puoi tirarti fuori una volta che sei dentro. Solo la morte può salvarti. Questa gente…»

Mi alzo in piedi. «Io non so chi siano! Io non c’entro niente. È tutta colpa tua, cazzo! È colpa tua.»

«Non versare lacrime per me, tesoro, non ne vale la pena.»

«Io non sto piangendo», sibilo tra i denti. «Hai detto bene, non vale la pena piangere per uno come te.»

Le mie parole sembra siano andate a segno, perché lui trasalisce. «Troverò un modo per risolvere questo casino, ma prenditi cura dei tuoi fratelli. Soprattutto di Mallory.»

«E chi si prenderà cura di me?», gli chiedo, stringendo con forza lo schienale della sedia.

«I tuoi fratelli. Siete una famiglia. E un giorno sono sicuro che riuscirai a trovare anche tu qualcuno che lotterà per te come io ho lottato per tua madre.»

Ci guardiamo in silenzio, io con le sopracciglia sollevate e lui con occhi addolorati. «So che sarà difficile, ma il mio sangue scorre nelle tue vene. Sono certo che te la caverai», aggiunge.

«Io non ti perdonerò mai, papà», gli dico.

«Non ti ho chiesto perdono, Raven», ribatte.

Mi ritiro in silenzio e salgo al piano di sopra. Lo sento rovistare in cucina.

Mi fermo davanti alla stanza di Azriel. Giro piano il pomello e mi infilo dentro. Mio fratello dorme profondamente e io lo guardo, indecisa se svegliarlo o meno. Mi avvicino al suo letto, lui sposta le coperte e mi fa spazio accanto a lui. Non apre gli occhi, non mi parla, ma percepisce la mia presenza. Poso la lettera sul comodino e poi mi infilo sotto le coperte accanto a lui.

Mi abbraccia forte e premo la fronte contro il suo petto. «Ce ne andremo.»

«Insieme. Ce la faremo, insieme», lascio che lui mi faccia sentire al sicuro per una notte.

«Ho paura», bisbiglio. «Sai cosa dicono di noi, no?»

«Sarò felice di confermare le voci che hanno messo in giro, allora», bofonchia tra i miei capelli.

«Che siamo dei temibili criminali?»

«Oh. È questo che dicono di noi? Pensavo più a qualcosa tipo “Azriel è il ragazzo più figo di tutta Chicago”.»

«Solo di Chicago?», gli chiedo con una risatina.

«Non me la tiro come Peter.»

«Az… secondo te sarò all’altezza?»

«Sei sempre stata all’altezza di tutto, Rav. Ma piegherò il mondo ai tuoi piedi, se sarà necessario.»

Permetto alle sue braccia di stringermi e mi addormento con la certezza che questa forse è la scelta migliore che potessi fare. Sarà un nuovo inizio per tutti.

Ecco il nuovo capitolo ❤️ non vedo l'ora di scrivere delle loro avventure in quella scuola. Inizierà la parte più divertente = ⚰️☠️
😈
Spero vi sia piaciuto 💕 alla prossima!

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