Wicked Game

By _shadowhunters_96

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Quattro fratelli. Due coppie di gemelli. Quattro ladri e portatori di guai. Una piccola cittadina, al confin... More

Cast
00. Regole
Prologo
01. Sei una divinità
02. Sono allergico ai gatti
03. Sfidarmi ti costerà caro
04. Sei il mio incubo
05. Sei completamente matta
06. Un fantastico partner in crime
08. Soltanto per cinque secondi
09. Guess who's back?
10. Sei nuda, Raven
11. Azriel cosa ne pensa?
12. Mi hai davvero scattato una foto?

07. Raven Parker è sempre stata un problema

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By _shadowhunters_96

Cage the elephant – Cigarette daydreams
02:00 ━❍──────── - 03:28
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VOLUME: ▁▂▃▄▅▆▇ 100%

 

 

 

 

Tiro un calcio al pallone del figlio dei vicini, che casualmente è finito di nuovo nel nostro giardino, e lo rimando dall’altra parte della staccionata.

«La prossima volta te lo sgonfio», minaccio a denti stretti mentre avanzo a passo deciso verso il portico. La luce della lampada che pende dalle travi di legno traballa e il latrato feroce di un cane, nascosto in chissà quale parte oscura del quartiere, per poco non mi fa venire un attacco di cuore.

Apro la porta e, una volta dentro, la chiudo con un colpo di tallone. Stringo i sacchetti di carta tra le braccia e mi addentro in cucina, canticchiando a bassa voce il motivetto di una canzone di cui non ne conosco neanche il titolo.

Le note muoiono una dopo l’altra sulla mia lingua non appena i miei occhi incrociano quelli dei miei fratelli. Mallory e Azriel sono seduti uno di fronte all’altro. Il mio gemello ha il gomito puntellato sul tavolo, la guancia schiacciata contro il palmo. Mallory, invece, ha la schiena dritta e le sue perfette onde dorate adesso sono un groviglio confuso di ciocche raccolte in cima alla testa.

Vedendomi entrare, Azriel scatta in piedi, rigido come una sentinella. «Dove sei stata?», dice quasi in tono d’accusa.

«Un po’ di là, un po’ di qua», mi stringo nelle spalle e cerco di non rivelare troppi dettagli di questa serata disastrosa. Ci sono un sacco di cose che vorrei dimenticare in questo momento.

Azriel mi guarda con un cipiglio, poi allunga le mani e prende i sacchetti che sorreggo goffamente con un braccio. «C’è un buon profumino qui dentro», estrae il contenuto e lo appoggia sul tavolo.

«Ho portato la cena», annuncio con un sorriso allegro. «Mi sono fermata da Chipotle e ho ordinato alcune cose deliziose». Il mio stomaco brontola in tutta risposta.

Mallory sorride, gli occhi traboccanti di gratitudine. «Sto morendo di fame! Grazie, Rav». È stata più veloce di me. Si è tolta di dosso quel vestitino tanto bello quanto scomodo e si è infilata in una tuta rosa sgualcita.

Mentre Azriel distribuisce le porzioni in modo equo, io osservo con circospezione il quarto posto vacante a tavola.

Istintivamente rivolgo lo sguardo verso il corridoio semi illuminato. Mi aspetto di sentire i passi svelti di Peter mentre scende le scale e salta, come di consueto, gli ultimi due gradini. Mi aspetto di sentire la sua voce stonata o le battute familiari di Friends che recita ormai a memoria.

E invece il silenzio fa da padrone al piano di sopra.

«Peter?», chiedo, guardando i miei fratelli mentre lo scetticismo mi adombra gli occhi.

Mallory si gratta la punta del naso. «Non è ancora tornato.»

«Lo sai com’è fatto. Quando è con Lucy fa sempre tardi», mormora Azriel.

«Avete provato a chiamarlo?», indago, il battito martellante del mio cuore penetra fin dentro le vertebre.

«Abbiamo provato a chiamare anche te. Hai lasciato il cellulare a casa. Dovresti smettere di fare questa cosa. È snervante», Mallory mi guarda con un’espressione arcigna.

«Sì, lo so. Quindi avete chiamato Peter?», insisto e Azriel sospira. Srotola il foglio d’alluminio che avvolge il burrito e si appoggia allo schienale della sedia, allungando con fare svogliato le gambe sotto il tavolo. «Sì, ma non risponde. Tornerà tra un po’, vedrai. Siediti e mangia con noi.»

«Quindi, sei andata in quel posto?», chiede Mallory. È bravissima a cambiare argomento, ma con me non funziona.

Tuttavia, cerco di staccarmi con forza dalle paranoie che si sedimentano sempre di più nella mia testa e dico: «Sì. È finita», storco la bocca e afferro il mio burrito.

«Perché hai addosso una camicia nera?», mia sorella si acciglia.

«Era bianca quando sei uscita di casa», mi fa presente Azriel.

«Appartiene ad Elias», ammetterlo a voce alta mi provoca una strana sensazione alla bocca dello stomaco.

Mallory spalanca gli occhi. Sono azzurri e luminosi come l’acqua del mare in un giorno d’estate. «Elias?»

Persino Azriel sembra frastornato. «Intendi Bailey

«Già», rispondo dando un morso generoso al burrito. La salsa di avocado mi cola sul mento e mi sembra quasi di risentire il rimprovero severo di mia madre riecheggiare in tutta la cucina.

«Il ragazzo a cui hai fatto esplodere la macchina?», continua a chiedere Mallory.

«Colui che te la vuole fare pagare?», aggiunge Azriel, scambiandosi un’occhiata complice con Mal.

«Sì e sì. Così sembro meno puttana, capite?», indico il mio aspetto con un movimento agitato della mano.

Azriel si incupisce. «Ti ha dato della puttana?»

«No. Lascia stare, è complicato», raccolgo con il polpastrello la salsa di avocado e mi infilo il pollice in bocca.

I miei occhi irrequieti ogni tanto si spostano sulla sedia vuota. Dove sei, Peter?

«Quindi adesso che si fa?», sussurra tremante Mallory. «Voglio dire… il debito di nostra madre è stato saldato, quindi cosa facciamo? Dobbiamo trovarci un lavoro serio questa volta, giusto?»

«Immagino di sì», risponde Azriel.

Ma non può finire così. Sembra troppo semplice e non voglio illuderli. C’è ancora un problema: nostro padre.

Un’ondata di imbarazzo mi travolge. L’ho considerato davvero un problema. Un ostacolo nella nostra vita.

Sento un macigno posarsi sul mio stomaco e il burrito per poco non finisce sul pavimento.

Lo appoggio giusto in tempo sul tavolo e nascondo le mani tremanti tra le cosce. Cosa diavolo mi prende?

«Troverò una soluzione», mormoro tra me e me e sposto distrattamente una ciocca di capelli dietro l’orecchio.

«A cosa?», domanda Azriel smettendo lentamente di masticare.

Cazzo. L’ho detto ad alta voce.

«Non lo so. Mangiate e basta», sbuffo e mi alzo in piedi.

«E tu? Non hai intenzione di finire?», Mallory indica il mio burrito, l’insalata di fagioli e la coca cola ancora intatti.

«Cenerò insieme a Peter.»

Azriel sospira. «Rav…»

«Vado di sopra», indico le scale.

«Che devi fare?»

«Bruciare questa maledetta camicia, non è ovvio?», sbotto e prendo l’accendino. C’è una vocina nella mia testa che mi ordina di farlo. Perché sembra l’azione giusta da compiere in questo momento.

Vado in bagno e me la sfilo delicatamente. Sulla mia pelle sembra pesante come una pelliccia. Mi sento bollente. Il suo profumo mi impregna le narici e faccio una smorfia mentre la getto nella doccia.

Apro il cassetto e prendo le forbici, poi mi piego sulle ginocchia e afferro il tessuto leggero tra le mani. Ne taglio una striscia e strappo via qualche bottone, poi li metto da parte.

Al resto del tessuto do fuoco e lo guardo diventare nient’altro che cenere. In fondo, non è ciò che mi ha insegnato mia madre? Più di una volta ha bruciato i regali di papà davanti a noi. Più di una volta l’ho vista piangere e contenere la rabbia, mentre tutto dentro di lei ardeva e si spegneva e le riempiva l’anima di un vuoto incolmabile. Non importa quanto abbia provato a far funzionare le cose. Alla fine se n’è andata. Non ha scelto noi. Non ha semplicemente mollato papà, ma ha mollato anche i suoi figli. La partita è finita. Si è autoproclamata vincitrice.

Rimango ferma con gli occhi puntati sul tessuto ormai bruciacchiato, ma non tanto da diventare polvere come speravo. Afferro ciò che ne rimane e lo getto nel cestino della spazzatura.

Pulisco la doccia e lascio tutto in ordine, poi vado nella mia stanza e apro la scatola nascosta dentro il mio armadio. Poso la striscia di tessuto in mezzo agli aeroplanini di carta, tra i ricordi della mia infanzia. Io conservo tutto, perché ho paura di dimenticare.

Un’idea inizia a mettere radici nella mia testa, ma decido di accantonarla per adesso. È follia, mi dico. È ridicolo. Ma lo manderebbe fuori di testa.

Sento due colpetti alla porta e mi giro. Azriel è appoggiato con la spalla allo stipite, le caviglie incrociate. «Noi andiamo a dormire, tu cosa hai intenzione di fare?», domanda, scrutandomi con curiosità.

«Mi sento stanca, quindi forse andrò anche io», fingo uno sbadiglio e lui annuisce.

«Buonanotte, Raven», se ne va, lasciandomi di nuovo da sola con i miei stupidi pensieri.

«Buonanotte, sorellona», grida Mallory dalla sua stanza.

«Notte, Mal», dico di rimando, la voce inespressiva.

Apro le veneziane e poi la finestra. Guardo fuori, la stanchezza si dissolve nel nulla.

Quando il mondo dorme, i problemi cessano di esistere. Ma c’è chi, come me, rimane sveglio in cerca di una soluzione. La signora Hepburn, che si è presa cura di noi per anni, sostiene che non tutti i problemi hanno una soluzione. Quando si scava così a fondo per trovare una via d’uscita, si rischia soltanto di imbattersi in un nuovo blocco.

«Non hai il potere di cambiare il passato, Raven. Ma hai il potere di creare un futuro migliore.»

Da quando è andata a vivere con i suoi figli, ho imparato a cavarmela da sola. Però a volte mi manca. Soprattutto adesso.

Prendo il mio pigiama e mi chiudo in bagno. Mi spoglio ed entro nel box doccia. Il getto d’acqua calda che mi avvolge in questo momento è la cosa che più si avvicina ad un abbraccio.

È più semplice lasciare che sia l’acqua a farmi sentire al sicuro che permettere alle braccia dei miei fratelli di diventare il mio rifugio.

«Tua sorella sarà una splendida madre. Saprà prendersi cura di questa casa e dei suoi figli. E tu, invece? Sei un maschiaccio! Una piantagrane. Hai imparato prima a tirare calci nelle palle che ad allacciarti per bene le scarpe. Ti pare normale?»

La voce di mio padre mi perseguita. Come uno spettro si intrufola ogni notte nella mia stanza e mi dà il tormento.

Ma è tuo padre. Non puoi odiarlo. Ha fatto un sacco di sacrifici per voi. Ricordi?, sussurra una vocina dentro di me.

Ricordo.

Ricordo troppo

Ricordo tutto e fa male.

Ricordo, ma vorrei dimenticare.

Finisco di lavarmi ed esco dal bagno. Dovrei andare a dormire anche io. Eppure, qualcosa non mi dà pace. A passo silenzioso mi muovo nel corridoio come una ladra. Mi siedo sulle scale, gli occhi appesantiti dalla tristezza sono puntati sulla porta d’ingresso. Mi aspetto di vedere il pomello girare.

Mi stringo le ginocchia al petto e appoggio la testa al muro. Rimango immobile e vigile. Non è niente di nuovo.

Quando nostra madre se n’è andata, io mi sono seduta qui ogni notte, per sei lunghissimi mesi, ad aspettare il suo ritorno. Come un cane da guardia speravo di percepire in anticipo il suo arrivo, di prevederlo e annunciarlo con gioia ai miei fratelli.

E ogni notte, io finivo per addormentarmi sulle scale, con le braccia strette intorno al busto e le ginocchia al petto. Azriel veniva a sedersi accanto a me, oppure mi svegliava e mi trascinava nella mia stanza.

Un tocco delicato sulla spalla mi fa trasalire.

Mio fratello si siede accanto a me. Nessuno dei due dice niente. Anche lui fissa la porta con sguardo preoccupato. Eccoci, di nuovo qui insieme. Una vecchia paura a farci compagnia.

La sua mano tatuata si posa sul mio ginocchio e me lo stringe due volte. Lo fa sempre, quando qualcosa mi turba.

Significa “Va tutto bene”.

Quando invece spinge la spalla contro la mia significa “Ci sono io con te”.

Abbiamo imparato a comunicare così, quando mamma zittiva entrambi e non sapevamo in che altro modo esprimere le nostre preoccupazioni.

Sentiamo il cigolio di una porta, ma non è quella davanti a noi.

Pochi secondi dopo, Mallory scavalca le gambe di Azriel e si siede tra di noi.

«Noi Parker non cambieremo mai, vero?», mi rivolge un mezzo sorriso, che ricambio con piacere.

La porta si apre all’improvviso e la figura di Peter si staglia davanti a noi. Ha la camicia tutta stropicciata e i capelli talmente scompigliati che mi chiedo quante volte si sia già lamentato con la sua ragazza del suo terribile aspetto.

Mallory si alza in piedi e si precipita verso di lui, strillando: «Idiota, eravamo in pensiero per te!». Gli getta le braccia al collo e lo stringe a sé.

Azriel si alza e va a dargli una pacca sulla schiena. «Raven ha portato da mangiare. Se hai fame…», lascia la frase in sospeso.

«Sono a posto, ragazzi», taglia corto.

Mallory si allontana da lui, come se avesse fiutato una bugia. «Be’, allora possiamo andare a dormire finalmente», sbuffa e si aggrappa al corrimano, esibendo un finto sorriso. «La prossima volta rispondi al cellulare!», lo rimbrotta.

«Vado anche io. Ci vediamo domani mattina», mi fa sapere Az, salutandomi con un cenno della mano.

Rimango con Peter. Ha le spalle rasente al muro e solleva la testa per guardarmi. Sorride pigramente, cerco di ricambiare per quanto mi è possibile. Riesco a vedere oltre quello sguardo ottenebrato. Guardo oltre quella piega triste che sembra tutto tranne che un sorriso. Abbasso gli occhi sulle sue mani. Ha le dita intrecciate, il capo chino. È successo qualcosa.

«Eri con Lucy?», inizio a indagare in modo non troppo velato e avanzo verso di lui con fare guardingo.

«Sì, perché?», corruga la fronte. Si mette subito sulla difensiva. Lo capisco dal modo in cui mi guarda e dal suo tono brusco. «Non dirmi che mi stavi aspettando di nuovo, Rav», alza gli occhi al cielo. «Soffro d’ansia, non ho mica qualche malattia terminale», scuote la testa.

«No, io stavo soltanto-», cerco di giustificarmi.

«Piantala», mi fulmina con lo sguardo. «Non ho due anni.»

«Ero soltanto preoccupata per te, perché so quanto alcune situazioni ti mettano a disagio.»

Peter si passa nervosamente una mano tra i capelli, ma le dita rimangono impigliate tra i riccioli annodati e fa una smorfia.

«Senti, prima o poi dovrai smettere di preoccuparti per me. Ero con la mia ragazza.»

«Certo, Lucy», borbotto e distolgo lo sguardo, cercando di contenere il mio disprezzo nei suoi confronti.

«Tu la odi», esclama. I suoi occhi sono attraversato da un lampo di delusione.

«Non ti tratta bene e non mi ispira chissà quanta fiducia. Per l’amor del cielo, è la migliore amica di Elias.»

«Mi dispiace, davvero, che tu sia così», mi indica con un gesto della mano e mi si blocca il respiro.

«Così?», i miei occhi si tuffano nei suoi, ma soltanto per una frazione di secondo perché lui decide di guardare altrove.

«Noi siamo i tuoi fratelli non i tuoi amici e neanche i tuoi figli, Raven. Dovresti socializzare un po’ di più e aprirti con qualcuno che non sia Azriel. Non puoi starmi sempre con il fiato sul collo soltanto perché hai paura.»

Gli premo un dito sul petto. «Io sono tua sorella e mi preoccupo perché so come ti senti e tu non sei-»

«…nessuno per dirmi cosa fare?», conclude la frase al posto mio. Era ciò che stavo per dire?

Lo guardo come se mi avesse tirato uno schiaffo in faccia.

«È ciò che mi diceva la mamma.»

«Stai esagerando», affilo lo sguardo e retrocedo. Ho bisogno di prendere le distanze da lui.

«Mi dispiace che tu non abbia mai avuto una vera relazione e che tu non ti sia mai innamorata. Mi dispiace che tu ti senta così, anche se non me ne parli. Io lo vedo», fa per avvicinarsi, ma allungo una mano per impedirgli di fare un ulteriore passo verso di me. Dal modo in cui mi guarda e mi parla capisco che non è in sé.

«Vedi cosa?», chiedo atona.

«Che sei vuota. Ma in fondo vorresti provare qualcosa», mi abbassa gentilmente la mano e con una sola falcata mi raggiunge. «Fa male sapere che un mio abbraccio è in grado di trasformarti in un blocco di ghiaccio. Lo so che tieni a noi, ma sono stanco di ricordarti che non siamo più dei bambini e che sono in grado di badare a me stesso. Mi fai sentire anormale quando fai così, anche se so che le tue intenzioni sono buone.»

Lo guardo senza battere ciglio.

«Hai minacciato la mia ragazza. Me l’ha detto», sospira con aria affranta.

«Volevo soltanto-»

«So cosa volevi fare.»

Le sue nocche mi sfiorano la guancia con dolcezza. «Dai, andiamo a dormire.»

«Non vuoi mangiare?», gli chiedo.

«Ho già mangiato.»

«Va bene», rispondo, fredda. So che sta mentendo.

«E tu?», chiede.

«Anche io», mento a mia volta.

«Rav-»

«Vattene», ordino.

«Mi dispiace», un velo lucido gli copre gli occhi.

Entro in cucina come un tornado. «Per cosa ti dispiace?»

Peter inizia a ronzarmi intorno, le sue braccia cercano sempre di afferrarmi. «Perché sono stato uno stronzo e tu non hai fatto niente di male. Adesso porterò addosso i sensi di colpa come se fossero cicatrici», inizia a trafficare davanti al fornello. Mette su il bollitore e poi prende due tazze.

«Le cicatrici restano e ti marchiano a vita, i sensi di colpa invece sfumano via dopo un po’», gli dico con un sorriso triste.

«Come?», domanda.

«A volte devi soltanto perdonarti allo stesso modo in cui perdoni gli altri. Ti tratti con sufficienza, Peter, e la rabbia con cui rispondi e il modo in cui ti metti sulla difensiva dimostrano soltanto quanto tu sia insicuro e quanto tu stia soffrendo. Non devi sbattermi il tuo dolore in faccia. Lo percepisco anche quando tieni la bocca chiusa, sai?», mi appoggio con la spalla al frigorifero.

Peter assorbe le mie parole e le trasforma in un inquietante silenzio riflessivo.

Dopo un minuto, risponde: «Ti va di salire sul tetto insieme a me? Magari guardiamo le stelle mentre beviamo il tè e ci scambiamo dettagli succulenti sulle nostre crisi esistenziali?», propone con voce incrinata e gli scivolo accanto, sfiorandogli a malapena il gomito.

«Mi piacerebbe molto», un nodo mi serra la gola. Non dico più nulla, ma appoggio lentamente la testa sulla sua spalla e lui accenna un sorriso pieno di scuse.

«Ti voglio bene», sussurra mentre mette le bustine di tè nelle tazze e versa l’acqua. «Un amico di Lucy ci ha scherzato su, questa sera», confessa con un velo di imbarazzo. «Mi sono lasciato prendere dall’ansia e mi sono sentito in difetto. Perché per loro non è normale, capisci? Non è normale agitarsi come un cazzo di uccellino nella gabbia quando ti fanno una stupida domanda alla quale tu non sai come diavolo rispondere», si porta le mani sul viso per coprirsi gli occhi e fa un respiro profondo. Nonostante la giovane età, incurva le spalle come una persona che ha dovuto sopportare troppo.

«E l’ha trovato divertente?», gli chiedo.

«Molto. Hanno riso tutti. Sembravo un cerbiatto spaventato. Mi sono odiato. Mi odio quando la mia cazzo di testa non funziona come dovrebbe», batte il palmo contro la tempia e con un braccio gli circondo la vita. Ci sto provando.

«Chi è stato?»

«Aaron-qualcosa», mi fa cenno di seguirlo nella sua stanza. Gli prendo le tazze dalle mani intanto che sale sul tetto e poi gliele passo di nuovo e lo raggiungo anche io.

Un refolo d’aria settembrino ci scompiglia i capelli. Quando l’allegria non gli anima più gli occhi e non gli scivola più sulle labbra, il mio mondo si spegne.

Seduti uno accanto all’altro, con le nostre tazze fumanti tra le mani, guardiamo il cielo. La luna fa capolino tra le nuvole e il mio sogno si accende come un faro nella notte.

Mi porto la tazza alle labbra e il liquido bollente mi ustiona la gola.

«Piano altrimenti ti bruci», mi redarguisce e soffia dentro la mia tazza per fare sì che il tè si raffreddi un po’. Sa che a me piace tiepido, anche se molto spesso insiste che lo beva molto caldo.

«Prova ora», mi dice e trattengo le lacrime mentre il liquido scivola nella mia gola caldo ma non abbastanza da strapparmi una smorfia. Lo guardo con la coda dell’occhio e mi chiedo in che altro modo potrei proteggerlo. Come potrei cavargli dalla testa quelle stupide paure, quella stupida voce, quei maledetti pensieri?

«Quando la mamma se n’è andata, ho pensato subito di non essere abbastanza. E forse è la verità. Altrimenti lei sarebbe rimasta, giusto?»

«Nostra madre è una stronza e tu sei fantastico», mormoro da dietro l’orlo della tazza.

«Tu non ti senti mai abbandonata?», bisbiglia quasi come se fosse restio a voler pronunciare i suoi timori a voce troppo alta.

«Non proprio», gli dico con una stretta nelle spalle.

«Perché?»

«Perché nessuno se ne va mai per davvero», poso una mano sulla sua spalla e gliela stringo piano. «Restiamo per sempre intrappolati nel tempo. Noi siamo lì, tra i ricordi di ciò che è stato, e a me sta bene così.»

Peter beve il suo tè, un sorriso dolce si apre sul suo viso angelico.

«Hai un modo molto strano di vedere le cose, sorellona», fa scontrare le nostre spalle in modo giocoso e aggiunge: «Quindi non dovrei vederla come un abbandono? Dovrei pensare a ciò che siamo stati e fingere che non sia mai successo?»

«No, Peter. È successo. È reale. La mamma se n’è andata, ma non abbiamo bisogno di lei per essere felici, capisci? Lei ci sarà nei nostri ricordi. Persino in questo momento è qui», picchietto l’indice sulla sua tempia. «Il ricordo non ti abbandona.»

«Tu sei felice?»

La sua domanda mi coglie di sorpresa.

Mi piego verso di lui e le mie labbra scivolano teneramente sulla sua fronte. «Vado a dormire. Prova a farlo anche tu, d’accordo?»

Annuisce e io rientro. Lascio la tazza vuota sulla sua scrivania e mi chiudo nella mia stanza. Mi butto sul letto a peso morto, le mani tra i capelli.

Odio questa città. Odio mia madre. Odio mio padre. Odio tutto, tranne i miei fratelli. Odio persino la mia cazzo di esistenza in questo momento.

Ha ragione Elias. Sono una maledetta bugiarda. E i miei fratelli si bevono ogni stronzata che esce dalla mia bocca.

Mi infilo sotto le coperte e prendo il cellulare che ho lasciato sul comodino. Controllo le notifiche e strizzo gli occhi quando noto un numero di cellulare nuovo.

Clicco sulla notifica e si apre una chat.

Sconosciuto: Sappi che rivoglio indietro la mia camicia.

Mi sfugge un lamento soffocato e decido di rispondergli.

Io: L’ho bruciata.

Non ho intenzione di salvare il suo numero in rubrica e non so neanche come diamine abbia fatto ad ottenere il mio. Ma è Elias. Ottiene sempre tutto ciò che vuole con un semplice schiocco delle dita.

Spengo la schermata, ma dopo neanche un minuto si illumina di nuovo.

Sconosciuto: Quindi, ricapitolando: mi devi una macchina, una camicia e un bracciale, Parker.

Io: Qualcos’altro?

Sconosciuto: Non lo so. Intendi sottrarmi altro?

Io: La verginità, magari?

So che questo messaggio lo farà impazzire. Cambio idea e decido di salvare il suo numero. I nemici vanno tenuti d’occhio.

Elias: Forse vedermi senza camicia ti ha fottuto il cervello, Parker.

Io: Be’, tutto è possibile.

Elias: Stai scherzando?

Io: Certo che sì. Non ti scoperei neanche se fossi l’ultimo uomo rimasto sulla terra.

Io: Conosci un tale Aaron? È amico di Lucy.

Elias: Aaron Dyson? Che vuoi da lui?

Io: Che mi pulisca i tappeti?

Elias: Raven, sii seria.

Io: Mi piacerebbe andare a letto con lui. Ho sentito che non è niente male tra le lenzuola.

Elias: Devi stare lontana dai miei amici.

Alzo gli occhi al cielo e blocco il cellulare. Ne ho abbastanza.

Pochi secondi dopo mi arriva un altro messaggio.

Elias: Perché giri con un coltellino?

Elias: Aspetti il momento giusto per smembrarmi e gettarmi in un cassonetto?

Mi ritrovo a sorridere, ma la smetto subito perché provo di nuovo disgusto verso me stessa. Dio, che schifo!

Io: Non mi sporcherei le mani in questo modo. Adesso cancella il mio numero, stronzo.

Elias: No? Eppure…

Alzo gli occhi al cielo.

Io: Levati dalle palle, Elias.

Elias: Tremi sempre in quel modo, quando qualcuno ti tocca?

Credo di aver letto il suo ultimo messaggio almeno una decina di volte.

«Vedi cosa?»

«Che sei vuota».

Mi perdo nell’eco delle parole pronunciate da Peter.

Sono un blocco di ghiaccio, incapace di tollerare davvero il tocco delle persone.

Cancello la chat e chiudo gli occhi, ma il cellulare vibra di nuovo.

Elias: Mi piacerebbe scoprirlo, volpina.

Elias: La mia opinione su di te cambierebbe in maniera radicale.

Mi acciglio.

Io: In che senso?

Elias: Ai miei occhi diventeresti semplicemente una patetica ragazzina fifona.

Io: E adesso come mi vedono i tuoi occhi?

Elias: Ti vedono come una nemica, una rivale, un casino, un disastro, una combina guai.

Io: Attento. Il mio ego sta raggiungendo le stesse dimensioni della Terra.

Io:. Cos’altro sono?

Elias: Caos allo stato puro. Autentica follia.

Io: Altro? O hai finito?

Elias: Un problema di dimensioni colossali.

Io: Soluzioni?

Elias: Il carcere?

Io: Estremo.

Elias: Mio il problema, mia la soluzione.

Per conservare quel briciolo di pazienza che mi è rimasto, decido di spegnere il cellulare e lanciarlo sulla scrivania, abbastanza lontano da impedirmi di ripescarlo in fretta. Non ho alcuna intenzione di abbandonare il mio letto.

«Fottiti, Bailey», mormoro e tiro la coperta fino a coprirmi il naso. Vorrei crollare subito, spegnere il cervello con un click, eppure non ci riesco. Penso al fatto che non credo di aver mai parlato così tanto con Elias in tutta la mia vita. Vorrei eliminare dalla mia mente il nostro ridicolo scambio di battute, ma non riesco a non soffermarmi sulla sua dannata soluzione.

Vorrebbe davvero mandarmi dietro le sbarre e togliermi la libertà?


Il mattino seguente scendo in cucina strascicando i piedi e stropicciandomi un occhio. I miei fratelli mi guardano come se durante la notte mi fossero spuntate sulla testa un paio di corna e la coda da diavolo.

Analizzo attentamente la situazione. La colazione non è pronta. Azriel non si sta dando da fare come al solito davanti ai fornelli. Mallory e Peter non si stanno punzecchiando.

C’è un’aria diversa.

«Buongiorno…?», biascico e poi sbadiglio.

Peter si schiarisce la gola. «Ci sono novità.»

Mallory si muove a disagio sulla sedia.  Azriel mi esorta a prendere posto. Mi trascino pigramente verso di loro e crollo sulla sedia in modo sgraziato.

«Cos’è? Una lettera da parte di nostra madre? Una cartolina?», indico la busta bianca al centro d tavolo.

«Ehm…», Mallory la spinge delicatamente verso di me. «Forse dovresti aprirla tu.»

«Perché siete così terrorizzati?», chiedo. È troppo presto per ricevere brutte notizie. I miei neuroni sono ancora assopiti, le connessioni sinaptiche sono troppo deboli. Rigiro la busta ben sigillata tra le dita e divento di pietra non appena noto lo stemma della scuola.

Quella scuola.

C’è il nostro indirizzo stampato sulla carta, quindi non si tratta di un dannato errore.

Batto piano le palpebre e inizio ad aprirla con cautela.

«Cos’è?», chiede Peter, irrequieto.

«Dammi il tempo!», replico ed estraggo il foglio ripiegato su stesso. I miei occhi si muovono da una parte all’altra. Rileggo più e più volte la prima frase.

Non può essere.

Non è reale. «Oh, cazzo!», esclamo, sconvolta.

«Cosa?», gridano i miei fratelli all’unisono.

«Siamo stati ammessi», sussurro.

Mallory scatta in piedi. «Ma che dici? Non abbiamo fatto richiesta!»

«Io non lo so», fisso le parole con sgomento, ma in realtà inizio a sognare a occhi aperti.

«Questa realtà è una simulazione, altrimenti non si spiega. Oppure è una specie di scherzo», esclama Peter. «Stiamo delirando tutti insieme? Sei sicura di aver letto bene?», inizia a ridere nervosamente.

Azriel sospira profondamente e punta lo sguardo su di me. «Ti dispiace leggerla ad alta voce?»

Cari futuri studenti,

 

Congratulazioni! La vostra richiesta è stata accolta!

Come immagino sappiate già, la nostra prestigiosa scuola accoglie studenti da tutte le parti del mondo. Soltanto quest’anno abbiamo ricevuto oltre ventimila richieste e dopo un’attenta selezione, vi comunico con immensa gioia che siete stati ufficialmente ammessi alla Hawthorne Academy.

Come da procedura, i vostri nomi sono stati inseriti automaticamente nell’elenco delle matricole e i responsabili hanno già provveduto allo smistamento nei dormitori.

Raven Parker: ala est nr. 4AG

Mallory Parker: ala est nr. 15DC

Peter Parker: ala est, nr. 10AD

Azriel Parker: ala est, nr. 11AD

Il materiale vi verrà fornito una volta arrivati a destinazione.
Vi informo che il pagamento è stato effettuato con successo e coprirà l’intero anno scolastico come richiesto.

Per ulteriori informazioni, si prega di contattare la segreteria.

In caso di rifiuto, si prega di mandare un’e-mail all’indirizzo sotto indicato e fornire gentilmente una spiegazione.

Spero di potervi dare il benvenuto di persona a breve.

Vi mando un cordiale saluto,

La preside

      𝓕𝓇𝓮𝓎𝒶  𝓑𝓪𝓲𝓵𝓮𝔂

«Merda! Quindi ora che cosa faremo?», chiede Mallory. E per la prima volta, io non so cosa rispondere.

Azriel afferma con decisione: «Ci andremo.»

Ci giriamo tutti e tre verso di lui. «Ti sei bevuto il cervello?», gli chiedo.

«Sì, Az. Sei matto?», esclama Mallory.

«L’ansia mi sta divorando», farfuglia Peter e si porta una mano sulla pancia.

«Ci andremo. Fine della storia. È il sogno di tutti noi. Abbiamo questa possibilità e io intendo sfruttarla al massimo. Uscire da questo buco ci farà bene.»

«Non ti interessa sapere come mai siamo entrati tutti in questa scuola? Non ti poni neanche una domanda?», gli chiedo lievemente infastidita.

«Una volta lì, sono sicuro che lo scopriremo, Raven. Non fare storie. Lo desideri da una vita. Adesso hai paura?», mi chiede il mio gemello.

«È che non sappiamo niente… Raven ha ragione», interviene di nuovo Mallory.

«Ma io starei sempre con Lucy…», Peter dà voce ai suoi pensieri. «Finalmente potremmo stare tutti i giorni insieme. È una buona opportunità.»

Alzo gli occhi al cielo. Fanculo Lucy! Qui è in gioco il nostro futuro.

«Te l’ho detto, Raven. I sogni sono piccole realtà che aspettano soltanto di essere vissute al momento giusto», continua a dire Peter.

«È qualcuno che ci conosce, ne sono sicura…», mormoro tra me e me. «Non è un’opera caritatevole. Non me la bevo. Qualcuno mi vuole lì.»

Peter sbuffa. «Ottimo, iniziamo con l’autosabotaggio!»

Gli scocco un’occhiata omicida. «Non è vero», protesto.

«Andiamo, Raven! Lo fai sempre», scuote la testa con fare esasperato. «Ogni volta che ti si presenta l’opportunità di essere felice, tu ti tiri indietro. Sei sempre così sfrontata e spericolata, ma quando si tratta di goderti i momenti felici, ti spaventi e scappi. Almeno questa volta scegli te stessa. Perché io, con o senza di te, andrò lì. È già tutto pagato, di cosa ti preoccupi?»

«Io scelgo sempre me stessa», getto la lettera verso di lui. «E non è affatto normale ricevere una simile lettera! Ho fatto richiesta qualche anno fa. Rispondono entro pochi mesi, non dopo anni. Questa situazione mi puzza. E nessuno è così magnanime con noi. Se hanno pagato per la nostra istruzione, significa che ci sarà un altro prezzo da pagare.»

«Oh, ma smettila! Non cercare scuse e accetta. Cosa mai potrebbe andare male?»

Per fortuna Mallory è dalla mia parte.

«Io andrò con Peter», dice Azriel con nonchalance.

«Non stai andando a fare la spesa, Az», lo rimprovero. «Non è così semplice.»

«Invece sì, lo è. Prendi un mezzo e te ne vai da questo posto del cazzo.»

«Messa così…», brontola Mallory.

«Bene! Vedo che siamo tutti d’accordo!», esclama Azriel non accettando un no come risposta.

«Credo sia una pessima idea», mi asciugo i palmi sudati sui pantaloni del pigiama.

«Andrà alla grande», Peter mi fa l’occhiolino.

No, sarà un disastro.

Azriel mi dà un colpetto sulla coscia. «Dobbiamo iniziare a prepararci»

La realizzazione mi colpisce forte come un pugno nello stomaco. Elias sarà lì. Vedrò la sua faccia ogni dannato giorno.

Renderà la mia vita un inferno.





È soltanto questione di pochi giorni e tornerò finalmente a scuola.

Mi resta davvero poco tempo a disposizione per farla pagare a quella piccola stronza.

Pochi giorni e finalmente non vedrò più la sua faccia.

La frustrazione scalpita nelle mie vene.

Svegliarmi con i postumi e avere lei in testa è davvero un risveglio del cazzo. Ed è tutta colpa sua.

Dovrei scendere dal letto, seguire alla lettera la mia dannata routine, eppure rimango immobile sotto le coperte, lo sguardo puntato sul soffitto bianco. Penso a Adeline. Cazzo! L’ho lasciata in quel maledetto locale insieme ai nostri amici e non mi sono neanche giustificato per la mia assenza.

Probabilmente mi sparerà nelle palle. O forse no. Raven lo farebbe senza dubbio, ma Adeline non è come lei. Sicuramente la farò franca in qualche modo. Adeline non esagera mai. È dolce, ragionevole, gentile e il suo tono è sempre blando. Avrei potuto svegliarmi con la sua bocca intorno al mio cazzo, il suo modo preferito di darmi il buongiorno, eppure mi sveglio con le parole di quella stronza petulante in testa.

La mia immaginazione corre a briglia sciolta. Penso a ciò che è successo ieri sera, al modo in cui mi guardava. Per pochi secondi ho scorto qualcosa di diverso in quel suo sguardo diabolico.

Mi giro su un fianco e guardo l’ora sul cellulare.

Istintivamente controllo le notifiche. Non lo faccio mai. Sblocco il cellulare, la sua chat è ancora aperta. All’improvviso mi ricordo perché le ho scritto.

Rivoglio indietro la mia camicia.

Cosa diavolo mi è passato per la testa quando l’ho costretta a indossarla? E perché lei non si è ribellata? Aveva freddo? O non l’ha fatto semplicemente perché le ho chiesto io di non fare storie?

Non mi importa saperlo davvero. Non mi lascerò consumare dalla curiosità.

Tolgo il cuscino dal viso, i raggi del sole filtrano attraverso le tende leggere e cadono obliquamente sul mio letto.

Raven Parker è sempre stata un problema.

Il mio dannato problema. E devo risolvere questa cosa in fretta prima che diventi un problema ancora più ingestibile di quanto non lo sia già.

La odio. Non soltanto perché mi ha distrutto l’auto, ma anche per avermi rovinato la relazione anni fa. La reputazione. E perché è sempre stata una dannata spina nel fianco.

Merda.

Cerco il numero di Aaron e lo chiamo. Risponde al primo squillo.

«Hai fatto qualcosa ai Parker?», gli chiedo.

«Di che cazzo stai parlando?», biascica e sento il fruscio delle lenzuola.

«Tu, brutto cazzone, hai avuto a che fare con un membro della famiglia Parker ieri sera?»

Sospira. «Forse. C’era Peter Parker con noi ieri sera. È il ragazzo di Lucy, no? Che nome ridicolo, cazzo», scoppia a ridere.

«Gli hai detto qualcosa? A Peter, intendo. Avete interagito?»

«Amico, non ricordo. Ero fatto come una pigna. So solo che Peter mi ha fatto pena», sbadiglia e stringo i denti.

«Stai attento a Raven Parker.»

Mi immagino la sua faccia confusa. «Sua sorella? Perché dovrei stare attento? Potrei spezzarla. Mi basterebbe una sola parola, lo sai.»

«Toccala e ti ammazzo, Dyson», minaccio e involontariamente penso alla stupida battuta di Raven.

«La proteggi, ora?»

«A lei ci penso io. Tocca a me renderle l’esistenza un incubo. Ti ho chiamato per avvertirti.»

«Cosa potrebbe mai farmi?», chiede con una risata di scherno.

A me ha bruciato la macchina, vorrei dirgli.

«Mi vedrà come un nemico?»

Faccio una smorfia quando sento la parola nemico. Perché voglio essere io il suo unico nemico. L’unica persona che odia così profondamente.

«Sei già sulla sua lista nera», mormoro.

«Be’, Raven Parker può succhiarmi il cazzo», esclama.

Un muscolo guizza sulla mia mascella e le nocche iniziano a bruciarmi. Abbasso lo sguardo sul mio pugno stretto e sciolgo le dita.

«Raven Parker te la farà pagare e io mi godrò lo spettacolo, perché sei un coglione irresponsabile, Aaron», gli dico.

«È solo una puttanella qualsiasi.»

«Tra quindici minuti sarò da te», lo informo.

«Vuoi farmi da guardia?», ridacchia.

«Peggio, ho voglia di strapparti la lingua in due», riattacco.

Mi massaggio le tempie. Quel coglione non sarà in grado di fare del male a Raven, ma io sì.

Allungo la mano verso il cassetto del comodino, tiro fuori la piccola scatola e la apro. Osservo la collana con occhi colmi di domande. La piccola stellina luccica sul gommapiuma verde.

«Oh, Raven, non sai cosa ti aspetta», sorrido maliziosamente e richiudo il cassetto con un tonfo.

Ecco il nuovo capitolo 🥁❤️ spero vi sia piaciuto. A breve andranno alla HA, e ad Elias verrà un colpo al cuore 💅🏻

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