Glimpse of Hope

By Artvmary

11K 565 1.8K

𝐍𝐞𝐰 𝐘𝐨𝐫𝐤 𝐂𝐢𝐭𝐲 Nadine Morris, da quando ha memoria non è mai riuscita ad esternare ciò che aveva de... More

author's note
info+TW
prologo
1. Raggi di sole
2. Tre moschettieri
3. Volare
3.1 Lust
4. fascino o paura?
5. Pretend
6. Us
7. Strawberry
8. Chaos
9. Run away with me
10. The two of us, under the same sky (1)
11. Like Modigliani's paintings (2)
12. A bond that will never break
14. wounds and wine
15. It's saturday in New York

13. this is the last time

447 21 146
By Artvmary

‼️TW: dca, violenza‼️

"you talk of the pain like it's all alright
But I know that you feel like a piece of you's dead inside"
- Matilda by Harry Styles

Samantha's pov

Che comunque svegliarsi la mattina presto è sempre stato un trauma per me, pensare di dover lasciare il mio letto per affrontare un'altra giornata uguale a tutte le altre mi fa già venire il mal di testa.
Tutto questo ovviamente viene amplificato quando il mio cervello si concentra chi non dovrebbe.

Kyle Clemor.

Il suo nome continua a fare capolino tra i miei pensieri da ieri pomeriggio.
Mi ha totalmente ignorata dopo essere uscito dalla palestra, ma questo però non mi ha impedito di notare i segni che aveva sul viso.

Mi sono rigirata tra le coperte pensando e creando mille scenari di come si possa essere procurato quei lividi. Penso di essermi alzata almeno otto volte dal letto giusto per provare a non pensare, probabilmente Nadine mi ha sentita e avrà pensato che fossi uscita pazza.

E non avrebbe tutti i torti sinceramente.
Ogni volta che succede qualcosa a Kyle lo noto, prima che ci allontanassimo e smettessimo di parlare, ci dicevamo tutto. Non avevo quindi, bisogno di notare il suo atteggiamento per sapere se qualcosa lo turbava o lo tormentava. Da quando ci siamo allontanati però, ho imparato ad osservare il suo comportamento e ogni volta che lo notavo a fissare il vuoto o non parlare o ridere, sapevo che qualcosa girava dentro il suo cervello.
Speravo sempre che si alzasse e venisse da me a parlarne, che si confidasse come un tempo, che si liberasse da quei pensieri di cui abbiamo sempre condiviso il peso in modo che non ci schiacciassero.

Purtroppo però, non l'ha mai fatto.

Non gliene faccio una colpa, d'altro canto io non sono da meno, questo nostro allontanamento mi ha bloccata dal raccontargli molte cose, alcune delle quali non sarebbe fiero e di altre che invece gli avrebbero fatto spuntare un sorriso.

Il suo sorriso, quello che probabilmente mi tatuerei sulle palpebre in modo da averlo sempre con me.

Quello stesso sorriso che però non rivolge più a me. Quello che perde una volta che siamo entrambi nella stessa stanza.

Sono tante, troppe, le volte in cui avrei voluto alzarmi e urlargli contro domandandogli il perché abbia buttato tutto via. Di come il nostro rapporto sia andato in frantumi in un batter d'occhio lasciandoci solo delle schegge di vetro come ricordi, perché per quanto quei ricordi siano belli, fanno male.

So per certo che se solo l'avessi fatto davvero, non avrei ricevuto una risposta da lui. Avrebbe solo preso le sue cose e mi avrebbe ignorata, lasciandomi lì a rimuginare su tutti gli errori che potrei aver commesso.

E tra quegli errori, ripenserei a quella sera passata insieme, le nostre risate e i nostri respiri uniti, ai sentimenti che non avrei dovuto provare per qualcuno che non ricambiava e che non l'avrebbe mai fatto.

Momenti e ricordi, trasformati in errori perché lui ha aspettato a malapena un giorno per sostituirli con qualcun'altra. Qualcun'altra più all'altezza di me, che probabilmente non ha mai avuto paura di farsi vedere in pubblico in costume, di mettere una gonna o dei pantaloncini per paura di essere giudicata.
Qualcuno che si guarda allo specchio e non vede solo difetti e che non si sveglia la mattina sperando di trovarsi in un corpo che non deve coprire.

E per quanto faccia male, so che è meglio così. Kyle merita qualcuno che si ami al cento per cento prima di amarlo e di stare con lui e io, ad amarmi al cento per cento, non ci sono mai riuscita.

Proprio per questo motivo dopo anni di lotte, è bastata una piccola cosa per farmi crollare di nuovo.
Eccomi qui, a fissare il piatto della mensa con la colazione che dovrei mangiare, ma che il solo pensiero mi fa salire la nausea.

«Comunque questa strana sensazione che sento mi fa venire i brividi» dice Nadine, facendomi spostare lo sguardo su di lei.
«Anche a me» annuisco.

Non so esattamente a quale sensazione si stia riferendo ma tra le mille che sento, probabilmente ci sarà anche la sua.

«L'aria qui in mensa sembra pesante» continua.

Giro la testa guardandomi intorno.

E da quando siamo entrate stamattina, solo ora noto il gruppetto di Kyle nel tavolo infondo.

Hanno tutti un'espressione seria e le spalle rigide, e mentre Kyle e Trevor sono silenziosi, Dylan come al solito chiacchiera con le ragazze del tavolo accanto, senza però ridere o sorridere come farebbe di solito.

«Probabilmente non la sentiamo solo noi» dico, indicandoli con la testa.
«L'ho detto proprio per questo, sono entrati e si sono seduti senza prendere nulla e non hanno ancora parlato» li guarda Nadine.

Sposto lo sguardo su Kyle e come se avesse sentito i miei occhi addosso, si volta verso di me.

Per la prima volta dopo non so quanto, i nostri occhi si incrociano e non posso fare altro che stringere le mani in un pugno per calmare i tremori.

Lo vedo abbassare lo sguardo sul vassoio davanti a me per poi alzare un sopracciglio e puntare nuovamente i suoi occhi nei miei.

Mi sento come un ladro colto sul fatto perché so perfettamente cosa potrebbe star pensando, e sapere che potrebbe aver ragione mi fa aggrovigliare lo stomaco.

Questo nostro scambio di sguardi però, viene interrotto da una chioma bionda, la quale si posiziona davanti a lui.

Lauren. Di nuovo.

La nausea che sentivo aumenta, mentre loro due si guardano e lei gli sorride. Sento la gola chiudersi e la mascella farmi male da quanto sto stringendo i denti tra loro.

Guardo il resto del tavolo nella speranza che lei non sia lì per lui, ma Trevor li sta ignorando e Dylan sta ascoltando la loro conversazione e li guarda senza dire nulla.

Perché? Perché?

Abbasso lo sguardo e ispiro cercando di non vomitare davanti a tutti.

9 anni prima.

Svegliarsi e andare a scuola, il mio incubo peggiore.

Non so quando è stata l'ultima volta che mi sono svegliata senza sentirmi completamente fuori posto.

«Forza Samantha, sbrigati o faremo tardi» urla mia madre dal piano inferiore.
Sospiro e mi alzo dal letto, sistemandomi il maglioncino.

Vorrei solo rimanere a casa.

Supero lo specchio accanto all'armadio, trattenendomi dal guardare il mio riflesso.
L'ultimo cosa che voglio è vedere lo stato in cui sono.

Prendo lo zaino e chiudo la porta alle mie spalle.
«Arrivo» urlo.

«Amore, pronta?» mi sorride mamma.
«Che sei carina oggi, questo maglioncino ti sta proprio bene. Abbiamo fatto bene a comprarlo visto?» dice, sistemandomi il tessuto sulle spalle.

Ti sta proprio bene.

Davvero?
Quanto vorrei crederle.

Sento il materiale del tessuto toccarmi la pelle e mi sento soffocare. Nonostante abbia comprato una taglia più grande, sento di occupare troppo spazio dentro questo maglioncino.

Mi sforzo di sorriderle, prima che mio fratello ci raggiunga correndo.
«Ti sei svegliato finalmente Nathan, ero tentata di lasciarti qui a casa e farti andare solo» dice mamma incrociando le braccia al petto, fissandolo.
Lui si piega, sistemandosi le scarpe e legando i lacci.
«Non ho sentito la sveglia» ribatte.
Mamma alza gli occhi al cielo.
«Dillo che volevi solamente dormire di più, mentire non serve a nulla» ride mamma scuotendo la testa.
«Andiamo, forza» ci incita prima di uscire di casa per dirigerci a scuola.

Da casa a scuola sono solo quindici minuti a piedi, ma mamma ha insistito per accompagnarci lei.

Oggi entra un po' più tardi a lavoro, e vuole sempre passare quel tempo in più che ha con noi.

«Vi siete ricordati tutto?» domanda, lanciandoci un'occhiata continuando a tenere le mani sul volante.
Io e Nathan annuiamo.
«Sì» diciamo in coro.

Mio fratello si volta a guardare fuori dal finestrino, infilandosi le cuffiette nelle orecchie.

«Okay, tenete questi» ci porge con una mano, due sacchetti.
«Ho preparato due panini per la merenda» li prendo, passandone uno a Nathan.
«Grazie» dico.
Infilo il panino nello zaino e qualche secondo dopo la macchina si ferma davanti al cancello della scuola.

«Mi raccomando» si gira a guardarci.
«Nathan, togliti quelle cuffiette e vai a scuola. Non provare ad usarle in classe, non voglio essere chiamata dalla tua professoressa» dice, allungano un braccio dietro.
Nathan sbuffa per poi ridacchiare.
«D'accordo d'accordo, tranquilla» alza le mani in segno di arresa e rimette le cuffiette in tasca.

«Ci vediamo a casa» sorride.

Scendiamo dall'auto e mamma riparte.

Sospiro e guardo il grande cancello.

Che sia una buona giornata.

☁️

Sono passate quasi tre ore dall'inizio delle lezioni. La campanella ha suonato avvisandoci dell'inizio della ricreazione, il momento che odio di più di tutta la giornata.
Ho fame ma la gola mi si stringe se penso di dover mangiare davanti a tutti.

Mi guardi attorno. Chissà se ci pensano anche loro? Chissà se hanno notato che non ho ancora iniziato a mangiare.

Chissà come mi vedono loro.

Che domanda stupida. Lo so come mi vedono loro.

La domanda più importante è, come mi vedrei io attraverso gli occhi di un estraneo?

Se potessi uscire dal mio corpo, mi guarderei con gli stessi occhi?
Vedrei tutti i difetti che ogni giorno mi urlano e mi ricordato di quanto io sia imperfetta?

Perché nonostante ci provi con tutte le forze che ho, mi sento sempre così diversa dagli altri?

la paura nel sentire degli sguardi addosso, le loro espressioni e i loro occhi, così pieni del riflesso dei miei difetti. Li vedono anche loro? Mi giudicano per questo?

Occupo troppo spazio? Respiro troppo rumorosamente? I miei capelli sono fuori posto?

Sento il tessuto dei jeans scavarmi le cosce e il maglioncino starmi più stretto.

Avranno notato come le mie gambe sembrino più grandi quando mi siedo?
Di come la mia pancia riempia il mio pantalone?
Le mie dita troppo paffute, le mie unghie corte e senza smalto.

Tutti intorno a me hanno tirato fuori la merenda, mangiano e parlano tranquilli.

Il panino che mamma mi ha preparato è davanti a me.
Più lo guardo, più sento il respiro mancarmi.

Mangiano tutti, posso farlo anche io?

Le mani mi tremano mentre le avvicino e afferro il panino, spostando la carta che lo ricopre.

Porto il panino alle labbra e do un morso.
Il cuore mi batte velocemente.

Mi stanno guardando? Penseranno che mangio troppo.

Cerco di fermare il tremore delle gambe, sistemandomi meglio sulla sedia.

Con tutta la forza che ho, continuo a dare morsi e a masticare.

Non ho intenzione di alzare lo sguardo adesso, se non li guardo mi ignoreranno giusto?

«Ehy orco, buono quel panino eh? Quanti ne hai mangiati già? Dieci?» mi urla una voce dal fondo della classe.

Il cuore mi si blocca e sento l'ultimo boccone bloccarsi in gola.

L'intera classe ride.

«Oh dai, io dico almeno venti»
«Ma quel maglioncino? È nuovo? Ma ti sei guardata allo specchio prima si comprarlo? Tutto questo rosso ti fa sembrare una palla di natale» si unisce una terza voce.

Provo a regolare il respiro e ignorarli.

Ti sta bene.

Sento le lacrime minacciare di uscire e poggio quello che rimane del panino sul banco, prima di alzarmi.

«Dove vai orco, ancora fame? Se vai alle macchinette lasciaci qualcosa»

Alzo lo sguardo, tutti gli occhi sono puntati su di me.
Anche i loro.

Il cuore mi fa male. Perché non dicono nulla? Perché sono dalla loro parte ora?

Lauren mi guarda senza proferire parola, portandosi una ciocca di capelli biondi dietro l'orecchio. Accanto a lei, Kristal distoglie lo sguardo appena si ritrova i miei occhi addosso.

Perché anche voi?

C'è mai stato qualcuno di vero accanto a me? Perché mi abbandonano tutti?

Mi volto ed esco dalla classe, mentre tutti ridono.
Appena varcata la porta, inizio a correre.

Ho gli occhi appannati dalle lacrime e la gola mi fa male per aver trattenuto i singhiozzi, sento l'aria nei polmoni mancarmi.

Entro nel primo bagno che trovo.
È tutto vuoto, ovvio. Sono tutti impegnati a parlare e scherzare, pronti per uscire in cortile per la ricreazione.

ispiro ed espiro.
«Okay, l'ho già fatto no? Una volta in più non cambierà nulla»

Ma avevi detto che quella era l'ultima volta.

«Questa è l'ultima volta»

Mi avvicino al water e guardo giù, le mani mi tremano mentre le porto in bocca e infondo alla gola.

Butto fuori tutto. Tutto.
Mi svuoto lo stomaco, nella speranza che insieme al cibo vada via anche questa sensazione orrenda che mi attanaglia e mi fa bruciare il cuore e le viscere.

Lo stomaco mi fa male e sento la gola indolenzita.
Un altro conato e giù tutto.

Finito.

Mi pulisco le labbra con la carta accanto al water e tiro lo sciacquone.
Scivolo sul pavimento stringendo le gambe al petto, lasciando finalmente uscire tutti i singhiozzi e le lacrime.

«Perché?» sussurro.

Orco. Orco. Orco.

Questo sono? Cosa c'è che non va in me? Perché non sono come gli altri?

Continuo a piangere e poggio la fronte sulle ginocchia, per quello che posso.
La mia stupida pancia non mi fa aderire le gambe al petto, le mie cosce sono troppo grosse e non riesco a circondare con le braccia.

Hanno ragione.

Sento dei passi fuori dalla porta e mi porto una mano sulle labbra per non farmi sentire.

«C'è qualcuno?» chiede una voce maschile.

Un maschio? Cosa ci fa nel bagno delle ragazze?

Dei passi si fanno più vicini e un bussare alla porta mi fa sussultare.

«So che sei lì dentro, ti vedo dallo spazio sotto la porta» dice.
«Non dovresti stare a terra, è sporco»

Tiro su col naso.
«Vai via, non so chi tu sia ma vai via» dico con voce rauca dal troppo pianto.

C'è un attimo di silenzio e vedo le sue scarpe uscire fuori dalla visuale del piccolo spazio sotto la porta.

Sospiro.
È andato via.

Un rumore mi fa voltare.
«Ti sei seduto a terra anche tu?»

Nessuna risposta.

«Puoi continuare a piangere se vuoi» dice.
«Come fai a sapere-»
«Ti ho vista correre in lacrime ed entrare qui»

Mi blocco. Mi ha vista?

«Perché sei nel bagno delle ragazze?» domando.

Silenzio.

«Sai, anche io ho pianto qualche volta nel bagno dei maschi»
«Nessuno però mi ha mai visto farlo»
«Perché?»
«Perché pensavo che piangere fosse una cosa per deboli, nessun maschio piange davanti agli altri. Dobbiamo essere forti noi»

Annuisco ma poi mi ricordo che non puoi vedermi.
«E ora? Hai detto pensavi, non è più così?»
«Esatto»

Distendo le gambe e appoggio la testa al muro, aspettando che continui.

«Ho capito che piangere non vuol dire essere deboli, al contrario chi piange vuol dire che ha sopportato tanto fino al punto di esplodere. Alcune volte piangere fa bene, ti fa capire quanto tu sia forte nel sopportare tutto ciò che ti accade ogni giorno, di come con solo le tue forze riesci a superare un altro giorno, settimana o mese d'inferno, pieni di situazioni che ti fanno sentire piccolo e quasi incapace di reagire» dice con voce rauca e bassa.

Delle lacrime silenziose rigano le mie guance.

Queste parole sembrano così cariche di emozioni.

«Quindi piangi se vuoi, anche se ci sono io, puoi farlo. Non ti giudicherò, non penserò che sei debole»

Un singhiozzo mi sfugge dalle labbra e senso un sospiro dall'altra parte della porta.

«Puoi farlo anche tu» sussurro.
«Se vuoi piangere fallo, neanche io ti giudicherò»

Un altro sospiro.

«Vomitare non ti fa bene invece» ribatte lui, sussurrando.

Spalanco gli occhi.

«Ti ho sentita, non devi farlo»
«Non ho fatto nulla» scatto.

«Perché?» domanda.
«Perché cosa?»
«Perché lo fai?»

Sospiro.
Perché lo faccio? Che domanda è? Non mi vede?

«Mi libero» rispondo.
«Ti liberi? Da cosa?»
«Vomitare non ti libera da ciò che dici a te stessa. Quelle parole, le frasi che ti ripeti continuamente, non andranno via dopo aver tirato lo sciacquone»

«E tu che ne sai?» sputo.
«Che ne sai che non vanno via? Anche se così non fosse, quel momento di pace dopo averlo fatto, mi fa tornare a respirare senza sentirmi troppo sbagliata» alzo la voce.

«Non lo sei» dice calmo.

Questa sua calma mi sta facendo uscire fuori di testa.

«Non sono cosa?»
«Sbagliata»

«Non sai neanche questo» dico.
«Lo so, non ti conosco ma lo so. Non sei sbagliata. Puoi ripetertelo e convincere te stessa di esserlo, ma non puoi dire a me cosa pensare o meno»
«Non mi conosci e forse neanche mi hai vista, sono sbagliata. Non sono come gli altri»
«Non essere come gli altri ti rende sbagliata?» domanda confuso.

Mi blocco.
No, ma io sono sbagliata.

«Non in quel senso» rispondo.
«In qualsiasi senso, essere diversa dagli altri non ti rende sbagliata in nessun caso. Qualsiasi parte di te che ti differenzia dagli altri non fa altro che renderti unica in un mondo così monotono e pieno di fotocopie»

Lo stomaco mi si attorciglia e il cuore mi batte velocemente.
Perché dice queste cose? Non capisce davvero che quello che sono mi rende debole in un modo del genere?

«Hai mai pensato di soffermarti e concentrarti su altro che non sia il tuo aspetto esteriore? Che non sia il tuo peso? Avere un metro diverso di giudizio che non sia quel numero sulla bilancia?» continua.

Prima sì.
Mi concentravo sulla scuola, sui miei sogni, i viaggi che avrei voluto tanto fare, i libri che leggevo. Ma cosa può definirmi se non il mio aspetto esteriore?

«Se non l'hai mai fatto perché non inizi ora? Prova a concentrarti e a definirti attraverso la tua forza o la tua generosità. Qualsiasi altra cosa che non comprenda il tuo corpo»

«Ma questo le persone non lo vedono» dico di getto.

Lo sento spostarsi.
«Non lo vedono ma lo sentono. Si percepisce quando una persona è buona, generosa o forte. E sai cosa succede?»

«Cosa?»
«Che le persone deboli si sentono minacciate e l'unica cosa che possono fare, è provare a buttare giù quella persona forte, utilizzando qualsiasi modo possibile»

Le mani mi tremano ma le lacrime hanno smesso di rigarmi le guance.

Sono forte? Come posso essere io forte, quando ogni volta che vedo uno specchio non riesco a guardarmi per più di dieci secondi senza volermi nascondere? Io che non riesco a mangiare senza sentirmi giudicata dagli altro e da me stessa.

La campanella suona facendomi sussultare e tornare alla relazione. Sono sicura che neanche lui si è reso conto di aver passato mezz'ora chiuso in bagno seduto a terra a parlare con una ragazza.

«È finita la ricreazione» dice.
«Già»

Lo sento alzarsi e io faccio lo stesso velocemente, abbassando la maniglia della porta per uscire.
«Aspetta» dico prima di aprire la porta.
«Come ti chiami?»

«Kyle Clemor» dice. Vedo la sua ombra davanti la porta.
«Tu invece?» mi domanda.
«Samantha Stewart» rispondo per poi chiudere gli occhi e ispirare.

Apro la porta ritrovandomi davanti una cascata di riccioli biondi.

Il mio cuore fa una capriola e sento l'aria mancarmi, mentre sento le guance tingersi di rosso.

Sorride mentre mi guarda negli occhi.
«Piacere» mi porge la mano.
«Piacere» dico in un sussurro, ricambiando la stretta e sorridendo.

«Dovremmo tornare nelle nostre classi» dice.
Annuisco
«Un'ultima cosa però» sorride, passandosi una mano tra i capelli.
«Ricordati che l'obiettivo nella vita è essere felici, non magri» mi prendo la mano, poggiando sopra il mio palmo un twix al caramello per poi allontanarsi, lasciandomi a bocca aperta.

Resto a fissare la sua schiena coperta da una felpa nera, fin quando non lo vedo fermarsi davanti all'ingresso del bagno.

«Ci vediamo, Rossa» dice voltandosi verso di me, per poi farmi l'occhiolino continuando a sorridere.

Spalanco gli occhi e non ho il tempo di rispondere che scompare dietro il muro.

Sento il cuore esplodermi nel petto e i palmi delle mani sudare, potrei vomitare di nuovo ma questa volta per le mille farfalle che stanno facendo un casino assurdo dentro il mio stomaco.

Rossa.

Oggi

«Sissy?»

Batto le palpebre velocemente ritornando alla realtà, Nadine mi guarda preoccupata e non posso fare a meno di sentirmi in colpa.

Mi sono bloccata di nuovo. Pensavo di aver superato questi momenti la è come se mi inseguissero e si nascondessero dentro di me pronti ad uscire quando meno me l'aspetto.

Annuisco.
«Sto bene, ho leggermente mal di testa» sorrido leggermente.

Nadine non sembra molto convinta ma non dice nulla. È gentile da parte sua, non mette pressione per sapere cosa succede, e la ringrazio per questo, non credo che sarei in grado di spiegarle tutta la situazione senza scoppiare a piangere o rischiare di andare nel panico.

Nadine's pov

Ho il cuore che batte velocemente ma cerco di non darlo a vedere. Sissy davanti a me sembra essersi ripresa ma è ancora pallida e le occhiaie che le circondano gli occhi mi fanno capire che non ha passato una bella nottata.

Abbasso lo sguardo sul suo vassoio e lo stomaco mi si stringe, vorrei troppo sbagliarmi, spero non sia quello che penso.

La guardo mentre sembra persa e fissa qualcosa in lontananza, il cuore mi si stringe a vederla così, vorrei poter aiutarla a superare qualsiasi cosa le stia prosciugando la felicità e la spensieratezza.

Mi volto cercando di capire cosa stia fissando e non sono sorpresa da ciò che i miei occhi vedono.

Kyle.

Mi trattengo per non alzarmi e prendere entrambi per sbattergli la testa uno contro l'altro.
Letteralmente mi devo ricordare di portare un coltello con me, perché ogni volta che si trovano nella stessa stanza, la tensione si può tagliare a fette.

Sposto lo sguardo su Trevor, ogni mio muscolo si irrigidisce.

Non posso far a meno di pensare alla decisione che ho preso, stargli lontano sarà semplice, l'importante è trovare delle risposte a ciò che è successo nel vicolo e poi tanti saluti, non ho intenzione di intromettermi nelle loro faccende e ancor meno stargli vicino un'altra volta.

Non mi piace il modo in cui perdo il controllo quando gli sono accanto, nonostante non sia solo il mio corpo a reagire quando siamo vicini, so perfettamente che andare oltre in qualsiasi modo mi danneggerebbe in un modo irreversibile e questo non può e non deve accadere.

Sobbalzo sulla sedia, voltandomi di scatto, non appena sento una mano poggiarsi sulla mia spalla.

«Oddio, sei tu» porto una mano sul petto, sospirando.

Kristian è davanti a me e mi guarda mentre si trattiene dal non ridere.
«Faccio così paura?»

Sorrido e scuoto la testa.

«Stavo per scriverti ma poi ti ho vista qui» continua.
«Ti andrebbe di uscire stasera?»

Spalanco gli occhi.
Mi ero completamente dimenticata di avergli dato il mio numero e di aver accettato di organizzare un'uscita con lui.

Ho il cuore che va a mille e le mani che iniziano a formicolare.

E se andasse male? E se non gli piacessi?

Non nego di trovarlo attraente e credo pure che chi mi guarda da fuori lo possa notare tranquillamente, ma sapere di dover uscire con lui mi crea un piccolo peso nel petto.

Che sia ansia? Emozione?

Il mio corpo e il mio cervello hanno da sempre reazioni così drastiche durante le situazioni che ormai non riesco più a distinguere ciò che provo.

Sento il penso che si è appena creato aumentare, la gabbia toracica sembra troppo piccola per contenere i battiti accelerati del mio cuore in questo momento.

E se accadesse mentre sono con lui? E se non riuscissi ad essere abbastanza forte?

Chiudo le mani in due pugni e ingoio il grosso groppo che mi si è creato in gola.

Kristian sorride mentre aspetta una risposta e il mio cervello sta per esplodere.

Nonostante tutto però, lo sguardo del ragazzo davanti a me non mi trafigge come gli occhi di qualcun altro, i quali in questo momento sono puntati sulla mia schiena.

Ci sta guardando?

«Nadine» mi sventola una mano davanti Kristian.
Annuisco.

«Per me va benissimo stasera» sorrido, cercando di scacciare via quel bruciore che sento nella schiena.

«Perfetto allora, ci vediamo per le 20? vengo e ti prendo qui in accademia»
«Perfetto»

Lo squillo di un cellulare mi fa bloccare.

«Scusa è il mio, ci sentiamo dopo va bene?» dice, mentre tira fuori il cellulare dalla tasca e si allontana.

«Calma i bollenti spiriti Nana, per quanto possa essere bello è un coglione pure lui» parla Sissy, facendomi voltare verso di lei.
«A proposito di questo, devi spiegarmi cosa sai e perché ieri hai parlato di arresti»

Sbuffa.
«In realtà non si sa molto, e nessuno è sicuro delle voci che girano»

«Praticamente Kristian, Trevor e Dylan sono stati beccati e mandati in un collegio, non si è saputo più nulla di loro finché da un giorno all'altro Kristian non è tornato a scuola. Da quel momento è partita la voce che entrambi siano stati mandati in riformatorio, cosa strana essendo tutti e tre maggiorenni no?»
Annuisco, aspettando che continui.

«Gira voce che il padre di Trevor non voleva far andare suo figlio in prigione, e tra parentesi, nessuno ancora sa il motivo di questo presunto arresto. Comunque, non voleva mandarlo in prigione quindi ha preso un accordo con il giudice per trasferire entrambi lì per alcuni mesi.»

Ho gli occhi spalancati e sento che da un momento all'altro il mio mento toccherà il tavolo della mensa.

«Non guardarmi così, mi hai detto tu di dirtelo» alza le mani in aria, scuotendo la testa.

«Continua»

Sbuffa.
«Da quello che so, perché a quanto pare suo padre è un collega dei miei genitori, e casualmente li ho sentiti parlare nel loro studio» mette alcune ciocche di capelli dietro l'orecchio e si sporge in avanti.

Casualmente. Certo.

«Qualcosa dev'essere successo per farli uscire, attualmente sono in una specie di "libertà vigilata" e nel mentre, il padre di Trevor lavora su quel "qualcosa" che gli ha dato la possibilità di liberarli momentaneamente»

«Ma non si sa cos'hanno fatto per essere arrestati? Kristian non ha detto nulla?» chiedo confusa e ancora scossa da tutte queste informazioni.

«Non si sa e no» appoggia le spalle allo schienale della sedia.
«Ma dev'essere qualcosa di grosso, Kristian e gli altri erano "amici" prima di tutto questo casino. Ora però si detestano, se lui e qualcuno degli altri ragazzi si trovano nella stessa stanza si può percepire che qualcosa non va. Un passo falso e litigano.»

Mi metto nella sua stessa posizione e scuoto la testa.

«Ho provato un sacco di volte a parlare con Kyle o con Dylan, ma nessuno dei due dice nulla. Ignorano qualsiasi domanda continuando a dire che non è successo nulla» mormora.
«Kyle ha totalmente smesso di parlarmi poco dopo che i ragazzi sono finiti in riformatorio. Mi evitava, non stava nella stessa stanza se c'ero io, se provavo ad avvicinarmi a lui mi ignorava e passava avanti» sospira.
«Non so cosa sia successo e vorrei scoprirlo, ma ho paura di sapere la verità» mi guarda negli occhi.
«E se fosse qualcosa di grosso? Finiremmo nei guai anche noi? Ci siamo intromesse e gli uomini dall'altra sera al locale ci hanno viste»

Non so cosa dire. Ha ragione lei, e se fosse qualcosa di troppo grosso da gestire?

Abbiamo rischiato quella sera senza sapere cosa stesse succedendo, siamo ancora in tempo per tirarci fuori.

Era questo che mi ero ripromessa no? Stare lontana da Trevor e i suoi amici.

Allora perché le mie mani fremono e il mio cuore accelera dopo queste informazioni? Come posso stare lontana da loro se ora ho più domande di prima? Tutte senza risposte.

«Riproviamo a parlare con Dylan» dico convinta.
«Lo convinceremo che può fidarsi di noi e parlarcene»

Parlare con Dylan è l'unica possibilità che abbiamo per capire qualcosa.

«Non so..» ribatte titubante spostando lo sguardo dietro di me.

Mi volto guardando verso il tavolo dei ragazzi.

Un brivido mi percorre la spina dorsale non appena noto che Trevor e Dylan si sono scambiati di posto.
Ora Trevor è accanto a Kyle e ha gli occhi puntati su di me.

Lo ignoro nonostante la pelle d'oca che provo e guardo accanto a lui. Kyle sta parlando con una ragazza bionda. Alzo un sopracciglio confusa e mi volto verso Sissy.

«Chi è?-»
La campanella suona e Sissy si alza velocemente pronta ad uscire.

La seguo, ma mi volto un'ultima volta.
Lo sguardo di tutti e tre i ragazzi è su di noi, la ragazza bionda è sparita.

Probabilmente è tutta una pessima idea, me ne pentirò, già lo so.

Scusa me del futuro, ma il mio bisogno di avere risposte è troppo grande per essere represso.

Come si dice? La curiosità uccise il gatto.
E questa volta il gatto sono io, quindi spero proprio di no.

Trevor's pov

«Dovresti smettere di guardarla come uno stalker e parlarle» appoggio una mano sulla spalla di Kyle, scuotendolo.
«Parla per te» sbuffa. «Hai idea di come hai guardato Nadine mentre parlava con Kristian?»

«Io direi che avete bisogno di una scopata tutti e due» ride Dylan. «Abbiamo abbastanza problemi per pensare a come ci guardano le ragazze o a come le guardiamo noi, scopate e basta»

«È tra i miei obbiettivi Dy, tranquillo»
«Cosa scoparti Nadine?»

Annuisco, prendendo la bottiglietta e bevendo un sorso d'acqua.
«Non è niente male»

Kyle mi spinge.
«Ma finiscila parli come quel mongoloide di Peter. Ti incenerisce con lo sguardo ogni volta che siete vicini, non hai speranze playboy»

«Beh-» inizia Dylan facendoci focalizzare su di lui.
«Tentar non nuoce no? Sembra avere un carattere tosto, mi farei una sana risata se ti rifiutasse»

Ride insieme a Kyle e io sbuffo.

Se sapessero come mi guarda quando sono ad un passo da lei o dal toccarla, non riderebbero.

«Siete dei cretini, piuttosto concentriamoci su oggi pomeriggio, mi sono rotto di dover stare dietro a quello che dicono quei coglioni e quella foto davanti casa di Samantha mi puzza»

«Hai detto di voler fare le cose con calma ieri» si intromette Kyle.
Alzo le spalle.
«Ho cambiato idea, vediamo cos'hanno da dire oggi e vediamo come levarci dai casini, ne ho piene le palle di svegliarmi e pensare a chi vendere roba»

Questa situazione comincia a starmi stretta, stare costantemente sull'attenti o in allerta e dover eseguire gli ordini di Bruce o peggio ancora di Carlos, mi fa salire i nervi.

Sono tutte cazzate, un casino inutile per niente e stiamo pagando inutilmente.

La polizia non fa un cazzo per aiutarci, mio padre minaccia di rimandarmi dentro qualsiasi cosa accada, nonostante io continui a ripetergli la verità.
Mi farei mandare dentro se solo non avessi la vita di Dylan sulle spalle e lui non deve finire dentro.

Ci fossi solo io, non mi sforzerei più di tanto per cercare di non creare problemi, ma ci sono anche loro dentro il mirino e niente deve andare storto.

«Vedete di non creare problemi oggi»
La voce di Kristian mi fa risvegliare e serro la mascella.

È in piedi accanto a noi, ci guarda mentre posa il cellulare in tasca.

Quest'aria di superiorità se la deve levare, deve ringraziare che non gli abbiamo ancora spaccato la faccia.

«Avete combinato un casino, un'altra volta, e vi beccate le conseguenze»

Oh fanculo.

Kyle sta stringendo i pugni e non lo guarda neanche in faccia e Dylan lo guarda schifato mentre tiene la mascella serrata.

Faccio strisciare la sedia sul pavimento mentre mi alzo.

«Allontanati e non rompere i coglioni, Riner» sputo, guardandolo negli occhi.

Un sorriso gli spunta sulla faccia.
«Riner ora eh, non siamo più fratelli?» dice, poggiando una mano sulla spalla do Kyle.
«Noi, lo siamo. Tu non sei un cazzo, allontanati e non farti più vedere così vicino a noi» Scatto, togliendogli la mano e sostituendola con la mia.

Kyle è rigido come una statua e so che se solo potesse, a quest'ora gli avrebbe già fatto rotto tutte le ossa.

Riner ride e alza le mani in segno di arresa.
«Accade questo quando si dice la verità, quindi?»

«Accade questo, quando decidi di voltare le spalle a coloro che chiamavi fratelli fino a pochi mesi fa, Riner» mormora Kyle, continuando a stare seduto ed evitando ancora il suo sguardo.

«Ripeto, io ho solo detto la verità» ghigna.
«La tua verità» lo interrompo.
«Mia, vostra, loro. Non stiamo ripetendo i pronomi qui, non cambia nulla»

E invece cambia. Cambia tutto.

Sento un'altra sedia strisciare per terra e non faccio in tempo a capire nulla, che Dylan sferra un pugno in faccia a Riner.

Scarto in avanti bloccando Dylan e Kyle si alza facendo la stessa cosa.

«Ma sei uscito pazzo? Era questo che voleva» sussurro all'orecchio di Dy.

Kyle continua a tenerlo mentre intorno a noi la mensa è quasi deserta.

Riner si tiene la guancia e sorride.

«Avrete molto di cui parlare pomeriggio, godetevi queste ore perché siete finiti» ci guarda e sputa, per poi voltarsi ed andare via.

«Dylan ma che cazzo ti è preso ora» alza la voce Kyle.
«Ho fatto quello che nessuno di voi ha avuto il coraggio di fare da quando siamo di nuovo tutti insieme, mi sono rotto di stare agli ordini di quei coglioni ma lo faccio» ansima senza fiato mentre si libera dalla presa di Kyle.

«Ma dover sentire anche questo schifoso darmi ordini no. Non starò zitto, e voi non dovevate fermarmi»

Lo guardo, percependo la sua rabbia e stringo i pugni.

Kyle sta per dire qualcosa ma lo anticipo.
«Ha ragione» annuisco. «Dobbiamo uscire fuori da questa faccenda, voglio spaccargli la faccia e farlo pregare per rimanere vivo»

«Finalmente» sbuffa Dylan aprendo le braccia.

Kyle sembra titubante ma annuisce.
«Se vogliono giocare, giochiamo no?» dice Dylan, avvolgendo un braccio intorno alle spalle di Kyle.

«Giochiamo» risponde quest'ultimo.

Annuisco.
«Giochiamo»

——

Usciamo dalla mensa e ci dividiamo per andare a lezione.

«Stellina che fai mi aspettavi?»

Nadine sussulta e si gira guardandomi. È ferma a pochi passi dalla porta dove dovrei avere lezione io.

«Sei l'ultima persona al mondo che vorrei vedere, sarei pazza se ti stessi aspettando proprio davanti alla tua classe» incrocia le braccia al petto.

Ghigno e noto come questa camicetta nera che indossa le fasci tutto il busto.

Alzo le spalle.
«Se lo dici tu»
Cammino passandole affianco.

«Però nel caso stessi aspettando me, ti direi che questa gonna corta ti dona molto, ma staresti meglio senza» mi lecco le labbra e mi allontano il giusto, per vedere la sua espressione.

Ha gli occhi sgranati, le guance arrossate e le braccia ancora conserte strette tra loro.

«Peccato» sussurro.

Entro in classe sorridendo, anche se non dovrei sorridere. Ho il cazzo che mi fa male solo al pensiero di lei senza quella gonna addosso.

Ha ragione Dylan, devo scopare davvero
prima di diventare pazzo.

Non faccio in tempo a sedermi che Edward Smith si alza e si avvicina al professore prima di uscire dall'aula.

Lo vedo avvicinarsi a Nadine attraverso il vetro della porta.

«Dove pensa di andare Pierce?»
Mi blocco e mi volto verso il professore.

Non mi ero accordo di essermi alzato.

«Dovrei andare in bagn-»

«Non deve andare da nessuna parte, si sieda e aspetti la fine della lezione» mi indica il banco davanti a lui.

Sbuffo e mi siedo. Mi manca solo perdere i crediti solo per essere uscito dalla classe senza permesso.

Punto nuovamente gli occhi fuori dalla porta e non vedo più ne Nadine ne Edward.

So che lavorano al progetto che ci ha assegnato la pofessoressa Skeelyn, ma non credo che sia così importante da saltare le lezioni insieme.

Appoggio le spalle allo schienale della sedia e incrocio le braccia. Tamburello le dita e guardo l'orologio dietro la cattedra.

È così che si sente quella ragazzina quando cerca di impicciarsi nelle nostre faccende? Voglio uscire di qui e capire perché tutti e due stanno le lezioni.

Non che mi importi davvero, sono infastidito perché lui può uscire dalla classe e io devo stare qui a sentire una lezione sui cambi di colore e sulla luce, quando potrei benissimo fare altro.

Ore 18:00

Dylan's pov

Il cigolio della porta di vetro del locale mi fa notare quanto sia diverso a quest'ora del pomeriggio. Niente musica abbastanza alta da romperti i timpani, non ci sono persone ubriache che biascicano e che tentano in tutti i modi di reggersi in piedi.

Vedere tutto così tranquillo, mi mette addosso una sensazione troppo strana.
Pensare a quanto la mia routine sia cambiata per colpa di un piccolo errore, a come tutto ciò che ho sempre odiato fin da piccolo continui a perseguitarmi.

Avere 22 anni, studiare per l'ultimo anno in accademia, allenarmi 6 giorni su 7, stare sempre in allerta e seguire gli ordini. Di certo non era questa la vita che sognavo, ma in fin dei conti il piccolo me neanche immaginava quanto le cose sarebbero cambiate negli anni»

Ma la domanda principale è, la vita è migliorata?
Continuo a farmi questa domanda costantemente, ogni ora, ogni giorno.
Quale sarebbe la risposta che darei al piccolo Dylan se me lo chiedesse? Non lo so.

Non lo so, sarebbe la risposta migliore. Mi capirebbe.
Di certo non siamo più obbligati ad assistere a quelle scene raccapriccianti ogni giorno, nessuno sviene o rischia di morire, davanti ai nostri occhi.

Quindi sì, piccolo Dylan, magari le cose sono migliorate. Vivi ancora in Accademia però, e su questo dobbiamo lavorarci.

Ma hai trovato dei veri amici ora, sei bravo a basket e soprattutto con le ragazze. L'unico problema è questa situazione di merda in cui ti ritrovi.

Qui seduto al bancone di un locale, dove il proprietario continua a stare attaccato al tuo culo a a quello dei tuoi amici per qualcosa che non hai fatto, per un reato che non hai commesso.

Sbuffo e una mano si appoggia alla mia spalla.
«Andiamo a prendere la roba con Bruce» Trevor mi fa cenno con la testa e lo noto dietro di lui.
Annuisco.
«Vi aspetto qui»

Appoggio i gomiti al bancone e scuoto la testa.

«Jonson non ti vedo carico oggi»
Una voce squillante mi fa spuntare un piccolo sorriso.
«Il nostro incontro è saltato, ma il destino ci vuole insieme Katerine, non vedi?» allargo le braccia.

Scuote la testa mentre continua a pulire un bicchiere.
«Come mai qui? Io sono costretta a venirci perché ci lavoro, ma voi ci passate più tempo di me qui dentro»

«Lavoriamo anche noi, affari, sai» faccio le virgolette con le dita e mi appoggio allo schienale dello sgabello.

«Aggiungilo al curriculum allora, fareste proprio una bella figura. "Le stelle del basket dell'Academia più conosciuta di New York, lavorano e si allenano contemporaneamente", dev'essere faticoso»
Ridacchia, passandomi un bicchiere vuoto.

«Divertente» sorrido.

Non fa domande, nonostante si capisca benissimo cosa intendessi.
E ora che la guardo meglio, ripeto e confermo ciò che le ho detto l'altro giorno. Lei, le sue gambe e questa divisa striminzita, quanto vorrei vederla camminare nella mia stanza.

Mi lecco le labbra e mi sistemo meglio sulla sedia.

«Questo bicchiere qui me l'hai dato perché vuoi offrirmi qualcosa?» lo alzo in aria per farle capire a cosa mi riferisco.
«Pensavo volessi ordinare qualcosa mentre aspetti i tuoi amici che fanno affari» fa anche lei le virgolette con le mani e si avvicina.

Scuoto la testa e rido.
«Magari sono astemio» alzo le spalle.
«Dylan non so se ti ricordi, ma è capitato molte volte che salissi sul bancone per ballare ed eri palesemente ubriaco. Oppure quando hai iniziato a ballare con chiunque ti capitasse davanti fingendo di essere una ballerina di danza classica»

Mi blocco.
«Giusto» mormoro.

«Almeno sai che sono divertente no? Non sai quante altre cose so fare però, se vuoi te le mostro» sorrido mentre lei mi guarda confusa e mi prepara un drink.

«L'unico problema è che dovremmo cambiare location» mi guardo intorno. «Dovresti venire in camera da me, non che io abbia niente contro questo locale, posso pure farlo qui» alzo le mani.

Katerine sgrana gli occhi e non faccio in tempo a scoppiare a ridere che lo straccio con il quale asciugava i bicchieri mi arriva in faccia.

La guardo mentre diventa color porpora e si allontana.
«Dai scherzavo» le dico a voce alta.

La vedo bloccarsi per poi voltarsi nuovamente verso di me.
«Peccato stavo proprio andando a prendere le mie cose»

Questa volta sono io a sgranare gli occhi.
«In questo caso» mi alzo in piedi. «Non era uno scherzo, andiamo»

Scoppia a ridere.
«Preoccupati dei tuoi affari Jonson, ho del lavoro da fare qui» spalanca le braccia.

Sbuffo.
«L'offerta è sempre valida» le faccio l'occhiolino e lei scuote la testa sorridendo, spostandosi per servire un'altro cliente.

Ha un bel sorriso.

Questa volta sono io a scuotere la testa e a concentrarmi sull'incontro con Carlos e Bruce.

Mi sposto e noto qualcuno baciarsi con molta foga, accanto alla porta che da sul retro del bancone.

Sto per battere le mani quando noto l'amico di Sissy staccarsi dal bacio.

«Ma che-» dico. Li vedo sussultare e voltarsi verso di me.

Josh sgrana gli occhi e fa uno scatto all'indietro.

«Ma sei pazzo?» urla addosso all'altra persona.

Si allontana come se avesse preso la scossa.

«Voi due?-» li indico, con gli occhi spalancati.

Josh si volta di scatto verso di me e sta per parlare ma viene preceduto.
«Meglio che torno a lavoro»
Due occhi verdi si spostano continuamente dal viso di Josh al mio.

Levine, Stefan Levine.

Non so chi guardare dei due per capire ciò che ho appena visto.

Levine sospira facendomi puntare gli occhi su di lui, Josh al contrario tiene ancora gli occhi fissi davanti a sé e ha la mascella serrata.

Quei due occhi verdi ci abbandonano, allontanandosi e lasciando soli me e Josh, uno davanti all'altro.

Lo vedo passarsi una mano tra i capelli e sbuffare.
«Non so proprio che cazzo voleva quello lì da me, mi si è lanciato addosso»

«Non sono affari miei» lo anticipo.
«Non mi interessa chi ti fai Turner, non sono problemi miei, sei liberissimo di fare ciò che vuoi»

Lo vedo irrigidirsi.
«Non mi faccio nessuno Jonson, e in ogni caso come dici tu non sono cazzi tuoi» Tira fuori dalla tasca un pacchetto di sigarette.

È nervoso, si nota da come si muove.

«Perché non ti lamenti con il proprietario? I suoi dipendenti non dovrebbero saltare addosso ai clienti»

Lo vedo buttare fuori il fumo per poi annuire velocemente.
«Ottima idea» mi porge il pacchetto.

Scuoto la testa per poi voltarmi e notare Trevor e Kyle che rientrano.

«Io vad-»
«Ci vediamo»
Mi supera lasciandomi lì a fissare il vuoto.

Sospiro.

Ma che cazzo è appena successo?

Cammino verso Trevor e Kyle i quali sono seguiti da Bruce e altri due uomini.

«Andiamo sul retro» dicono, non appena li raggiungo.

Svoltiamo e usciamo dal retro del locale. Fuori c'è ancora luce ma la tettoia fa sembrare tutto così scuro.

«Vi ha detto qualcosa?» sussurro, indicando col capo Bruce.

Scuotono la testa.
«Ha fatto il presuntuoso come sempre, si sente il capo ma non capisce di essere un burattino come tutti gli altri» dice Trevor.
«Noi compresi» continua Kyle.

«Non più, ne usciremo e li manderemo a fanculo» continuo.

Josh's pov

Le mani mi tremano, sento il battito del cuore rimbombarmi nelle orecchie e devo appoggiare la schiena al muro dietro di me per non cadere.

Ma che cazzo?

Torno davanti al bancone e vedo Levine servire dei tavoli più avanti.

Mi volto evitando di incrociare il suo sguardo e mi siedo su uno sgabello.
«Il solito?»
Katerine sorride davanti a me.

Annuisco, per poi appoggiare i gomiti sul bancone.

«Zyra non c'è oggi?» domando.

Lei scuote la testa e continua a riempire il mio bicchiere.

«È sul retro a svuotare gli scatoloni» mi guarda. «Sono con Lev però» lo indica.
«L'hai visto no? stavate parlando?»

Sbuffo e non faccio in tempo a rispondere che il diretto interessato poggia il vassoio accanto a me.
«Mi servono tre mojito e un cuba libre»

Ha lo sguardo puntato su Katerine aspettando l'ordine.

L'intero mio corpo sembra gelarsi sul posto e sento il cuore battermi dall'agitazione.

Il bicchiere davanti a me è pieno e non ci penso due volte a buttare giù il suo contenuto. Strizzo gli occhi non appena il calore dell'alcool si fa strada nella mia gola per poi espandersi nel petto.

Dylan ha visto.

Appoggio le spalle allo schienale dello sgabello e sospiro.

«Eccoli» sento la voce di Katerine mentre poggia i drink sul vassoio.
«Un'altro?» mi domanda voltandosi verso di me.

Annuisco.
Ho bisogno di bere, sono troppo agitato e vorrei solo tornare in accademia, non capisco perché continuo a rimanere seduto su questo stupido sgabello quando potrei benissimo uscire e dimenticarmi di tutto.

Levine accanto a me sembra ricordarsi della mia presenza, vedo il liquido dentro i bicchieri ondulare e passarmi proprio sotto il naso mentre sposta il vassoio.

Alzo lo sguardo puntando gli occhi sul suo viso ma li spalanco subito dopo perché l'intero vassoio con tutti i drinks mi si rovescia addosso, inzuppandomi tutti i vestiti.

«Oh no, scusami non volevo. Sembra proprio ti si siano lanciati addosso»

Serro la mascella mentre lui rialza i bicchieri e si allontana.

«Devi rifarmi i drinks Katy» alza il vassoio.

Sbuffo e mi alzo, facendo strisciare lo sgabello sul pavimento.

Ma che gli prende?

«Ma che problemi hai ora?» lo guardo, allargando le braccia.
«Tanti» alza le spalle. «Ma se te ne andassi via, ne avrei uno in meno» mi indica la porta.

Lo stomaco mi si attorciglia e stringo i pugni.

«Ripetilo se hai il coraggio» non stacco gli occhi dai suoi.

«Finitela voi due» ci ammonisce Katerine da dietro il bancone. «Ci sono i clienti e non dovete dare spettacolo»

Mi guardo intorno e alzo gli occhi al cielo, per poi spostare nuovamente lo sgabello per sedermi.

«Attento» Levine punta gli occhi su di me per poi indicare i clienti con un cenno col capo.
«Potrebbero lanciartisi addosso anche loro»

Si allontana con i drinks appena fatti, lasciandomi lì seduto con i denti che mi fanno male per quante volte ho serrato la mascella e la voglia di menare pugni contro il muro.

Se l'è proprio legata al dito. Era sono una stupida frase.

«Sempre casini..» mormora Katerine.
Sbuffo.
«Non sbuffare con me, Josh Turner»

Alzo le mani in segno di arresa per poi lasciarmi andare contro lo schienale.

«Fammi un'altro drink prima che inizio a prendere a pugni qualcuno» dico, strofinandomi gli occhi per calmare il mal di testa che sono sicuro entro stanotte mi farà esplodere il cervello.

«Come si dice?»
«Dai»
«Come?»

«Per favore» annuisco, ironico.

«Bravissimo» mi sorride. «Ogni volta che ci sono io, voi due combinate qualche casino» mormora.

«Nessun casino» ribatto subito. «Cazzate come al solito» scrollo le spalle.

Annuisce lentamente. «Capisco» Si avvicina. «Ma le cazzate come dici tu, dopo un po' stancano» poggia il drink appena fatto davanti a me per poi allontanarsi.

Ho i nervi a fior di pelle e non credo che bere anche questo bicchiere cambierà qualcosa.

Dylan Jonson mi ha appena visto avvinghiato a Levine contro un muro di questo locale di merda.
Questo è l'unico pensiero che mi continua a girare in testa, intorno a me non sento nulla e il mal di testa si fa sempre più forte.

Fanculo, un'altra giornata di merda.

Kyle's pov

Il fastidio che provo ad essere fermo qui, sul retro di questo locale, in mezzo allo schifo e allo sporco, è infinito.

Bruce e i suoi uomini del cazzo sono fermi davanti a noi e stiamo tutti aspettando Carlos.
Carlos il capo, perché per quanto Bruce si senta superiore, è anche lui lo schiavetto di qualcuno e dovrebbe iniziare a comprenderlo.

«Ragazzi, ragazzi..» mi volto, al sentire questa voce bassa e ricca di un accento argentino che prima di tutto questo casino, ritenevo anche orecchiabile. Ora però, preferirei staccarmi le orecchie a mani nude pur di non sentirlo.

Accanto a me Trevor e Dylan hanno lo sguardo puntato sullo stesso punto, sulla stessa persona.

«Da quant'è che non ci sentiamo, vi sono mancato?» dice, passandoci accanto e fermandosi proprio davanti a noi.

Questo sorriso falso che tiene stampato sul viso mi fa ribollire il sangue.

«Non rispondete?» continua camminandoci davanti. «Eravate pieni di cose da dire l'ultima volta. Giusto Bruce?» si volta.

Bruce annuisce.

Avrebbe annuito a prescindere, manca poco che gli lecchi i piedi e gli faccia da zerbino.

«Mi ha raccontato del vostro tentativo di diventar degli eroi» scuote la testa. «Idea molto discutibile se posso dirlo»

Sbuffo e i suoi occhi si posano su di me.

«Kyle» sorride. «Come sei carino, riccioli d'oro» una sua mano mi sfiora i capelli.

Volto la testa di lato cercando di allontanarlo.

«Quindi perché siamo qui?» si intromette Trevor.

«Siete qui, mio caro Pierce, perché mi sto stufando del vostro atteggiamento da bambini» incrocia le braccia.
«Avevamo un accordo, abbiamo deciso insieme come avremmo sistemato le cose» i suoi occhi passano in rassegna ognuno di noi.
«Avete accettato e stava andando tutto bene. Io vi do la roba e voi la consegnate, io vi do dei compiti e voi li eseguite, semplice no?» sospira. «State provando a tirarvi indietro dopo che ho deciso di farvi sanare il debito, dopo che siete ancora qui e respirate, nonostante tutto»

Dei brividi mi percorrono la schiena e lanciando un'occhiata a Trevor e Dylan, non devo essere il solo.

«Trevor» gli si posiziona davanti «Il tuo paparino ha deciso di intromettersi e l'ho lasciato fare, ma ormai mi conoscete no?» alza le braccia. «Seguire la legge non mi diverte, gli avvocati si occupano della parte noiosa e legale, ma è dietro le quinte che si gioca davvero»

Stringo i pugni e vedo Trevor serrare la mascella.

Lui si diverte mentre noi cerchiamo di non farci uccidere. Si diverte.

«Ribellarvi non porterà a nulla di buono. Mi annoio ma nonostante questo vi sto a guardare» ghigna. «Ma non aspetto altro che voi facciate anche un piccolo passo falso e il divertimento inizierà davvero»

Gli uomini dietro di lui si avvicinano, fermandosi ai suoi lati.

«Inoltre il mio amico qui» allunga il braccio indicando la porta dietro di noi, facendoci voltare. «Mi ha detto che il vostro gruppetto si sta allargando»

Non so chi o cosa ci sta trattenendo dal correre verso quel coglione poggiato allo stipite della porta.

«Com'è che si chiamavano, Kristian?»

«Nadine Morris e Samantha Stewart» sorride.

Il bastardo sorride pure.

Carlos batte le mani.
«Stewart...Stewart..oh sì, i cari Stewart»

Stringo i pugni e ingoio un grosso groppo che mi si è formato in gola.

Samantha.

Sono riuscito a rovinare tutto e continuo a farlo pur standole lontana.

Neanche evitarla funziona più.
Se solo quella sera non fossero uscite, non ci avrebbero visti e Carlos non avrebbero saputo di loro.

«Gli Stewart li conosco, li conosciamo vero ragazzi?» gli uomini ancora fermi al suo fianco annuiscono.
«Ma l'altra ragazza, Nadine Morris, mi è nuova»

La sua espressione concentrata fa capire che sta cercando di ricordare se ha mai sentito il suo nome prima di adesso.

«Non è nessuno» inizia Trevor. «Non sono nessuno per noi, non escono con noi e non fanno parte del nostro gruppo»

Fa sempre così, nonostante tutto cerca sempre di non far spostare l'attenzione di Carlos su altre persone, si prende tutte le colpe.

«Strano» si volta verso Bruce. «Lui mi ha detto il contrario, mi ha pure raccontato come queste due ragazzine vi hanno salvato il culo»

«Erano lì per caso in quel momento» Trevor ha gli occhi fissi sul viso di Carlos, ha la voce così ferma che se non sapessi la verità ci crederei anche io.
«È un fottuto locale questo Carlos, una discoteca, Ci sono sempre ragazze in giro» continua.

Continuano ha guardarsi negli occhi per qualche secondo.

«Dylan» sposta la sua attenzione sul suo volto «Come mai così silenzioso tu?»

Nessuna risposta.

«Perfetto quindi abbiamo un muto» indica Dylan. «Un bugiardo e un finto duro» guarda Trevor e me.

«Vi ripeto, voi lavorate per me che vi piaccia o no. Dovevate pensarci prima» tira fuori un pacco di sigarette e ne porta una alla bocca.

Vedo qualcosa muoversi con la coda dell'occhio. Dylan si lancia contro di lui e, prima ancora che io e Trevor interveniamo, Dylan è a terra tenuto da uno degli uomini che lavorano per Carlos.

Quest'ultimo si gusta la scena, senza un graffio, mentre Dylan ha il viso schiacciato contro il suolo.

«Dylan..Dylan..Dylan» scuote la testa. «Non esagerare, non mi va di rendere la tua vita più misera di quanto non sia già» si è avvicinato a lui e lo guarda dall'alto.
«Sai benissimo che potrei farlo in meno di un secondo» ghigna.

«Non ho niente da perdere» biascica Dylan.

Carlos scoppia a ridere. «Dici?» alza un sopracciglio e fa un cenno con il capo.

Il fiato mi si blocca e spalanco gli occhi.

L'altro uomo che stava fermo davanti a noi ha appena poggiato la punta di una pistola alla tempia di Trevor.

«Ma che problemi hai» sbotto, facendo un passo avanti e allungando le braccia verso l'uomo.

Trevor mi lancia un'occhiata e scuote la testa.

L'energumeno davanti a me mi blocca con un braccio.

«Che dici quindi Dylan?» carlos abbassa di nuovo lo sguardo su di lui, mentre l'uomo continua a tenere la sua testa attaccata al suolo e l'altro non stacca la pistola da Trevor.

Non so cosa fare, nonostante anche io sappia che non farebbe mai fuori Trevor così, so anche che quello che abbiamo davanti è un pazzo e che potrebbe cambiare idea in meno di un secondo.

Dylan non risponde e Carlos si abbassa per guardarlo meglio in viso.
«Non provare a sfidarmi mai più, hai capito Jonson?» fa un ultimo tiro con la sigaretta per poi lanciarla, ancora accesa, proprio accanto alla sua faccia.
«Ti facevo più intelligente dei tuoi genitori, ma alla fine il sangue non mente no?» si alza.

«E ora prima di consegnarvi la roba che è arrivata» si alza. «Vediamo di far finire quello che i miei ragazzi avevano iniziato l'ultima volta»

Sento dei passi e dalla porta escono altri uomini, compreso Kristian che prima stava fermo lì all'ingresso.

In un secondo siamo circondati e l'uomo che teneva fermo Dylan si sposta, facendolo alzare.

Stringo i pugni.
Sono stanco di queste cazzate, appena usciamo di qui dobbiamo trovare una soluzione.

Se usciamo.

Si muovono tutti e non appena mi volto un pugno mi colpisce in pieno viso.

Faccio un passo indietro, scuotendo la testa.

Trevor accanto a me sta già incassando altri colpi, mentre Dylan è addosso ad uno di loro.

Sposto lo sguardo sull'uomo davanti a me, i suoi capelli neri fanno risaltare gli occhi azzurri.

Ghigno non appena lo vedo mettersi in posizione d'attacco.

«Divertiamoci» sussurro.

Le mie nocche si scontrano contro il suo naso e il rumore che sento mi fa sorridere.
«Spero tu conosca un bravo chirurgo, ti servirà uscito di qui»

Schivo un suo colpo ma sono troppo lento per proteggermi dal calcio che mi colpisce il fianco.

Stringo i denti.

«Mi raccomando» la voce fastidiosa di Carlos ci distrae. «non rovinate troppo il viso del mio futuro genero» percepisco il suo ghigno anche non guardandolo in faccia.

Ho i brividi al sentire questa frase e sono sicuro che anche i ragazzi stanno provando lo stesso disgusto che provo io.


spazio autrice🎨:
ecco a voi il tredicesimo capitoloo, so di avervi fatto aspettare tanto e mi dispiace, ma volevo fosse tutto perfetto (tutt'ora non mi convince al 100%😭) e inoltre il tempo che ho avuto per scrivere, per via degli impegni non è stato moltoo

Fatemi sapere cosa ne pensate con un commentoo💙

impareremo a conoscere qualcosa di ogni personaggio a poco a poco(non vedo l'ora) inoltre, non ho capito bene...qualcuno ha detto ✨genero✨?

Vi aspetto su
ig: artvmarystories per sapere cosa pensateee!!

Spero di non impiegarci tropo tempo per portarvi il prossimoo, per qualsiasi cosa mi trovate su instagram💙

Vi lascio anche tiktok dove pubblico sempre qualche piccolo spoiler🤭: artvmarystories

Non dimenticatevi la stellina ⭐️ se il capitolo vi è piaciuto!
vi voglio benee
🫂💙🫂

Continue Reading

You'll Also Like

132K 3.1K 27
🫀 Astrid Flower non è altro che un fiore appassito, che finge di riuscire a stare in piedi per non rovinare la sua immagine. Astrid è la ragazza po...
37.5K 1.2K 47
lei: Ludovica Dose, sorella di Riccardo Dose, 23 anni. È una ragazza testarda e introversa, per alcuni addirittura un po' stronza lui: Daniel D'addet...
47.3K 1.7K 16
Nel prestigioso liceo di Silver Creek, le vite di Maddie Collins e Tyler Evans non potrebbero essere più diverse. Maddie è la studentessa modello, se...
188K 4.8K 23
Può una morte collegare due persone? «I tuoi occhi» faccio un passo indietro, mi riporta indietro nel tempo, un tempo che volevo dimenticare, cance...