Wilderness | A Shadow In The...

SpinadiRosa25 द्वारा

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[Saga Wilderness | Volume 1] Milioni di secoli fa, i Dodici Spiriti della Natura, noti anche come Dodici For... अधिक

𝔏𝔢 𝔇𝔦𝔪𝔢𝔫𝔰𝔦𝔬𝔫𝔦 - 𝔊𝔩𝔦 𝔘𝔫𝔦𝔳𝔢𝔯𝔰𝔦
𝔦𝔫𝔱𝔯𝔬𝔡𝔲𝔷𝔦𝔬𝔫𝔢
𝔗𝔯𝔦𝔟𝔲' 𝔡𝔢𝔦 𝔏𝔲𝔭𝔦
𝔗𝔯𝔦𝔟𝔲' 𝔡𝔢𝔩𝔩𝔢 𝔗𝔦𝔤𝔯𝔦
𝔗𝔯𝔦𝔟𝔲' 𝔡𝔢𝔩𝔩𝔢 𝔄𝔮𝔲𝔦𝔩𝔢
𝔗𝔯𝔦𝔟𝔲' 𝔡𝔢𝔤𝔩𝔦 𝔖𝔮𝔲𝔞𝔩𝔦
𝔓𝔯𝔬𝔩𝔬𝔤𝔬
Parte Prima ~ Il Viaggio
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Parte Seconda ~ Il Racconto di Naomi
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SpinadiRosa25 द्वारा

Rasha osservò il giovane Perlustratore allontanarsi, mentre Kuhjiarth lo riaccompagnava sull'altra riva del lago.
Per un momento si pentì di aver detto al guerriero di condurlo sulle scure acque del lago, desiderando invece poterci parlare ancora un po'.
Era così tranquillo, gentile, intelligente...

Si voltò.

Spalancò la porta della Rocca degli Squali e la varcò. Si avviò a grandi falcate verso la sua stanza.

Camerieri e servitori, che entravano ed uscivano da quella moltitudine di stanze che caratterizzava la Rocca degli Squali, osservavano stupiti la loro Capotribù perdere di colpo la tutta la sua eleganza, con quell'andatura così inusuale per Rasha... o almeno, per la Rasha che la Tribù conosceva.

Rasha era uno spirito libero: ribelle, coraggiosa, impavida e determinata, ma anche sentimentale... un carattere non molto consono ad una Capotribù, per cui Rasha era, agli occhi dei suoi sudditi, fredda, scostante, ma pacata...

In realtà, odiava apparire così.

A dirla tutta, odiava proprio essere Capotribù. Dodici anni prima, suo padre Iraq degli Squali, l'attuale Capotribù degli Squali, era stato ucciso dal suo squalo, Nahvajo, sotto gli occhi inorriditi di una giovanissima Rasha di soli cinque anni. Essendo l'unica erede di Inaq, divenne subito Capotribù: il giorno dopo venne svolta la sua Sacra Cerimonia, con undici anni di anticipo, poiché non poteva diventare Capotribù senza essere unita con uno squalo. Venne rispettata un'antica tradizione della Tribù degli Squali, ovvero quella di ereditare, oltre al titolo di Capotribù, anche lo squalo. Rasha, quindi, iniziò subito ad addestrarsi nel combattimento insieme a Nahvajo, nonostante lo odiasse per ciò che aveva fatto a suo padre.

Finalmente, raggiunse la sua camera.

Solitamente, alla vista del cartello appeso alla porta che riportava la scritta "Lasciate ogni speranza, voi che entrate", che le aveva regalato Malvern, a Rasha sfuggiva sempre un sorriso.
Ma non quella volta.
Quella volta si fermò per un attimo ad osservarlo, sforzandosi di rimanere impassibile, ma le lacrime s'insinuarono con prepotenza nei suoi occhi. Batté le palpebre per scacciarle, ma queste scesero con insistenza lungo le sue guance. Scosse la testa, frustrata. Aprì la porta e se la richiuse alle spalle, lanciandosi nella sua stanza.

Si lasciò cadere sul suo morbido letto, stringendo tra le braccia il cuscino ed affondandovi il volto in lacrime.

I doveri e le responsabilità che aveva in quanto Capotribù, che con l'imminente guerra e dopo la discussione con il giovane Perlustratore dei Lupi si ampliavano, improvvisamente le pesavano come macigni.

Ma non era finita qui.

Rasha aveva un segreto, un segreto che non sarebbe mai dovuto essere svelato, per il bene delle Tribù dei Lupi e degli Squali.
Senza di esso, la giovane non avrebbe potuto vivere, ma con esso metteva a rischio la vita di centinaia di persone.

«Perché proprio io?», si chiese, disperata, la giovane Capotribù. «Perché, tra tutti, doveva capitare proprio a me?»

In quel preciso istante, qualcuno bussò alla porta.
«Vostra Altezza, desiderano vederla», annunciò una voce che Rasha riconobbe come quella di Trish, la sua più fedele servitrice.
«Non fate entrare nessuno», singhiozzò Rasha in risposta.
«Si da il caso che il vostro ospite sia il Capotribù dei Lupi Sua Altezza Gloriosissima Malvern dei Lupi», obiettò l'anziana servitrice, con la sua voce gracchiante.

Rasha si alzò, asciugandosi in fretta le lacrime.
«In tal caso», disse allora, «lo raggiungerò io».

Detto ciò, uscì dalla sua stanza e si lanciò di corsa nel lungo corridoio che conduceva all'entrata, ignorando le occhiate di rimprovero dei camerieri che incrociava nella sua corsa sfrenata.

Spalancò il portone d'ingresso, in preda all'emozione.
Ad aspettarla trovò un ragazzo alto, muscoloso, dai folti capelli neri e gli occhi di ghiaccio.
Il suo fascino lasciò Rasha a bocca aperta, come ogni volta che lo vedeva.

«Rasha», la salutò, gli occhi gli brillavano. Spalancò le forti braccia e le rivolse un sorriso radioso.
Con gli occhi altrettanto scintillanti, Rasha gridò: «Mal!», e si lanciò verso di lui.

Malvern la afferrò, sollevandola da terra. Volteggiarono, poi lui la pose davanti a sé e la strinse in un abbraccio, allontanandosi più volte per guardarla negli occhi, per poi stringerla ancora. «Mi sei mancata», le disse all'orecchio.
«Anche tu», rispose Rasha, in un sussurro.

Si guardarono negli occhi, ricordandosi dell'infinità di momenti che avevano trascorso assieme, poi lui la baciò.
Rasha inizialmente fu sorpresa, ma poi si abbandonò al sentimento.

Era quello il suo segreto.

Prima di morire, Inaq aveva lasciato scritto che Rasha, compiuti i diciotto anni, avrebbe dovuto sposare Kuhjiarth, poiché era figlio di grandi e potenti guerrieri. Ma lei, nonostante il compimento dei diciotto anni fosse vicino, amava Malvern, il Capotribù dei Lupi, con il quale aveva una relazione ormai da due anni.
Malvern e Rasha avevano dieci anni di differenza, ma a loro non importava: si amavano, ed era tutto ciò che contava.

«Ho saputo del tuo imminente scontro con le Tigri...», Malvern le rivolse uno sguardo preoccupato. «Non farlo», la supplicò. «Potresti morire...»
Rasha si strinse nelle spalle. «E quindi? Cos'è una vita, se può salvarne centinaia? E poi lo sai, non mi lascerò uccidere facilmente».

Malvern sorrise, rivolgendo istintivamente lo sguardo alla propria spalla, sulla quale era ben visibile una cicatrice.

Si ricordò della prima volta che vide Rasha, quattro anni prima.
L'aveva vista da lontano, al di là del confine, e le si era avvicinato per parlarle.
Lei aveva udito il rumore dei passi che si avvicinavano e, credendolo un nemico, lo aveva attaccato, scagliando contro di lui il suo pugnale.

«Certo che lo so», sorrise. «Solo... sta' attenta.»
«Ovviamente».

Rasha lo fece entrare nella Rocca degli Squali, conducendolo nella sua stanza.
«Se vuoi aiutarmi, possiamo allenarci a combattere», suggerì la ragazza.
Malvern accettò.
Rasha continuò: «Chiederò di far portare qui le mie armi...» ma la voce di Trish la interruppe: «Le Tigri sono qui!»

La Capotribù degli Squali uscì frettolosamente dalla Rocca.
Vide numerose imbarcazioni ormeggiate sull'isola. Tutti i guerrieri della Tribù delle Tigri erano lì, davanti a lei.

«Avevo detto domani», obiettò Rasha.
Una giovane guerriera poco più grande di lei si strinse nelle spalle. «E allora? Siamo venuti prima, ma non vedo il problema». Gridò qualcosa nella Lingua delle Tigri, incitando i compagni, che si lanciarono all'attacco.

Rasha si accorse di essere disarmata.

Per primi si fecero avanti tre uomini, alti e muscolosi. Uno di loro aveva un coltello lungo e ricurvo, mentre gli altri due impugnavano delle spade corte.

Urlando e sbraitando nella loro lingua, si lanciarono all'attacco. Rasha, non potendo contrattaccare, si limitava a schivare i loro affondi con agili salti.

Un breve momento di distrazione fu fatale per uno dei due uomini con la spada: si era voltato per dire qualcosa al compagno, ma Rasha, con un calcio deciso, gli aveva sottratto la spada, piantandogliela poi nel petto. L'uomo cadde all'indietro, con gli occhi sbarrati e la bocca contratta in una smorfia di dolore. Strinse le mani attorno all'elsa della spada, grondante di sangue, mentre esalava l'ultimo respiro.

Rasha estrasse l'arma dal petto dell'uomo e, prima che i due rimasti potessero reagire, scagliò la spada contro il guerriero che impugnava la medesima arma. La lama penetrò nella sua coscia, sulla quale premette le tozze mani nel vano tentativo di fermare l'emorragia.
L'uomo cadde in ginocchio, guardando Rasha con odio e sibilando, a denti stretti: «Maledetta...!», mentre, insieme al sangue che sgorgava copioso dalla ferita, se ne andava anche la sua vita.

La Capotribù lo fissò con impassibile aria di superiorità, senza la minima compassione verso quell'uomo dal volto così sofferente, la cui vita lo stava poco a poco abbandonando.
Si voltò a guardare il guerriero con il coltello, che adesso teneva basso in segno di arresa.
«Hai paura?», lo derise lei. «Davvero ti fai spaventare da una ragazzina?».
Lui abbassò lo sguardo, come se fosse in imbarazzo.

Rasha scosse la testa, ridacchiando. Gettò a terra la spada e la allontanò con un calcio.
Si avvicinò al guerriero. Per guardarlo negli occhi dovette stare in punta di piedi e con il viso volto verso l'alto, tanto era alto.
«Colpiscimi. Non ho armi con cui difendermi», lo provocò. «Avanti, colpiscimi! Oppure hai troppa paura per farlo?»

L'uomo si lanciò all'attacco, tentando di squarciarle la gola con una mossa fin troppo scontata per la Capotribù, che si piegò all'indietro per evitare il colpo, corse in avanti, fece un salto ed una capriola a mezz'aria e si voltò.

Con uno scatto sorprendentemente agile per la sua stazza, l'uomo tentò nuovamente l'attacco precedente, ma questa volta Rasha non si spostò.

Raccolse la spada e, prendendola cautamente per la lama, la utilizzò per sottrarre il coltello al guerriero, un attimo prima che l'arma potesse raggiungerla.
Rinfoderò la spada. Con il coltello, attaccò l'uomo alla gola. Questo si abbassò per schivare la fatale lama della sua stessa arma, allora la Capotribù fece un salto e gli fu subito dietro.

Rasha aggiustò la presa sul coltello. Piegandosi all'indietro, con un movimento fulmineo, colpì il guerriero alla gola, tagliandogli la testa. Essa schizzò sulla sabbia, che si tinse di rosso, mentre il corpo cadeva su quello dei compagni.

Pozze scarlatte si formarono sulla sabbia chiara; l'odore della morte che aleggiava nell'aria rendeva l'atmosfera ancora più spettrale.

La Capotribù lanciò al resto dei guerrieri delle Tigri uno sguardo di sfida.
«Anche voi avete paura o siete abbastanza coraggiosi da farvi avanti?»

In risposta, i guerrieri della Tribù delle Tigri si lanciarono in avanti, urlando il loro grido di battaglia; anche i loro animali ruggivano furiosamente, seguendo i compagni umani.

«Aspettate!», esclamò la Capotribù. «L'accordo era senza animali!».

La porta della Rocca degli Squali si aprì. Rasha si voltò di scatto, sperando segretamente che fosse Malvern.
Quando vide il volto di Trish, respinse la delusione, ascoltando ciò che la serva aveva da dirle.
Con grande sorpresa, si accorse che nella mano destra stringeva un arco, che le porse, insieme ad una faretra.
«Potrebbe esservi utile», disse la servitrice.

Rasha la ringraziò, prese le armi e richiuse la porta, voltandosi appena in tempo per schivare una freccia, scagliata da un giovane dai lunghi capelli neri e gli occhi scuri, che in quel momento erano socchiusi in un'espressione di odio puro.
Rasha tese la corda del suo arco, pronta a scagliare una freccia verso l'arciere che aveva precedentemente mirato contro di lei.

Lasciò partire la freccia, che colpì il suo bersaglio, come gli altri dardi che la seguirono.
In poco tempo l'isola era ricoperta da corpi senza vita o gravemente feriti, sia di animali che di persone.
I superstiti si contorcevano per il dolore, gemevano, chiedevano aiuto.

Ogni guerriero che provava ad avvicinarsi alla Capotribù veniva trafitto da una delle sue letali frecce.

Solo due ragazze erano in piedi, indenni, sulla riva.
Una era la stessa che, prima dell'inizio della battaglia, aveva discusso con Rasha.
Anche l'altra, però, le era familiare.

L'aveva già vista, da qualche parte...

Rasha si portò le dita alla fasciatura stretta attorno alla sua coscia destra, ricordandosi dell'ingiusto attacco delle Tigri, alcuni giorni prima, che aveva dato inizio alla guerra.

I ricordi la assalirono.

La soddisfazione per aver colpito un ragazzo delle Tigri, e lo sguardo carico d'odio della bella ragazza con cui aveva da poco discusso...
Un'altra guerriera che aveva scagliato una freccia contro la Capotribù...
Il dolore che l'aveva portata alla resa...

Finalmente capì: quella ragazza era la guerriera che l'aveva colpita.

Estrasse una freccia dalla faretra, preparandosi a tirare.
Avrebbe avuto la sua vendetta.
Stava per lasciar partire il colpo, quando una fitta acuta s'irradiò dal polpaccio a tutta la gamba. La Capotribù strinse i denti, riuscendo a rimanere in piedi.

Abbassò lo sguardo sulla gamba. Una tigre aveva affondato le sue zanne in profondità nel polpaccio di Rasha. Lei, però, non esitò a reagire: con il coltello, colpì l'animale sul collo. Questo si accasciò a terra, con la bocca spalancata in un silenzioso ruggito di dolore.

Tenendo d'occhio le due ragazze, Rasha si chinò per controllare la ferita che le avevano lasciato le zanne della tigre.
La stoffa dei calzini che portava era appiccicata alla ferita. Mentre cercava di sollevarla, un dolore lanciante la colpì nel fianco, lasciandola senza fiato.
«Alyta, non farlo!», gridò la ragazza arciera.
Sollevò lo sguardo, accorgendosi che l'altra guerriera - Alyta - le si era avvicinata e l'aveva colpita con il pugnale.

Sanguinante, Rasha cadde in ginocchio, mentre l'arciera la raggiungeva.
Fulminò Alyta con lo sguardo. «Perché l'hai fatto?»
L'altra assunse uno sguardo innocente. «Credevo che volessi vincere, Kayra».
«Certo, che voglio vincere, ma secondo le regole! È il mio momento di sfidarla, non il tuo. Tu dovevi combatterla con gli altri; il fatto che io sia tua sorella non ti autorizza a poter combattere al mio fianco. Non stavolta», replicò Kayra.
Alyta scrollò le spalle. «Come vuoi tu», disse, e si fece da parte.

Kayla tese la mano verso Rasha, per aiutarla ad alzarsi.
«Non... non ho bisogno del vostro aiuto», sibilò la Capotribù, con fil di voce. Si alzò a fatica, premendo una mano sul fianco ferito.
La guerriera delle Tigri la guardò con scetticismo. «Se lo dite voi...» borbottò.
Rasha portò l'altra mano all'elsa della spada, estraendo l'arma.
«Non sottovalutatemi, Kayra delle Tigri. Sono in grado di battervi senza problemi».
«Adesso siete voi che sottovalutate me, Rasha degli Squali».

La guerriera delle Tigri si lanciò in un affondo che Rasha evitò quasi goffamente, rallentata dalla ferita. Attaccò a sua volta, e Laura rimase immobile fin quando la lama della spada non fu a pochi millimetri da lei. Allora parò l'attacco con la sua lancia. Evitò così anche i successivi attacchi della Capotribù, roteando la lancia ed avanzando verso l'avversaria.
Servendosi del bastone della lancia, la spinse a terra, facendola cadere. Le puntò l'arma alla gola.
«Vi basta dire mi arrendo e la lotta finirà qui», sibilò.
«E consegnare al vostro capo il mio territorio? Mai!», rispose Rasha, la cui voce era ridotta ad un flebile sussurro.
Kayra la fissò. «Siete coraggiosa. Non voglio uccidervi, non lo meritate».
Rasha la guardò con odio. «Preferisco morire che vedere la mia gente morire sotto la tirannia di Zakhar!»

La guerriera delle Tigri la ignorò. Si allontanò, lasciandola stesa a terra con il fiato corto.
Si voltò a guardarla. «Il Capotribù Zakhar delle Tigri verrà domattina all'alba per prendere vostri territori», disse, poi si allontanò. Insieme ad Alyta raccolse i corpi dei guerrieri deceduti ed aiutò i feriti ad alzarsi, per lasciare l'Isola degli Squali.

Rasha si mise a sedere. Rimase immobile a fissare i guerrieri delle Tigri che si allontanavano.
Ho fallito. Sono stata stupida a lanciare questa sfida.

La porta di Rocca degli Squali si spalancò e ne uscì di corsa Malvern.
«Rasha!», gridò, precipitandosi al fianco della ragazza. «Cos'è successo? Stai bene?»
La Capotribù si voltò a guardare l'amato. «Mal...vern...», mormorò con voce debole. Rovesciò gli occhi all'indietro, lasciando cadere la testa sulla spalla.
Malvern prese il volto di lei tra le mani. «Resisti, tesoro, te la caverai».

Rasha farfugliò qualcosa di incomprensibile, chiudendo gli occhi.
«Ce la farai», ripeté il Capotribù dei Lupi. «Non è niente».
La prese tra le braccia e la sollevò delicatamente da terra, portandola all'interno della Rocca.
L'ultima cosa che Rasha udì furono le grida di Khela e il tocco gelido di Jadaar sul corpo.

❦ ════ •⊰❂⊱• ════ ❦

Rasha si svegliò nella sua stanza, adagiata sul morbido letto a baldacchino, sul quale era seduto Malvern, che stringeva una mano di Rasha tra le sue.
Una stretta fasciatura le avvolgeva il busto, proteggendo la ferita. Sul fianco era impregnata di sangue scuro.
Anche il polpaccio era bendato, laddove i denti della tigre erano penetrati.

«Siano lodati gli Spiriti, sei viva!», esclamò Malvern, scattando in piedi. «Ho temuto di perderti...»
Rasha rise. «Io? Uccisa dalle Tigri? Puoi scordartelo». Si rabbuiò. «Ma... c'è dell'altro. Hai perso il tuo territorio per colpa mia. Io... ero sicura che ce l'avrei fatta...». Inghiottì il nodo in gola che le impediva di parlare.
Malvern le sfiorò il braccio con le dita. «Non ha importanza», la interruppe. «L'unica cosa importante è che tu stia bene».
La Capotribù sorrise. «Sai anche tu che non è l'unica cosa che conta. Ci riprenderemo i nostri territori», disse. «È una promessa».

Poche ore dopo, Malvern aveva già mandato il miglior Messaggero della Tribù, Ramin dei Lupi, a chiedere alla Tribù delle Aquile un'alleanza: lui e Rasha, appena prima dell'alba del giorno successivo, avrebbero condotto le loro Tribù in un'imboscata alla Rocca delle Tigri, per impedirgli di prendere il controllo sui territori dei Lupi e degli Squali, e l'aiuto della Tribù delle Aquile avrebbe assicurato loro la vittoria.

Rasha rimase ad ore a pensare al loro piano. Avrebbe funzionato?
Probabilmente sì.
Ma c'era qualcos'altro, che non avrebbe mai potuto funzionare.
Il loro amore.
Pensò a lungo su cosa fosse meglio fare: dovevano concludere la loro relazione o andare avanti? Quest'ultima opzione la rendeva sicuramente più felice, ma metteva a rischio le loro Tribù? Se qualcuno li avesse scoperti, cosa sarebbe potuto accadere, soprattutto adesso che stava per iniziare la guerra?

Malvern tornò alla Rocca degli Squali nel pomeriggio.
Quando Rasha lo vide arrivare, sospirò e si fece avanti, preparandosi ad affrontare la tempesta che sarebbe nata dalle parole che stava per pronunciare.

«Sono felice di vederti qui, adesso», iniziò, allontanandolo prima che potesse baciarla. «Anche perché devo dirti una cosa. Le nostre Tribù stanno per andare in guerra e, anche se siamo alleati in questa battaglia, sarebbe rischioso portare avanti la nostra relazione».
Malvern la guardò sconcertato. «Non dirai sul serio...», mormorò. «E dai, Ra', io e te stiamo insieme da tempo... noi...»
Rasha scosse la testa. «Noi? Presto non ci sarà nessun noi, solo tu, io e le nostre Tribù. È così che deve essere; se vogliamo vincere, qualcosa dobbiamo perdere».
«Non necessariamente», obiettò lui, nel tentativo di farla ragionare. Ma la Capotribù continuò imperterrita: «Da adesso in poi quando ci vedremo tutti si aspetteranno che stiamo discutendo di questioni importanti, come la guerra...»

Malvern la interruppe: «Questioni importanti? Ed io? Io non sono importante per te?». Il suo sguardo era deciso, ma la voce incrinata tradiva un profondo sconvolgimento.

«Più di ogni altra cosa», assicurò lei. «Ma ciò che volevo dire è che... non avremo più tempo per noi. Io e te da soli. Capisci?»
Gli occhi del Capotribù fiammeggiavano. «No», rispose. «Non capisco cosa ti sia preso, non capisco perché vuoi allontanarmi, non capisco perché fino ad ora potevamo stare insieme».
«Fino ad ora non eravamo in guerra!», gridò Rasha, esasperata. «Pensi che a me non faccia male allontanarti in questo modo? Pensi che io non soffra gridandoti a questo modo di andartene?!»
Malvern annuì. «Forse no».

La Capotribù era sconcertata. «Come sarebbe a dire no? Io ti amo forse più di quanto mi ami tu! Ed è proprio per questo che ti allontano. I mesi - forse anni - a venire saranno duri, ed io non potrò esserti accanto... non come una compagna. Trova qualcuno che ti sappia amare, se avrai bisogno di qualcuno al tuo fianco. Ma per il nostro bene io non potrò essere quel qualcuno, anche se continuerò ad amarti per sempre».

Malvern si allontanò, in silenzio, raggiungendo la riva. L'acqua del lago attorno all'Isola degli Squali arrivava quasi a lambirgli i piedi.
Improvvisamente si voltò verso Rasha.
«Se per te allontanarmi vuol dire amare, allora non lo voglio il tuo amore», disse.

Salì a bordo della sua piccola barca a remi ed abbandonò l'isola, lasciando Rasha con quelle terribili parole in testa.
Non lo voglio il tuo amore.
Non lo voglio il tuo amore.
Non lo voglio il tuo amore.
Rasha sentiva che la testa le sarebbe scoppiata, a forza di udire quella frase tanto dolorosa, pronunciata dalla persona che amava.
Non voglio il tuo amore.

«Ma io voglio il tuo», singhiozzò Rasha, con la voce rotta dalle lacrime, mentre seguiva con lo sguardo la piccola sagoma lontana ed indistinta che giungeva alla riva a bordo della piccola barca. «Ne ho bisogno».
Distrutta, fece ritorno dentro la Rocca.
Sì, gliel'aveva detto lei che non potevano più stare insieme, ma questo non significava, almeno per lei, non amare. Era stato proprio il suo amore a spingerla a dire quelle parole, quelle fatidiche parole che, forse, avevano allontanato Malvern da lei per sempre.

Si bloccò.
Dove stava andando?
Nella sua camera, a riempire di lacrime il cuscino per l'ennesima volta?
Che senso aveva?

Scosse la testa e cambiò direzione.
Si avvicinò al grande portone scuro nella parte più settentrionale di Rocca degli Squali.
Un'antica tradizione voleva che i Capotribù non si recassero mai in paese, ma Rasha trovava che violare quella regola, sfuggire dalle responsabilità di corte, fosse l'unico modo per non farle pesare troppo quando il fardello diventava troppo grande da sostenere.
E inoltre, a palazzo era proibito l'Azvhori...

Una pelliccia di pantera era appesa ad un vecchio attaccapanni posto al fianco del portone. La indossò, calandosi bene il cappuccio, sul quale svettava il muso dell'animale, sul volto.
Ruotò lo splendente pomello di ottone che risaltava sullo scuro legno della porta ed essa si aprì su un viavai di mercanti ed acquirenti d'ogni merce. Alcune donne, con un seguito di quattro o cinque figli, trasportavano giare di olio, acqua o Azvhori.
Numerosi erano i venditori di pellicce che richiamavano l'attenzione di Rasha, irriconoscibile sotto l'inusuale veste, per congratularsi con lei della pelliccia, ma la Capotribù li ignorava, concentrata nel raggiungere la sua destinazione senza fermarsi, preoccupata che qualcuno potesse scoprire la sua identità.

Si fermò davanti ad una piccola porticina di legno chiaro, sul quale risaltava, in caratteri color porpora, la scritta Casa dell'Azvhori. Con un sorriso soddisfatto, Rasha entrò.
Il locale era piccolo, quasi tutto lo spazio era occupato da un attaccapanni, un camino spento ed uno sporco bancone, dietro al quale un alto scaffale era pieno di bottiglie dagli strani colori.
Un uomo calvo, dalla pelle scura e le muscolose braccia tatuate, era intento a riordinare il contenuto dello scaffale.

«Quante volte devo ripetere che la domenica non servo clienti dopo mezzogiorno?», si lamentò, voltandosi verso la Capotribù. Lei si tolse il cappuccio e sorrise. «Calmati, Vynz, sono io».
L'uomo sgranò gli occhi. «Rasha! Non ti avevo riconosciuta».
«La domenica è il giorno libero anche per me, sai?», scherzò. In realtà non era vero. Sia Vynz che Rasha lo sapevano bene.
Vynz sapeva quasi tutto di lei.
Si conoscevano da cinque anni, da quando lei aveva scoperto quel portone nella Rocca degli Squali ed aveva conosciuto, oltre a Vynz, un nuovo mondo.

Quell'uomo era il suo amico segreto, anche se lui avrebbe voluto essere molto di più.
Gestiva un bar, e Rasha era la sua cliente più affezionata.
Ogni volta che aveva l'umore a pezzi, quando litigava con Malvern o quando le responsabilità di corte divenivano insostenibili, si tirava su di morale recandosi alla Casa dell'Azvhori per bere qualcosa.

«Allora, cosa vuole oggi la mia principessa?», le domandò Vynz, avvicinandosi al volto di Rasha. Il suo alito puzzava di alcol.
«Un bicchiere di Azvhori, come sempre», replicò lei. «Anzi», aggiunse, «una bottiglia».
Vynz sorrise. «Wow. Il tuo dramma stavolta dev'essere davvero grande».
Si allontanò per prendere un bicchiere di cristallo ed una bottiglia di Azvhori.
Li pose sul bancone, versando un po' di Azvhori nel bicchiere.

Rasha prese in mano il bicchiere, osservando il liquido rosso scuro che vi era al suo interno.
Lo bevve d'un fiato, riempì nuovamente il bicchiere ed inghiottì il suo contenuto.
Ripeté l'operazione più e più volte, fino a finire la bottiglia.
«Portane ancora», ordinò. Vynz la osservò poco convinto. «Sicura?»
«Certo», ribatté lei. «Pensi che io non sappia ciò che faccio?»
L'uomo fece spallucce. «Come dici tu», borbottò, eseguendo l'ordine.

«Ancora».

Eppure, quella volta, i problemi non sembravano svanire. Rimanevano lì, gridandole continuamente la loro presenza.
Rasha beveva più di quanto avesse mai fatto.

«Ancora».

════════ ❦ ════════════════ •⊰❂⊱• ════════════════ ❦ ════════

N.d.A.

Insieme all'immagine all'inizio del capitolo (che spero si veda), avrei voluto mettervi una canzone che rappresenta benissimo la relazione tra Rasha e il suo amato Malvern dei Lupi. Ma, per quanto abbia provato, non me lo caricava, quindi vi metto qui il link:

https://youtu.be/mk3XycambgI

Non so se ve lo fa aprire, quindi per sicurezza lo metto anche nei commenti.

Fin qui la storia vi sta piacendo?

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