Wicked Game

By _shadowhunters_96

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Quattro fratelli. Due coppie di gemelli. Quattro ladri e portatori di guai. Una piccola cittadina, al confin... More

Cast
00. Regole
Prologo
01. Sei una divinità
02. Sono allergico ai gatti
03. Sfidarmi ti costerà caro
04. Sei il mio incubo
05. Sei completamente matta
07. Raven Parker è sempre stata un problema
08. Soltanto per cinque secondi
09. Guess who's back?
10. Sei nuda, Raven
11. Azriel cosa ne pensa?
12. Mi hai davvero scattato una foto?

06. Un fantastico partner in crime

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By _shadowhunters_96

Adam Jones – You can run
00:40 ━❍──────── -04:00

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VOLUME: ▁▂▃▄▅▆▇ 100%

 

 

 

 

Questa serata potrebbe andare meglio, molto meglio. Eppure precipito verso in vortice di follia e scelte sbagliate.

Cosa diamine c’è che non va in me?

Con la spalla riesco a scansare qualche corpo sudato e mi faccio spazio tra la calca di persone ubriache.

Rimango al centro della pista, le luci stroboscopiche turbinano intorno a me in modo caotico; sembrano lame variopinte che mi si conficcano negli occhi.

Qualcuno mi spinge in avanti; mi aggrappo alle spalle possenti di un ragazzo.

«Ehi, stai più attenta», mi rimprovera e mi guarda truce. Ho fatto cadere il suo drink.

C’è qualcosa di profondamente sbagliato in me. È come una pallina di piombo al centro del mio petto che si surriscalda nei momenti peggiori.

Devo essere vigile. Devo essere scaltra. Non posso fare un passo sbagliato, altrimenti metterei nei guai i miei fratelli.

La luce rossa abbraccia nuovamente tutti i presenti, la musica mi trasporta per pochi secondi da un’altra parte.

Cala di nuovo il silenzio e qualcuno mi afferra la gola da dietro. «Saresti in grado di far scorrere il sangue tra di noi?», un sussurro glaciale si fa strada nelle mie orecchie.  

La musica riparte e io mi giro di scatto, ma il ragazzo si sta già allontanando. Non è River, non ha i tatuaggi sulle braccia.

L’adrenalina ruggisce nelle mie vene, il soffitto sembra sul punto di crollare e schiacciarmi da un momento all’altro.

Mi guardo intorno, la gente è su di giri.

Occhi lucidi, sorrisi troppo grandi, risate squillanti che squarciano l’aria.

Qui dentro sono tutti disgustosamente ricchi, ma veniamo risucchiati dalla stessa merda.

Allaccio le dita intorno al polso di Mallory, lei smette di sorridere e di ballare e si gira verso di me. Faccio un cenno verso la sua borsetta e in pochi secondi la fa scivolare tra le mie mani. Mi lancia un’occhiata interrogativa.

«Ci vediamo tra un po’. Non stare in pensiero per me, vi raggiungerò direttamente a casa», le dico e poi cerco di sgusciare fuori da questo covo di depravati.

Un pensiero stupido si spinge in superficie, ma io cerco in tutti i modi di rispedirlo sul fondale.

Elias è così? È come loro? O forse anche lui è abituato a calarsi nei panni di una persona che non esiste davvero? È solo una facciata?

Credo che a furia di indossare cento maschere diverse al giorno, prima o poi si finisce per dimenticare l’autenticità del proprio sguardo.

Esco dal locale usando la porta che dà sul retro e tiro un sospiro di sollievo quando spingo il piede e chiudo la porta con un calcio. Sono da sola in un vicolo parzialmente buio.

Lo strombazzare delle auto in lontananza mi fa trasalire.

Un gatto nero scavalca un cassonetto, con un salto agile atterra davanti a me e mi scruta come se volesse conficcarmi gli artigli in un occhio.

«Ehi, bello», mi abbasso sulle ginocchia e allungo la mano verso di lui. Si avvicina lentamente, annusando l’aria, poi il suo naso umido sfiora le mie dita e sorrido quando mi permette di accarezzarlo tra le orecchie.

Tira su la testolina e inizia a fare le fusa, quindi mi concedo qualche secondo in più per fargli i grattini sotto il mento.

«Ti porterei con me, sai? Ma mio fratello è allergico», gli dico dispiaciuta. Quasi come se avesse capito le mie intenzioni, si allontana e salta sulle scale d’emergenza. Lo osservo accigliata e lui balza sul davanzale di una finestra aperta. Scuoto la testa, divertita. «Certo, appartieni già a qualcuno. Meglio così», mormoro tra me e me e tiro fuori dalla borsetta di Mallory il mazzetto di chiavi di Elias.

Non ho più la camicia addosso e l’aria frizzante mi fa rizzare persino i peli sulla nuca. Sono sudata, il body in pizzo non copre molto, la scollatura è abbastanza profonda, anche se il mio seno non è così abbondante. L’orlo della gonna picchietta contro le mie cosce ad ogni passo e i piedi iniziano a farmi male.

Esco in strada e guardo la fila di macchine accostate vicino al marciapiede, una più costosa dell’altra. Premo il bottone e mi giro verso le luci lampeggianti della sua auto.

Mi ucciderà.

Magari non ci riuscirà, ma senza dubbio ci proverà.

Un paio di ragazzi mi guardano mentre cammino a testa alta verso l’auto di Elias.

«Bella macchina», commenta uno di loro. «Sei in grado di guidare questo gioiellino o hai bisogno di una mano?»

Ignoro le sue parole, il suo amico ridacchia.

Salgo in macchina, sistemo meglio lo specchietto e sorrido.

Stringo il volante in pelle e mi metto comoda sul sedile.

Non mi soffermo troppo sui dettagli, perché la bestia di Satana potrebbe spuntare qui da un momento all’altro, anche se adesso sarà mezzo svenuto sul divanetto o tra le gambe della sua ragazza.

Abbasso il finestrino e guardo i due ragazzi.

«Riesci a raccogliere la mascella che ti è caduta a terra o hai bisogno di una mano?», rilancio, strizzandogli l’occhio.

Sento il rombo del motore e una strana emozione si annida nel mio stomaco.

Sono eccitata. Ansiosa. Euforica.

Sto guidando la macchina di Elias Bailey, la persona che vorrebbe vedermi dietro le sbarre o, peggio ancora, sottoterra.

Sì, mi farà fuori.

Guido verso casa mia, alzo il volume della musica.

Elias ha dei gusti terribili.

Muovo il dito sul piccolo schermo e scelgo la playlist dove ha raccolto le sue canzoni preferite.

Il mio sorriso diventa sempre più ampio quando adocchio Fast Car. Be’, forse potrei cambiare idea. Qualche canzone si salva.

Sfreccio davanti al The National Museum of Mexican Art, poi proseguo dritto e giro a destra.

«Un giorno io avrò una macchina costosa. Andrà veloce come un lampo e tu sicuramente sarai ancora con le pezze al culo e correrai sotto la pioggia per prendere in tempo l’autobus.»

Aveva soltanto undici anni. La sua frase riemerge dai ricordi che pensavo di aver seppellito in profondità.

Stronzo.

Mi sembra quasi di rivedere la malizia nei suoi piccoli occhi nocciola.

Io e lui, seduti uno accanto all’altro sui sedili posteriori.

Sua madre ci stava accompagnando a casa di Caroline, la nonna di Elias, per l’ennesima progetto scolastico. Era uno smorfioso. Un fannullone.

Credo di aver immaginato almeno cento modi diversi per mandarlo in ospedale, tra cui:

1)     manomettere i freni della sua bici;

2)     lanciargli una molotov nel letto mentre dorme;

3)     avvelenargli il sandwich;

4)     infilargli un petardo nelle mutande.

5)     versargli del cianuro nella borraccia.

Ogni volta che sua madre ci scarrozzava in giro, diventava una specie di prova di sopravvivenza.

Eravamo convinti che uno dei due sarebbe volato fuori dal finestrino. Ho pregato tante volte che Freya frenasse bruscamente davanti ad uno stop e lo facesse volare fuori dal parabrezza.

«Ho preparato circa dieci aroplanini di carta solo per te, zecca. Non sei curiosa di scoprire cosa ho scritto sulle alette?» mi aveva detto quel pomeriggio.

«Tua madre non ti ama, ecco perché ti porta sempre da tua nonna. Sicuramente sei stato adottato», avevo replicato.

Una risposta patetica pronunciata in un momento di rabbia.

No, non me ne pento. Lui mi ha reso l’infanzia un inferno.

Fermo l’auto davanti a casa mia, lascio la borsetta sul sedile del passeggero e corro nella mia stanza. Devo prendere il resto dei gioielli. La casa è esattamente come l’ho lasciata. Papà non è tornato. Ho smesso di farmi domande da quando mamma ha deciso di ignorarci.

Quando risalgo in macchina, apro la borsetta e tra i diversi gioielli, c’è anche il bracciale di Elias. Guardo la targhetta d’oro e la parola incisa: Adeline.

Arriccio il naso.

«Questo è decisamente un regalo da parte della tua ragazza, perché non puoi aver fatto tu questa roba», brontolo. Andare in giro con tutti questi gioielli è un rischio, me ne rendo conto, ma spero di cavarmela.

Persino guidare una macchina simile è rischioso. Alla polizia basterebbe fare una breve ricerca. Capirebbe in fretta quanto cazzo è disastrosa la mia famiglia.

Grazie, mamma. Grazie, papà. Grazie, destino. E grazie a chiunque mi stia guidando verso il fallimento.

Rimetto la cintura di sicurezza, premo di nuovo play, la mia canzone preferita mi aiuta a rilassarmi. Mi allontano da casa mia, canticchiando a bassa voce e prendendo tutte le scorciatoie possibili.

Essere una ladra ha i suoi vantaggi: cerchi sempre la via di fuga più sicura.

«Va’ sempre dove pensi che gli altri non andrebbero mai e ti assicuro che non sbaglierai strada. La paura paralizza e congela la razionalità. Tu devi essere pragmatica, sempre pronta correre. Perché la vita non è altro che una corsa verso la morte. E soltanto chi è bravo riesce a ingannarla. A volte anche mezzo secondo di tempo in più potrebbe fare la differenza», mi aveva detto Rico.

 

Quando arrivo quasi a destinazione, lascio la macchina in un luogo più sicuro e il resto del tragitto me lo faccio a piedi.

Guardo l’edificio diroccato, il ringhio di un cane nell’oscurità mentre gira come un predatore intorno a quello che sembra un ratto.

La puzza di spazzatura e di piscio mi impregna le narici man mano che la distanza tra me e l’edificio fatiscente davanti a me si accorcia.

Mi blocco davanti al cancello, un tizio pelato e tarchiato si avvicina a me.

«Ferma lì», ordina.

«Devo parlare con Rico», gli dico e stringo la borsetta contro il fianco.

Lui fa scivolare la spranga sulle barre di ferro del cancello mentre si avvicina a me e sogghigna. Il clangore metallico mi penetra nelle orecchie e drizzo le spalle, cercando di mostrarmi sicura di me.

«Ciao, Raven. Lo trovi nel suo ufficio», apre il cancello e si fa da parte per farmi passare. «Carino il tuo outfit. Molto audace. Hai  appena finito di fare uno dei tuoi riti? Hai sacrificato qualche capra? Gloria a Satana?», chiede ridacchiando e alzo il dito medio.

«Sarai sempre la mia preferita», mi sbeffeggia, ma lo ignoro.

Un altro uomo apre la porta in ferro battuto e mi squadra dalla testa ai piedi prima di farmi passare.

Non devo neanche bussare, perché Rico mi aspetta davanti alla porta, le dita delle mani intrecciate davanti alla pancia.

«Mi chiedevo quando saresti venuta…»

Nessun ciao. Nessun sorriso. Mi fa cenno di entrare nel suo ufficio e poi chiude la porta alle nostre spalle.

Mi avvicino alla sua scrivania. È stracolma di scartoffie, posaceneri e un bicchiere vuoto e un sigaro per metà consumato.

Rovescio il contenuto della borsetta in mezzo a quel casino.

«Dovresti seriamente fumare di meno», decido di rompere il silenzio e lui risponde con una risata sommessa. Si siede sulla sedia imbottita e si infila il sigaro tra le labbra, lo accende e soffia verso di me una nuvola di fumo.

«Fammi dare un’occhiata», mormora finalmente, le sue dita grosse e callose rovistano curiose tra i gioielli.

Si sofferma su un anello in particolare, quello con la pietra verde. Lo scruta attentamente, ma poi lo getta sulla scrivania e accavalla le gambe.

Mi guarda, il mento affilato puntato all’insù. Un sorriso pigro si fa spazio in mezzo all’oscurità che scolpisce i suoi tratti.

«Questi dovrebbero bastare», gli dico con occhi speranzosi.

«Credo proprio di sì, Raven. Hai saldato il debito di tua madre, ma…»

Ma.

C’è un ma?

Aspetto in silenzio.

Lui ama tenermi sulle spine. Tamburella le dita sul legno liscio della scrivania e mi scruta dalla testa ai piedi. I suoi occhi si soffermano sulla mia scollatura e inarca un sopracciglio. Non sembra attratto da me, tutto il contrario. Ha uno sguardo ammonitore.

«Non mi costa nulla ammetterlo», pronuncia all’improvviso , guardandomi di nuovo in faccia.

«Ammettere che cosa?», chiedo.

«Che sei brava. Forse troppo. Quindi mi stavo chiedendo se-»

«No», rispondo, interrompendolo. «No», ripeto con più enfasi.

«Prenditi del tempo. Sai, potresti guadagnare una bella somma. Una percentuale andrebbe direttamente a te e-»

«Ti ho detto di no. Fino ad ora non ho avuto scelta, dato che hai minacciato di ammazzare i miei fratelli. Quindi non osare offrirmi un cazzo di lavoro proprio in questo momento», stringo i denti e lui si versa due dita di whisky nel bicchiere.

Si tocca i baffi e mi giudica in silenzio per una buona manciata di secondi.

«Tu non faresti la fine di tua madre. Hai più cervello e a quanto pare sai tenere le gambe chiuse», sogghigna in modo disgustoso e manda giù un sorso di whisky.

«Non pensavo che la mia vita sessuale fosse affare tuo», stringo i denti, ma cerco di restare lucida.

Scuote piano il capo. «I miei uomini hanno semplicemente fatto qualche domanda in giro. So più di quanto tu creda, Raven», aggrotta le sopracciglia scure. «E se davvero pensi di essere libera, ti sbagli.»

Divento un blocco di ghiaccio. Vorrei urlargli contro, mettergli a soqquadro l’ufficio e dare di matto. Eppure scelgo di stare zitta.

«Ti sei guadagnata il mio rispetto, Raven. Hai insegnato ai tuoi fratelli a rubare esattamente come ti ho insegnato io, eppure sei sempre venuta da sola in questo posto. Tieni davvero tanto a loro», fa roteare il liquido all’interno del bicchiere e sorride con aria maliziosa.

«Potrei spezzarti come un ossicino secco e gettarti nel bidone della spazzatura. Potrei farti sparire. Potrei rinchiuderti nello scantinato e assicurarmi che tu non esca da lì viva», mi osserva da sotto le ciglia, gli occhi stanchi.

«Eppure guardati! Sei sempre così impavida», si lecca una goccia di whisky all’angolo della bocca. «Sai, mi ricordi me.»

«Rico-»

Solleva l’indice in aria per zittirmi. «E proprio perché mi somigli tanto, mi chiedevo, sai…», picchietta il dito sul mento. «Cosa provi? Quando sei là fuori e ti comporti normalmente. Cosa provi, quando ti rendi conto che in fondo sei soltanto un altro misero e insignificante puntino in un mondo squallido?»

Un calore violento mi riempie le guance.

«Hai proprio un’espressione del cazzo in questo momento», si alza bruscamente, per poco non fa cadere la sedia. «Jonas!», chiama il suo uomo.

Il cuore inizia a battermi all’impazzata.

Sento dei passi pesanti dietro di me, ma non oso girarmi.

«Puntale la pistola alla testa», mi indica con il mento e poi sento qualcosa premere sulla mia nuca.

Io e Rico ci guardiamo negli occhi. Mi sta vivisezionando, cazzo.

«E quindi? Hai intenzione di farmi esplodere il cervello o no?», chiedo, un sorriso perfido mi fa curvare le labbra.

Rico non batte ciglio. Mi guarda e basta.

Iniziano a fischiarmi le orecchie. Sento il respiro pesante di Jonas dietro di me. L’adrenalina accende il fuoco dentro di me.

Mi consuma. Mi fa sentire-

«Viva», mormora Rico, sedendosi sulla scrivania. «Ti senti così viva quando hai paura! Cazzo, dovresti vedere la tua faccia, ragazzina», la sua risata è bassa e divertita. Fa un cenno a Jonas e ci lascia di nuovo da soli.

Rico si dà una spinta e si piazza davanti a me. Le sue dita mi sollevano il mento. «Sei proprio una brava ragazza», sussurra. «Saresti disposta a morire pur di provare qualcosa e sono sinceramente stupito», mi dà un buffetto sul naso.

Sento la rabbia montare dentro di me.

«Lavora per me», insiste e va a sedersi di nuovo sulla sedia. Mi piego in avanti, poso i palmi sulla scrivania e lo guardo come un lupo affamato.

«Io non ti appartengo. Mia madre potrebbe aver fatto ciò che ha fatto, per quel che vale noi non ne sapevamo nulla delle sue scappatelle, quindi risparmiami queste stronzate, Rico. Non sono la tua pupilla. Adesso, se abbiamo finito-»

«Ecco!», grida, battendo le mani. «Ecco perché mi piaci!»

Si china anche lui sulla scrivania, la faccia pericolosamente vicina alla mia. Mi punta l’indice contro e dice: «Voglio che tu faccia un’ultima cosa per me. È una prova.»

«Una prova per testare cosa?», chiedo, accigliandomi.

«La tua fedeltà. Devo assicurarmi che poi terrai la bocca chiusa, no?»

«Mi prendi per il culo?», alzo la voce e lui mi ammonisce con una semplice occhiata.

«Una piccola consegna», sorride beffardo.

«Mi stai chiedendo di consegnare della droga, non è così? Non sono stupida come mia madre, Rico, e non devo dimostrarti un cazzo. Dovevo soltanto saldare il suo fottuto debito e tenere al sicuro i miei fratelli, ma a te non devo dimostrare nulla. Quindi ammazzami pure se vuoi, ma sappi che ho fatto un promessa a me stessa. Non diventerò mai come mia madre. Spezzami, sparami in testa, gettami in un fiume, se vuoi. Ma sappi che non sarò come lei neanche da morta.»

Rico mi fissa a lungo. E in modo intenso.

E mi guarda, guarda e guarda senza dire una parola.

Ho esagerato, probabilmente. Nessuno oserebbe parlargli così e chiaramente non ho tutte le rotelle al posto giusto, perché rischio davvero di uscire da questo ufficio in un sacco per cadaveri e con uno strato di pelle in meno.

All’improvviso scoppia a ridere così forte da far vibrare l’aria intorno a noi.

«Era questa la prova, piccolo corvo», dice divertito e mi sento stupida. Stupida per non averlo capito prima.

Apre il cassetto della scrivania e afferra un mazzo di banconote. Lo lancia verso di me. «Vai a prenderti un cheeseburger. Sembri affamata», mi scruta di nuovo con disappunto.

Prendo i soldi e li conto rapidamente.

«Da quando un cheeseburger costa duemila dollari?», gli chiedo.

«Porta il culo fuori di qui, Raven», mi liquida con un gesto pigro della mano. «Usali con saggezza.»

«Sai qualcosa che io non so?», gli chiedo e gli rivolgo un mezzo sorriso.

«Forse le nostre strade non si incroceranno più», mi lancia un’occhiata oltre le spalla. «Ma se un giorno avrai bisogno di qualcosa, sai come e dove trovarmi», mi fa l’occhiolino, afferra il bicchiere e mi dà le spalle. È il suo modo per dirmi Levati dalle palle.

«Raven», mi chiama e io mi fermo. «So cosa si prova. Il pericolo ti fa vibrare il cuore, ti dà energia, ti fa sentire viva. So che tuo padre non te lo dirà, quindi lo farò io», guarda fuori dalla finestra, appoggia il bicchiere sul davanzale e infila le mani nelle tasche dei pantaloni blu navy.

«Ti consiglio caldamente di trovare qualcosa che sia in grado di farti tremare come un coniglio, ma che non abbia il potere di mandarti dietro le sbarre. Non sei fatta per andare in giro con un cappio intorno al collo, piccolo corvo. Adesso vattene.»

«Grazie, Rico.»

Ho avuto una pistola puntata alla testa pochi minuti prima e adesso lo sto ringraziando.

Attraverso il piccolo corridoio impolverato e faccio scorrere gli occhi sulle pareti scrostate e piene di scritte. Intravedo persino una chiazza di sangue.

Esco fuori. Sto ancora stringendo le banconote in un pugno.

«Sono libera», sussurro. Mi dirigo verso l’auto di Elias.

Merda, Elias.

 

 

Trenta minuti dopo, sono seduta sul cofano della sua macchina a gambe incrociate.

Ho un cheeseburger tra le mani e lo sguardo furioso di Elias puntato addosso.

Per poco il boccone non mi va di traverso.

Cazzo. Cazzo. Cazzo.

Avanza a grandi falcate, il passo tuttavia è incerto e ogni tanto oscilla. Ryan cammina al suo fianco. Sembra più sobrio rispetto a lui.

«Posso spiegare», dico a bocca piena. Con la punta della lingua mi pulisco l’angolo della bocca, lui mi guarda e ruggisce: «Io ti faccio fuori, cazzo!»

È furioso. Ed è comprensibile.

Prima che io riesca a dire altro, le sue mani si posano a fermezza sulle mie cosce e con un semplice strattone mi fa scivolare verso di lui.

Adesso ho le gambe divaricate e lui è in piedi davanti a me, le dita affondano nella mia carne. Il suo pollice accarezza il fodero del mio coltellino, ma non osa afferrarlo.

Se abbassasse lo sguardo, riuscirebbe a vedere il tanga rosso che indosso. La gonna si è sollevata e la forma delle mie chiappe adesso è probabilmente rimasta impressa sul cofano.

Ryan si mette una mano davanti agli occhi e decide di non guardare. Credo che questa situazione lo metta a disagio.

«Io non sono qui», grida girandosi dall’altra parte.

«Sei fottuta», esclama Elias a un centimetro di distanza dalla mia faccia. Un lezzo di alcool mi schiaffeggia la faccia e io storco il naso. «Tu, piccola stronza, sei finalmente fottuta», mi stringe il mento tra indice e pollice e poi si allontana da me con un sorriso soddisfatto.

Soltanto dopo capisco il perché.

Un agente della polizia si avvicina a noi e per poco non mi cade dalle mani ciò che ne rimane del cheeseburger.

«Questa qui mi ha rubato la macchina», sbraita Elias, agitando una mano verso di me.

L’agente si avvicina puntandomi in faccia una torcia.

Pensa, Raven. Pensa.

«Se l’avessi rubata, sicuramente non mi sarei fermata qui a mangiare un cheeseburger, non crede?», ribatto con un sorrisetto timido. Il mio tono di voce non lascia trasparire niente.

«No, maledizione! È come dico io! Questa stronza mi ha rubato le chiavi e poi la macchina», continua a indicarmi come se fossi spazzatura.

Lo trafiggo con lo sguardo, poi mi rimetto in piedi e inizio a recitare. Il ruolo che devo interpretare è davvero rivoltante. Ma non ho un’altra alternativa al momento.

«Il mio ragazzo ha bevuto, abbiamo discusso ed eccoci qui. È ancora furioso. Ma lei sa come funzionano queste cose. Un po’ di sesso e le cose torneranno ad essere come prima», dico e mi avvicino ad Elias. Getto il resto del panino nel cestino alle sue spalle e mi lecco le dita appiccicose.

Sento un verso strozzato alle mie spalle. Ryan cerca di trattenere le risate.

L’agente scuote il capo con disappunto. «Ti ha messo le mani addosso? Ti ha fatto del male o ti ha costretta a fare qualcosa che non volevi?», guarda Elias, lo sguardo diffidente. Da predatore adesso è diventato la preda. «Avete almeno l’età per bere?», chiede ed Elias alza gli occhi al cielo.

«No, lui non è così», intervengo e mi avvicino un po’ di più al mio presunto ragazzo.

«Lei mi ruba la macchina e adesso il cattivo sono io? Assurdo, cazzo!», ride nervosamente e si passa la mano tra i capelli.

L’agente si acciglia. «Giovanotto, mi stai dicendo che hai intenzione di guidare in questo stato?»

Una risata divertita mi solletica la gola, ma cerco di soffocarla. No, non posso ancora cantare vittoria.

«Ma che-», fa per dire. Stringe i pugni e si gira per guardarmi sconvolto. «No», risponde secco. «Infatti ha guidato la mia ragazza», per poco non si strozza quando pronuncia l’ultima parola.

«Forse un paio di ore dietro le sbarre ti faranno bene», suggerisce l’agente e poi tira fuori le manette.  Elias diventa pallido come un cadavere. Inizia a sudare freddo.

A sua madre verrebbe un infarto, se lo sapesse. A sua nonna pure.

«La criminale è lei», mi indica. «Fa’ qualcosa! Non finirò in quel buco di merda per colpa tua», diventa rosso dalla rabbia e io mi stringo nelle spalle.

«Agente, non mi sembra il caso. Il mio ragazzo ha capito il suo sbaglio. Si darà una calmata. Ci penserò io. Vero, amore mio?», gli prendo il viso tra le mani. Lui mi guarda, gli occhi sbarrati.

«Me la pagherai», dice a denti stretti mentre cerca di sorridere.

«Non è il modo migliore per convincere un poliziotto, Bailey. Se vuoi che questa cosa finisca bene, allora devi impegnarti», sussurro.

Mi guarda intensamente negli occhi e io mi sento minuscola rispetto a lui.

Un’emozione diversa gli addolcisce di poco i lineamenti. Senza staccare gli occhi dai miei, mi circonda la vita con un braccio. Un brivido mi rimbalza sulla pelle in modo talmente violento che lui se ne accorge.

«Vero, piccola», il suo palmo si apre lentamente sul mio addome e io sento caldo. Anzi, no. Sento freddo. Cazzo, sto tremando. Sono entrata in modalità sopravvivenza.

Elias mi stringe un po’ di più, quasi con fare possessivo.

«Che cazzo stai facendo?», chiedo quasi annaspando.

«Mi sto impegnando», risponde mordace. «Cosa diavolo dovrei fare? Non finirò in una cella per colpa tua. Preferisco darmi fuoco», con il pollice inizia a disegnare cerchi immaginari sulla mia pancia.

«Quanto sei drammatico», alzo gli occhi al cielo. «Non ti farebbe male stare dietro le sbarre, sai? Stai diventando un ragazzaccio», ghigno e la sua faccia diventa di nuovo una maschera d’odio. «Se vuoi posso darti fuoco io. Dopo il successo con la tua macchina…», sussurro.

«Hai appena confessato?», si precipita verso l’agente, che continua a fissarci interdetto.

«Non ho confessato un bel niente, amore mio», gli do uno strattone, tirandolo nuovamente verso di me. «La pianti di comportarti da imbecille?», gli chiedo a bassa voce.

«Allora?», insiste l’agente. So che Elias se la caverebbe in qualche modo, dato che il suo amico è il figlio del sindaco. Per me invece le cose potrebbero complicarsi. Potrei mollarlo qui e incolparlo. Potrei metterlo nei guai con una sola parola.

Eppure, quando sollevo lo sguardo verso di lui, mi rendo conto che lui non vive come me. Che non va a trecento km/h. Non ha bisogno di trovarsi in situazioni del genere per sentirsi vivo. Probabilmente gli basterebbe stare insieme alla sua ragazza o con il naso tra i libri per sentirsi a casa. O completo.

Abbassa lo sguardo su di me, quasi come se avesse sentito i miei pensieri.

«Siamo assolutamente a posto», abbraccio Elias, entrambi diventiamo rigidi come un sasso.

«Confermo. Fanno sempre così», interviene Ryan e lo ringrazio mentalmente.

L’agente sospira. «Tratta bene la tua ragazza. Non voglio trovarla gettata ai margini della strada in tarda notte», poi l’agente guarda me. «Ragazzina, guida con prudenza.»

«Col cazzo che-», interrompo Elias, dandogli una gomitata nelle costole.

«Lo farò», rispondo, ma lui non intende muoversi, anzi indica con un cenno del mento l’auto. Quindi capisco.

«Andiamo, tesoro», lo spingo verso l’auto, ma è come se spingessi una statua di marmo. Mi guarda male per tutto il tempo.

Mi siedo alla guida, Elias prende posto accanto a me e chiude la portiera.

Ryan batte le nocche sul finestrino e dice: «Ci vediamo domani, amico. Raven, non farlo innervosire troppo.»

«Se guiderò di merda per colpa tua e ci schianteremo da qualche parte, sappi che una volta arrivati all’inferno, ti ucciderò con le mie stesse mani per la seconda volta», gli dico mentre lo guardo con la coda dell’occhio. Non appena accendo il motore, parte anche la canzone.

Elias aggrotta le sopracciglia e si gira verso di me.

Ci allontaniamo, nessuno dice una parola. So che sta facendo uno sforzo immane per non urlarmi contro.

«Sai, è anche la mia preferita», gli dico, ma lui in tutta risposta alza il volume in modo che sovrasti il suono della mia voce.

Quindi eccomi qui, accanto alla persona che odio, mentre gli faccio sentire la mia canzone preferita e riporto il suo culo ubriaco a casa.




Quando arrivo davanti alla sua villa, fermo il motore e abbasso del tutto il volume della musica.

Elias allunga la mano verso di me. Metto sul palmo le chiavi che gli ho rubato, ma lui muove le dita.

«Che vuoi ancora?», gli chiedo.

«Il mio bracciale», finalmente si degna di guardarmi. Voglio dire, mi guarda davvero.

«Non ce l’ho. L’avrai perso. Era orrendo, comunque. Non sarà una grande perdita per te», appoggio le mani sulle mie cosce, lì dove lui mi ha stretta prima.

«Me l’hai rubato», si china verso di me, allaccia le dita intorno al manubrio. «Ladra.»

«Mi stai accusando ingiustamente», cerco di allontanarmi da lui. Sento il suo fiato caldo sulla mia spalla nuda.

«Se osi raccontare a qualcuno di quello che è successo prima, soprattutto alla mia ragazza, giuro che-»

«Sarebbe così terribile avermi come ragazza?», risucchio il labbro inferiore tra i denti e poi lo rilascio. Lui ha gli occhi fissi sulla mia bocca. «Ora che ci penso, chissà cosa direbbe Adeline…»

«Sei stata la mia finta ragazza per dieci minuti e ho rischiato di finire dietro le sbarre. Quindi sì. Sarebbe un fottuto incubo», borbotta e inizia a sbottonarsi la camicia.

«La rabbia ti dona», ridacchio e tolgo la cintura di sicurezza. «Ti ritieni fortunato?»

«Mmh?», mugugna e gira di nuovo la testa verso di me.

«Ad avere una ragazza come Adeline. Studiosa, brava, che non ti dà mai problemi.»

«Certo che sì», risponde, un solco profondo gli increspa la fronte. «Mi ritengo il ragazzo più fortunato al mondo. Stiamo insieme da anni.»

«Quindi mi stai dicendo che la tua ragazza è noiosa?», lo stuzzico. Adoro quando inizia ad agitarsi come una mosca. «Scommetto che non appena finisci di scoparla, ti addormenti subito.»

Come previsto, risponde alla mia provocazione. «Una buona scopata mi fa dormire bene, infatti.»

«Noioso», muovo una mano davanti al viso per scansarlo. Quando diavolo si è avvicinato così tanto?

«Non essere ridicola, Raven. Quando stai bene con qualcuno-», si ferma e assume un’aria pensierosa. «Un secondo», sorride. «Non sei mai stata scopata come si deve, non è così?»

La sua domanda mi coglie completamente di sorpresa. Non è così che doveva andare.

«Ma che razza di domanda è?», gli chiedo, i palmi delle mani iniziano a sudarmi.

«Hai iniziato tu, o sbaglio?», si lecca le labbra.

«Ma sentiti!», il cuore inizia a battermi così forte che temo possa sentirlo anche lui.

Sento un rivolo di sudore colarmi tra le scapole.

«Dimmi, Raven…», sussurra al mio orecchio, d’istinto serro le cosce. «Ti hanno mai scopata così forte da farti sentire completamente prosciugata? Ti hanno mai divorata così tanto e per bene da indurti a chiedere di più?», la sua mano si fa strada sulla mia gola e sale lentamente verso il mio mento. Me lo stringe senza farmi male e mi costringe a guardarlo. «Dimmelo», quel sorrisetto peccaminoso aleggia sulle sue labbra.

«Sì», mento. «Sono le scopate migliori.»

Elias lascia la presa sul mio mento e io cerco di riprendere il controllo.

«Bugiarda», apre lo sportello, ma non scende ancora.

L’aria fresca mi fa rabbrividire. Lui mi scruta come se stesse cercando di tirare fuori tutti i miei segreti.

«Come fanno i tuoi fratelli a fidarsi ciecamente di te? Menti addirittura a te stessa», inclina la testa, scorgo qualcosa di diverso nei suoi occhi. Un briciolo di compassione.

«Io non sono una bugiarda», replico, digrignando i denti. «E non guardarmi così!»

«Lo sei.»

«No. Smettila!»

«E sei troppo spericolata. Troppo spudorata. Troppo spregiudicata. Troppo impulsiva. Troppo fuori di testa», inizia ad elencare le mie qualità sulle dita.

«E a detta tua sono una criminale», gli ricordo. «Stasera sei in vena di troppi complimenti.»

«Mi hai bruciato la macchina», mi ricorda. «Valeva un sacco di soldi.»

«Non hai le prove», dico contraendo le labbra in una smorfia. «E se valeva così tanto, allora perché non ti sei dato da fare un po’ di più per sbattermi in carcere?», gli chiedo.

«Ti sbagli. La polizia non ha le prove, ma io so che sei stata tu», mi lancia un’occhiata torva e io mi sento confusa.

«Perché ne sei così convinto?»

«Perché ho trovato la tua collana non molto lontano dalla mia auto e come un coglione l’ho presa e l’ho infilata in tasca.»

«Che collana?», mi tocco le clavicole, un gesto di conforto.

«Quella che ti ha regalato tua nonna. E no, non la riavrai. Adesso spiegami cosa diavolo ci fai ancora nella mia macchina.»

La mia collana. Quella che avevo dato per dispersa.

«Quella collana è preziosa per me», gli dico.

Lui sorride. «Lo so, volpina. E per riaverla dovrai passare sul mio cadavere.»

«Non mi farei così tanti scrupoli, lo sai», mormoro e lui pare sinceramente sorpreso.

«Vattene», scende e gira intorno alla macchina.

«Come hai fatto a trovarmi?», gli chiedo mentre esco fuori.

«Il mio iPhone è qui dentro. L’ho localizzato», spiega.

«Saresti un fantastico partner in crime», mormoro con tono sarcastico.

«Sparisci, Parker. Davvero. Prima o poi riceverai ciò che ti spetta e io festeggerò come un dannato.»

«Sembra l’inizio di un romanzo criminale», muovo una mano per sdrammatizzare e lui apre la bocca per dire altro, ma la richiude. Scelta saggia.

«Notte, Bailey», alzo una mano per salutarlo mentre mi allontano.

«Vai a farti fottere, Raven.»

«Rientra nei miei piani, Elias.»

«Aspetta», grida alle mie spalle. Mi giro verso di lui con un sorrisetto da stronza in faccia.
«Cosa c’è, vuoi farlo tu?», domando. Lui si porta le mani sulle guance e solleva lo sguardo verso il cielo. Sembra in conflitto con sé stesso.

Un attimo dopo si sfila la camicia e viene verso di me. Ecco, questa è davvero una mossa imbarazzante. Perché si sta spogliando davanti a me?

Cerco di sorridere. «Bel tentativo, ma non funz-»

Me la mette sulle spalle e ordina con voce perentoria: «Infila le braccia dentro e non fare storie. Anzi, non fiatare proprio.»

«Perché mai?», gli chiedo mentre cerco di ignorare il suo profumo che mi solletica le narici.

«Perché questo tuo look va bene quando vai a ballare, ma per strada, a quest’ora, verresti scambiata per una prostituta, Raven.»

«Mi stai dando seriamente della puttana?», gli chiedo, spalancando gli occhi. La sua camicia è ancora calda quando la indosso. Lui è a torso nudo. Non ha alcun tatuaggio. Non so se provare repulsione verso di lui o apprezzare ciò che vedo.

«Hai le banconote che ti escono fuori dalla scollatura, Santo cielo! Non voglio sapere neanche dove diavolo hai preso quei soldi.»

«Sei disgustoso quando ti preoccupi per me», dico con una smorfia.

«Un agente ci ha visto andare via insieme. Se ti succedesse qualcosa, io sarei il primo sospettato. Vorrei davvero evitare che un serial killer ti facesse fuori a quest’ora.»

«Perché questo onore spetta soltanto a te, non è vero?», gli chiedo, ma i miei occhi percorrono i muscoli definiti del suo addome, che si contraggono ad ogni suo movimento.

«Esatto, ora sparisci», si allontana e fisso le sue spalle nude e possenti mentre si abbassa per entrare di nuovo in macchina.

«Pratichi qualche sport?», gli chiedo e il suo sguardo scatta su di me, confuso.

«Mi stai facendo la radiografia, Parker?» non esibisce il suo consueto sorrisetto. Strano. «Calisthenics», risponde infine.

«Ti sembro Wikipedia? In cosa consiste?», domando. Abbasso lo sguardo sulle maniche troppo lunghe della sua camicia e cerco di arrotolarle.

«È un tipo di allenamento a corpo libero. È utile se vuoi aumentare la tua forza, la coordinazione ecc.» spiega. «Usi il proprio peso corporeo per potenziarti.»

«Che vuol dire?», chiedo.

«Sollevo il mio stesso peso.»

«Ma tu sei… massiccio», mormoro e sbatto piano le palpebre.

Solleva un sopracciglio. «Suona quasi come un complimento.»

«Vuoi dire che riusciresti a sollevarmi senza problemi?», domando, sempre più curiosa.

Elias si rilassa contro lo schienale del sedile e mi fissa. Dopo una breve pausa, risponde: «Proprio così.»

«Quindi non sarei pesante per te?»

Elias si acciglia e scende dall’auto. «Chi te l’ha detto?»

Strabuzzo gli occhi. «Eh? Di cosa parli?»

«Chi ti ha fatto sentire pesante?», domanda.

Mi sento andare a fuoco. Perché sono ancora qui?

«Nessuno! Ero soltanto curiosa.»

«Raven», un muscolo guizza sulla sua mascella.

«Sì, insomma, volevo soltanto sapere se per un ragazzo sarei pesante. Sai quando… cioè io non… Non in quel senso. Ero soltanto curiosa, cazzo!», sbotto, la rabbia mi scorre nelle vene e cerco di calmarmi. Questa volta non è colpa di Elias.

Questo stronzo ha il dono di complicare le cose.

Si abbassa sulle ginocchia, il suo braccio scivola intorno alla mia vita e l’altro dietro le ginocchia. Due secondi dopo i miei piedi non toccano più terra.

«Sei leggera come una piuma», mi dice guardandomi negli occhi.

Elias Bailey mi ha presa in braccio.

«Va bene, adesso mollami», agito le gambe, ma lui mi stringe un po’ più forte.

«Smettila di agitarti, idiota. Cadrai e ti farai male», mi ammonisce.

Ma io odio stargli così vicina, quindi cerco di liberarmi. Mi muovo come un’anguilla tra le sue braccia, finché non riesco a liberare una gamba.

«Raven, ferma», sibila ma io continuo a contorcermi.

Sto per cadere. La mia faccia è puntata sull’asfalto. Elias mi sta tirando di nuovo su, ma questa volta le mie cosce sono strette intorno ai suoi fianchi.

«Ti avevo avvertita», mormora. Siamo faccia a faccia.

Non respiro.

«Sei ancora qui?», picchietta le dita contro la mia tempia. Mi sta tenendo con un braccio solo.

Soltanto con un braccio.

«Hai visto un fantasma, per caso?»

Sciolgo la presa intorno ai suoi fianchi e mi rimette giù.

Mi stringo nella sua camicia larga e incrocio le braccia al petto.

«Dovresti farti qualche tatuaggio», dico all’improvviso mentre indietreggio.

«Raven», il suo tono è ammonitore.

«Che incubo», mormoro. «Spero davvero che i fluidi corporei di Adeline non siano su questa camicia altrimenti potrei seriamente ammazzarti», gli dico con una risata nervosa e inizio a incamminarmi verso casa.

Non mi segue. Non mi chiama. Non ride. E io non ho il coraggio di girarmi verso di lui.

Mi ha battuto al mio stesso gioco.

Lo odio.

Lo disprezzo.

Mi disgusta.

Mi porto una mano sul petto. «Cerca di calmarti», ordino al mio cuore. «È soltanto Bailey.»

Questo capitolo è più lungo, ma non avevo voglia di dividerlo, quindi spero che vi sia piaciuto 👀💕💕

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