The Untouchable Love

By bess_young

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Bride ha il cuore spezzato. Ha perso la madre in un incidente ed è costretta a lasciare l'Irlanda per raggiun... More

Tutto porta a te
Chi diavolo sei, Jamie Callighan?
Fratelli?
Immagini di te
Sei così come sembri?
La vendetta delle fate irlandesi
Respira
Dracula
Ero io
Bride la volpe
Lowe
Dispersa
Weekend sul lago
Io so di te
Ami solo te stessa
Se perdessi te
Giuro che non mi volterò
Lo hai sempre saputo
So badare a me stessa
Non farmi perdere la pazienza
Mad
Resisti
Solo

L'Irlandese

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By bess_young

"Bride?" Zia Mel mi guardò preoccupata.
Era successo di nuovo: il suono di un clacson, una frenata brusca, lo stridere delle ruote sull'asfalto e il mio cuore che si era improvvisamente fermato.
Fu una reazione naturale, insita in me, un piccolo dlin che mi trasportò altrove, in un luogo buio nel mio animo scavato con le unghie e in cui nascondevo il mio peggior incubo.
Mi ridestai solo quando Mel mi afferrò per le spalle.

I suoni in sottofondo ripresero vita: passanti distratti che nel caos di fronte all'uscita dell'aeroporto trascinavano bagagli a mano e voci stanche che chiamavano taxi sul bordo della strada.
"Ti ho già detto che andrà tutto bene." Zia Mel mi prese sottobraccio e mi fece sedere sulla panchina di fronte alle enormi vetrate.
Si chinò sulle ginocchia e mi strinse le mani.
"So che ti sembra la scelta sbagliata, e so anche quanto mi stai detestando in questo momento." Respirò profondamente. "Ma è tuo padre, Bride. Ed è l'unica persona che in questo momento può aiutarti."
Aveva ragione, non su mio padre, ma sul fatto la detestassi. Mi stava abbandonando e io non potevo accettarlo.

La me di molti anni prima era già stata lì, al terminal di Jackson Hole, ma niente della ragazza che ero in quel momento ricordava la Bride di un tempo.
Avevo perso l'arroganza, buona parte della mia bellezza, per quanto agli occhi degli altri non fosse così, e avevo il cuore in frantumi.
Erano sei anni che non mettevo piede nel Wyoming.
Non avevo mai accettato la separazione dei miei genitori, tanto meno la scelta di mio padre di trasferirsi dall'Irlanda in America.
Detestavo dover attraversare un intero Oceano per vederlo, ancor di più avere del tempo limitato da trascorrere con lui. Fu più facile per me interrompere i contatti e smettere di andare a fargli visita.

Sei anni senza rispondere alle sue lettere e alle chiamate nonostante le insistenze di mamma, erano troppi persino per un padre e una figlia.
Me ne accorsi quando sentii una voce chiamare il mio nome.
"Bride..."
Aveva un accento poco americano, più vicino al mio inglese, eppure mi parve sconosciuta come tutto ciò che avevo attorno.
L'uomo in piedi a due passi da me, con il volto contrito e qualche ruga sul volto era l'unico pezzo di famiglia che mi era rimasto, ma niente di più lontano dall'unica casa io conoscessi.
Mi alzai meccanicamente, sentii il freddo penetrarmi le ossa.
Stava nevicando.
Guardai Mel quando mio padre mi abbracciò con uno slancio istintivo.
Restai inerme sotto la sua stretta, con le braccia lungo i fianchi, le dita conficcate nei palmi delle mani ghiacciate e il respiro mozzato in gola.
Fu strano respirare il suo profumo, speziato e pungente come i luoghi che ormai abitava da anni.

Era alto, con un lieve accenno di barba attorno alle labbra piene e gli occhi di un verde brillante come i miei.
Gli assomigliavo, ma assomigliavo anche a mia madre, con la chioma folta di capelli rossi e la pelle chiara.
Quel pensiero mi fece rimettere i piedi per terra, al motivo per cui ero lì: mamma non c'era più.
Mi aveva lasciata, se n'era andata, e nel modo peggiore esistesse al mondo.
Eravamo sempre state solo noi, con le nostre lunghe passeggiate sulla costa di Kinsale, con le giornate di sole passate sulla barca che ci aveva lasciato il nonno e le vacanze ad ammirare le onde infrangersi sulle scogliere  e antichi fari abbandonati sul Mare del Nord.
Solo dopo aver perso tutto, il mondo che avevo vissuto mi era crollato addosso, lasciandomi sola sotto le macerie.
Avevo intenzione di voltare pagina e ricominciare, ma non sembrava semplice.
Me ne resi conto quando Mel mi salutò al Gate 22, persino lei non si era voluta accollare il disastro che ero diventata.

*

Jackson Hole era una cittadina di diecimila abitanti situata a Sud del Parco Nazionale del Grand Teton.
Un Teatro, il Jackson Hole Playouse, una piazza, Jackson Town Square, una scuola, la Jackson Hole High School e un'unica via centrale con un sacco di locali dove incontrarsi la sera.
Non ero mai stata a Jackson Hole in inverno.
Seduta sull'auto mi concentrai sul paesaggio.
Le montagne innevate che costeggiavano la valle punteggiate dalle chiome fitte degli abeti furono una novità per me.

Ero abituata agli inverni rigidi irlandesi, ma tutto lì risultava più bianco, più luminoso.
Jackson Hole giaceva distesa in una valle immensa, costeggiata da foreste che nascondevano laghi come fossero diamanti preziosi e strapiombi avvolti nella nebbia.
"Posso chiamarti Finn?" Dissi con un filo di voce,  guardando fuori dal finestrino.
Era giusto mettere in chiaro quanto mi sentissi distante da ciò che ci legava.
"Puoi chiamarmi come vuoi, Bride, purché tu decida di restare." Finn strinse le dita al volante e mi lanciò un'occhiata sfuggente. "Credi di potercela fare?"
Annuii in silenzio, tornando a guardare la neve ammassata lungo il bordo della strada.

Quando si era trasferito aveva acquistato una casa lungo il fiume Snake a due chilometri dal centro città.
Per raggiungerla bisognava percorrere la via che si addentrava nella foresta.
La intravidi in lontananza, tra le fronde degli alberi, contornata da un cielo scuro e denso.
A Jackson Hole il silenzio si adagiava su ogni cosa e ogni cosa era quella che era.
Persino nel buio vidi il fumo che usciva dal comignolo sul tetto, serpeggiava in alto, arrampicandosi nella notte.
"Ho sistemato la stanza degli ospiti al secondo piano." Finn parcheggiò nel piazzale. "Ricordo quanto amavi guardare il fiume dalla finestra." Scese dall'auto e mi aiutò con i bagagli.
"A un nuovo inizio, Bride." mormorò prima di aprire la porta per farmi entrare.

L' odore pungente di cannella e legna arsa mi investì, così come il calore dell'atmosfera che mi accolse.
Colori caldi e luci soffuse smorzarono il bianco che ci eravamo lasciati alle spalle.
Il tepore sciolse i muscoli in tensione e il nodo di emozioni che avvolgeva ogni mio nervo.
L'enorme tappeto di fronte al camino era lo stesso che ricordavo, appena sfrangiato ai bordi dichiarava gli anni trascorsi dall'ultima volta in cui lo avevo calpestato.
La pareti interamente ricoperte da tavole di frassino isolavano dall'esterno e la scala che conduceva al piano di sopra sembrava essere stata appena riverniciata. Il tavolo di fronte alla cucina era stato sostituito da un comodo bancone e l'enorme libreria accanto al camino conteneva più volumi di quanti ne ricordassi.
D'improvviso mi sentii esausta.
Ripercorrere con gli occhi ogni scaffale, oggetto o intarsio del pavimento di legno fu come trovarmi di fronte la me bambina che molti anni prima aveva deciso di andarsene per non tornare più.

Finn mi guardò imbarazzato.
"Ecco qua, è rimasto più o meno tutto com'era." Passò nervosamente la mano tra i capelli. "Credo tu abbia bisogno di riposarti dopo il volo."
Capii quanto fosse difficile anche per lui.
Aveva salutato una ragazzina viziata di dodici anni l'ultima volta che mi aveva vista, e si era appena ritrovato di fronte una giovane donna cresciuta, distrutta da una perdita incolmabile.
"Ti accompagno nella tua stanza" Trascinò le valigie al piano di sopra, facendomi strada.

La stanza degli ospiti aveva il panorama più bello dell'intera casa. Durante la notte si sentiva l'acqua del fiume scendere verso valle e l'ululato dei lupi che echeggiava dagli strapiombi innevati. Nell'oscurità delle impervie pareti delle montagne avevo sempre trovato pace, un senso di appagamento ormai sconosciuto mi inebriò per un lunghissimo istante osservando il buio oltre i vetri.
Finn si mosse su se stesso nel corridoio in penombra.
"Il bagno è sempre là" disse indicando la porta color mattone nella parete in fondo. "La mia stanza è di sotto. Qui accanto ci dorme Jamie."
"Jamie?" Lo fissai confusa.
"Il figlio di Grace. Sua madre ora vive in California. Lui ha scelto di restare."

Ricordavo Jamie Callighan.
Grace lavorava dodici ore al giorno e chiedeva spesso a Finn di occuparsi di lui.
Mi chiesi perché non avesse seguito sua madre in California e perché Finn avesse deciso di prendersi cura di lui nonostante non fossero nulla l'uno per l'altra.
Un contrastante sentimento brillò nel buio del mio cuore.
Accantonai quel pensiero concentrandomi sulle valigie da disfare.
"Faccio un salto in città." Finn interruppe il silenzio calato tra noi. "Ho ordinato gli Hamburger da Gather, ricordi quanto ti piacevano?"
Ripensai alle nostre cene solitarie nel piccolo locale sulla via principale, con le cameriere che indossavano cappelli da cowboy e la musica country in sottofondo.
La complicità tra noi mi sembrò sempre più lontana e irraggiungibile.

*

Sistemai le poche cose che mi ero trascinata dietro nel piccolo armadio accanto alla finestra.
Appena Finn se ne fu andato, il silenzio tipico di Jackson Hole varcò la soglia di casa. Seduta sul grande divano di fronte al camino, con le mani conserte sulle ginocchia, percepii ogni singolo suono.
Un cumulo di neve che si staccava dalla grondaia sul tetto per atterrare sul vialetto ghiacciato, lo scoppiettare della legna che ardeva, lo scricchiolio delle tavole di legno del pavimento che emettevano piccoli sussurri come fossero vive.
Poi ci fu il tonfo ovattato di passi pesanti e la porta si aprì lasciando entrare il gelo notturno.
Mi alzai in piedi quando mi accorsi che non si trattava di Finn.
Prima che il mio sguardo si appoggiasse sul ragazzo ancora fermo sull'ingresso, non sapevo bene cosa mi aspettassi di vedere.
Il cappuccio del giaccone era ricoperto da bianchi soffici fiocchi di neve. Folti capelli color ebano ricadevano scomposti su un viso pallido e spigoloso. Gli occhi, di un azzurro glaciale, brillarono come gemme preziose quando assottigliò lo sguardo per osservarmi.
Percepii diffidenza nella postura eretta del corpo alto e slanciato.
"Jamie?" balbettai incerta.
"Bentornata, Irlandese." Calcò le parole una per una con tono lezioso, poi lasciò cadere il cappuccio sulle spalle e mi oltrepassò per salire le scale.
Jamie Callighan non era più il bambino fragile e impaurito che popolava i miei ricordi.

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