RESILIENT

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Qual era il vostro sogno da bambini? Amelia Reed ha dedicato tutta la sua vita al pattinaggio artistico, con... Více

⭑𝓓𝓮𝓭𝓲𝓬𝓪⭑
info +⚠️TW⚠️
Protagonisti- in aggiornamento
🦋Prologo🦋
1- 𝙊𝙗𝙨𝙘𝙪𝙧𝙖- 𝘈𝘮𝘦𝘭𝘪𝘢
2- 𝙍𝙖𝙞𝙣, 𝙞𝙣 𝙮𝙤𝙪𝙧 ᵇˡᵘᵉ 𝙚𝙮𝙚𝙨- 𝘈𝘮𝘦𝘭𝘪𝘢
3- 𝙏𝙝𝙪𝙣𝙙𝙚𝙧𝙨 𝙖𝙣𝙙 𝙡𝙞𝙜𝙝𝙩𝙣𝙞𝙣𝙜𝙨 - 𝘈𝘮𝘦𝘭𝘪𝘢
4- 𝙎𝙬𝙚𝙚𝙩 𝙖𝙣𝙙 𝙗𝙞𝙩𝙩𝙚𝙧 - 𝘈𝘮𝘦𝘭𝘪𝘢
5- 𝙊𝙣𝙚 𝙬𝙧𝙤𝙣𝙜 𝙢𝙤𝙫𝙚- 𝘑𝘰𝘳𝘥𝘢𝘯
6- 𝙍𝙪𝙣 𝙗𝙤𝙮 𝙧𝙪𝙣 - 𝘈𝘮𝘦𝘭𝘪𝘢
7- 𝙒𝙚 𝙗𝙪𝙞𝙡𝙩 𝙤𝙪𝙧 𝙤𝙬𝙣 𝙬𝙤𝙧𝙡𝙙 -𝘈𝘮𝘦𝘭𝘪𝘢
8- 𝙎𝙘𝙚𝙣𝙩 𝙤𝙛 𝙮𝙤𝙪 - 𝘈𝘮𝘦𝘭𝘪𝘢
9- 𝘽𝙪𝙩𝙩𝙚𝙧𝙛𝙡𝙮- 𝘈𝘮𝘦𝘭𝘪𝘢
10- 𝙊𝙣 𝙩𝙝𝙚 𝙣𝙖𝙩𝙪𝙧𝙚 𝙤𝙛 𝙙𝙖𝙮𝙡𝙞𝙜𝙝𝙩- 𝘈𝘮𝘦𝘭𝘪𝘢
11- 𝘼𝙛𝙛𝙞𝙣𝙞𝙩à 𝙚𝙡𝙚𝙩𝙩𝙞𝙫𝙚 - 𝘑𝘰𝘳𝘥𝘢𝘯
12- 𝙀𝙨𝙘𝙖𝙥𝙚 𝙛𝙧𝙤𝙢 ᶠᵃⁱʳʷⁱⁿᵈˢ - 𝘈𝘮𝘦𝘭𝘪𝘢
13- 𝙍𝙝𝙮𝙩𝙝𝙢 𝙤𝙛 𝙝𝙪𝙢𝙖𝙣 𝙚𝙣𝙚𝙧𝙜𝙮- 𝘈𝘮𝘦𝘭𝘪𝘢
14- 𝙏𝙝𝙚 𝙛𝙞𝙧𝙚 𝙬𝙞𝙩𝙝𝙞𝙣-𝘈𝘮𝘦𝘭𝘪𝘢
15- 𝙒𝙖𝙫𝙚𝙨 𝙖𝙣𝙙 𝙝𝙤𝙥𝙚 -𝘈𝘮𝘦𝘭𝘪𝘢
16- (𝘿𝙤 𝙣𝙤𝙩) 𝙎𝙪𝙢𝙢𝙤𝙣 𝙩𝙝𝙚 𝙙𝙚𝙫𝙞𝙡 -𝘑𝘰𝘳𝘥𝘢𝘯
17- 𝙑𝙤𝙞𝙡à, 𝙦𝙪𝙞 𝙟𝙚 𝙨𝙪𝙞𝙨 - 𝘈𝘮𝘦𝘭𝘪𝘢
18- 𝙇𝙚 𝙛𝙖𝙗𝙪𝙡𝙚𝙪𝙭 𝙙𝙚𝙨𝙩𝙞𝙣 𝙙'𝘼𝙢é𝙡𝙞𝙚 - 𝘈𝘮𝘦𝘭𝘪𝘢
19- 𝘽𝙤𝙩𝙝 𝙨𝙞𝙙𝙚𝙨 𝙨𝙘𝙝𝙚𝙢𝙚- 𝘈𝘮𝘦𝘭𝘪𝘢
20- 𝙏𝙞𝙘𝙠 𝙩𝙤𝙘𝙠- 𝘈𝘮𝘦𝘭𝘪𝘢
21- 𝙏𝙖𝙡𝙚𝙨 𝙛𝙧𝙤𝙢 𝙩𝙝𝙚 𝙡𝙤𝙤𝙥- 𝘑𝘰𝘳𝘥𝘢𝘯
22- 𝘽𝙞𝙜 𝙘𝙞𝙩𝙮 𝙢𝙖𝙯𝙚 -𝘈𝘮𝘦𝘭𝘪𝘢
24- 𝙏𝙝𝙚 𝙙𝙚𝙥𝙖𝙧𝙩𝙪𝙧𝙚 -𝘈𝘮𝘦𝘭𝘪𝘢
25- 𝙏𝙝𝙚 𝙗𝙧𝙚𝙖𝙠𝙞𝙣𝙜 𝙤𝙛 𝙩𝙝𝙚 𝙨𝙞𝙡𝙚𝙣𝙘𝙚 -𝘈𝘮𝘦𝘭𝘪𝘢
26- 𝙏𝙤𝙩𝙖𝙡 𝙫𝙞𝙚𝙬 -𝘈𝘮𝘦𝘭𝘪𝘢
27- 𝙀𝙭𝙞𝙩, 𝙍𝙪𝙣 44- 𝘑𝘰𝘳𝘥𝘢𝘯
28- 𝙏𝙝𝙚𝙨𝙚 𝙢𝙤𝙢𝙚𝙣𝙩𝙨 -𝘈𝘮𝘦𝘭𝘪𝘢
29- 𝙄𝙣𝙘𝙪𝙗𝙪𝙨 -𝘈𝘮𝘦𝘭𝘪𝘢
30- 𝙍𝙚𝙫𝙤𝙡𝙪𝙩𝙞𝙤𝙣- 𝘈𝘮𝘦𝘭𝘪𝘢
31- 𝙒𝙞𝙨𝙝 -𝘈𝘮𝘦𝘭𝘪𝘢
32- ʸᵒᵘ 𝙥𝙪𝙩 𝙖 𝙨𝙥𝙚𝙡𝙡 𝙤𝙣 ᵐᵉ -𝘈𝘮𝘦𝘭𝘪𝘢
33- 𝙎𝙤𝙢𝙚𝙩𝙝𝙞𝙣𝙜 𝙩𝙤 𝙗𝙚𝙡𝙞𝙚𝙫𝙚 𝙞𝙣- 𝘈𝘮𝘦𝘭𝘪𝘢
34- 𝘼𝙧𝙞𝙖 𝙨𝙪𝙡𝙡𝙖 𝙦𝙪𝙖𝙧𝙩𝙖 𝙘𝙤𝙧𝙙𝙖 -𝘈𝘮𝘦𝘭𝘪𝘢
35- 𝙇𝙚𝙩 𝙞𝙩 𝙜𝙤 -𝘈𝘮𝘦𝘭𝘪𝘢
36- 𝙇𝙖 𝙩𝙚𝙧𝙧𝙚 𝙫𝙪𝙚 𝙙𝙪 𝙘𝙞𝙚𝙡- 𝘈𝘮𝘦𝘭𝘪𝘢

23- 𝙄𝙣 𝙩𝙝𝙞𝙨 𝙨𝙝𝙞𝙧𝙩 -𝘈𝘮𝘦𝘭𝘪𝘢

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Non riuscivamo mai a vederci da soli. Negli orari di visita previsti in clinica, Jordan veniva a trovare Ellison e io andavo al molo. Per quanto andasse piano in auto, nel tragitto tra il parcheggio e la pista non riuscivamo mai a scambiarci più di qualche parola perché l'infermiera di turno sapeva i miei orari, e se ne stava sull'attenti ad aspettarmi. Continuavano a ribadire che le regole erano regole e che andavano sempre rispettate. Finito l'allenamento con i bambini dovevo tornare in clinica velocemente, per farmi la doccia e arrivare a tavola per la cena allo stesso orario delle altre.

L'unico posto possibile per poter parlare con Jordan in privato era il Pier60. Restava il mio posto felice di Clearwater, quella lunga via di cemento sul mare dove le nostre rotelle avevano sfrecciato fino a farci incontrare e dove non ci eravamo più visti. A suo dire, inizialmente non era più venuto perché voleva lasciarmi libera nella scelta di allenare con lui o meno, ma poi era stato sommerso di lavoro ed erano settimane che non aveva avuto il tempo materiale di andare al molo.

Aveva promesso che, per parlare con me, si sarebbe organizzato con la palestra. Dovevo solo decidere il giorno e l'ora, e si sarebbe presentato.

Quando Florence mi accompagnò al molo senza sapere il mio reale intento di quel pomeriggio, ero agitata. Così agitata che percorsi il Pier60 in tutta la sua lunghezza, senza godermi i suoni delle ruote sul cemento che tanto mi rilassavano. Andavo più veloce del solito, ma riuscii a rallentare quando in lontananza intravidi la sua figura.

Era una giornata di sole, il bollore dei raggi era attenuato da un'aria carezzevole e al molo c'era molta meno gente rispetto a quella cui ero abituata. In lontananza lo vidi: Jordan e ne stava a petto nudo poggiato con gli avambracci alla balaustra, un pattino incrociato all'altro intento a giocherellare sulle ruote. Percepivo un certo nervosismo da parte sua, perché i muscoli della schiena erano visibilmente contratti. Dalle spalle larghe alla vita stretta, sprigionava vigore in ogni linea definita. 

Non appena sentì le rotelle dei miei pattini avvicinarsi, scattò in piedi sfilandosi la maglietta dalla tasca dei pantaloni per indossarla in fretta e furia. Non capivo come fosse possibile vergognarsi di un corpo simile, le cicatrici erano poco visibili perché coperte dai tatuaggi. Bisognava osservarlo bene per capire cosa mascherava tutto quell'inchiostro. Probabilmente, i miei sguardi lo avevano infastidito. 

«Ciao.» Disse facendo sbucare la testa dal colletto della t-shirt, sistemandosi i capelli fintamente scompigliati che erano già perfetti di suo. Si voltò a prendere i due bicchieroni di caffè che non avevo notato quando era di spalle, e me ne porse uno ancora fumante.

«Ho giocato d'anticipo, sapevo che l'avresti voluto.» mi riservò un sorriso e si spostò verso la panchina libera più vicina, invitandomi a sedersi accanto a lui. La prima volta avevamo percorso il molo sui pattini in lungo e in largo ma sentivo che quel giorno c'era qualcosa di diverso nell'aria, e mi sedetti su quella panca in legno deteriorato dalla salsedine a guardare il mare con lui.

«Grazie.» iniziai a sorseggiare il caffè. «Quindi? Come mai hai voluto questo incontro?»

«Così, dritta al punto? Un come stai?»

«Dritta al punto. Dimmi, sto bene.» Non volevo perdere nemmeno un secondo. Ero troppo curiosa.

Si prese un momento per sé, prima di rispondermi: «No. Prima ho bisogno di sapere cosa succede realmente con Audrey a Daytona.»

«Cosa vuoi sapere? Come sono strutturati gli allenamenti?»

«No. Voglio sapere cosa ti succede quando sei stanca e quando sbagli.» Di certo mai mi sarei aspettata domande del genere. Decisamente troppo personali e dai ricordi amari. Voleva farmi fare un tuffo nel passato che non ero certa di voler condividere con lui.

«Sei tu ad andare dritto al punto adesso.» In risposta sollevò le spalle, come a non poterci fare niente. Continuava a guardarmi fisso negli occhi senza mollarmi un secondo, aspettandosi risposte che non sapevo nemmeno se sarei stata in grado di dare. «Perché vuoi saperlo?»

«Perché ho bisogno di sapere quanto c'è di vero nelle voci che girano.»

«Non sei tipo da pettegolezzi, Jordan.» Dissi indispettita. «Ed è esattamente quello che stai facendo.»  

«Non è per spettegolare, è che ho davvero bisogno di sapere cosa succede in quella società. Dimmelo e ti giuro, Amelia, che non lo saprà mai nessuno.»

Continuava a penetrarmi con quegli occhi dove la dolcezza del miele era stata sostituita dalla risolutezza più pura. E non sapevo se raccontargli tutto o meno, perché quel tutto era già stato portato nella stanza della Cameron. L'avevo capito che quello di Daytona era un tipo di agonismo sbagliato, ma non potevo rendermene conto prima perché quella realtà tossica era stata la stessa che mi aveva cullata facendomi crescere nell'abbraccio stretto e possessivo di Audrey. 

Impegnati, e verrai ricompensata con l'oro. 

Sbaglia, e conoscerai il dolore dell'impatto delle mie mani sul tuo corpo.

Conoscevo solo quel tipo di allenamento per raggiungere gli obiettivi prefissati, non mi ero mai chiesta se fosse giusto. Pensate di diventare campioni chiacchierando a bordo pista o ingozzandovi di mince pies a Natale?  Audrey ce lo ripeteva sempre. E io ascoltavo, subivo, sopportavo.

Avevo iniziato ad aprire gli occhi ai primi allenamenti di Clearwater, dove mi ero subito accorta di come la loro fosse una realtà diversa, più umana. Per il modo in cui Jordan mi aveva introdotta a quella nuova dimensione, presi coraggio e provai a dargli un po' di fiducia. 

«Audrey era un po'...irascibile.» iniziai «E' sempre stata gentile e premurosa nei nostri confronti, ma bastava poco per farla arrabbiare. Un salto sbagliato più volte per lo stesso motivo, una pausa per bere più lunga di quello che lei aveva stabilito, una risposta data con un tono che a lei non piaceva. Ha sempre dato il tutto e per tutto al suo lavoro, ma ha sempre preteso altrettanto da noi.» Jordan mi ascoltava con tutte le attenzioni che solo una persona realmente interessata poteva avere. Senza alcun tipo di giudizio, senza nessuna aria compassionevole ma solo bisogno di verità. Glielo leggevo negli occhi. Fece un piccolo cenno con la testa, invitandomi a proseguire. «Tutto ruota attorno al pattinaggio con lei, e deve essere lo stesso per qualsiasi persona scelga di entrare nella squadra. Che siano aiuto allenatori, atleti, sarte o coreografi...pretende il 200% da chiunque le graviti attorno.»

«E quando si arrabbia?» Chiese a braccia conserte, cercando di mostrarsi apatico.

Liberati, Amelia, anche con lui.

«Inizia sempre con gli insulti.» Iniziai a rivangare nei ricordi «Se segui le posizioni che dice lei ma il salto o il sollevamento non riesce, quasi sicuramente è perché sei grassa. Non ha mai indagato su altre cause, magari qualcosa da migliorare attraverso la preparazione atletica. Se non salti è perché sei pesante, punto. Ci ha sempre dato nomignoli poco carini, prima di passare alle mani. Ma non ci ha mai picchiato ripetutamente, per sfogare tutta la rabbia... Ci dava qualche sberla, qualche tirata per i capelli o ci strattonava in malo modo per la pista per rivedere le posizioni.» e scelsi di confidargli una cosa che non sapeva nessuno «Quando faceva così la paura era così tanta che non ascoltavo nemmeno la spiegazione, ero troppo occupata a calcolare i suoi movimenti nella speranza di schivare in tempo il ceffone successivo. Non sapevi mai dove avrebbe colpito.»

«Dio, Amelia. E tua madre?» Si conteneva, ma nei suoi occhi scorrevano tutte le imprecazioni che si agitavano in lui.

«Non si è mai accorta di nulla. I segni in faccia sono sempre spariti poco dopo, perché non li dava poi così forte. Si scatenava di più sulle gambe, sul sedere e sulla schiena. A volte si formavano degli ematomi che riuscivo a nascondere sotto i vestiti, o a farli passare per cadute accidentali. Mia madre ha sempre saputo quel che pretende Audrey dai suoi atleti, ma non conosce i suoi mezzi.»

«Tutto questo ha un nome, Amelia: si chiama abuso. Te ne rendi conto?»

No, Jordan. L'ho capito da poco.

Repressi il nodo che si era formato in gola, e continuai a spiegarmi. «Ho sempre pensato che fosse una grande allenatrice, lo dimostrano le medaglie conquistate negli anni dai suoi atleti. Pensavo che fosse colpa mia o delle mie compagne se lei si arrabbiava. Audrey si impegnava così tanto con noi, che se le atlete facevano troppi errori li prendeva come insulti alla sua competenza. Avevo sempre sopportato tutto perché il mio obiettivo era più importante dei mezzi con cui volevo raggiungerlo.»

«Hai parlato al passato.» Osservò Jordan con cautela «Vuoi smettere?»

«Sto cercando di guarire impegnandomi al Fairwinds, vorrei pattinare per l'ultimo anno. Lo devo a Kevin. Per quanto sia insopportabile, abbiamo sempre lavorato insieme, e l'ho mollato a stagione iniziata per venire qui. Abbiamo già preparato i nuovi programmi di gara. E sono la prima a voler salire sul gradino più alto almeno una volta, anche se mi rendo conto che il mondiale si allontana. Quindi... sopporto quest'ultima annata sportiva e poi basta, smetto. Mi sono resa conto che è un ambiente tossico, e me ne tiro fuori.»

Non avevo mai espresso ad alta voce i miei piani per quell'anno. Fu liberatorio farlo nella tranquillità di quel pomeriggio, con le onde del mare a dare un ritmo calmo alla conversazione, vicino a una persona che avevo sempre considerato come un rivale ma che si era rivelato una  chiave d'accesso a un mondo più sereno.

«Hai più sentito Kevin, in questi mesi?» Erano finite le domande difficili.

«No. Mi ha scritto mentre venivo qui, dicendomi che si sarebbe comunque allenato. A Daytona non ci sono altre atlete disponibili per la coppia artistico ma credo che Audrey, aspettando il mio ritorno, gli abbia affiancato l'atleta più prestante tra le singolariste per tenere allenati almeno i sollevamenti.»

Lo vidi spostarsi allungando il busto fino ad appoggiare i gomiti alle ginocchia, per coprirsi il volto con le mani. Si nascose così tanto che non distinsi nemmeno le parole che iniziò a biascicare.

«Non ho capito, Jordan. Ripeti.»

Calamitò di nuovo lo sguardo al mio, e quasi lo vidi arrossire quando pronunciò quelle poche, semplici parole che mi arrivarono come la più potente delle onde mentre cercavo di tenere il mio mare nella tranquillità.

«Pattina con me, quest'anno.»

In tutta risposta, mi alzai nervosa dalla panchina. Avevo bisogno di stare in piedi, di scaricare l'ondata di nervoso che mi si era scaraventata addosso e andai ad appoggiarmi alla ringhiera del molo per tentare di liberarmi dal peso opprimente di quelle parole. Allontanatami da lui, scoppiai in una risata di petto, perché quella proposta aveva del tragicomico.

E in situazioni assurde, di quelle che mai ti immagineresti, quelle che sono così utopiche da suonare come la migliore delle barzellette, io non riuscivo a smettere di ridere.

Amelia Reed e Jordan Davis. Coppia artistico: insieme, non più l'uno contro l'altra. Più ci pensavo, più le risate diventavano incontrollabili. Ridevo perché, dentro di me, ero terrorizzata.

Mi lasciò sfogare qualche secondo, poi mi raggiunse alla balaustra con fare impacciato.

«E' uno scherzo?» Chiesi in un attimo di respiro. Non poteva essere serio.

«Mai stato più serio di così.» Iniziò ad accorciare la distanza tra noi.

«No, assolutamente no.» Sbottai il più risoluta possibile, cercando di mascherare i nervi a fior di pelle. Era realtà, me l'aveva chiesto sul serio.

«Non dirmi solo no. Dammi un motivo valido.» Si avvicinò ancora di più, portando la distanza tra noi ai minimi termini.

«Ho accettato di uscire con te. Adesso vuoi troppo. Accontentati.» Non cercai di scappare. Me ne stetti ferma, a voler vedere fino a dove si sarebbe spinto.

«Questo è un altro discorso. Ritenta.» Portò la mano troppo vicino al mio viso, scostando i capelli più corti che non arrivavano alla coda fatta di fretta e che il vento continuava a portare davanti ai miei occhi. Li sentii subito arrivare: il bergamotto, la sensualità e le certezze che crollano. Prese a tracciare con le dita il profilo del mio volto, dalle tempie agli zigomi, soffermandosi all'angolo delle labbra. Elettricità. 

«Jordan, l'ho capito che ti piaccio esteticamente. Ma da qui al pattinare insieme e tornare in gara davanti ai giudici, tradendo così il mio partner c'è un abisso.» Scostai in malo modo la sua mano dal mio volto, e me ne tornai poggiata alla balaustra a guardare il mare in cerca di risposte. Mi sarebbe stato più facile ragionare senza quel contatto.

«Non puoi tornare in quel palazzetto.» Disse risoluto.

«E' solo per l'ultimo anno, Jordan. E' la nostra occasione, lavoro da tutta la vita per un mondiale. Posso farcela.»

«Lascia che sia io a darti quell'occasione. Funzioniamo, insieme.» Sentii di nuovo salire la risata nervosa che poco prima ero riuscita a placare.

«Jordan, sei l'atleta più medagliato d'America. Sul serio vuoi rovinarti la reputazione con me? Per qualche spirale e qualche sollevamento ben riuscito di fronte a dei bambini? C'è molto altro su cui lavorare, cose ben più difficili. E siamo a metà novembre. E' impossibile, a Daytona ho già i programmi pronti.» C'erano coreografie, salti lanciati, trottole d'insieme dove io avrei dovuto abbandonarmi completamente a lui. Tutti elementi che per i comuni mortali richiedevano mesi e mesi di preparazione, se non anni. Con Kevin ci era riuscito tutto grazie alle ore infinite passate in pista, ma noi non avevamo il talento di Jordan. Io, non lo avevo. In pochi mesi , anche ripartendo da zero, non ce l'avremmo mai fatta.

«Puntiamo ai nazionali di luglio. In Florida siamo in pochi, sono già tutti qualificati alle finali. Facciamo qualche gara di preparazione, magari semplificando un po' i programmi, anche a costo di perdere, ma si decide a luglio chi va al mondiale. E a luglio, noi ci faremo trovare pronti. Possiamo farcela.» Sembrava veramente convinto e sicuro di sé, mentre mi spiegava i suoi programmi facendosi di nuovo più vicino.

«Sei completamente pazzo.» Non avevo altro da aggiungere.

«Diventerei un cliché vivente se ti dicessi che sto impazzendo per te, e non voglio. Ma lo vedo, come sei felice qui. Resta. E dammi la possibilità di farti vivere lo sport senza gli abusi che ti hanno portata da me.»

Avevo iniziato a pensare che chiunque fosse cresciuto totalmente inquinato dalla sporcizia degli abusi, avrebbe trovato impossibile riconoscere la rettitudine. Nello sport come nella vita. Jordan non mi aveva solo mostrato uno squarcio di floridezza, me l'aveva fatta vivere e toccare con mano. E sentivo, nel profondo, che la purezza di quei bambini non mi sarebbe mai bastata. Ma con Jordan? Ero disposta a tradire Kevin, a non rispettare un patto cui ero venuta meno dopo la malattia, per provare anche da atleta quella normalità?

Ci sono luoghi, persone, dinamiche che nella loro tossicità ti danno qualcosa cui aggrapparti: la sicurezza. La sicurezza di reazioni e relazioni, premi e punizioni, vittorie e sconfitte. E il Daytona Skating Club era per me una sicurezza in cui avevo imparato a muovermi. Ero riuscita a pattinare nutrendomi di null'altro che ideali fasulli, fino a cadere definitivamente. Era la conoscenza viscerale di quell'ambiente ad avermi permesso di sapermi muovere per tutti quegli anni con una benda stretta intorno agli occhi senza vedere null'altro.

La Clearwater Skating Academy era stata invece la più bella della scoperte. Una dimensione nuova dove i valori e l'agonismo sembravano poter coesistere. Jordan, con estrema dolcezza, aveva sciolto il nodo per levarmi la benda dagli occhi. Aveva iniziato a fare di me un'allenatrice. Mi aveva appena fatto promesse che non sapevo se sarebbe stato in grado di mantenere. 

In una possibile veste di atleta, quella società era per me l'ignoto. E per quanto la sua fosse la più allettante delle idee, l'ignoto, si sa, è la madre delle paure.

«Mettiti nei miei panni, Jordan. Mi stai chiedendo di riorganizzare la mia vita a quasi duecento miglia da casa.»

«Sì. Ti daremo tutto l'aiuto di cui hai bisogno. Tutto.»

Iniziai a pattinare piano lungo il molo, nella speranza di schiarirmi le idee facendo quel che più mi piaceva. Le scelte da fare in quel periodo erano troppe, per una abitudinaria come me. 

«Ci devo pensare.» Non avevo altre risposte da dargli. Avevo bisogno di tempo per pensare, un tempo che non c'era, perché del ticchettio dei giorni che passavano io sentivo solo l'ansia del trovarmi a un bivio. Non sapevo quale strada prendere.

«Un'ultima cosa.» Incatenò lo sguardo al mio per l'ultima volta.

«Dimmi.»

«Questa volta, sono io a sfidarti: giurami che sceglierai con il cuore, senza farti guidare dall'ambizione.»

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