MIND OF GLASS: OPERATION Y

De DarkRafflesia

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Dave Morrison, Capitano del Navy SEAL, è un uomo determinato, autorevole, ma sconsiderato e fiscale. Noah Fin... Mai multe

⭐RICONOSCIMENTI
Presentazione
Cast
Dedica
Prologo
PARTE PRIMA
Capitolo 1: Bravo (Parte 1)
Capitolo 1: Bravo (Parte 2)
Capitolo 2: Coinquilini
Capitolo 3: Demoni del passato
Capitolo 4: Una semplice giornata di lavoro
Capitolo 5: Insieme
Capitolo 6: Prima Tappa
Capitolo 7: Presenza
Capitolo 8: Sconosciuto
Capitolo 9: Ricordi bruciati
Capitolo 10: Il prossimo
Capitolo 11: Vacanza (Parte 1)
Capitolo 11: Vacanza (Parte 2)
Capitolo 12: Dolore lontano
Capitolo 13: Turbolenze
Capitolo 14: Scontro
Capitolo 15: Notizia
Capitolo 16: Lettere reali
Capitolo 17: Firmato...
Capitolo 18: Sui tetti
Capitolo 19: In mezzo alla folla...
Capitolo 20: Rientro
PARTE SECONDA
Capitolo 21: Adunata
Capitolo 22: Sorpresa?
Capitolo 23: Toc-Toc
Capitolo 24: Legami scomodi
Capitolo 25: Nuovi ospiti
Capitolo 26: La spia
Capitolo 27: Tocca a me
Capitolo 28: Il mondo continua a girare
Capitolo 29: Prurito ed ematomi
Capitolo 30: Fede
Capitolo 31: Rimorsi
Capitolo 32: Torna a letto
Capitolo 33: Fiamme
Capitolo 34: Scuse e incertezze
Capitolo 35: Analista per caso
Capitolo 36: Non puoi dimenticare
Capitolo 37: Bersagli
Capitolo 38: Ostacoli
Capitolo 39: Ho trovato Jake e...
Capitolo 40: La bomba
Capitolo 41: Shakalaka
PARTE TERZA
Capitolo 42: Scampagnata
Capitolo 43: Pausa?
Capitolo 44: Nuove conoscenze
Capitolo 45: Mercato finanziario
Capitolo 46: Linea
Capitolo 47: Safe International Hawk
Capitolo 48: Fregati
Capitolo 49: In trappola
Capitolo 50: Dimitri Malokov
Capitolo 51: Rancore
Capitolo 52: Portare via tutto
Capitolo 53: Insofferenza
Capitolo 54: Colpe
Capitolo 55: Operazione Y
Capitolo 56: Amicizia
Capitolo 57: Risposta inaspettata
Capitolo 58: Rivelazione
Capitolo 59: Con onore
Capitolo 60: Rottura
PARTE QUARTA
Dimitri Malokov & Iari Staniv
Capitolo 62: Egoismo
Capitolo 63: Apnea
Capitolo 64: Il prezzo da pagare
Capitolo 65: Anonimato
Capitolo 66: Saluto
Capitolo 67: Benvenuto nella squadra
Capitolo 68: Giuramento
Capitolo 69: Decisione
Capitolo 70: L'impegno che non serve
Capitolo 71: Lontanamente vicini
Capitolo 72: Vecchie amicizie
Capitolo 73: Vigilia
Capitolo 74: L'inizio
Capitolo 75: Le squadre
Capitolo 76: Patente?
Capitolo 77: La tana del lupo
Capitolo 78: Boom...
Capitolo 79: Maledetta emotività
Capitolo 80: Svantaggio?
Capitolo 81: Iari Staniv
Capitolo 82: Luccichio
Capitolo 83: La pace
Capitolo 84: Caduti
Capitolo 85: Respirare
Capitolo 86: Un'ultima cosa da fare
Epilogo
💜Ringraziamenti & Playlist💜

Capitolo 61: Solitudine

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De DarkRafflesia


Il suo corpo era fradicio di pioggia.
Il motorino era stato abbandonato all'entrata, perciò si incamminò a piedi verso quei piccoli sentieri. Il cielo era buio, i tuoni manifesti e presenti a scuotergli la gabbia toracica. Sebbene avesse le cuffie alle orecchie, sentiva ogni boato percuotergli il petto; con le mani in tasca, dalla quale concludevano i fili degli auricolari, il cappuccio era rimasto alzato; nonostante non avesse potuto ripararlo a dovere dall'acqua, lo teneva sopra la testa dai capelli bagnati, più mossi del normale, i quali gli ostacolavano la vista, i vetri degli occhiali colmi di goccioline. I suoi passi sollevavano un po' di acqua; colpivano il pavimento mattonato bagnato con suoni umidi e picchiettanti. La testa era rivolta verso il basso, permettendo alla penombra dei lampioni di nascondere totalmente il suo viso, l'espressione, il sangue che era stato sciacquato via dalla pioggia. Non si poteva entrare con i bolidi a due ruote all'interno di quel prato, solo chi aveva la bicicletta era autorizzato. Ma a lui non importava. Era un'abitudine lasciare la moto lontana ed entrare in quelle recinzioni invisibili dalla quale avrebbe voluto perdersi e non tornare mai più. Non c'era nessuno quando pioveva; le ore della giornata in cui era sicuro di non trovare nessuno e chiudersi nel suo guscio erano le prime luci dell'alba, la notte e i momenti di pioggia. In quel momento, persino l'ambiente più ostile e più odioso sarebbe stato meglio di quelle quattro mura di casa. Era un belvedere poco conosciuto, quello che aveva scelto per isolarsi; la gente era solita visitarlo con i figli, visto il piccolo parco giochi dall'altro lato, oppure chi faceva attività fisica lo sceglieva come palestra all'aperto da fare a corpo libero.

Per lui non era nessuna delle due.

Era solo un luogo pieno di ricordi dove poteva rimanere travolto dalla solitudine, cosicché questa lo divorasse dall'interno.
Purtroppo nel mondo non tutto poteva essere lineare.
Così come nella programmazione esistevano i bug e i glitch, anche nella realtà capitavano errori, persone che in questo mondo erano fuori posto. Nei videogiochi si rideva davanti ad un errore o si era talmente frustrati che si lasciava perdere fino a quando esso non veniva sistemato.
Era lo stesso trattamento che subiva lui; o veniva ignorato o veniva preso di mira.

Era sempre la stessa storia, ogni giorno.

Alla CIA nessuno aveva osato avvicinarsi a lui dal primissimo giorno in cui l'avevano sentito litigare con chi lo aveva scelto per quel ruolo, e l'unico che gli era stato accanto per cause di forze maggiori, aveva avuto l'onore di conoscere la sua condanna e di difendersi con la stessa forza con la quale lo avevano fatto tutti gli altri.

Arrivò alla ringhiera del belvedere, dove il panorama di Washington era stato appannato dalla foschia che aveva sollevato la pioggia, rendendo le luci dei pigmenti della tavolozza di un pittore che aveva sfumato con il dito ogni singolo colore. Il fiume collegato al mare era mosso, onde collidevano contro gli scogli, sollevando una schiuma bianca che lui conosceva fin troppo bene. Si posizionò sotto un lampione e voltò le spalle al panorama per appoggiarsi alla ringhiera e scivolare lentamente a terra. Sollevò le ginocchia, distendendole di poco, e tese le braccia per posizionare il cellulare dalle cuffie collegate in mezzo ad esse. Rimase in quel modo, senza muovere un muscolo, neanche per tremare dal freddo.
Si lasciò trasportare dalla musica, dalla pioggia, dalle onde, dai tuoni, perdendosi in quel pulsare che aveva invaso la sua guancia sinistra e stava andando allo stesso ritmo del suo maledettissimo cuore.

**

Finalmente aveva iniziato l'università.
Aveva bramato finire il liceo per poter essere indipendente ed evitare di dover andare a lezione ogni fottutissimo giorno per una presenza del cazzo che non avrebbe cambiato per niente il suo rendimento. Era solo una questione di condotta, di rispetto. Queste cose non gli erano mai interessate.
Era passata una settimana dall'inizio delle lezioni, casa era un po' lontana dalla struttura, ma fu costretto ad andare a piedi a causa di un guasto alla moto che l'avrebbe lasciata lontano da lui per almeno cinque giorni. Non sapeva cosa fare, il lavoro non chiamava, perciò decise di fare un tentativo e di presentarsi a lezione. 

Quel giorno il calendario segnava "Algoritmi e strutture di dati", uno dei suoi argomenti preferiti. Era in ritardo, essendo partito un po' tardi a causa di una sessione notturna intensa alla console, perciò quatto quatto entrò nell'aula, cappuccio alzato e zaino su una spalla, e scelse immediatamente un posto in alto, lontano dalla massa di colleghi vicino alla cattedra. Si sedette, senza neanche aprire un quaderno per gli appunti, e diede un'occhiata a tutti quelli che avrebbero dovuto essere suoi compagni di corso; c'erano poche ragazze, più uomini. Non sapeva perché l'informatica venisse considerata una facoltà per soli ragazzi. C'erano persone disperate, altre disinteressate, altre in crisi perché non stavano capendo un'accidenti di quello che stava pronunciando il professore. Non importava in che struttura didattica si ritrovasse; le persone gli sembravano tutte dannatamente uguali e stereotipate. Qualunque atteggiamento anticonformista, era solo una facciata per attirare l'attenzione e fare finta di essere diversi dalla società in cui vivevano. Non c'era un minimo di sincerità nemmeno all'apparenza. Tutto era veicolato dalle immagini.

«Potrei sapere chi è lei?»

Sbatté le palpebre, rinsavendosi da quell'analisi meticolosa.
Abbassò gli occhi grigi, notando che il professore aveva smesso di spiegare per rivolgersi direttamente a lui.
Lo stesso fecero tutti i presenti, beccandosi gli sguardi di persone che, stranamente, parevano essere più grandi di lui di uno o due anni.

«Si abbassi il cappuccio per cortesia.» insistette l'insegnante.

Gli parve di sentire i suoi colleghi bisbigliare qualcosa. Alle sue orecchie giunse addirittura la parola stalker o assassino. Solita routine di merda. Dovette, tuttavia, obbedire e fare come richiesto, mostrando il suo sguardo pallido e le occhiaie evidenti ai presenti. Aveva un aspetto da far venire i brividi.

Il professore si allontanò dalla lavagna sulla quale stava spiegando, con un'oratoria banale, la notazione asintotica e si mise ai bordi dello scalino che lo separava dai posti a sedere. «Non l'ho mai vista qui, è parte di questo corso?» lui annuì, facendolo sorridere. «Allora si alzi e si presenti. Il primo giorno di lezione i suoi colleghi hanno fatto lo stesso per fare amicizia. Lo faccia anche lei: nome, cognome, età e matricola.»

Distolse per un attimo lo sguardo, sospirando dalle narici con aria infastidita. Quel silenzio gli stava fracassando i timpani. Odiava tutti quei puntini intermittenti puntati addosso. Piantò le mani sui braccioli della sedia, si mise in piedi, attirando la curiosità degli altri, e prese un respiro profondo.

«Name's Noah Finley. Diciannove anni. Matricola 18****.» disse annoiato.

Le sopracciglia del professore si sollevarono dallo stupore. «Oh, quindi lei è nuovo! Le uniche matricole di quest'anno provengono dal corso di Ingegneria Informatica, ma vedo che lei è uno audace: è il più giovane del corso in questo anno accademico.» osservò con sarcasmo. «Si può sedere.»

Noah abbassò le spalle, lieto che quel momento imbarazzante fosse giunto al termine.
Per forza era l'unico di quell'anno in regola con l'iscrizione; quella era l'università più rinomata di Washington, la più difficile. Solo gli studenti che facevano domanda ad inizio del quinto anno di liceo potevano entrarvici; il test d'ingresso era stato tremendo. Aveva domande di matematica e di logica che superavano di gran lunga quelle scolastiche che venivano insegnate quotidianamente a loro comuni mortali. Si chinò, in procinto di sedersi, quando alle sue orecchie, al di là del parlottio confuso dei suoi colleghi, giunse una frase pronunciata dal professore stesso, dopo avergli voltato le spalle per tornare alla lavagna.

«Vediamo fino a quanto resisterà.»

Noah socchiuse gli occhi, inorridito. Si sedette e stette immobile a seguire la lezione per almeno un'altra mezz'ora abbondante. Si annoiò parecchio, non poté negarlo, tanto che stava per rischiare di addormentarsi in aula a causa anche delle ore perse nel corso della notte. Ma che poteva farci? Se avesse avuto un valido motivo per stare attento, non avrebbe battuto la fiacca. Il problema era quel maledetto professore incompetente; stava spiegando quel semplicissimo argomento con dei giri di parole talmente astrusi e inutili che le persone presenti stavano dando forfait, scoraggiate da tutti quei calcoli, quelle definizioni, quei collegamenti, che non avrebbero agevolato per niente l'apprendimento. Stava lavorando come tecnico della rete per pagarsi gli studi in un college dove il loro obiettivo era far cadere il prossimo per troncargli un futuro? Sbuffò seccato, indossò nuovamente il cappuccio e si alzò per sgusciare via dai sedili e dirigersi all'uscita.
Un movimento che non passò inosservato al professore, il quale aveva già adocchiato con gli occhi chiunque avesse abbandonato l'aula dall'inizio della sua carriera.

«Non ti preoccupare, Finley. Non sei né il primo né l'ultimo.» pronunciò.

Tutti i presenti si misero a ridere.
Noah gli aveva appena dato le spalle, fermandosi dal pressare la maniglia per uscire da quell'aula infernale.
È così che la metti? Sentì quel bruciore alla gola farsi nuovamente presente e prendere il controllo dei suoi polmoni, delle sue corde vocali.

«La notazione asintotica è, banalmente, un metodo matematico che consente di confrontare il tasso di crescita di una funzione nei confronti di un'altra. In informatica il calcolo asintotico lo utilizziamo per analizzare la complessità di un algoritmo. In particolar modo, per stimare quanto aumenta il tempo al crescere della dimensione n dell'input.» si voltò impassibile, smorzando il divertimento dei colleghi e del professore. «Ne esistono di tre tipi: la O, l'Omega e la Theta. Vuole che gliele spieghi tutte e tre o riesce a farlo entro oggi, al posto di girare attorno alla stessa definizione senza mostrare il calcolo nel vero senso della parola?»

Non attese una risposta. Il professore aveva spalancato la bocca con un'espressione attonita stampata in viso. Il gessetto gli cadde persino dalle mani, senza fiato. Noah roteò gli occhi al cielo, contenuto, per poi spingere la maniglia e uscire dall'aula senza dire altro. Ne aveva già abbastanza.

Scese le scale e uscì dall'edificio per dirigersi al distributore più vicino; non aveva neanche fatto colazione per la fretta. Che grande perdita di tempo. Una volta arrivato, inserì qualche monetina e si prese una cioccolata calda. Si sedette su un muretto e la sorseggiò con calma, non avendo nulla da fare. Quel tipo di professore era ciò che rendeva l'istruzione sempre più calante; era solo un pallone gonfiato. Gli bastava avere una fottuta cattedra per mettere in mostra le sue inesistenti capacità e sminuire tutti coloro che si ritrovano dall'altro lato, dimenticandosi di essere stato anche lui un dannato studente alla quale gli era stato smorzato l'entusiasmo. Queste persone erano talmente cariche di frustrazione, che non ci mettevano nulla a sfottere il prossimo come se non potesse mai essere alla loro altezza.

L'informatica era un ramo difficile. I professori potevano fare solo due cose: farla amare o farla odiare. Con quel tizio l'avrebbero odiata tutti. Ma a lui che diavolo gli importava? Scosse la testa, finendo di bere la cioccolata, e gettò il bicchiere dentro il cestino. Si incamminò al lato opposto del suo scadente monolocale; doveva fare la spesa, perciò avrebbe approfittato di quell'unico giorno di uscita per poter rimediare: aveva voglia di ramen istantaneo. Fortuna che vicino al college vi era un supermercato per chi era fuorisede. Indossò le cuffie e calò lo sguardo per non incrociarsi con nessuno. Era sempre un problema uscire; avrebbe fatto una spesa grande, anche se si sarebbe caricato di roba, pur di rimanere a casa per almeno altre due settimane prima di rifare il pieno.

L'importante era che si fosse sbrigato, prima che la calca aumentasse e non avesse più spazio per camminare e... per respirare.

Tuttavia si era concentrato talmente intensamente sulle sue sneakers rovinate, che non notò una figura davanti a lui e ci sbatté contro, facendo qualche passo indietro con confusione. Subito sollevò lo sguardo, incontrandosi con due ragazzi che a stento riuscivano ad arrivare alla sua altezza. A volte si dimenticava che era lui ad essere troppo alto e non gli altri ad essere troppo bassi. Il primo indossava una camicia a quadri rossa e nera, ricciolino e con i capelli rossicci; l'altro aveva una felpa più larga di tre taglie, berretto al contrario e mani dentro le tasche. Entrambi lo stavano fissando con dei sorrisi che erano tutt'altro che cordiali, ma abbastanza confidenziali. Questo perché Noah si ricordava bene di loro; li aveva visti solo una volta quello stesso giorno, ma chi aveva davanti erano i due ragazzi che non avevano fatto altro che ridacchiare e divertirsi durante la lezione. Al suo sopracciglio alzato, il tizio con la camicia gli fece cenno di levare le cuffie per poter interloquire con lui.
Oddio. Ci risiamo... pensò, levando comunque gli auricolari.

«Tu sei Finley, giusto? – domandò il tizio, continuando a sorridere. Noah annuì. – Damn, gliele hai davvero cantate al professore, oggi, sei stato incredibile.»

«Non dovreste essere a lezione?» domandò, ignorando quei falsi complimenti.

«Dovresti esserlo anche tu, invece sei qui a spassartela.» intervenne l'altro con accento americano marcato.

Il ricciolino grugnì una risata, prendendo un sorso dalla birra che teneva in mano. «Io sono Mike e lui è Barrie. Sei una matricola, eh?»

Quei due erano degli studenti fuori corso. Rifletté subito, Noah. Li aveva analizzati dalla testa ai piedi; non portavano zaini, bevevano fuori orario, parlavano con strafottenza e mettevano in secondo piano gli studi. Avevano, in sintesi, trovato la loro miniera d'oro. Come cazzo avevano fatto ad entrare in quel college, lo sapeva solo chi governava gli astri di quel mondo.

«Cosa vi serve?» andò subito dritto al dunque, il più giovane.

Mike e Barrie fischiarono compiaciuti, guardandosi con finta aria impressionata.

«Devo dire che sei abbastanza sveglio! Il professore non ha fatto altro che borbottare da quando te ne sei andato, rendendo impossibile per l'ennesima volta quella cazzo di notazione asintotica. – Mike prese un sorso di birra, posandola sopra lo scalino in maniera incivile. – A te sono bastate dieci parole in croce per farmi capire tutto!»

«E quindi?» li spronò Noah, posando le cuffie dentro la tasca della felpa.

«Quindi ci stavamo chiedendo se tu potessi aiutarci a-.»

«Una parola: no.» li troncò di netto.

Mike e Barrie si scambiarono uno sguardo fugace che Noah comprese.

«Perché non dovresti?» parlò il tizio col berretto, facendo un passo in avanti per cercare di intimorirlo.

Non si sbilanciò neanche un po' a quella prepotenza. «Perché ho già capito le vostre intenzioni, non sono nato ieri.» parlò con nonchalance, il volto senza emozioni, il quale fece prudere le mani ai due colleghi. «Credete che io non sappia di essere intelligente? So bene delle mie capacità e che queste hanno attirato la vostra attenzione. A giudicare da come siete conciati, siete due studenti fuori corso che cercano la manna dal cielo per poter superare anche solo un esame, e in me avete visto la vostra salvezza. Ma il vostro intento è banale e alquanto prevedibile; Algoritmi è una materia pratica con prove in itinere; avete intenzione di usare i miei appunti per copiare. Non vi servirà a nulla, ve lo dico già in partenza.»

Mike e Barrie corrugarono le fronti in un cipiglio stizzito.

«Non ti sembra di stare un tantino salendo sul piedistallo, ragazzino?» Barrie si avvicinò, ringhiando dall'impazienza.

Noah rimase impassibile, sebbene le distanze coi due stavano diminuendo pericolosamente. Non era la prima volta che si ritrovava in certe situazioni. Non era la prima volta che la sua intelligenza veniva sfruttata e spacciata per amicizia. Ormai era una circostanza che si ripeteva ogni qual volta nuove persone venivano a conoscenza della sua esistenza, nonostante usasse la sua sola apparenza come repellente per allontanarle.

«Solo perché avete un anno in più di me, non sono portato a darvi rispetto. Siete due ragazzi che mi hanno fermato solo per ottenere un aiuto, che di aiuto non ha niente. Dovevate impegnarvi di più e cambiare approccio, magari avrebbe funzionato meglio.» replicò con tranquillità. «Adesso, se non vi dispiace, gradirei torna-»

Fece un passo in avanti per sorpassarli, ma un braccio gli bloccò la strada. Spostò le iridi, turbato, per incontrarsi con il volto spaccone di Mike, il quale si era leccato il labbro inferiore con un sorrisino che non aveva più nulla di divertente. Accanto a lui, Barrie aveva tolto le mani dalle tasche dei pantaloni per pressarsi le nocche con enfasi, volendole far scricchiolare di proposito per incutergli timore.

«Sarà meglio che tu ti rimangi quello che hai appena detto.» lo avvertì, avanzando per costringerlo ad andare indietro.

Noah, pur di non essere toccato, arretrò, fino a quando alla sua sinistra non si palesò un vicolo lontano dalle persone. La zona del college era sempre la meno affollata.

«Perché dovrei? Se foste davvero interessati a volere un aiuto, non avreste dovuto scaldarvi così. Invece la cosa vi puzza.» rispose schiettamente. «Vi puzza, perché non c'è un briciolo di gentilezza nelle vostre intenzioni.»

Uno spintone.
Uno spintone, e si ritrovò all'interno di quel vicolo, nascosto a chiunque.
Mike sbuffò una risata al vedere Barrie togliersi il berretto ed aprire a zip della felpa per rimanere a maniche corte.

«Sei bravo con le parole. Tutto arrogante e snob. Ma con le mani sai difenderti?» lo provocò, avanzando per dargli un altro spintone.

Il più giovane si concentrò a non cadere per la seconda volta.

E ciò fece spazientire ulteriormente Barrie. «Avanti, attaccami anche con questo!»

Noah non ebbe i riflessi pronti quando gli arrivò un pugno sulla guancia. Gemette dal dolore, curvando la schiena e posando una mano sul punto colpito. Mike non aspettò che si riprendesse, poiché superò l'amico e si unì al divertimento, afferrandolo per le braccia per tenerlo fermo e dargli una ginocchiata sullo stomaco. Noah boccheggiò, non sentendo più le gambe e accasciandosi a terra quando lo spinsero con veemenza. Tossicchiò, non avendo neanche il tempo di riprendere fiato che Mike si mise dietro di lui e gli strattonò lo zaino per levarlo dalle sue spalle. Per facilitare il lavoro, Barrie lo afferrò per il colletto della felpa e lo tirò con prepotenza. Noah non fu in grado di opporre resistenza, finché non venne spinto a terra agonizzante, mentre i due si divertivano a scagliare sul suolo sporco tutto ciò che vi era all'interno dello zaino.

«Uh, guarda cosa abbiamo qui!» esultò Mike, prendendo il portafoglio. «Vediamo un po'... questi li prendo io. – e Noah lo osservò, con la vista appannata, prendere tutti i soldi che teneva dentro. Provò a muoversi in un leggero moto di panico, soprattutto quando Mike fece cadere dallo zaino il suo computer portatile, ma Barrie si divertì a dargli un altro pugno che gli fece uscire il sangue dal naso e volare gli occhiali. – Non parli più? Non fai più tutto il gradasso?» fece la voce dolce e smielata, gettando nei pressi della spazzatura il suo portafoglio e avanzando verso il suo corpo spossato.

Barrie sorrise non appena si incontrò con il computer portatile. Si sollevò da terra e lo prese, notando la marca famosa e costosa. «Di certo i soldi non ti mancano. Dovrà esserti costato una fortuna. Sai quanti me ne posso permettere io?»

Ecco. Erano due fottuti figli di papà che credevano di avere il mondo sul palmo della mano. Svelato l'arcano mistero che li aveva fatti entrare in un college di prestigio come quello.
I soldi non gli mancavano?
Non sapevano nemmeno cosa significava fare un lavoro di merda per guadagnarsi da vivere.

«A-Allora... – ansimò Noah, disteso su un fianco e con il braccio puntellato sul suolo per sollevare un po' il busto. – Perché non ti compri una laurea, anziché elemosinarla ad un povero sfigato come me?»

«Brutto figlio di puttana.» Barrie perse il lume della ragione ed aprì il computer. «Vuoi vedere come ti tappo quella bocca? Guarda un po'.»

Aprì ancora di più lo schermo, così tanto che arrivò al limite. Ma continuò a fare pressione finché non andò oltre la molla e spacco in due parti il notebook. Allargò le braccia, soddisfatto e superiore a chiunque avesse osato sfidarlo ancora una volta.

«Adesso cosa mi dici? Vuoi piangere perché ti ho rotto il tuo prezioso computer?» lanciò le parti in due direzioni diverse con malagrazia, lo schermo del dispositivo ormai rotto.

Mike si aggregò a lui per osservare la faccia di Noah, in attesa di vedere un segno di disperazione, delusione, tristezza, qualunque cosa avesse potuto farli sentire superiori. Eppure non ricevettero il risultato sperato. Il sangue nelle loro vene raggelò, soprattutto alla vista dello sguardo apatico di Noah, infastidito solamente dall'assenza degli occhiali e per niente provato da quei pugni e da quelle aggressioni. Non era la prima volta che gli capitava. Anzi, rispetto a ciò che aveva ricevuto in passato, c'erano andati anche piuttosto leggeri.

«P-Pazienza. – sospirò, pulendosi il naso con il retro della manica della felpa. – Me ne comprerò un altro.»

La goccia che fece traboccare il vaso.

«Hai rotto il cazzo!» urlò Mike.

Insieme caricarono una serie di calci contro il suo corpo. Noah dovette tornare disteso sul pavimento per rannicchiarsi in posizione fetale e porre le braccia davanti al busto per proteggersi il viso e il torace, mentre queste e le gambe venivano tartassate dalle scarpe dei due delinquenti. Serrò gli occhi, mordendosi l'interno della guancia con la speranza che tutto cessasse quanto prima e non desse loro la soddisfazione di stare soffrendo. In mezzo al dolore sentiva Mike e Barrie pronunciare insulti di ogni genere, ringhi frustrati, fino a quando non smisero di colpirlo per recuperare la calma. Quando tutto cessò e venne liberato da quei calci, rimase in quel modo per un altro po', assicurandosi che, se avesse scoperto il viso, non gli fossero arrivati altri colpi a tradimento. Quando lo fece, tuttavia, uno sputo lo colpì in pieno sulla guancia.

«Fucking arrogant.» concluse Barrie, riprendendo la felpa per indossarla e mettendosi il berretto.

Mike schioccò la lingua, sorridente. «Grazie per i soldi, sfigato!»

Noah sollevò appena il busto da terra, stralunato, quando i due se ne andarono, lasciandolo in quello stato pietoso. Schifato, si pulì la guancia dallo sputo e poi cercò tentoni i suoi occhiali. Dopo aver gattonato per qualche minuto, fu in grado di trovarli; li indossò, sospirando dal sollievo quando si assicurò che fossero integri. Col respiro ansimante, dovette rimanere per in attimo seduto a terra per riprendersi da tutti quei colpi. C'era avvezzo, senza dubbio, ma riceverli non era mai una passeggiata. L'indomani i dolori sarebbero stati un grosso problema. 

Sospirò e si mise in piedi per andare a recuperare il suo zaino, dopodiché iniziò a raccogliere tutti i suoi affetti, come il portafoglio, l'astuccio, gli hardisk e i quaderni per gli appunti personali. I suoi occhi caddero sul laptop distrutto. Si avvicinò per prendere la metà della tastiera e riporla nello zaino, mentre la parte dello schermo rotto la gettò nel cassonetto per non lasciarla per terra. Aveva pur sempre dei pezzi di ricambio da poter riciclare; non sarebbe stato uno spreco. Chiuse lo zaino e lo rimise sulle spalle, dopodiché sollevò il cappuccio e frugò nella tasca della felpa per prendere le cuffie, camminando verso l'uscita del vicolo. Almeno gli auricolari erano rimasti integri, sebbene i calci e gli spintoni. Non avrebbe dovuto comprare anche quelli. Li indossò ed uscì dal vicolo per imboccare il marciapiede. I passanti subito lo scrutarono con una nota di tenerezza nel volto, comprendendo con una sola occhiata che avesse ricevuto una sorta di aggressione o rapina. Era tipico della vita americana, soprattutto se una persona come lui, priva di muscoli e sulle sue, non poteva proteggersi dai ragazzacci che lo prendevano di mira. Camminò lungo il marciapiede, dalla parte opposta dove erano andati Mike e Barrie, ed abbassò lo sguardo, portandosi il retro della mano sulle narici per asciugarsi nuovamente dal sangue. Grandioso. Doveva mettere il ghiaccio e non poteva andare a fare la spesa in quelle condizioni. 

Era così snervante quando la gente lo guardava tutta impensierita solo perché veniva picchiato e lasciato in qualche angolo del cazzo.

Se non gli fosse successo nulla, avrebbero fatto lo stesso?
Sarebbe stato meglio rimanere a casa.

Era tutto così stressante.

**

Quel ricordo svanì dalla sua mente non appena un tuono sovrastò il suono della pioggia e della musica che aveva alle orecchie. Noah non si mosse da quella posizione, né saltò dallo spavento; con le mani in mezzo alle ginocchia, la testa rimase china, gli occhi chiusi e l'espressione assorta, dalle sopracciglia aggrottate in un tormento che stava tentando di combattere con tutte le sue forze. Il cuore batteva forte, veloce, tanto da fargli aumentare la presa sul cellulare. Era travolto da un silenzio assordate che partiva dalla testa, sottomessa dal sentire quell'organo pompare contro i suoi ordini. Un suono scostante gli stava mandando un segnale, gli stava dicendo di ricomporsi, di risanare quello che per sbaglio si era incrinato.

All'improvviso percepì una vibrazione nelle sue mani; schiuse le palpebre, i capelli ricciolini davanti ad esse, tra i vetri bagnati e la pelle. Il suo cellulare stava squillando, interrompendo quella melodia che stava tentando di mantenerlo stabile. Osservò lo schermo.

Era Dave.

Lo stava chiamando. La sua palpebra ebbe uno spasmo involontario; staccò la chiamata dopo tre squilli.
Fu lì che arrivarono due messaggi da parte del soldato.

Noah, dove sei?
Per favore, torna a casa. C'è un tempo di merda fuori.

Non li visualizzò. Entrò nelle impostazioni e bloccò il numero, cosicché non gli arrivassero altre notifiche dei suoi messaggi, idem per le sue chiamate. Avrebbe dovuto capire che non gli avrebbe mai risposto.
Perché era consapevole da dove derivasse quel dannato atteggiamento.
Serrò i pugni, sbiancando le nocche già chiare per il suo colorito pallido, e si morse l'interno della guancia.
Eccolo. Eccolo lì il sentimento che odiava con tutto sé stesso.
A distanza di anni era ritornato a causa della nuova vita che aveva deciso di accettare.
Quel comportamento, quelle frasi...Dave lo stava facendo solo per...
Compassione.
Nonostante ciò che era accaduto in casa.
Aveva usato il matrimonio, l'argomento che Dave pativa più di qualunque altra cosa, il suo punto debole; l'aveva visto vacillare, ribollire dalla collera, finché non lo aveva picchiato e poi compatito.
Si morse il labbro inferiore per reprimere un digrignare dei denti sommesso.
Avrebbe voluto risparmiarsi di vivere nuovamente quella sensazione, di subire un simile trattamento; invece era successo con la persona con la quale aveva condiviso un fottuto tetto per un anno intero e che di sconosciuto – per quanto lo avessero ribadito mille volte – non aveva più niente. Perché era palese che se a Dave non fosse importato nulla di lui e fosse rimasto fedele ai patti, non avrebbe manifestato quell'atteggiamento intenerito e scomodante.

Quelle immagini... quelle immagini che si susseguirono senza il suo consenso, non volevano andare via. Perché, nonostante non fosse la prima volta che veniva picchiato, erano uscite proprio adesso? Cosa c'era di diverso dal suo monocromatico destino?
Dentro. Gli disse il cervello. Dentro.
Un altro tuono squarciò la notte, illuminando la sua sagoma fradicia. I suoi occhi brillarono al riflesso del fulmine che colmò il fascio di luce del lampione.
Le iridi grigie erano tornate come prima: vuote e costantemente furiose.
Il battito cardiaco rallentò, domato da quelle mura.
Tutto rimase dentro.
Ancora una volta.

________________________________________________________________________________

Angolo autrice:

Siamo giunti al termine della Terza Parte!
Che dire, è stata un parto.
Sono tematiche delicate, quelle che sono state trattate in questi capitoli, perciò sono stati molto complessi da scrivere.

Questo ultimo capitolo rappresenta la psiche di Noah; solo una briciola di quello che si porta dentro. Scrivere i suoi pov è sempre complesso e impossibile, perché non fa altro che tenersi tutto dentro, essere criptico con i suoi stessi pensieri per non ammettere mai quello che gli passa per la testa.

C'è solo una valanga di pensieri, di considerazioni misteriose che impediscono al lettore e a chi gli sta attorno di comprenderlo. 
Da scrittrice mi viene davvero complesso da gestire, perché dovrebbe nascondersi anche ai miei occhi e alle mie dita, nonostante io sappia tutto di lui. 

E per chiudere questa parte, vi lascio anche un disegno che ho fatto nel 2022.
Non sono bravissima, ma questa scena, che ho scritto solamente ad Agosto del 2023, era nella mia testa da un bel po' di tempo. È incredibile come idee sbocciate nel 2021 o nel 2022 abbiano visto la luce dopo tutto questo tempo. Non bisogna mai arrendersi o perdere la bussola.

Venerdì non ci sarà nessun aggiornamento, solo un aesthetic per la quarta e ultima parte e i volti di Dimitri e Iari. 
Le danze si apriranno martedì prossimo con un capitolo che affronterà, al contrario, il passato di Dave! Ci vediamo la prossima volta con il Capitolo 62: Egoismo.

Grazie per tutto! A presto!

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