UNREPENTAINT

Galing kay RibesHalley

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"Uno novembre. Ore zero quattro e sette di mattina. Il soggetto è esausto, sembra delirante. Si muove con len... Higit pa

Introduzione
Dedica
Traduzioni
1. Lost art of murder
2. Darkly, delicately
3. Let me ruin you
4. The D𝘢vil and I
5. Watch me when I kill
6. Nosey little fucker
7. No body, no crime
8. Flirting with death
9. D𝘢vil rolls the dice
10. It's called murder, baby
11. A taste for rough sex
12. Beautiful, violent, vulgar
13. Lethal lust
14. Cocaine, side boob
15. Cosmic feelings
16. Some like it violent
17. Is there sex after death?
18. Angel face, D𝘢vil thoughts
19. Can't catch me now
20. Wet dream
21. Witchcraft in your lips
22. Not yet corpses, still we rot
23. Murder, my sweet
24. Dark hair, whiskey eyes
25. Let me be your sickening desire
26. I'm not in danger, I'm the danger
27. Toss a coin to your horseman
28. You were born of the stars
29. They are the hunters, we are the foxes
30. Glory and gore
31. You and I both know this ends in blood
32. A burnt child loves the fire
33. Nobody smart plays fair
34. Fine, make me your villain
36. Blessed by luck
37. Judge, jury, executioner
38. Meet me at the graveyard

35. Lips of honey, eyes of fire

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Galing kay RibesHalley

C'è una crepa in ogni cosa
ed è da lì che entra la luce.

Anthem
di Leonard Cohen

⚜️








Dicono che il bacio di una volpe ti rubi l'anima.

In Giappone si racconta che alla kitsune basti un solo sfioramento di labbra per prendersi tutta la forza vitale di chi lo riceve.

Eppure mentre le labbra di Davil cedevano sotto la pressione delle mie, non potevo fare a meno di chiedermi... chi dei due fosse la volpe.

Una notte invernale come quella avrebbe ucciso anche l'animale più tollerante. Il gelo ci rivestiva i corpi ancora mezzi immersi nell'acqua del lago e le stelle attendevano il nostro giudizio insieme a noi.

Un bacio è un bacio. Come un sogno. Come una stella cometa. Come una freccia scoccata. Quando lo dai non torna più indietro.

E le sue labbra avevano l'esatto sapore che ricordavo, solo che ora che lo rivivevo era come tornare a immergermi in uno stato psicofisico estraneo dal mio stesso corpo. Come se quel sapore resuscitasse ricordi di una vita vetusta.

E il suo odore, il suo profumo legnoso impregnava l'aria come sangue grondante più di quanto non facesse quell'acqua con i nostri corpi.

La neve sotto di noi si mischiava al terriccio come la mia bocca alla sua. E quando la parte più oscura di Davil mi afferrò la guancia, mi sembrò di essere a un passo sbagliato dalla morte.

Lui ricambiò il bacio. Come si ricambia il sorriso di un bambino perso, come si guardano le stelle e l'aurora boreale per la prima volta. Timidamente.

E io annaspai contro la sua pelle, mentre gocce salmastre piovevano sulle mie guance. Se si poteva salvare qualcuno semplicemente baciandolo, quella ero io.

Ma se qualcuno poteva rubarmi l'anima, quello era lui. Davil.

E se c'era una cosa, una sola che la vita mi aveva insegnato... era che nessuno ti viene a salvare.

Così usai l'ultimo briciolo di speranza che mi era rimasto in corpo e sfruttai quel battito di ciglia per svincolarmi da lui.

Riuscii a staccarmi dalla sua bocca e a liberarmi della sua presa sul mio corpo. E poi ripresi a correre in acqua, ma quando ritornai sull'altra sponda e mi voltai a guardarlo. Solo allora me ne resi conto. Mi stava lasciando andare.

Dopo aver quasi sperimentato la bollitura, iniziavo a morire di ipotermia. Per questo presi a correre come una pazza.

Ritrovai la strada per Villa Crain, incespicando nella neve e tra i rami spezzati che tempestavano il bosco come un tappeto scricchiolante. Mi rintanai in quella casa vuota e chiusi la porta con doppia mandata.

E solo una volta lì, al sicuro, mi accasciai contro la porta e tornai a piangere, a singhiozzi. Con i palmi delle mani contro la bocca nel vano tentativo di trattenere quella cacofonia gutturale e dolorosa che mi sconquassava l'intero corpo.

Mi servirono un'infinità di minuti per calmare i tremori e solo quando finii le lacrime, mi accorsi che avevo davvero bisogno di riscaldarmi.

Il fuoco nel camino era morente, ma mi impegnai a ripristinarlo con qualche pezzo di legno lasciato lì vicino. Mi tolsi i vestiti bagnati e rimasi in intimo, seduta per terra, su una vecchia coperta di pile.

Il mio corpo si scaldò e ripresi a respirare meglio quando la temperatura si stabilizzò a un valore adatto, ma nonostante questo, tremavo ancora. Più di prima.

E le lacrime non avevano smesso di scorrere, nemmeno per un istante. Alla fine mi accasciai, stringendomi tra i lembi di una seconda coperta e ripresi a dormire. Nella speranza che quando mi sarei risvegliata, tutto sarebbe stato diverso.

A schiudermi le palpebre fu un raggio di sole solleticante, filtrato dalla finestra. E quando mi ricordai della tana in cui mi trovavo, un brivido di freddo mi trafisse la schiena.

Mi strinsi nella coperta che mi copriva, il fuoco si era spento del tutto e con lui anche la neve fuori iniziava a sciogliersi. Alla svelta, mi misi in piedi e raggiunsi la finestra.

E solo dopo aver guardato oltre, notai il corpo accasciato davanti l'entrata.

«Davil». Il suo nome risuonò tra le mie labbra, mentre con coraggio aprivo la porta e mi catapultavo tra le sue braccia. «Davil», ripetei, in ginocchio vicino a lui.

La sua pelle era gelata, si svegliò e mi osservò spaesato mentre mi toglievo la coperta di dosso per potergliela poggiare addosso.

«Vieni dentro», lo invitai, aiutandolo a mettersi in piedi.

Non mi chiese cosa era accaduto, nemmeno quando dieci minuti più tardi ci ritrovammo di fronte ai rimasugli del caminetto che tentai invano di ravvivare. Alla fine, dopo aver indossato alla svelta uno dei suoi maglioni larghi e caldi, mi decisi a rubare una stufetta dal suo bagno e ad accenderla in soggiorno.

«Come ti senti?» gli domandai, porgendogli una tazza di tè e prendendo posto accanto a lui sul divano.

Era perso. Ma anche bellissimo. Selvaggio, reduce da una nottata come quella. Il suo colorito era pessimo, ma questo non lo rendeva meno attraente. Anzi, quella patina vellutata di occhiaie lo rendeva ai miei occhi più umano e vulnerabile, era un segno di quello che aveva passato, una ferita impressa che lascia il segno.

«Come uno che è stato all'Inferno, ma non se lo ricorda».

«Mi dispiace...»

Prese un sorso di tè e poi lo lasciò andare sul tavolino.

«La tua collana», disse, serafico.

Il suo tono mi colse impreparata, mentre istintivamente mi portavo la mano al petto solo per ricordarmi che non fosse lì con me.

I suoi occhi diversi mi studiarono a fondo, mi osservò attraverso ciglia ancora umide e cupezza nell'espressione.

«L'ho lasciata al dormitorio».

«Te l'ho data per una ragione».

«Come vedi, non ne ho bisogno».

«Kerys, ti ho quasi uccisa. Cazzo!»

Davil si mise in piedi, togliendosi di dosso la coperta e restando a petto nudo.

«Non l'hai fatto...» lo seguii, nel tentativo di fronteggiarlo. «E poi come puoi sapere quali fossero le tue intenzioni?»

Non gli avevo ancora raccontato nulla di quella notte eppure lui sembrava saperne più di me. Per un attimo pensai che per davvero non fosse ancora più in lui, ma poi si voltò per tenersi la testa tra le mani e cercare di calmare la rabbia.

Sentivo il suo ansito profondo, vedevo le sue spalle alzarsi e abbassarsi in maniera convulsa e il peso di quella notte mi gravava come non mai. Anche io avevo commesso qualcosa di atroce.

Posai una mano sulla sua scapola e i suoi muscoli si illanguidirono, sembrò bloccarsi in una calma glaciale. Ma poi, lentamente, si voltò per inchiodarmi di nuovo con lo sguardo.

«C'è stato un momento...»

Non lo avrei mai lasciato da solo in quella situazione, non dopo quello che avevo fatto. Ero stata io stessa a provocarlo.

«Un momento soltanto... in cui mi è sembrato di vederti».

Sentivo le lacrime sgorgare tra le ciglia, mentre gli afferravo il volto e lo costringevo a guardarmi ancora. Le sue guance ispide vibrarono contro i miei polpastrelli.

E la sua bellezza mi travolse, lui lì a petto nudo e gli occhi del diavolo. Con i capelli umidi e il volto smussato da una vita di dolore.

«Tu mi hai lasciata andare».

Le sue mani si posarono sulle mie e le strinse forte a sé, inspirò profondamente e chiuse le palpebre. Come per bearsi di quell'istante, della mia pelle contro la sua.

Poi riaprì lo sguardo su di me, con una nuova consapevolezza in volto. E il cuore mi precipitò nel petto.

«Tu dovevi uccidermi, questa notte».

«E chi si sarebbe poi preso la colpa del mio crimine, se tu non fossi stato più qui?»

Quell'inverno sembrava interminabile sulla sua pelle e anche sulla mia, il mio cuore erratico scalpitava nel petto. Ogni fibra di me stessa mi diceva che dovevo stargli lontano, che lui era il pericolo peggiore che mi potesse mai capitare. E forse io speravo di essere il suo.

«Devi andare via adesso».

Davil fece un passo indietro e la mia presa su di lui si sciolse, costringendomi a riportare le mani lungo i fianchi.

«No», tentai di dire, soffocando quasi nel mio stesso respiro tra un singulto e l'altro.

«Cazzo!» gridò. E io tremai, presa alla sprovvista dalla sua furia improvvisa. «Vai via da questa casa, ora».

Il suo tono non accettava repliche ed era chiaro da come mi guardava che non mi volesse lì. Così afferrai le mie poche cose poggiate sul tavolo lì vicino e senza aggiungere nulla, corsi fino all'uscita.

Non mi preoccupai nemmeno di chiedermi come sarei tornata al dormitorio, mentre mi richiudevo la porta alle spalle. Tutto ciò che riuscii a fare fu prendere a correre, sperando che le mie gambe mi avrebbero portata al sicuro.

Lontana da lui.























«Le selezioni sono terminate mesi fa, Kerys».

Fergie continuava a scarabocchiare sul suo quaderno degli appunti, seduta alla nostra scrivania con il computer davanti. Io invece ero nel mio letto e cercavo invano di leggere uno dei miei libri.

Gli ultimi giorni non erano stati semplici. Dopo la nottata a Villa Crain, le mie giornate si erano incupite e dilatate inesorabilmente. E la cosa non mi piaceva affatto.

Così avevo deciso di tornare a capofitto nello studio, c'era solo un piccolo inconveniente.

«Lo so, ma non so se Bonavick continuerà il tirocinio e io ho bisogno dei crediti extracurricolari. Non posso fare qualcosa come portarvi le bevande o i pom pom?»

«Non hai detto che ve lo avrebbe dato come per eseguito lo stesso?»

«Sì, ma cosa scriverò nella domanda di ammissione alla scuola di legge?» richiusi il libro e mi sistemai meglio contro la testiera. «Tirocinio iniziato e mai finito, non siamo riusciti a capire le dinamiche e il colpevole degli omicidi. Ma in compenso sono stata su un sacco di scene del crimine, non proprio da considerarsi tali, ma messe su da un pazzo omicida».

«E pensi che dicendo che hai fatto la cheerleader la cosa potrebbe avvantaggiarti?» mi beffeggiò, abbandonando i suoi studi solo per girare sulla sedia con le rotelline e guardarmi in volto.

Avrei dovuto capire già da lì, che qualcosa le frullava in mente.

«Meglio di un caso non risolto, sicuramente».

«Kerys... ne hai passate tantissime, dall'estate scorsa. Prenditi un momento per stare tranquilla. Non fa niente se avrai qualche credito in meno, sono sicura che lo capiranno».

«Tu non capisci, Fergie».

«Invece lo capisco benissimo», la guardai scorrere con la sua sedia solo per farsi più vicina. «Ma faremo finta che non stai cercando di impegnare le tue giornate per non pensare all'uomo per cui hai una cotta».

Avvampai all'improvviso e nel notare il suo sorrisetto, mi sentii morire dentro. Era soddisfatta di quell'agguato traditore.

«Dici Caden?» domandai, vagamente, tornando con gli occhi sul libro aperto tra le mie mani.

Fergie mi esaminò a lungo, era chiaro che qualcosa non la convincesse. «Mh-mm certo, Caden...» mormorò poi, dandomela vinta. «A proposito, non ti devi preparare per la raccolta fondi?»

«Sì, dovrebbe passarmi a prendere tra non molto». Scrollai le spalle, contenta che avesse trovato un altro argomento su cui concentrarsi da quella conversazione.

«E tu sei ancora in pigiama!» solo a quel punto Fergie si mise in piedi e mi raggiunse per togliermi il libro dalle mani. «Datti una mossa che ti aiuto io a mettere a posto quei capelli e quel muso troppo imbronciato per una che sta per andare a un appuntamento con il ragazzo per cui ha perso la testa».

«Fergie!» quasi non gridai, quando mi afferrò per un braccio e mi fece saltare letteralmente giù dal letto.

Ma alla fine le fui grata per l'aiuto che mi concesse, perché per quando Caden mi passò a prendere, ero ormai pronta ed ero quasi sicura che da sola non avrei saputo dove mettere le mani.

A partire dal vestito che avevo rubato dal suo armadio, un abito da sera lungo in seta argentato dalle sfumature viola, per terminare con i capelli biondi che mi aveva sistemato in una coda alta ed elegante.

Se devo essere onesta, mentre mi guardavo allo specchio, il mio desiderio di dirigermi a quella cena era svanito del tutto. Cavanough mi aveva chiamata solo il giorno prima per avvisarmi che stavano seguendo una pista riguardo il mio caso, ero quasi sicura che sperasse di ricavare qualcosa da quella cena di beneficienza esclusiva, organizzata dal rettore Averill. Ma dal suo tono di voce si sentiva che anche lui non ci credeva molto.

Ogni indizio portava a un vicolo cieco. Ed ero certa che quella sera non avrei trovato nulla che mi riguardasse, eppure sapevo che lui sarebbe stato lì.

Davil Crain era un pensiero conturbante nella mia testa. Non lo vedevo da quella mattina, da quando mi aveva cacciata via da casa sua.

E avrei voluto dire che la cosa non mi disturbava affatto, ma per quanto mi impegnassi a cercare una valida ragione per togliermelo dalla testa, io proprio non ci riuscivo.

Caden mi passò a prendere puntuale e quando mi vide sembrò quasi restare sorpreso nel vedermi vestita in quel modo. Non avevo le solite Mary Jane, ma un paio di tacchi alti abbinati al vestito. Per una sera avevo detto addio alle minigonne e ai gilet e non mi sembrava quasi vero.

«Il nostro maniero è fuori città», mi spiegò, mentre metteva in moto l'auto.

La notte si stagliava come un velo opalescente fuori dai finestrini e Caden sembrava uscito da un vecchio film anni '50 mentre si inoltrava tra le strade di Montpelier. Era attraente, ma da quando avevo scoperto che mi aveva mentito non riuscivo a fare a meno di notare che il mio affetto per lui era diminuito notevolmente.

«È in mezzo a una distesa di verde, tra campagna e bosco... vedrai ti piacerà. Abbiamo dei cavalli e un sentiero per le gare».

«Sembra bellissimo».

«Tu lo sei».

Sorrisi a quel complimento e abbassai lo sguardo, forse convincendolo di essermi intimidita di fronte a quella constatazione. Ma la verità era che ero tremendamente in ansia sotto il suo modo insistente di guardarmi.

Arrivammo presto all'enorme villa padronale. Nascosta quasi dalla notte, sembrava l'unica nel raggio di miglia. La neve l'aveva ricoperta, ma la bellezza di quello stile gotico e decadente era lampeggiante anche così.

Caden lasciò l'auto a un parcheggiatore e mi porse il braccio, mentre tra gli altri invitati ci inoltravamo alla festa.

«Chi sono tutte queste persone?» gli domandai, quando l'ambiente caldo e luminoso di casa sua ci travolse.

Abbandonai il cappotto alla servitù, mentre lui mi rispondeva. «Potenziali investitori», sorrise. «Per l'università».

Volevo chiedergli di più, domandargli cosa intendesse nello specifico. Ma fummo presto interrotti.

«Kerys», il padre di Caden si fece avanti. Il rettore era vestito più elegante che mai, più di quanto ricordassi dalla cena di Natale. «È un piacere rivederti».

«Lo è per me, rettore Averill». Ricambiai la stretta di mano che mi porse, forse più timidamente di quanto avessi desiderato.

«Verrai a vedere la gara, più tardi?»

Rimasi sbalordita a quella domanda, chiedendomi cosa intendesse. Ma fu Caden a rispondere al posto mio.

«Certo che ci sarà, non preoccuparti papà».

«Bene, a più tardi allora», ci congedò l'uomo, prima di dirigersi verso altri ospiti.

«Di quale gara parla?» la curiosità si fece spazio in me con una scarica di adrenalina, mentre Caden prendeva due bicchieri di champagne dal cameriere che passava di lì. Afferrai quello che mi porse.

«Oltre all'asta di beneficienza che facciamo ogni anno, mio padre organizza anche una gara tra cavalli. Le scommesse verranno devolute all'università».

«Gara tra cavalli?»

«Diciamo che non è una cosa ben vista». Era il suo modo di dirmi che non fossero del tutto in regola.

E per un attimo, un attimo soltanto, mi venne da ridere per il sollievo. Cavanough aveva parlato di Averill come se avesse chissà quale terribile segreto da nascondere e invece era tutto lì... scommesse tra cavalli.

La mano di Caden scivolò nella mia e incrociò le sue dita alle mie in un gesto quasi istintivo, allora mi affrettai a voltare la testa per poterlo guardare, ma presto la mia attenzione fu attirata da tutt'altro.

Lui era poggiato contro il bancone dell'angolo bar, stringeva tra le mani un bicchiere pieno di whiskey che immaginai essere molto costoso. Il vestito elegante, i capelli ordinati, la cravatta al collo come il cappio di un condannato... era la mia attrazione fatale.

«Tu cavalchi, Kerys?» mi domandò Caden.

La testa mi andò in confusione, mentre quei due occhi opposti planavano sul mio corpo come un aereo in rotta in mezzo al mare. E si schiantavano tra le onde effimere della stoffa del mio vestito.

Ripensai a lui sotto di me, immersi nella vasca. Ai miei movimenti convulsi, al respiro mancante, all'acqua bollente. Ai giramenti di testa. Al mio bacino su e giù su di lui.

«Sì, cavalco».

Mandai giù un sorso di champagne, ma non bastò a rinfrescare la gola a secco.

«Hai mai fatto delle gare?»

«Quando ero più piccola, per divertimento».

Distolsi finalmente lo sguardo da Davil per poterlo concentrare su Caden che mi osservava con una certa attenzione, come se avesse voluto trapassarmi con lo sguardo e guardarmi dentro il torace.

«Ti piacerebbe giocare, stasera?» chiese, con estrema cautela nel tono della voce. «È per beneficienza. Posso lasciarti il mio cavallo, se vuoi. E se vinci ottieni un premio omaggio».

«Di che premio si tratta?»

«Una bottiglia di vino molto pregiato».

«Forse non è il caso», tentai di dire. «Con questo vestito...»

«Non ti preoccupare per questo», Caden sembrava davvero su di giri quella sera. «Se vorrai ti presteremo noi qualcosa».

«È che non vado a cavallo da molto...» sentivo il caldo improvviso e dettato dall'ansia inumidirmi la pelle, mentre poggiavo il bicchiere su uno dei tanti vassoi che i camerieri facevano circolare tra la folla.

E poi accadde una cosa che non mi capitava da tempo. La musica lounge che risuonava nell'aria si mischiò presto a note più classiche e lo riconobbi subito. Tchaikovsky.

In preda a un malore subitaneo, mi guardai intorno alla ricerca della fonte di quel suono. Qualcuno suonava dal vivo, a un pianoforte nella sala principale, una sala da ballo capace di eguagliare quelle ottocentesche, ma non riuscivo a vedere di chi si trattava a causa della folla che tempestava la sala. La gola mi rantolò e mi portai una mano tra i capelli.

Presto il respiro prese a mancarmi.

«Vorrei andare un momento in bagno, se non ti dispiace», tentai di dire, rivolgendomi a Caden. Ma ero sicura che le mie parole fossero confuse persino a lui.

«Certo, ti accompagno», mi propose, già pronto per farmi strada.

«Non serve, basta che mi spieghi dove trovarlo».

«Sali al piano di sopra. C'è un corridoio che porta a un terrazzo, su un delle pareti c'è una porta. Lo troverai lì».

«Grazie». E senza esitazione mi impegnai a seguire il tragitto che mi aveva suggerito.

Salii le scale reggendomi al corrimano a fatica, con la musica che mi annebbiava la mente era difficile capire dove mi trovassi. Sotto il mio sguardo, la dimora Averill si trasformava in una vecchia stanza ammuffita. E il mio vestito mi riportava alla mente lenzuola sporche.

Avanzai fino al piano di sopra, fino a quando il vociferare dei partecipanti non si attenuò e con esso anche la musica. Avevo bisogno di aria.

Per questo raggiunsi la terrazza invece del bagno e mi aggrappai alla ringhiera non appena l'aria fresca mi travolse, il vento prese ad accarezzarmi i capelli e a pizzicarmi la pelle di tanti piccoli brividi.

La musica ora non c'era più, ma la sinfonia della morte incombeva su di me come fuliggine nell'aria. Mi sentivo mancare il respiro.

Sei una dalia nella neve. Mi diceva, mia mamma. Ma quella volta, ripetermelo non mi aiutò a tornare alla realtà.

Il mio petto ballava troppo furiosamente, i polmoni sembravano non riuscire più ad assorbire aria. Mi portai le mani sul volto, cercando di tenere a bada quella sensazione logorante, ma fu impossibile. Il tempo intorno a me si cristallizzò.

Dicono che il bacio di una volpe ti rubi l'anima... e quello di un cacciatore?

Labbra pregne di vita mi sfiorarono la colonna vertebrale e si impressero proprio lì, tra le mie scapole. La dolcezza di quel contatto mi travolse, facendomi scordare di tutto il resto.

E mi sembrò quasi che chi mi avesse baciata, avesse appena fatto un esame post mortem su di me, aprendomi il torace e rimettendo al suo posto quel cuore fasullo che mi ritrovavo.

Quelle labbra appartenevano a un mondo perduto e quando presero a scorrere verso l'alto, il piacere più corroborante mi riportò alla realtà. Raggiunsero il mio orecchio e le sue mani mi accerchiarono, posandosi sul bordo del terrazzo.

«Presa».

Un sospiro di sollievo mi fece tornare a respirare. E solo allora trovai il coraggio di togliermi le mani dal volto e di guardare la distesa innevata che avevo davanti.

La notte era ancora lì, stellata più che mai. Il mondo non era cambiato, la musica aveva continuato a suonare al piano di sotto e tutto quell'affanno mi aveva lasciata senza forze.

«Mi dirai mai, perché la musica classica ti fa questo effetto?»

Davil era una sicurezza inaudita alle mie spalle, non mi toccava eppure riusciva a farmi percepire la sua intera presenza.

«Così potrai scrivere anche questo, tra i tuoi appunti?»

Ero arrabbiata con lui, per avermi cacciata via, mentre ora era di nuovo lì. Ero arrabbiata perché ero arrivata al limite della sopportazione, non volevo più quella vita, ma non volevo nemmeno morire.

«Così potrei fartela amare di nuovo».

«Tu non sei bravo con l'amore».

Non avevo il coraggio di voltarmi a guardarlo, ma sentivo il suo respiro sbattere contro il mio collo nudo e a ogni ansito la sua esasperazione mi colpiva in pieno.

«Non per come lo conosci tu».

«Kerys!» una terza voce si aggiunse alla nostra.

Prima di poter essere visti insieme, Davil si fece da parte e mi permise di voltarmi e prendere le distanze, solo per vedere un attimo dopo Caden fare il suo ingresso.

«Eccoti qui», sembrò ignorare Davil al mio fianco senza problemi, mentre a passo lento mi dirigevo verso di lui. «La gara sta per iniziare, è meglio se andiamo».

Caden mi prese di nuovo la mano, ma prima che potesse trascinarmi di nuovo dentro, mi voltai a guardarlo un'ultima volta.

Era bello da impazzire vestito in quel modo, mentre si accendeva una sigaretta. Impressi quell'immagine nella mia memoria con un banale battito di ciglia e poi seguii Caden via, consapevole che Davil doveva starmi alla larga, ora più che mai.

Il ragazzo che mi stringeva la mano non la lasciò andare fino a quando non raggiungemmo il retro del maniero, ma proseguì guidandomi fino all'ippodromo sotto il chiaro di luna, dove un pubblico cospicuo ed entusiasta si era radunato.

Da piccola, io e papà Clifford ci divertivamo a giocare sfidandoci, ma non avevo mai fatto sul serio una gara. Non una di quelle vere. Eppure l'idea mi eccitava da morire.

«Hai fatto la tua scelta?» mi chiese Caden, mentre ci inoltravamo nella stalla.

«Sì».

«Lui è Sinir, è un purosangue inglese».

Osservai l'animale dal manto nero e il portamento regale. «Ciao», gli accarezzai il muso, calpestando il fieno per avvicinarmi e stringere amicizia con lui.

Non avevo dovuto dire ad alta voce a Caden la mia scelta, non ce ne fu bisogno perché aveva già compreso. «Sei pronta?»

«Sì».

«Un'ultima cosa», mi avvisò. «Se perdi ci sarà una penalità da pagare. Te la senti?»

«Di cosa si tratta, Caden?»

«Dovrai partecipare all'asta di beneficienza... come premio».

«Che cosa intendi?»

«Lo vedrai...» mentre mi parlava, sentivo la folla fuori e un presentatore dare il via a una delle tante gare della serata. «Allora, ci stai o no?»

«È per una buona causa, no?»

«Giusto», Caden mi dedicò un sorriso sbilenco. «Allora ti lascio da sola, per prepararti. Hai bisogno di qualcosa?»

«Me la cavo benissimo così, grazie».

«Buona fortuna», fu tutto ciò che mi disse, prima di lasciarmi un bacio sulla guancia.

Non era chiaro nemmeno a me stessa perché avessi accettato di infilarmi in quella situazione, ma sentivo l'adrenalina scorrermi dentro a fiotti.

Per questo mi tolsi i tacchi e nonostante il vestito, salii a cavallo, facendo attenzione a guadagnare la sua fiducia. Sinir sotto di me mosse gli zoccoli e fece qualche passo avanti, fino a portarmi fuori dalla stalla.

La folla era nel delirio più puro, sembravano tutti incredibilmente eccitati per quell'incontro. Ma erano tutti volti sconosciuti e io non mi sentivo del tutto a mio agio.

Cercai Caden nella folla e lo individuai, il suo entusiasmo mi contagiò all'istante e così cercai di riguadagnare fiducia in me stessa. Ma tutto presto si sgretolò.

Perché mentre mi avvicinavo alla mia postazione, mi resi conto che quello era un duello. E che il mio sfidante non era altro che un uomo dall'animo infuocato.

Un uomo che indossava i colori della notte come un mantello regale e sedeva composto come un re, vestito del suo completo elegante e del suo sguardo speculare.

Il cavallo sotto di lui scalpitava già e sollevò la sabbia in una nube focosa, l'animale era pronto a partire. E non è del cavallo che parlo.

Davil Crain sostava sul suo destriero come un cavaliere pronto a combattere la sorte. Ma la sua sorte ero io e lui era la mia.

La frenesia del pubblico era adrenalinica, lui che mi fissava in quel modo ancora di più.

Un arbitro si avvicinò per accertarsi che fossimo entrambi pronti e una volta dato il via, Sinir sotto di me fece un allungo decisivo.

Il terreno prese a vibrare sotto il galoppo di quella corsa furiosa. Il vento mi sferzava tra i capelli ed ero troppo preoccupare ad aizzare il cavallo nella corsa, per rendermi del tutto conto del plauso del pubblico.

Ma lui, a poca distanza, reggeva fieramente quel ritmo incalzato.

Mi abbassai contro l'animale, quando saltò uno degli ostacoli e poi riprese a correre. E poi mi voltai a guardare Davil, nel pieno della sua eleganza atletica, solo per rendermi conto che lui mi stava già fissando.

E mentre sferzavamo a una velocità inaudita, la mia anima si incatenò alla sua. Incedevamo entrambi possenti in quel percorso, eravamo due cavalieri in una faida per la vita.

C'è chi ti rincorre e chi corre al tuo fianco. Io in lui avevo trovato entrambe le parti.

Presto però si fece più vicino alla mia traiettoria e sentii la testa vorticare leggermente, le redini mi scivolarono da una delle mani per un breve momento. Sinir sotto di me vacillò di fronte a quella perdita di guida, il poco necessario per permettere a Davil di tagliare il traguardo un attimo prima di me.

Tentai così di fermare il cavallo, per cercare di riacquistare il comando. Ma lui non mi diede retta, con un salto veloce scavalcò il recinto e prese a correre fino al bosco di conifere, ancora ricoperto dalla neve più fitta.

«Sinir!» tentai di chiamarlo, ma non volle darmi ascolto.

Cercai più volte di fermarlo e richiamarlo, ma sembrava voler fare di testa sua, per questo fui costretta ad aggrapparmi a lui con violenza, nella vana speranza che si sarebbe presto calmato. Ma non accadde.

Presto qualcuno però chiamò il mio nome e quando, ancora al galoppo, mi voltai a vedere di chi si trattasse, persi un battito nel vedere Davil alle mie spalle intento a inseguirmi.

Il cavallo imbizzarrito sotto di me alzò le gambe anteriori, forse stufo di dovermi scortare. E per poco non precipitai a terra, mentre l'animale mi abbandonava lì e prendeva a correre.

Per fortuna, un paio di braccia mi raccolsero prima che potessi schiantarmi al suolo. Davil era sceso per raggiungermi giusto in tempo.

***

Pochi minuti più tardi, ero seduta di fronte a lui sul suo cavallo, alla ricerca della via per tornare alla villa degli Averill.

«Certo che per essere una che va a cavallo, cadi un po' troppo spesso».

«Sta' zitto», mormorai, cercando di sistemarmi meglio. La sua presenza alle mie spalle era ingombrante e assurdamente magnetica. «Piuttosto, dove stiamo andando? Sicuro sia questa la strada?»

«Sarebbe più semplice trovarla se la smettessi di muoverti in questo modo».

Mi voltai a osservarlo da dietro la spalla, solo per notare la sua mandibola tirata e i capelli in disordine.

«Sei qui con Daphne, non è vero?» gli domandai, in un sussurro. Ponendogli la domanda che avevo cercato di ignorare per tutta la serata.

«Sai che non sono qui per divertirmi», alluse alla conversazione che aveva avuto con Cavanough, mentre ero nascosta sotto la sua scrivania. «Tu, invece, sembri molto contenta di stare con quel bugiardo».

«Perché, tu invece dici sempre la verità?» beffarda, tornai a guardare davanti a me.

Ma lui presto si appropriò del mio corpo, la sua mano corse fino al mio fianco e si fece più vicino. E allora compresi chiaramente l'effetto che avevo su di lui.

La sua voce profonda si fece spazio in una tempesta di brividi lungo il mio collo, fino al mio timpano.

«Posso dirti che stasera, vestita così tra le mie gambe, sto seriamente pensando quanto sia malato desiderare di scoparti su un cavallo».

«Davil».

«Non dire il mio nome in quel modo, piccola volpe».

«Non sto usando nessun modo».

«Sì invece, e lo sai».

«E quale modo sarebbe?»

«Quello di chi non riesce a trattenere le fantasie».

Il cavallo sembrò iniziare a capire che non sapevamo più dove dirigerci in quella boscaglia fitta e presto prese posizione, ritrovando il sentiero di casa da solo.

Non appena fummo nella stalla, Davil scese e aiutò anche me a fare lo stesso. Recuperai le mie scarpe e le infilai, mentre lui si preoccupava di sistemare l'animale nel recinto.

«Adesso mi dirai di nuovo di andare via?» gli chiesi, mentre con una mano si allargava la cravatta stretta.

Il fieno scricchiolò sotto le sue stringate, mentre con pochi passi dimezzava le distanze tra di noi.

«Non hai messo la collana».

«Non ci pensi che così come posso usarla io, qualcun altro possa usarla contro di me? Che è solo un'arma in più per chi potrebbe aggredirmi?» lo fronteggiai, a mento alto. «Forse dovresti tornare da Daphne».

Feci per andarmene, ma lui mi bloccò, afferrandomi l'avambraccio.

«E tu dovresti smetterla di fare la ragazzina».

Eravamo scintille incandescenti, mentre ci sfidavamo con gli occhi di chi ne ha viste troppe.

«Non lo capisci, dottor Crain?» gli chiesi, esasperata. «Io sono una ragazzina! Devo ancora prendere il bachelor e fare tutte quelle cose che fanno le ragazzine come me».

Ma poi lui fu a pochi centimetri da me, con il suo volto tanto angelico quanto tenebroso.

«Tu sei la mia ragazzina», e io mi sciolsi in mille fibre di sogni, mentre mi chiamava in quel modo. «E questo lo devi tenere bene in mente e in tutte le altre parti del tuo corpo, quando qualcun altro ti afferra la mano».

Davil mi fece rigirare tra le sue braccia, così la sua mano corse fino al mio palmo. E la strinse. Incrociò le dita con le mie, facendomi vibrare compulsivamente dal desiderio.

«Questi...» la sua mano raggiunse poi il fermaglio tra i miei capelli e le sue labbra calarono sul mio collo come una benedizione divina. Presto sentii la chioma liberarsi lungo la mia schiena e mi accorsi che era stato lui a sciogliermi la coda. «Li preferisco così. Sono più selvaggi, come te».

Il suo petto si ancorò alle mie scapole e la sua eccitazione smussò la stoffa dei nostri vestiti, sfregando tra le mie natiche acerbe, fino a raggiungere la mia bassa schiena.

«Tieni sempre bene a mente, a cuore... e qui», la sua mano scivolò fino allo spacco del mio vestito e i suoi polpastrelli raggiunsero il mio inguine, accarezzandolo a pochi millimetri di distanza dall'orlo delle mie mutandine madide. «Che mi appartieni».

E sentii tutto di lui, visceralmente. Era un connubio di erotismo e raffinatezza, al limite dell'estasi più totale.

Ma presto dei passi ci raggiunsero e prima che potessi rendermene conto, Davil mi aveva lasciata andare definitivamente.

«Kerys, sei qui?» Caden ricomparve e quando mi vide sembrò rasserenarsi.

«Sì, ci sono». Feci un passo verso di lui.

«Andiamo, l'asta sta per cominciare. Devi tenere fede al tuo patto».

Annuii, seguendolo fuori dalla stalla. Ma questa volta non mi guardai indietro, perché la testa sembrava iniziare a pesarmi sulle spalle.

Caden prese a spiegarmi come si sarebbe svolta l'asta, ma non riuscii a seguire il flusso delle sue parole mentre camminavamo sui ciottoli scricchiolanti.

«Certo che sei una difficile da far cedere...» mi disse, mentre ci fermavamo per permettermi di riprendere fiato.

Ma le vertigini erano estenuanti e io iniziavo a vedere tutto sfocato. «Che cosa vuoi dire...» non riuscii a terminare la frase.

La vista mi si oscurò totalmente e prima che potessi cadere in un sonno profondo, riuscii a sentire Caden afferrarmi e pronunciare un'ultima frase.

«Ti ho dato lo champagne due ore fa, ce ne doveva mettere una e mezza. Ma ce lo faremo andare bene lo stesso».























«Benvenuti, impenitenti».

Fu la voce del presentatore a risvegliarmi. Quando riaprii gli occhi, faticai a riprendere il focus della situazione. La testa mi pungeva dal dolore fino alle meningi e avevo la vista appannata, le orecchie persino mi fischiavano.

Ma presto riuscii a riguadagnare consapevolezza di me e mi accorsi di non avere idea di dove mi trovassi. O forse sì.

Quella doveva essere ancora la villa degli Averill, perché riconobbi alcuni dei volti presenti, ma era una stanza che non avevo visto prima di quel momento.

L'ambiente era poco illuminato, le pareti nere mi ricordarono quelle dell'Inverroche e del Barnaby Hotel. Mi resi conto di trovarmi seduta dietro il tendaggio di un palcoscenico e che di fronte a me era radunata una piccola folla.

Non riuscii a distinguere tutti i volti, ma la voce del presentatore mi aiutò a riacquistare un po' di lucidità in mezzo a tutto il frastuono che mi vorticava in testa.

«Qui abbiamo un bellissimo collier molto antico. Prezzo di partenza: diecimila dollari».

«Io ne offro quindicimila!»

«Sedicimila!»

«Ventimila!»

«Nessun altro offre di più?»

I numeri, le parole, le voci si accodarono una dietro l'altra e io non riuscii più a distinguere molto, se non che avevo i polsi legati.

Sentii il presentatore aggiudicare l'asta, ma poi qualcuno si avvicinò a me.

«Vieni, adesso».

«Caden... sei tu?»

«Sì, fai come ti dico e forse ne uscirai viva».

Un brivido di terrore mi percorse la schiena. E mi resi conto così che non sarei mai riuscita a difendermi in quelle condizioni, camminai a fatica, reggendomi a lui, verso il centro del palco.

Il presentatore mi affiancò, sorridendo divertito. E solo allora lo riconobbi. Il rettore Averill.

La sua voce risuonò negli altoparlanti. «Ma eccoci con il pezzo forte della serata. Una studentessa modello, potete avere una notte con lei nella stanza di velluto. Prezzo di partenza... direi cinquantamila».

La luce di un faretto appeso al soffitto mi colpì le iridi e solo allora mi risvegliai completamente.

A quel punto, notai chiaramente chi si mise in piedi e si fece avanti con la prima proposta.

«Ne offro centomila».

Si trattava del ragazzo che avevo incontrato in biblioteca solo qualche giorno prima.

Aspen.














Felice davildì a tutti 🦊
Come state?

Perdonate la mia lunga assenza, ma come sapete avevo una pubblicazione da portare avanti, quella di Chemical Hearts. Prestissimo inizierò anche a lavorare al secondo volume, ma sappiate che questo non mi fermerà dall'aggiornare Unrepentaint e rompervi le scatole con questi personaggi un po' pazzi

Mi sento di dire una cosa, però. Ho avuto diverse volte il desiderio di smettere di aggiornare questa storia da quando ho ripreso a settembre (dopo avervi già pubblicato la trama e l'intero cast a gennaio 2023), non perché avessi problemi a scriverla, ma perché ho notato che qualcuno sta prendendo un po' troppa ispirazione da quello che pubblico. Sapete quanto ci tengo a dare vita a qualcosa di originale, che abbia anche riferimenti che non credo sia facile ritrovare nei romance e in questo caso direi che uno tra tanti è la caccia alla volpe. Ma non voglio stare qui a disquisire su tutto ciò, perché negli anni ho visto tante delle mie idee prese e rielaborate e ho sempre evitato di parlare, nonostante le troppe segnalazioni.

Credo ci siano lettrici tra di voi che mi conoscono da persino prima che tornassi a scrivere su Wattpad nel 2020 con Labentia Signa e sanno che ho sempre trovato qui un rifugio fin da quando avevo 15 anni, ho sempre pubblicato le mie storie con estrema dedizione nonostante le similarità che ho riscontrato purtroppo troppe volte. Sicuramente non mi fermerò dall'aggiornare Unrepentaint proprio adesso, ma Wattpad non mi tutela in questo e ho preso la decisione di riservare molte cose di questa storia per un eventuale e futura pubblicazione cartacea, che mi auguro prima o poi ci sarà. E vedrò anche se avrà senso anticiparvi la prossima storia qui o sarà il caso di pubblicarla direttamente.

Detto questo, spero che questo capitolo vi sia piaciuto. Mi dispiace se non è sufficientemente lungo per essere uno solo, ma la motivazione è semplice: è stato ideato insieme al successivo che per via degli impegni di questo periodo non sono riuscita a farvi avere completo e in tempo per un doppio aggiornamento. Ma sicuramente arriverà la prossima settimana!

In tutto ciò io ancora devo preparare la valigia per partire, perché sì, ci vediamo sabato al Festival del Romance e domenica alla Mondadori in Duomo per un firmacopie speciale. Con me avrò tanti gadget (letteralmente una valigia intera) e perciò vi aspetto in tantissime! 🩷

Vi mando un abbraccissimo e grazie per esserci sempre,
Sofi

Ipagpatuloy ang Pagbabasa

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