The night drowns in dawn

By Myrskyla

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Fantasy romance a cavallo tra due mondi. Iris è irrequieta e imprevedibile, proprio come quell'oceano che fin... More

PROLOGO - IRIS
CAPITOLO 1 - L'ADDIO
CAPITOLO 2 - OSPITI
CAPITOLO 3 - LA CENA
CAPITOLO 4 - RIVELAZIONI
CAPITOLO 5 - IRIS O NAYA
CAPITOLO 6 - IL BRANCO
CAPITOLO 7 - IL TEMPORALE
CAPITOLO 8 - LA FUGA
CAPITOLO 9 - LA PREDA
CAPITOLO 10 - FACCIAMO UN GIOCO
CAPITOLO 11 - IL PRIGIONIERO
CAPITOLO 12 - ALLA FONTANA
CAPITOLO 13 - IL NEMICO
CAPITOLO 14 - A PALAZZO
CAPITOLO 15 - I GIURAMENTI
CAPITOLO 16 - EIOWA
CAPITOLO 17 - QUELLA NOTTE
CAPITOLO 18 - NUOVA VITA
CAPITOLO 19 - LA FESTA
CAPITOLO 20 - L'AGGRESSIONE
CAPITOLO 21 - IL VOLO
CAPITOLO 22 - LA TEMPESTA
CAPITOLO 23 - UN SOGNO O QUALCOSA DI PIU'
CAPITOLO 24 - ABITUDINI E NOSTALGIA
CAPITOLO 25 - LE VERITA'
CAPITOLO 26 - CASA
CAPITOLO 27 - UN MESSAGGERO E UN PASSAGGIO
CAPITOLO 28 - RESA E TRADIMENTO
CAPITOLO 29 - SCINTILLE
CAPITOLO 30 - ADDESTRAMENTO
CAPITOLO 31 - LA MALEDIZIONE
CAPITOLO 32 - VERSO IL PORTALE
CAPITOLO 33 - AL DI LA'
CAPITOLO 34 - ALBA DI SANGUE
CAPITOLO 35 - CAMPO BASE
CAPITOLO 36 - FARABUTTO
CAPITOLO 37 - E' SCRITTO NELLE STELLE
CAPITOLO 39 - SOFFIO DI VENTO
CAPITOLO 40 - IL CUORE
CAPITOLO 41 - MAI
CAPITOLO 42 - KADIK
CAPITOLO 43 - QUELLA PIETRA
CAPITOLO 44 - CHIARO DI LUNA
CAPITOLO 45 - LUNGA NOTTE
CAPITOLO 46 - PUNTO DI NON RITORNO
CAPITOLO 47 - ALONYTHA, NOI
CAPITOLO 48 - NUOVA ALBA
CAPITOLO 49 - IL VUOTO
CAPITOLO 50 - SOTTO LE STELLE
CAPITOLO 51 - NUOVO GIORNO

CAPITOLO 38 - TREGUA, PACE E GUERRA

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By Myrskyla

Una miriade di immagini si affollarono nella memoria di Iris. Quel nome urlato a squarciagola che aveva rimbombato sulle immense pareti della grotta e la vista di quel sangue sulla sua mano avevano avuto il potere di riportarla per un breve istante nel passato, a quella notte maledetta in cui tutto era cambiato.

Naya aveva urlato il suo nome ogni notte durante settimane e settimane, fino a quando zia Emma aveva iniziato a ripeterle che quel bambino dai riccioli biondi era solo il frutto della sua mente. Aveva iniziato a chiamarlo amico immaginario e a spazientirsi sempre di più davanti alle insistenze della bimba, convincendola poco a poco che fosse davvero solo il prodotto della sua fantasia. Nemiah era stato relegato in un angolino della memoria insieme a tanti altri ricordi dolorosi della sua infanzia e poi dimenticato.

Era stato proprio lui il suo angelo custode durante tante notti insonni.

L'unica sua traccia concreta era proprio nel diario.

"In quegli ultimi mesi la vittima preferita di quella piccola peste, quando non era assorbita dai giochi con il suo amico immaginario, ero proprio io".

Così aveva scritto zia Emma e solo in quel momento Iris realizzò che stava parlando proprio di suo figlio.

Nemiah non doveva sapere che sua madre aveva finto per anni che lui non fosse mai esistito. Non glielo avrebbe mai confessato, a costo di addossarsi la colpa di averlo dimenticato. Voleva risparmiargli l'ennesimo dolore.

Lui era lì in carne e ossa davanti a lei, avvolto dalla sua solita aurea magnetica. I suoi occhi celesti la rendevano incapace di distogliere lo sguardo da quel viso così perfetto, nonostante i riccioli ormai disfatti dalla pioggia che gli ricadevano sulla fronte. Gli era mancato tutta la vita senza che se ne rendesse realmente conto e in qualche modo quel legame dimenticato non si era mai spezzato. Fu come ritrovare una parte di sé stessa andata perduta. Era una specie di liberazione, qualcosa di indescrivibile a parole.

«Ce ne hai messo di tempo» disse lui.

«Perchè non me l'hai detto?» chiese lei in un sussurro.

Nemiah la guardava con quel paio d'occhi che aveva il colore del mare d'inverno quando il vento soffiava forte. La sua presenza le dava conforto, ma allo stesso tempo le sembrava di camminare sull'orlo di un precipizio.

«Questo momento non avrebbe avuto lo stesso valore» disse lui, stringendola in un vigoroso abbraccio.

Come dargli torto.

Quell'abbraccio era un gesto così inatteso da parte sua, rappresentava un barlume di umanità di cui non lo credeva capace. Iris ricambiò timidamente quella stretta, poi sentì la forza dei suoi muscoli premere contro il seno, il suo cuore battere forte attraverso la camicia e la sua pelle calda quasi scottarle il viso. Nemiah era un concentrato di fuoco ed energia, un vulcano in eruzione e il suo abbraccio non lasciava spazio alla dolcezza. Era intenso e avvolgente, carico di emozioni difficili da interpretare.

La ragazza provò un brivido che la attraversò da capo a piedi. Aveva avuto la stessa sensazione, quasi disturbante, il giorno in cui l'aveva visto per la prima volta nel salotto di casa, era come se il suo corpo quel giorno l'avesse riconosciuto prima che la sua mente potesse rendersi conto di chi fosse realmente.

L'aria divenne elettrica. Iris sciolse quell'abbraccio, quando divenne così intenso da sembrarle insostenibile. Si sentiva viva, ma vulnerabile e mise istintivamente una piccola distanza tra loro.

«Mi dispiace».

Fu tutto ciò che riuscì a dire. Era scossa e sollevata allo stesso tempo. Si era liberata di un peso e quella barriera invisibile che le aveva impedito per mesi di riconoscerlo era svanita. Non capiva come avesse potuto scordare quegli occhi azzurri, che la scrutavano così da vicino, offuscando i suoi sensi.

«Non importa più» disse lui guardandola con tenerezza. Sembrava sincero e tutta la tensione che c'era tra loro svanì come per magia. «Ero venuto per scusarmi e per.. ».

«Spezzarmi un braccio se non avessi obbedito» concluse lei ironica.

«Non esattamente» disse lui sorridendole.

«Fidian» disse lei colta da un'improvvisa illuminazione.

«Sta bene. Domani ti porto da lui» disse quello pacato.

Fu Iris a saltargli al collo e a stringerlo ancora più forte a sé.

Provava da sempre emozioni contrastanti in sua presenza. Voleva proteggerlo ad ogni costo e punirlo al tempo stesso, averlo vicino e allontanarlo. Non riusciva a gestire la sua spontaneità e quella sua insopportabile irriverenza. Forse era vero che erano uguali, erano due esseri pieni di contraddizioni, che cercavano il loro posto nel mondo, inciampando in continuazione.

«Ti riaccompagno» disse lui, prendendole la mano.

Corsero fino alla capanna. Erano zuppi, ma non importava.

«Posso restare?» chiese lui timidamente.

Iris si fece da parte, invitandolo a entrare con un silenzioso cenno del capo, si tolse gli stivali e poi andò accanto al braciere nel tentativo di asciugarsi un poco e mettere ancora una volta della distanza da lui. La capanna pareva improvvisamente più piccola del solito.

Nemiah la raggiunse e impose le mani su quel fuocherello, poi si voltò verso di lei e iniziò a muoverle a mezz'aria, come se stesse manipolando qualcosa di invisibile, senza mai staccarle gli occhi di dosso. Mise i suoi palmi a qualche centimetro dalla testa della ragazza e compì un gesto circolare, che le provocò un senso di benessere sconosciuto, poi scese verso le sue spalle, in seguito lungo le braccia, si accovacciò per compiere il suo gesto nel percorso dalle cosce fino ai piedi, senza mai sfiorarla veramente. I suoi palmi emanavano uno strano calore, capace di trasportarla altrove e di cui sembrava impossibile pensare di poter fare a meno.

«Come ci riesci?» chiese lei sorpresa, accorgendosi di essere asciutta.

«Non lo so, ma credo che se non lo facessi questo fuoco finirebbe con il consumarmi» disse serio.

Quel fuoco ardente era frutto di una profonda sofferenza. Iris a disagio si morse il labbro, era difficile trovare qualcosa da dire dopo una rivelazione del genere.

«Non ho ancora una soluzione per i tuoi capelli arruffati» disse lui ironico.

«Oh» disse lei a disagio, toccandoli istintivamente.

Nemiah le sorrideva divertito e lei non capiva per quale incantesimo la sua espressione si fosse trasformata in quel modo. Sembrava calmo e sereno, come se il tormento e la follia fossero svaniti nel nulla, lasciando spazio a una nuova luce. Quel largo sorriso era la manifestazione più evidente di quel cambiamento e la lasciò perplessa. Sentiva dentro di sé che l'abisso era sempre lì, sotto la superficie, pronto a inghiottirla se avesse fatto una mossa falsa.

Hektrien l'aveva avvertita che suo fratello era instabile, ben prima della finta esecuzione di Fidian. Si fidava del suo giudizio, sapeva di dover rimanere all'erta, ma decise di seguire il cuore e correre il rischio.

«Un giorno ricorderemo questo momento come la notte nella capanna, ci guarderemo negli occhi e tu mi dirai che saremmo dovuti restare qui dentro per sempre» disse solenne.

«Hai origliato» disse lei sorpresa, strabuzzando gli occhi e portandosi una mano sulla bocca.

«Parli forte quando sei innamorata».

«Io non....» iniziò in difficoltà. «Io non ti devo alcuna spiegazione e non succederà proprio nulla di memorabile in questa capanna da essere ricordato» terminò spazientita.

«Io la ricorderò a prescindere» disse lui con il sorriso sulle labbra.

Non aveva perso il suo lato provocatorio, almeno quello parve rassicurarla. Era sempre lui, immaturo e dispettoso.

«Vieni» disse lei, invitandolo a sedersi sul letto accanto a lei. Lui esitò. «Stai ancora sanguinando, vieni».

Il ragazzo prese posto sul materasso.

«Dovresti toglierti la camicia» disse lei imbarazzata, mentre lui ridacchiava ancora una volta a fior di labbra. «Almeno la manica. Ti prego, non rendere tutto ancora più difficile. Voglio solo curare la tua ferita».

«Hektrien potrebbe essere geloso» disse lui, togliendosi la camicia rossa e appollottolandola.

«Ti ho già visto a petto nudo, non mi fai nessun effetto e puoi tranquillizzare Serine, non mi importa nulla di te in quel senso».

Lui la guardò con aria interrogativa, inclinando leggermente il capo di lato.

«Perché arrossisci?» chiese lui.

Iris si leccò le labbra in difficoltà e inspirò profondamente.

«Lo sai bene perché. Sono delicata e impressionabile» disse lei secca.

Era così che l'aveva definita quella notte che avevano trascorso insieme in camera sua e quella frase l'aveva ferita. Non riusciva a dimenticarla.

«Hai fatto proprio un bel danno» disse lui, esaminando insieme a lei la ferita.

«Sai tirare fuori il peggio di me».

«Perchè sono un farabutto» commentò lui.

Lei non osò rispondere, in fondo era così. Tutta la sofferenza che lui le aveva fatto provare non poteva essere cancellata così velocemente. Nemiah era un farabutto.

«Quando eravamo piccoli mi trovavi divertente».

«Siamo cresciuti» disse lei, imponendo le mani sul suo braccio.

Chiuse gli occhi, il suo respiro si fece più lento. Senti l'energia irradiarsi dal suo petto e fluire progressivamente nel suo corpo. La pelle di Nemiah si rigenerò senza bisogno di sfiorarlo e le ferite si rimarginarono. Con un po' di fortuna non sarebbe rimasta nessuna cicatrice.

«Ahi» gridò lui. Iris aprì gli occhi e ritrasse le mani, interrompendo il suo gesto. «Sto scherzando».

Iris fece una smorfia e richiuse gli occhi.

«Sei proprio un bambino» disse lei.

Cercò di concentrarsi di nuovo, ma si sentiva i suoi occhi addosso, che scrutavano ogni dettaglio del suo viso con insistenza.

«Sono la brutta copia di ciò che ero, ma tu sei sempre la stessa. Quando ti arrabbi ti si forma ancora una piccola ruga in mezzo agli occhi, proprio come allora. Quando sorridi non mi è dato saperlo, perché non sorridi mai per me, ma una volta ti si formavano due fossette sopra il naso» disse toccandole la punta.

«Sto cercando di concentrarmi» disse acida.

«Sono certo che puoi riuscirci anche a occhi aperti». Lei scrollò il capo. «Provaci, l'energia è in continuo movimento, connettiti con lei, immaginala scorrere come un fiume placido. Quel fiume è un'estensione di te stessa. Ispira ed espira, lasciala fluire e purificare tutto ciò che incontra lungo il suo cammino verso il mare».

Iris lo assecondò. Riusciva a visualizzare ad occhi aperti quel fiume dall'acqua cristallina, che scorreva verso il mare. La sua superficie giocava con la luce del sole, creando un'infinità di riflessi dello stesso colore di quelle iridi che non le davano tregua e che la ipnotizzavano.

«È solo questione di allenamento» concluse lui.

Sarebbe dovuto essere proibito guardare qualcuno in quel modo. Le sue guance presero di nuovo colore e lei fu investita da un formicolio generalizzato.

«Non credo di essere la stessa di un tempo» disse nel tentativo di liberarsi da quella sensazione fastidiosa.

Sentiva che parlare poteva servire a mantenere il controllo.

«Come fai a dirlo? Non hai grandi ricordi dell'epoca. Sono io la tua memoria».

«Dovrei crederti sulla parola?» chiese lei, continuando la sua opera. «Perchè credi di essere la brutta copia di quello che eri da piccolo?».

Era veramente interessata a comprenderlo.

«Ancora scappo dall'essere grande...».

«Avere il cuore di un bambino non è sempre qualcosa di negativo. Credo tu sia semplicemente sensibile. Non dovrebbe essere sbagliato provare emozioni».

Zia Emma non sarebbe stata fiera di lei, ciò che aveva osato dire ad alta voce andava contro tutti i suoi insegnamenti. La notte in cui era morta però inaspettatamente le aveva detto di guardare sempre con il cuore, il che era un controsenso. Forse la soluzione era l'eterna ricerca dell'equilibrio tra sensibilità e razionalità, trovare una zattera per navigare sul fiume in piena delle emozioni.

«Avevo semplicemente perso una parte di me lungo il cammino e mi rifiutavo di andare avanti senza di lei. Crescere vuol dire rinunciare a molte cose, soprattutto a quelle più autentiche».

Iris non capì quella frase, ma la mise a disagio, decise di non indagare oltre.

«Ecco fatto» disse lei, mentre lui osservava di nuovo il braccio, dove non vi era alcuna traccia dell'incidente.

«Ti devo un favore».

«Vorrei sapere perché hai finto di uccidere Fidian. Sapevi che avresti fatto soffrire tutti quanti» disse lei all'improvviso.

«Per lanciare un messaggio ai due fratelli Tuck, non mi fido di loro. Fidian mi aveva tradito in un modo troppo sfacciato, se non lo avessi punito mi sarei ritrovato ben presto con un pugnale d'argento piantato tra le scapole. Te l'ho detto che quando sei a capo di una rivoluzione le apparenze sono fondamentali, non posso permettermi di mostrare debolezza».

Iris annuì, quella spiegazione poteva avere un senso.

«Potevi almeno evitare quel gesto con il pesciolino. Sei stato crudele» disse sincera.

«Voglio farmi perdonare. Scegli la mia prossima promessa» disse consegnandole il pesciolino di legno, che conservava ancora nel pantalone. «Qualunque cosa».

La giovane lo afferrò, ci avrebbe pensato su. Quel continuo scambiarsi quell'oggetto era qualcosa di infantile, ma in fondo era divertente.

«Dovremmo dormire» disse lei.

Nemiah si alzò dal letto e si sedette per terra a gambe incrociate. Non aveva intenzione di uscire e lei non aveva alcuna intenzione di condividere il suo letto con lui, ma nemmeno che dormisse per terra, nonostante le morbide pelli che ricoprivano le assi di legno.

«Buona notte» disse lui, non dandole modo di ribattere.

«Buona notte» rispose lei, coricandosi e soffiando sulla lanterna che rischiarava la capanna.

La pace non durò a lungo, perchè come al solito, durante la notte, Nemiah iniziò ad agitarsi nel sonno. Iris scese prontamente dal letto per raggiungerlo, la luce prodotta dal braciere era abbastanza vivace per permetterle di vedere nell'oscurità.

«Ehi» disse lei poggiandogli una mano sulla spalla.

Nemiah si svegliò di colpo, sembrava davvero scosso. Si mise seduto e fu percorso da una specie di scossa e scrollò entrambe le mani come per liberarsi di qualcosa.

«E' solo un incubo» disse per rassicurarlo.

Gli prese le mani e fu allora che vide dei segni suo polsi, un alone rosa scuro. Ritrasse le mani imbarazzato.

«Perchè questi incubi?» chiese lei seria. «Perchè non trovi pace nemmeno nei sogni?».

«Io non sogno, sopravvivo» disse lui, coprendosi il viso con le mani.

Le ferite dell'anima diventavano squarci se non curate nella giusta maniera, Iris lo sapeva bene.

«Qualunque cosa sia successa nella tua vita, inizia a perdonarti» suggerì quella, abbassandogliele in grembo.

Lui inclinò leggermente la testa, era come se lei fosse in grado di leggere i suoi pensieri. La ragazza riusciva a toccare la parte più nascosta del suo cuore, gli faceva venire voglia di dire ciò che non aveva mai osato dire a nessuno, ma forse era troppo presto per rivelarle i suoi demoni.

«Tu mi perdoneresti se avessi detto o commesso qualcosa di orribile?».

«Il perdono non è mai scontato, ma credo che tutti abbiamo diritto a una seconda possibilità».

«Ti ricordi cosa mi disse Tata Odile? Resterò per sempre solo, è il mio destino. È scritto nelle stelle».

Il ragazzo la guardò senza dire nulla, non si aspettava consolazione, voleva solo condividere un peso che portava da solo da troppo tempo. Iris si coricò per terra accanto a lui e gli fece cenno di fare altrettanto. Lui si distese senza staccarle gli occhi di dosso.

«Tata Odile ha sottovalutato una cosa, il potere dell'amicizia» disse lei stringendogli la mano.

Lui ruotò timidamente il braccio mostrandole uno dei polsi.

«C'è qualcosa che puoi fare per queste?» domandò. Iris passò con delicatezza le sue dita su quelle cicatrici spesse e ruvide. Erano vecchie ustioni. «A quanto pare un animale va trattato come un animale» aggiunse spiazzandola.

Era certa fosse opera della fattucchiera, ma non osò chiedere dettagli.

La ragazza scrollò il capo, non avrebbe potuto cancellarle.

«Io credo che ogni cicatrice sia simbolo di resilienza» disse lei, facendo parlare il suo cuore.

Ci fu un lungo silenzio.

«Grazie» disse lui in un sussurro. «Un giorno ripenseremo a questa notte nella capanna, tu mi guarderai intensamente proprio come mi guardi ora e mi dirai ancora una volta che saremmo dovuti rimanere qui dentro, distesi a terra sul pavimento, per sempre» disse lui, conscio di dire l'ennesima sciocchezza. Iris stentò a trattenere un sorriso. «Sciogli quel sorriso, sei bella quando sorridi».

Iris arrossì ancora una volta, scrollò il capo e chiuse gli occhi.

«Torna nel tuo letto, prenderai freddo» disse lui, senza lasciare la presa sulla sua mano e stringendola di più.

«Hai bisogno di me, non credere che io non me ne sia accorta» disse lei, aprendo gli occhi.

Lui faticò a trattenere una risata e annuì.

Zia Emma le aveva chiesto di prendersi cura dei suoi figli, era giunto il momento di provarci.

«Sei l'unico ricordo felice della mia infanzia. Credi che io sia troppo orgoglioso per ammetterlo?» chiese lui, lasciandola senza parole. «Rinuncio all'orgoglio, per te rinuncio a tutto».

Iris non disse nulla. Fu percorsa dall'ennesimo brivido quando, ascoltando quelle parole così potenti, ebbe l'impressione di vedere delle lingue di fuoco danzare nei suoi occhi. Le faceva paura averlo così vicino, ma sembrava irragionevole fare a meno della sua presenza.

«Stai tremando, vieni qui» disse lui, avvicinandosi. «Non hai coltelli nascosti da qualche parte vero?».

Nemiah passò di nuovo la sua mano sul suo corpo senza mai sfiorarla, nel tentativo di riscaldarla con l'energia che scaturiva dal suo palmo. Fu come una lunga e dolce carezza, senza alcun reale contatto.

«Buona notte» disse lei.

La notte trascorsa finalmente tranquilla. Il giorno seguente alle prime luci dell'alba qualcuno bussò alla porta della capanna, svegliandoli di soprassalto.

«Gabor» disse lei mettendosi seduta. Nemiah si toccò la testa, era ancora rintronato con i capelli disordinati e gli occhi gonfi di sonno. «Nasconditi».

«Perchè sei in panico?».

«Non voglio che ti trovi qui».

«Perchè?» chiese allargando le braccia.

«Perchè è imbarazzante».

«Io sarei imbarazzante?» chiese mettendosi in piedi, con aria risentita.

«Fai silenzio e vestiti» disse lanciandogli addosso la camicia che era appallottola vicino al letto.

Nemiah ridacchiò. Non sembrava avere fretta di rivestirsi. Iris si ricompose, cercando di pettinare i capelli dietro alle orecchie e aprì leggermente la porta, per impedire una completa visuale sulla stanza alle sue spalle.

«Ehi» disse imbarazzata, sorridendo debolmente.

«Tutto bene?» chiese il giovane licantropo.

Non era uno sciocco, la ragazza era diversa. Le sue guance erano arrossate, i suoi lineamenti tirati e la sua voce poco naturale.

«Ho passato una nottata agitata, sai il temporale...» iniziò, senza guardare Gabor dritto negli occhi.

Il suo sguardo vagò verso il soffitto della grotta e quella piccola porzione di cielo visibile.

Nemiah apparve sulla soglia ancora a petto nudo, incurante del fresco del mattino.

«Buongiorno Gabor, gentile da parte tua averci portato la colazione» disse prendendo il panno di stoffa che l'altro teneva tra le mani.

Iris trasalì. Gabor la guardò in cerca di spiegazioni, ma non osava parlare davanti al suo capobranco.

«Posso fare qualcosa per te?» chiese l'alfa, con un finto sorriso amichevole. L'altro scosse la testa, incapace di aprire bocca. «Buona giornata Gabor».

Nemiah chiuse la porta, lasciando Iris interdetta qualche secondo.

«Perchè devi sempre essere così insopportabile?» chiese amareggiata.

«Avevo voglia di divertirmi e poi così posso alimentare la leggenda».

«Che leggenda?».

«Non il tipo di leggenda che una fanciulla delicata e impressionabile apprezzerebbe. Si racconta che la notte le donne lascino le finestre aperte e le lanterne accese nella speranza che io faccia visita».

«E' una cosa squallida» disse incredula.

«E' solo una leggenda» disse sminuendo la cosa e poggiando il panno sul letto. «E poi Gabor non dirà proprio nulla» disse iniziando a rivestirsi.

Lei lo guardò dritto negli occhi e gli puntò un dito contro, quasi tremante. Un groviglio di parole stava cercando la strada per uscire fuori, sentiva che stava di nuovo per perdere il controllo. Il suo sguardo ebbe il potere di inchiodare Nemiah al suolo.

«Non sono né delicata né facilmente impressionabile. Sono una ragazza per bene e quando dico che non voglio che qualcuno ti trovi qui dentro, il mio no significa no. Punto. Cresci un poco e non azzardarti a mettere in giro voci sul mio conto» tuonò.

Il ragazzo non trovò nulla con cui ribattere, la sua espressione cambiò quando si rese conto di aver superato i limiti.

«Non volevo offenderti» disse in difficoltà. «Ci vediamo questo pomeriggio per andare da Fidian» disse prima di uscire dalla capanna.

Iris rimase sola e sentì un insopportabile groppo alla gola. Quel momento speciale era stato solo un'illusione, la delusione ebbe ancora una volta il sopravvento.

L'occhio le cadde sul pesciolino di legno ancora sul letto, si avvicinò e lo prese tra le mani. Il suo cuore era diviso tra amarezza e speranza, non si sentiva all'altezza del difficile compito che zia Emma le aveva dato, ma ci avrebbe comunque provato.

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