The night drowns in dawn

By Myrskyla

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Fantasy romance a cavallo tra due mondi. Iris è irrequieta e imprevedibile, proprio come quell'oceano che fin... More

PROLOGO - IRIS
CAPITOLO 1 - L'ADDIO
CAPITOLO 2 - OSPITI
CAPITOLO 3 - LA CENA
CAPITOLO 4 - RIVELAZIONI
CAPITOLO 5 - IRIS O NAYA
CAPITOLO 6 - IL BRANCO
CAPITOLO 7 - IL TEMPORALE
CAPITOLO 8 - LA FUGA
CAPITOLO 9 - LA PREDA
CAPITOLO 10 - FACCIAMO UN GIOCO
CAPITOLO 11 - IL PRIGIONIERO
CAPITOLO 12 - ALLA FONTANA
CAPITOLO 13 - IL NEMICO
CAPITOLO 14 - A PALAZZO
CAPITOLO 15 - I GIURAMENTI
CAPITOLO 16 - EIOWA
CAPITOLO 17 - QUELLA NOTTE
CAPITOLO 18 - NUOVA VITA
CAPITOLO 19 - LA FESTA
CAPITOLO 20 - L'AGGRESSIONE
CAPITOLO 21 - IL VOLO
CAPITOLO 22 - LA TEMPESTA
CAPITOLO 23 - UN SOGNO O QUALCOSA DI PIU'
CAPITOLO 24 - ABITUDINI E NOSTALGIA
CAPITOLO 25 - LE VERITA'
CAPITOLO 26 - CASA
CAPITOLO 27 - UN MESSAGGERO E UN PASSAGGIO
CAPITOLO 28 - RESA E TRADIMENTO
CAPITOLO 29 - SCINTILLE
CAPITOLO 30 - ADDESTRAMENTO
CAPITOLO 31 - LA MALEDIZIONE
CAPITOLO 32 - VERSO IL PORTALE
CAPITOLO 33 - AL DI LA'
CAPITOLO 34 - ALBA DI SANGUE
CAPITOLO 35 - CAMPO BASE
CAPITOLO 36 - FARABUTTO
CAPITOLO 38 - TREGUA, PACE E GUERRA
CAPITOLO 39 - SOFFIO DI VENTO
CAPITOLO 40 - IL CUORE
CAPITOLO 41 - MAI
CAPITOLO 42 - KADIK
CAPITOLO 43 - QUELLA PIETRA
CAPITOLO 44 - CHIARO DI LUNA
CAPITOLO 45 - LUNGA NOTTE
CAPITOLO 46 - PUNTO DI NON RITORNO
CAPITOLO 47 - ALONYTHA, NOI
CAPITOLO 48 - NUOVA ALBA
CAPITOLO 49 - IL VUOTO
CAPITOLO 50 - SOTTO LE STELLE
CAPITOLO 51 - NUOVO GIORNO

CAPITOLO 37 - E' SCRITTO NELLE STELLE

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By Myrskyla

Quindici anni prima.

Un bambino dai riccioli biondi e i lineamenti delicati faceva avanti e indietro lungo il sentiero, con le mani dietro la schiena, dando ogni tanto un calcio a qualche sasso. Scrutava con i suoi penetranti occhi azzurri l'oscurità, aspettando di scorgere la sagoma della madre apparire dalla boscaglia.

Andava lì ogni sera per aspettare che tornasse da Palazzo, nonostante lei lo rimproverasse, perché avrebbe preferito saperlo già addormentato nel suo letto. Trascorrevano così poco tempo insieme, che quelle passeggiate serali per lui erano davvero il momento più atteso della giornata. Ogni volta che la madre lo vedeva lì, la sua bocca si piegava in una smorfia seccata, ma i suoi occhi rivelavano le sue vere emozioni. Si illuminavano quando gli arrivava accanto. Gli posava un bacio sulla fronte e dopo una finta ramanzina gli scompigliava i capelli con fare affettuoso. Lo prendeva per mano e risalivano insieme il sentiero fino alla loro capanna, dove lui le raccontava la sua giornata senza tralasciare alcun dettaglio, si addormentavano insieme nello stesso letto, uno accanto all'altro per proteggersi dal freddo.

Nemiah era un bambino dolce e sensibile, uno spirito libero molto diverso dai suoi coetanei del villaggio. Provava una curiosità debordante per le piccole cose, passava ore e ore coricato nell'erba fresca a fissare le soffici nuvole bianche e a inventare storie incredibili che parlavano di eroi ed epiche battaglie. Osservava gli animali pomeriggi interi, nascosto tra le fronde degli alberi, senza muovere un muscolo o rimaneva a gambe incrociate sulle sponde del ruscello ad ammirare i riflessi del sole sull'acqua. Amava perdersi nei dettagli, osservando i colori dell'arcobaleno o del tramonto sulla collina. Nessuno non lo capiva, era spesso oggetto di scherno, ma lui non si lasciava scoraggiare dai commenti e le occhiatacce. Sapeva cogliere le mille sfumature della natura, vedeva particolari che sfuggivano agli altri, trascorreva le sue giornate sempre solo, girovagando in cerca di nuove avventure con la sua spada di legno nella cintola e la sua fantasia non sembrava conoscere limiti. Esplorava mondi immaginari, dove poteva essere un pirata o un cavaliere, dove riusciva a cavalcare draghi o a battersi contro i perfidi soldati senza volto.

Lo additavano senza sosta. Era lo strambo bambino da evitare, quello venuto dalla costa, con la madre dall'oscuro passato. Era un concentrato di immaginazione ed energia, in cerca di una valvola di sfogo. Evadere dalla realtà giocando da solo iniziava a non bastargli più, non era forte come voleva apparire. Avrebbe voluto essere semplicemente sé stesso, senza riserve.

Durante una delle sue avventure, il destino gli fece incrociare il cammino di una bimbetta dai grandi occhi verdi e il sorriso sbarazzino, che lo accettò immediatamente per ciò che era. Si perdeva con lui nelle sue fantasticherie e insieme riuscivano a vedere cose dove apparentemente non c'era nulla da vedere. Grazie a lei la sua inquietudine si dissolveva, come per magia. Aveva il potere di renderlo migliore.

Sua madre gli ripeteva senza sosta che doveva essere prudente e non doveva parlarne con nessuno. Nemiah avrebbe dovuto mantenere il segreto sulle sue visite a Palazzo, solo così avrebbe potuto continuare a vederla.

«Nulla dura per sempre» lo ammoniva la madre, quando lo vedeva troppo entusiasta.

«Staremo a vedere» rispondeva lui, sicuro di sé.

«Sai essere testardo come un caprone».

Quel giorno di dicembre la madre gli aveva proibito di vederla, ci sarebbe stata troppa gente a Palazzo, qualcuno avrebbe potuto notarlo e lui aveva obbedito. Non era così ribelle come poteva apparire, avrebbe fatto di tutto per compiacerla e dimostrarle che era un figlio responsabile. Così era rimasto in riva al ruscello a lanciare sassolini e arrampicarsi sugli alberi per osservare gli uccelli. Aveva imparato a imitare nuovi canti, modulando alla perfezione labbra e lingua e non vedeva l'ora di esibirsi proprio per la piccola amica. Aveva intagliato per lei un pesciolino di legno per farsi perdonare quella sua assenza. Naya quel pomeriggio doveva averlo aspettato a lungo accanto alla fontana.

Quella notte qualcosa era diverso, il sentiero sembrava più buio del solito, non c'era nemmeno una stella in cielo e anche la luna si era nascosta. Persino l'aria era inspiegabilmente più fredda e pesante. Il bosco si era improvvisamente addormentato, tutto era silenzioso e immobile. L'atmosfera si era fatta inquietante anche per qualcuno di coraggioso come lui.

La madre era in ritardo, avrebbe voluto andarle incontro, ma era certo che si sarebbe arrabbiata.

All'improvviso nel silenzio della notte echeggiò un rumore di zoccoli, il bambino sobbalzò, ma non riuscì a muovere un passo per spostarsi dalla strada. Quell'eco si faceva sempre più vicino. Vide un enorme cavallo nero emergere dall'ombra, proprio in fondo al sentiero, alzando un gran polverone. Solo i soldati della Tetra Armata cavalcavano cavalli neri. Rabbrividì dalle testa ai piedi. Quando finalmente riconobbe sua madre in sella a quello stallone, non riuscì a credere ai suoi occhi, avrebbe dovuto sentirsi sollevato, ma la sua paura non svanì. Sentì una stretta al cuore e il sangue gli si gelò nelle vene, qualcosa non andava.

La donna lo affiancò, aprì il suo mantello nero, rivelando una bambina dai lunghi capelli rossi che stava accoccolata contro il suo petto. Sembrava tranquilla.

«Naya, cosa ci fai qui?» chiese lui sorpreso, rivolgendosi direttamente a lei.

Quando riconobbe l'amico un timido sorriso si dipinse sul suo visino.

«Occupati della piccola» gli disse la madre, facendola scendere da cavallo.

«Si chiama Naya» rispose quello.

La bambina si aggrappò al braccio dell'amico, mentre Euniria scendeva da cavallo. In una mano stringeva un'enorme spada luccicante, si abbassò per guardarlo dritto negli occhi, depose l'arma a terra e gli poggiò entrambe mani sulle spalle. Prese un gran respiro prima di parlare, sembrava in difficoltà. Non l'aveva mai vista così pallida e tesa. Era sempre stata una donna forte e sicura di sé, ma in quel momento sembrava fragile e sopraffatta da emozioni a cui Nemiah non avrebbe saputo dare un nome. Aveva visto quell'espressione suo suo volto solo una volta, quando suo padre era morto.

«Dimentica quel nome» ribatté quella seria, ritrovando il controllo di sé.

«Madre» disse lui.

«Portala nella capanna, devo andare da Tata Odile. Posso fidarmi di te?» domandò alzando la voce.

Nemiah annuì. La donna si allontanò, tenendo il cavallo per le briglie e la spada nell'altra mano, diretta alla sala delle riunioni del consiglio, dove viveva la fattucchiera del villaggio. Era così sorpreso dalla presenza di Naya che quell'immagine di sua madre così diversa da solito non lo colpì poi così tanto.

Non era l'orario per una visita e l'anziana strega non amava essere disturbata per delle sciocchezze. L'aurea oscura che la avvolgeva faceva in modo che fosse rispettata e temuta in egual misura. Custodiva arcani segreti, si vociferava che non usasse la magia solo a fin di bene. Amava ripetere che ogni incantesimo era possibile, ma che ogni favore accordato andava reso, anche a caro prezzo.

Quella visita notturna insospettì il bambino solo per un breve istante, perché rimasto solo con l'amica iniziò subito a pensare ad altro.

«Ho imparato a cantare come gli uccelli. È una specie di magia. Vuoi sentire?» chiese lui, portando le mani davanti alla bocca.

«Non mi importa» disse lei con aria annoiata.

«Sarai mica gelosa perché tu non sai farlo?» ribatté provocatorio.

«Non ho tempo da perdere, io devo andare al ballo» disse facendo una piroetta sgraziata.

Nemiah scoppiò a ridere, mentre lei gli lanciava un'occhiataccia indignata. Poi si ricordò della festa a Palazzo e di quanto fosse importante per lei, ne aveva parlato per una settimana intera, piroettando attorno a lui senza sosta. Sicuramente a quell'ora doveva essere tutto finito.

«Vuoi ballare con me?».

«No, sei sporco» disse lei.

L'espressione del bambino si piegò in un sorriso e due fossette profonde comparvero ai lati della bocca. Si guardò attorno in cerca di un'idea, si abbassò e afferrò qualcosa che nascose dietro alla schiena. Si avvicinò alla bimba e con un rapido gesto le imbrattò il vestitino di terra. Era un provocatore nato.

«Ecco, ora sei sporca anche tu».

La bambina trasalì e una piccola ruga comparve appena sopra il suo nasino, quando strinse i pugni, mentre lui la fissava con aria di sfida.

«Come osi?» tuonò lei.

«Ora siamo uguali».

Lei si abbassò e afferrò a sua volta un pugno di terra e glielo lanciò addosso, dando il via a una vera guerra. I due rotolarono nella polvere, dimenticandosi di tutto il resto per una buona decina di minuti, fino a quando Nemiah si lasciò atterrare apposta per lasciarla vincere. I due si guardarono e scoppiarono a ridere nello stesso istante, fu un momento semplice e liberatorio.

«Andiamo a casa prima che mia madre si arrabbi» suggerì lui.

Naya si scostò, lui si alzò e le porse la mano per aiutarla a mettersi in piedi. L'accompagnò dentro alla sua capanna, dove la piccola iniziò a guardarsi attorno spaesata. Era abituata a ben altro, la sua normalità era fatta di ampi spazi e calore. Era una Principessa del Regno di Luce.

«Io ho paura, voglio andare a casa» disse indietreggiando sulla soglia.

«Puoi prendere il mio letto se vuoi, io posso dormire per terra».

Lei avanzò intimorita verso quel misero giaciglio di paglia e stracci.

«Non è così male» la incitò lui.

Il bambino la guardò con tenerezza, poi l'aiutò a salire sul letto. Sembrava scomodo e faceva rumore ad ogni minimo movimento. Nemiah le porse una calda coperta, poi si sedette accanto a lei e le passò un braccio attorno alle spalle. Avrebbe fatto di tutto per farla sentire al sicuro, lei lo assecondò, senza staccare gli occhi dal braciere dove scoppiettava un piccolo fuoco, che le ricordava casa.

«Ho un regalo per te» disse porgendole il pesciolino di legno, che aveva conservato tutto il giorno nella tasca dei pantaloni. Gli occhi della bimba si illuminarono. «Amici per sempre, insieme vivremo mille avventure» terminò in tono solenne.

Lei lo afferrò e lo osservò con attenzione. Era davvero bello.

«Ora tocca a te fare una promessa, una di quelle vere, a cui credi veramente» la incitò lui.

All'improvviso sua madre entrò nella capanna, accompagnata da due energumeni dell'aspetto poco raccomandabile e Tata Odile.

Era la prima volta che la donna usciva dalla costruzione che ospitava il Consiglio, qualcosa non andava.

Euniria le fece cenno di lasciarla fare e si avvicinò ai due bambini con un largo sorriso, che fece irrigidire Nemiah. Sua madre sorrideva raramente e mai in quel modo. Quel falso sorriso si spense non appena si accorse che la piccola aveva il viso sporco di terra.

«Nemiah, cosa hai fatto?» chiese in tono di rimprovero.

La vecchia donna fece un passo avanti per osservare più da vicino. Fu allora che i due bambini si strinsero ancora di più l'uno all'altro.

Tata Odile aveva lunghi capelli bianchi e il suo viso pareva una foglia secca pronta a trasformarsi in polvere al minimo tocco. Profonde rughe scavate dal tempo le solcavano il volto dal colorito grigio. Non vi era nulla di rassicurante nel suo aspetto. Le sue pupille erano bianche, ma sembrava essere in grado di vedere, perché la sua bocca sottile si piegò in una smorfia di disgusto quando si ritrovò davanti ai bambini.

«Euniria, te l'avevo detto che tuo figlio è come l'erba cattiva. Spero ti renderai conto che lasciarlo qui è la decisione più saggia» disse quella con la sua voce stridula, che per un attimo ricordò a Nemiah il suono sgradevole prodotto dalla carrucola del pozzo del villaggio.

Il bambino si irrigidì, la madre non osò ribattere, il che ebbe il potere di ferirlo. Si inginocchiò sul letto e si piazzò davanti a Naya, come per proteggerla.

«Vieni piccola» disse la vecchia porgendole le sue dita nodose.

Nemiah strinse la mano di Naya ancora più forte, mentre lei impaurita si nascondeva dietro la sua schiena, stringendo il pesciolino nell'altra mano. Il bimbo non era uno sciocco, aveva capito che stavano per portarla via.

«Dove va lei, vado io» sibilò rabbioso.

«Piccolo insolente» sbottò la donna, drizzando le spalle quel poco che l'età avanzata le permetteva ancora.

«Nemiah» esordì sua madre spazientita. «Ci sono cose che capirai quando sarai più grande, accompagnala da Tata Odile e dille che andrà tutto bene. Obbedisci».

«Non c'è niente da capire. Dove va lei, vado io».

«Euniria» disse la vecchia facendo un altro passo avanti.

«Non sarà necessario usare la forza» disse quella.

Non sopportava che la donna parlasse così a suo figlio, ma doveva sottostare al suo volere.

«Nemiah, ascoltami. Io e la piccola dobbiamo partire per qualche tempo. Tu starai bene qui, una famiglia è disposta ad accoglierti».

«Si chiama Naya» ribatté lui.

«Io tornerò a prenderti appena possibile» disse carezzandogli il viso.

«Portami con te».

«Hanno un bambino della tua età, potrete giocare insieme».

«Sei tu la mia famiglia».

«Nemiah» disse in chiara difficoltà.

«E lei è mia amica» continuò lui. La donna scrollò il capo. «Nessuno vuole giocare con me per colpa tua, perché sei strana. Perché devi sempre rovinare tutto?».

Quelle parole la colpirono in pieno, non rispose. Era ancora responsabile del dolore di uno dei suoi figli.

«Perché?» urlò.

«Che sciocchezze sono queste? I due si conoscono?» chiese Tata Odile.

«Certo che no» rispose Euniria.

«Lasciaci in pace» le gridò il bambino.

«Hai cresciuto una serpe che sputa veleno» disse la fattucchiera.

«Madre» urlò il bambino, mentre i due energumeni si avvicinavano al letto.

Nemiah si alzò in piedi sul materasso di paglia, afferrò una caraffa d'acqua e la scagliò a terra, spaccandola con un suono sordo.

«Muovetevi. Verrà legato se necessario» disse ai due individui che l'avevano accompagnata. «Nessuno vuole giocare con te, perché sei un piccolo delinquente, ecco perché. Sarai sempre solo, questo è il tuo destino. È scritto nelle stelle» tuonò.

«Non è solo, io sono sua amica. Tu sarai sempre sola, perché sei cattiva» tuonò Naya arrabbiata, alzandosi in piedi sul letto a sua volta.

Un sorriso apparì sul viso di Nemiah. Tata Odile si arrabbiò ancora di più.

«E' solo un bambino» disse Euniria, cercando di calmare gli animi. «Tornerò a prenderti, sei più forte di quanto tu creda» aggiunse rivolta al figlio.

Uno degli uomini si avvicinò a Naya, mentre l'altro avanzava dall'altro lato verso il bambino. Erano in trappola.

«Ti troverò in capo al mondo. Non dimenticarti chi sei, non dimenticarti di me» disse alla bambina in un sussurro. «Prometti».

«Prometto» rispose lei spaventata, porgendogli il pesciolino di legno. «Una promessa di quelle vere, a cui credi veramente».

Uno dei due fu rapidamente addosso a Nemiah, mentre l'altro sollevava Naya di peso e la portava via, obbligandoli a lasciare la presa delle loro dita fino a quel momento saldamente intrecciate. Il bambino si sentiva impotente, incapace di proteggerla, fu come se una parte di sé fosse stata strappata via.

Il pesciolino gli scivolò dalla mano e lui reagì morsicando al collo l'uomo che lo tratteneva. Cadde e sbatté violentemente la testa, rimanendo stordito qualche secondo. Riprese i sensi, il dolore era forte, ma la determinazione lo era altrettanto. Si trascinò sui gomiti fino al simbolo di quella promessa, lo raccolse e lo mise in tasca. Era tutto ciò che gli restava di lei.

Euniria tentò di avvicinarsi e intervenire, ma l'altro le consegnò la bambina.

«Andatevene» disse Tata Odile, porgendole una boccetta blu.

Naya si liberò dalla presa di Euniria e la boccetta scivolò dalle sue mani, infrangendosi ai suoi piedi. Tata Odile spazientita inspirò forte. La bambina corse dall'amico, che sollevò il capo verso di lei. La sua fronte stava sanguinando, Naya lo toccò all'altezza del sopracciglio e si ritrovò la manina sporca di sangue. Era la prima volta che vedeva quel liquido rosso e appiccicoso che le tingeva la punta delle dita.

«Andrà tutto bene» disse lui con un debole sorriso.

Euniria si avvicinò e la trascinò via, dando un ultimo sguardo al figlio, mentre questo veniva di nuovo afferrato, placcato a terra e legato mani e piedi con una spessa fune.

«Ha solo bisogno di essere guidato» disse Euniria, sull'orlo della crisi di pianto.

Stava tremando.

«Se si comporta come un animale sarà trattato come un animale» sibilò Tata Odile. «Non farmi rimpiangere di averti dato questa missione Euniria, ho fatto abbastanza per te, perdonando i tuoi sbagli e regalandoti una speranza».

La fattucchiera impose l'indice bitorzoluto sulla fronte di Naya che continuava a gridare a gran voce il nome dell'amico.

«Non sarai perduta per sempre, ci rivedremo e confido che quel giorno farai la scelta giusta» le sussurrò con un filo di voce.

La Principessa si addormentò quasi immediatamente, tra le braccia di Euniria. Tata Odile prese un frammento di vetro e ci soffiò sopra, questo emise un leggero bagliore.

«Ti condurrà al portale» disse porgendoglielo. «L'effetto del mio incantesimo sulla piccola non durerà a lungo. Prendete il calesse e partite, prima che sia troppo tardi» ordinò.

Uno dei due uomini scortò Euniria e la bimba fuori, mentre Nemiah si dibatteva sul pavimento della capanna, preso da una furia cieca.

La rabbia gli bruciava nel petto, una singolare energia gli percorreva tutto il corpo. Gli pareva quasi di sentire la pelle bruciare. Era un vulcano pronto a implodere.

Sua madre era già lontana quando le sue funi presero improvvisamente fuoco e si spezzarono di netto, permettendogli di liberarsi. Si sentiva diverso. Era stata la sua rabbia ad aver scatenato quel fuoco, ma lui le guardò senza capire cosa fosse successo. Ci sarebbe voluto del tempo prima che potesse comprendere appieno il suo potere e dominarlo. Per un attimo si illuse che fosse opera della madre, un piccolo aiuto così che potesse raggiungerle.

Si rialzò con fatica, guardò Tata Odile con odio e ringhiò come un animale. Le sue narici si allargarono e le vene del collo si gonfiarono. Con una rapida finta ingannò l'uomo che stava all'erta pronto a saltargli di nuovo addosso, raggiunse la porta e iniziò a correre, più veloce del vento. Sparì nel bosco, corse per minuti interminabili, rabbioso e disperato, nel tentativo di raggiungere la madre e Naya.

Vide il calesse in lontananza, diede fondo alle sue ultime energie, sentiva i polmoni e i muscoli bruciare. Urlò con il poco fiato che rimaneva il nome della bambina, facendola svegliare di soprassalto, confusa e impaurita. Tata Odile aveva ragione, l'effetto soporifero del suo incantesimo non era durato a lungo. Euniria cercò di trattenerla, dicendole che era solo un brutto sogno, ma lei si mise in piedi. Vide Nemiah cadere sul sentiero, sudato, impolverato e con il viso sporco di sangue.

«E' solo un brutto sogno, vieni qui piccola» disse porgendole la mano.

«Mi chiamo Naya» ribatté lei, afferrandola debolmente.

La donna annuì, la tirò a sé e la abbracciò stretta stretta.

«E' solo un brutto sogno» ripeté, cercando di trattenere le lacrime e baciandole i capelli. «Dormi».

Nemiah senti le forze venirgli meno e comprese di aver fallito. Il carretto scomparve all'orizzonte e il suo cuore si spezzò in mille pezzi. Non pianse, si lasciò avvolgere da quel vuoto e da quel senso di solitudine. Rimase lì in ginocchio tutta la notte a fissare prima l'oscurità che aveva inghiottito le uniche due persone che lo avevano amato veramente per ciò che era, poi il cielo dove qualche timida stella aveva deciso di fare finalmente capolino.

"Sarai sempre solo, questo è il tuo destino. È scritto nelle stelle".

Ecco cosa aveva detto Tata Odile, ma anche quelle sembravano averlo abbandonato.

Fu solo all'alba che qualcosa dentro di lui si risvegliò.

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