RESILIENT

By AmelieQbooks

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Qual era il vostro sogno da bambini? Amelia Reed ha dedicato tutta la sua vita al pattinaggio artistico, con... More

⭑𝓓𝓮𝓭𝓲𝓬𝓪⭑
info +⚠️TW⚠️
Protagonisti- in aggiornamento
🦋Prologo🦋
1- 𝙊𝙗𝙨𝙘𝙪𝙧𝙖- 𝘈𝘮𝘦𝘭𝘪𝘢
2- 𝙍𝙖𝙞𝙣, 𝙞𝙣 𝙮𝙤𝙪𝙧 ᵇˡᵘᵉ 𝙚𝙮𝙚𝙨- 𝘈𝘮𝘦𝘭𝘪𝘢
3- 𝙏𝙝𝙪𝙣𝙙𝙚𝙧𝙨 𝙖𝙣𝙙 𝙡𝙞𝙜𝙝𝙩𝙣𝙞𝙣𝙜𝙨 - 𝘈𝘮𝘦𝘭𝘪𝘢
4- 𝙎𝙬𝙚𝙚𝙩 𝙖𝙣𝙙 𝙗𝙞𝙩𝙩𝙚𝙧 - 𝘈𝘮𝘦𝘭𝘪𝘢
5- 𝙊𝙣𝙚 𝙬𝙧𝙤𝙣𝙜 𝙢𝙤𝙫𝙚- 𝘑𝘰𝘳𝘥𝘢𝘯
6- 𝙍𝙪𝙣 𝙗𝙤𝙮 𝙧𝙪𝙣 - 𝘈𝘮𝘦𝘭𝘪𝘢
7- 𝙒𝙚 𝙗𝙪𝙞𝙡𝙩 𝙤𝙪𝙧 𝙤𝙬𝙣 𝙬𝙤𝙧𝙡𝙙 -𝘈𝘮𝘦𝘭𝘪𝘢
8- 𝙎𝙘𝙚𝙣𝙩 𝙤𝙛 𝙮𝙤𝙪 - 𝘈𝘮𝘦𝘭𝘪𝘢
9- 𝘽𝙪𝙩𝙩𝙚𝙧𝙛𝙡𝙮- 𝘈𝘮𝘦𝘭𝘪𝘢
10- 𝙊𝙣 𝙩𝙝𝙚 𝙣𝙖𝙩𝙪𝙧𝙚 𝙤𝙛 𝙙𝙖𝙮𝙡𝙞𝙜𝙝𝙩- 𝘈𝘮𝘦𝘭𝘪𝘢
11- 𝘼𝙛𝙛𝙞𝙣𝙞𝙩à 𝙚𝙡𝙚𝙩𝙩𝙞𝙫𝙚 - 𝘑𝘰𝘳𝘥𝘢𝘯
12- 𝙀𝙨𝙘𝙖𝙥𝙚 𝙛𝙧𝙤𝙢 ᶠᵃⁱʳʷⁱⁿᵈˢ - 𝘈𝘮𝘦𝘭𝘪𝘢
13- 𝙍𝙝𝙮𝙩𝙝𝙢 𝙤𝙛 𝙝𝙪𝙢𝙖𝙣 𝙚𝙣𝙚𝙧𝙜𝙮- 𝘈𝘮𝘦𝘭𝘪𝘢
14- 𝙏𝙝𝙚 𝙛𝙞𝙧𝙚 𝙬𝙞𝙩𝙝𝙞𝙣-𝘈𝘮𝘦𝘭𝘪𝘢
15- 𝙒𝙖𝙫𝙚𝙨 𝙖𝙣𝙙 𝙝𝙤𝙥𝙚 -𝘈𝘮𝘦𝘭𝘪𝘢
16- (𝘿𝙤 𝙣𝙤𝙩) 𝙎𝙪𝙢𝙢𝙤𝙣 𝙩𝙝𝙚 𝙙𝙚𝙫𝙞𝙡 -𝘑𝘰𝘳𝘥𝘢𝘯
17- 𝙑𝙤𝙞𝙡à, 𝙦𝙪𝙞 𝙟𝙚 𝙨𝙪𝙞𝙨 - 𝘈𝘮𝘦𝘭𝘪𝘢
18- 𝙇𝙚 𝙛𝙖𝙗𝙪𝙡𝙚𝙪𝙭 𝙙𝙚𝙨𝙩𝙞𝙣 𝙙'𝘼𝙢é𝙡𝙞𝙚 - 𝘈𝘮𝘦𝘭𝘪𝘢
19- 𝘽𝙤𝙩𝙝 𝙨𝙞𝙙𝙚𝙨 𝙨𝙘𝙝𝙚𝙢𝙚- 𝘈𝘮𝘦𝘭𝘪𝘢
21- 𝙏𝙖𝙡𝙚𝙨 𝙛𝙧𝙤𝙢 𝙩𝙝𝙚 𝙡𝙤𝙤𝙥- 𝘑𝘰𝘳𝘥𝘢𝘯
22- 𝘽𝙞𝙜 𝙘𝙞𝙩𝙮 𝙢𝙖𝙯𝙚 -𝘈𝘮𝘦𝘭𝘪𝘢
23- 𝙄𝙣 𝙩𝙝𝙞𝙨 𝙨𝙝𝙞𝙧𝙩 -𝘈𝘮𝘦𝘭𝘪𝘢
24- 𝙏𝙝𝙚 𝙙𝙚𝙥𝙖𝙧𝙩𝙪𝙧𝙚 -𝘈𝘮𝘦𝘭𝘪𝘢
25- 𝙏𝙝𝙚 𝙗𝙧𝙚𝙖𝙠𝙞𝙣𝙜 𝙤𝙛 𝙩𝙝𝙚 𝙨𝙞𝙡𝙚𝙣𝙘𝙚 -𝘈𝘮𝘦𝘭𝘪𝘢
26- 𝙏𝙤𝙩𝙖𝙡 𝙫𝙞𝙚𝙬 -𝘈𝘮𝘦𝘭𝘪𝘢
27- 𝙀𝙭𝙞𝙩, 𝙍𝙪𝙣 44- 𝘑𝘰𝘳𝘥𝘢𝘯
28- 𝙏𝙝𝙚𝙨𝙚 𝙢𝙤𝙢𝙚𝙣𝙩𝙨 -𝘈𝘮𝘦𝘭𝘪𝘢
29- 𝙄𝙣𝙘𝙪𝙗𝙪𝙨 -𝘈𝘮𝘦𝘭𝘪𝘢
30- 𝙍𝙚𝙫𝙤𝙡𝙪𝙩𝙞𝙤𝙣- 𝘈𝘮𝘦𝘭𝘪𝘢
31- 𝙒𝙞𝙨𝙝 -𝘈𝘮𝘦𝘭𝘪𝘢
32- ʸᵒᵘ 𝙥𝙪𝙩 𝙖 𝙨𝙥𝙚𝙡𝙡 𝙤𝙣 ᵐᵉ -𝘈𝘮𝘦𝘭𝘪𝘢
33- 𝙎𝙤𝙢𝙚𝙩𝙝𝙞𝙣𝙜 𝙩𝙤 𝙗𝙚𝙡𝙞𝙚𝙫𝙚 𝙞𝙣- 𝘈𝘮𝘦𝘭𝘪𝘢
34- 𝘼𝙧𝙞𝙖 𝙨𝙪𝙡𝙡𝙖 𝙦𝙪𝙖𝙧𝙩𝙖 𝙘𝙤𝙧𝙙𝙖 -𝘈𝘮𝘦𝘭𝘪𝘢
35- 𝙇𝙚𝙩 𝙞𝙩 𝙜𝙤 -𝘈𝘮𝘦𝘭𝘪𝘢
36- 𝙇𝙖 𝙩𝙚𝙧𝙧𝙚 𝙫𝙪𝙚 𝙙𝙪 𝙘𝙞𝙚𝙡- 𝘈𝘮𝘦𝘭𝘪𝘢

20- 𝙏𝙞𝙘𝙠 𝙩𝙤𝙘𝙠- 𝘈𝘮𝘦𝘭𝘪𝘢

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By AmelieQbooks

Quando mi sedetti in macchina accanto a Tamara ero sfinita. L'adrenalina e l'eccitazione per quella nuova esperienza lasciarono spazio alla stanchezza che salì in un battibaleno, nel preciso istante in cui il mio sedere toccò il sedile del passeggero. L'agitazione che si era impossessata di me nei giorni precedenti all'allenamento svanì non appena chiusi lo sportello e mi abbandonai a un sospiro di stanchezza. Avevo le braccia indolenzite dopo aver fatto volteggiare tutti quei bambini. Il cuore strabordava delle loro emozioni e del brivido dato da quella spirale fatta con Jordan.

«Scommetto che stasera non riusciresti a scappare per andare in discoteca.» Disse Tamara vedendomi in quelle condizioni.

«Dipende. Se dormi, potrei stupirti.» Non ero stanca per un po' di sarcasmo.

«Ti dice male, cara: c'è Lorelai in turno stanotte.» Mi avvisò.

«Allora sì, mi fiondo sotto le coperte e ci resto finché Elly domani mi sveglia.» Non sarei uscita lo stesso, ma ormai della nostra bravata ne ridevamo entrambe. Lei nel dormire, noi nello scappare, tutte avevamo capito i nostri errori. Una volta ammessi e con la promessa di non rifarli, avevamo iniziato a ricordare i fatti in chiave ironica.

Nella via del ritorno al Fairwinds me ne stetti tutto il tempo con il gomito appoggiato al piccolo portaoggetti nella portiera e lasciai la testa a ciondolare in equilibrio precario tra la mia mano e il finestrino. Guardavo le persone che rincasavano con la busta della spesa, altre che portavano a spasso i cani, coppiette mano nella mano. Finché, alla mia destra, li vidi: un sacco di ragazzi con lo zaino in spalla e libri sotto al braccio, giacche sbottonate, palloni da basket in mano, skateboard. Stavano uscendo dalle porte principali di un istituto dalle grandi vetrate, e nemmeno il tempo di ragionare su cosa fosse quella struttura imponente che notai un cartello blu che riportava delle scritte bianche: St. Petersburg College.

Dovevo considerarlo un segno? Era dalla prima pattinata al molo che nel mio piccolo rimuginavo sulla scelta di frequentare una scuola ordinaria in mezzo a gente normale. Non che fossi ingrata nei confronti del Daytona Skating Academy per avermi dato la possibilità di studiare privatamente permettendomi così di allenarmi per tutte quelle ore, ma Jordan quel giorno mi aveva detto che c'era una vita fuori dal palazzetto. Me lo aveva confermato alla congiunzione astrale. Avevo iniziato a bramarla dopo aver ascoltato i vissuti delle ragazze in clinica. 

I miei coetanei uscivano, si divertivano, interagivano tra loro, passeggiavano, ballavano, si ubriacavano.

Io pattinavo.

E basta.

Volevo scoprire il mondo. Quel pezzetto di vita che stavo perdendo e che mi reclamava a gran voce.

Quando rientrai fui travolta dal pot-pourrì della clinica. Mi venne dato giusto il tempo di farmi una doccia rigenerante. Poi fui investita dalla raffica di domande di Elly e Lisa. Vollero sapere tutto quel che era successo in pista. Raccontai loro più dettagli possibile, dalla gioia dei bambini, alla spirale con Jordan, a Martina che aveva abbattuto ogni muro per accogliermi a braccia aperte e offrirmi un primo lavoretto. Raccontai tutto quel che successe in pista, ma non raccontai del mio appuntamento in programma per una data ancora inesistente. 

Non raccontai nulla per il fatto che Jordan era di immonda bellezza e aveva sicuramente una schiera di ragazze che gli sbavavano dietro. Una buona parte le avevo viste alle gare quando gli chiedevano autografi aspettando che i più piccoli se ne andassero per lasciar spazio alle loro moine ammiccanti. L'avevo capito il suo interesse nei miei confronti. Ma chi mi assicurava che non fossi solo una casella da spuntare in una wishlist di ragazze da farsi? Kevin ce l'aveva, teneva traccia di ogni scopata con ogni ragazza diversa. Anche i protagonisti dei miei libri se ne passavano tante. Chi l'avrebbe voluta in modo serio poi, una ragazza rotta in uscita dalla psichiatria?

A cena all'interrogatorio senza fine delle ragazze si aggiunse pure il dottor Greg.

I fiori e il biglietto di compleanno erano diventati ormai il gossip principale di una struttura che aveva raggiunto livelli di noia stellari, e prima arrivare in pianta stabile sul mio comodino erano passati per le mani di tutti. Greg incluso.

«Alla Reed dovete spruzzare il ddt prima di mandarla in giro.» Si sistemò l'ennesimo maglioncino infeltrito. «Perché ha attirato il moscone.» Commentò sarcastico alludendo a Jordan.

 Avevo scoperto che il dietista si mostrava severo con tutte le nuove ragazze, per poi lasciarsi andare a battute e commenti man mano che il percorso della paziente procedeva in modo positivo. Nel mio caso, vedendomi completare pasto dopo pasto, non si permise mai di ironizzare sui comportamenti di mia madre, ma sfogò tutto su Jordan e sulla nostra fuga. "Se quest'aneddoto non riguardasse due mie pazienti, vi avrei definite due genie." Se la rideva, ormai, coprendosi sempre la bocca con la mano nascondendo chissà quale dentatura scolorita.

Dopo cena, passai la serata su google. Avevo passato in rassegna tutti i college di Daytona, spulciando meticolosamente la brochure online di qualsiasi corso di laurea. Con mia mamma avevamo deciso che avrei intrapreso gli studi legali, una volta finita la carriera sportiva. Da piccola ero sempre stata una bambina loquace, con uno spiccato senso della giustizia. Secondo lei, da come commentavo i punteggi spesso sbagliati che venivano dati dai giudici nelle gare che guardavamo in tv, sarei stata un buon avvocato. Ma i giudici di gara non ricevevano un compenso sufficiente per mantenersi con sole gare, per tutti loro era un secondo lavoro fatto per passione, non per arrotondare lo stipendio. 

Mia madre pensava che crescendo avrei lasciato da parte la timidezza e che in aula avrei tirato fuori la stessa grinta che sfoderavo quando in gara lo speaker annunciava il mio turno in pista. Diceva che tenevo nascosta la stessa lingua biforcuta di mio padre. Una potenziale ars oratoria che in lui, a differenza mia, aveva messo radici profonde ed era cresciuta illuminata dal narcisismo. Il mestiere dell'avvocato era sicuramente più redditizio secondo lei, mi avrebbe permesso di vivere una vita più che dignitosa. Sarebbe stato un lavoro completamente diverso da quello di mio padre, di certo meno in vista del suo. Mi ero convinta di questo.

Ma navigando nei siti dei college, l'occhio cadeva sempre su un solo specifico corso. Lo sguardo si soffermava sempre quell'attimo in più rispetto a qualsiasi altra proposta, e bastò un quel piccolo frangente di tempo per instillare il dubbio in me. Scienze dell'educazione. Probabilmente i bambini quel pomeriggio mi avevano condizionato troppo. Al punto da rendere opinabile qualsiasi piano prestabilito da anni. Era bastata una sola ora passata insieme a dei bambini. 

Com'era strano, il tempo. Anni e anni di programmi e una sola ora per stravolgere tutto. Così il giorno seguente decisi di portare questo dubbio nella stanza delle parole della Cameron.

«E' una bella cosa, fare progetti per il futuro, non credi?» Ilenia aveva il magico potere di saper fare le domande giuste al momento giusto. Non mi aveva mai detto cosa fare, ma con un semplice quesito era riuscita a farmi rendere conto di una cosa: ero entrata al Fairwinds senza alcun briciolo di desiderio futuro, e ora a quel futuro ci stavo davvero pensando. Lo stavo plasmando attraverso le mie scelte: dall'alimentazione, allo sport agli studi. Lo sentivo, che stavo guarendo.

«Sì, ma è così confusionario. Ho fatto da poco diciotto anni, come possono pretendere che sia già convinta di quale strada intraprendere per una vita adulta?»

«Il consulente scolastico serve a questo, Amelia. Ci sono un sacco di modi per aiutare voi ragazzi a scegliere college e università.»

«E se sbaglio? Se scelgo una facoltà che non mi piace? Se studio per anni con i pochi soldi di mia madre per poi scoprire che mi fa schifo? Cosa faccio, butto via tutto? Che poi ripensandoci, io sto bene in tuta da ginnastica. Mi ci vede in un'aula, vestita di tutto punto con delle scarpe che non siano Nike o Adidas?» Sputavo parole, ansie e preoccupazioni a ritmi che mi erano fin troppo familiari. Probabilmente la mia compagna di stanza mi aveva contagiato oltre il limite consentito.

«Amelia, fermati. Ti è concesso il cambio facoltà. Non è che il corso che scegli deve tassativamente portarti al lavoro della te adulta.»

«E buttare anni di studio così? Andrei fuori corso poi, la più vecchia in mezzo ad un gruppo di ragazzi di almeno quattro an-»

«Ferma, Amelia. Faccio la drastica: per caso hai i giorni contati? Muori domani?»

«Dio no, la prego.» Toccai il ferro del portapenne sopra la scrivania, perché restavo sempre una gran scaramantica.

«E allora, che problema c'è» disse aprendosi in un sorriso divertito «Hai tempo, se non ti piace il corso puoi cambiarlo, non è la fine. Che ne dici di prendere appuntamento con un consulente? Ti aiuterebbe in un colloquio orientativo. Posso darti il numero di qualche college qui in zona.»

Qui in zona?

«Ma io torno a Daytona. Sto bene ormai.»

«Oh, assolutamente no. Il fatto che tu abbia portato nella stanza un simile dubbio nei riguardi del futuro è un ottimo segno, ma non è che se oggi scegli il college io ti dimetto domani perché ormai completi i pasti.»

«Perché no?»

«A piccoli passi, ricordi? Tu vuoi farmi un passo enorme.»

La guardai male.

«Faremo così: se scegli il college, avrai la possibilità di frequentarlo. Parteciperai dapprima alle lezioni, ti accompagniamo noi o potrai usare l'autobus. Un po' alla volta ti staccherai da qui, frequenterai il college e vivrai l'esperienza nei dormitori venendo qui solo per le sedute di gruppo e con me. Se tutto andrà bene poi verrai dimessa ma...qualche mese ancora.» Gesticolò con le mani facendomi segno di andar piano.

«E i soldi?»

«Fin che sei qui, non te ne devi preoccupare. Quando tornerai a Daytona invece, verrai aiutata nel trasferimento da un punto di vista burocratico ma non economico. Non è il momento di pensarci. Se vuoi, possiamo intanto organizzare qui un colloquio con tua madre, per parlargliene. L'hai più sentita?»

«Solo su whatsapp. Una breve chiamata, ma il ghiaccio ancora non si è sciolto. Ha detto di voler fare terapia da sola, prima che con me.»

Le bastò quell'ultima frase per illuminarsi. «E' un meraviglioso atto d'amore la scelta di tua madre, Amelia. Vedrai che con il tempo la situazione si appiana.»

«Ci spero.» Ci speravo davvero. Nonostante tutto provavo nostalgia al pensiero delle nostre serate sul divano a guardare insieme le gare di pattinaggio che lei registrava. 

Se ero ad allenamento e non potevo seguirle o se erano gare dall'altra parte del mondo lei si alzava di notte, in base al fuso orario del posto, per registrarle in modo da poterle guardare insieme appena ne avessi avuto il tempo. Li avevo collezionati tutti quei dvd, li custodivo con gelosia. Erano la mia personale biblioteca artistica. Ascoltavamo insieme musiche non cantate, perché erano le mie preferite. Sceglievamo le più belle, quelle che mi davano più emozioni, per poterle poi proporre ad Audrey e Kevin per i programmi di gara che venivano cambiati ogni anno. 

Disegnavamo insieme i costumi, che fossero elaborati body di gara o più semplici body da allenamento, divertendoci a fantasticare su innovativi accostamenti di stoffe e nuove sfumature di colore. La scelta finale poi, era sempre stata nelle mani di Audrey, ma a noi quel passatempo piaceva un sacco. Sotto al mobile tv, in salotto, custodivamo sia i dvd che lo scrapbook con tutti i nostri disegni. Erano queste le cose che mi mancavano di lei.

«Puoi andare, ora. Mandami la Davis quando scendi. E ricordati che qualsiasi corso tu scelga per il college, io ci sono.» concluse sistemandosi la giacca.

«Grazie doc.» Me ne andai stravolta e rallegrata come ogni volta al termine delle sue sedute. Più cose portavo nella stanza, più mi stancavo, più l'animo si alleggeriva. Scese le scale, avvisai Ellison che era il suo turno per la seduta con la Cameron e mi catapultai sul divano accanto a Lisa, che faceva zapping con le altre. Dal mio ingresso avevamo ormai visto tutte e sei le stagioni di Gossip Girl e una quantità esorbitante di film: dai classici Disney agli horror d'autore, ne avevamo visti davvero tantissimi, e da qualche giorno ci trovavamo a girare di canale in canale senza mai trovare niente di interessante.

In quei giorni Lisa studiava come un'ossessa per prepararsi ai test della scuola di moda di gennaio. Passava intere giornate nelle aule studio al piano superiore. Voleva farcela a tutti i costi per investire i soldi guadagnati con il lavoro che l'aveva portata al Fairwinds in qualcosa che le desse un futuro soddisfacente. Voleva dimostrare ai suoi genitori che era in grado di farcela con le sue forze, anche se non sarebbe diventata medico come loro. Quando finiva la sua sessione di studio era talmente stanca che riuscivo addirittura a batterla a scacchi, anche se con una certa difficoltà da parte mia.

Elly tornò in sala dopo la fine del colloquio con una camminata strana e le mani unite dietro la schiena. Le brillavano gli occhi d'impazienza, ma stringeva un sorriso tra i denti. Sembrava volesse saltellare, ma si conteneva in ogni modo possibile. Pensai addirittura che stesse per farsela addosso, ma se il problema fosse stato quello sarebbe andata a chiedere le chiavi del bagno in infermeria, non in salotto da noi. 

«Vi devo parlare.» disse emozionata invitando me e Lisa in zona notte. Scattammo in piedi e la seguimmo in camera nostra, dove ci aspettava tremante tenendosi stretta alla porta, come se non avesse scelta. Appena ci avvicinammo, ci spinse dentro la stanza con fare irrequieto e la richiuse forte alle sue spalle.

«Mi dimettono!» disse scalpitando sui piedi e con la voce ridotta a piccoli stridolii acuti.

Ellison. Chiusi gli occhi perché il mio cervello aveva preso ad andare a mille. Pensieri puri e pensieri cruenti che avevano iniziato a scontrarsi e fare a botte tra loro. «Dimmi solo quando.» Quella con Elly era una convivenza forzata che andava avanti da settimane. E nelle circostanze che mi avevano obbligata a condividere gli spazi e la vita con una perfetta sconosciuta, io ci avevo trovato il valore di una vera amicizia. Egoisticamente, mi addolorava il pensiero che di lì a poco non l'avrei più avuta accanto giorno e notte. 

«Tra un mese, verso metà dicembre.» Un respiro e riaprii gli occhi. Lisa la stava già abbracciando commossa e mi aggiunsi anche io perché di quel dualismo, alla fine, prevalse la gioia di un percorso riuscito e la guarigione dell'animo più puro che avessi mai incontrato. Dopo anni ricoveri e ricadute, se lo meritava.

«Ti resterò sempre amica, Amy.» Aveva capito quel che provavo. «Verrò qui a prenderti, quando sarà il tuo turno. E' una promessa.» Disse solenne prima di sciogliere l'abbraccio.

Dopo quella giornata dal sapore agrodolce, dopo la consegna di un telefono che accesi e non guardai nemmeno, Elly ci spiegò i suoi progetti per i mesi a venire, e scoprii che pur differendo nei tempi, erano simili ai miei. Era già iscritta al college e frequentava il corso di psicologia. Essendo ricoverata, aveva la possibilità di seguire le lezioni online, ma Elly non era affatto una studiosa. Aveva sempre giustificato le sue assenze usando il jolly della paziente bipolare anoressica, e aveva funzionato ogni volta. Quel giorno si ritrovò di fronte alla scelta di mettersi in pari con il semestre oppure saltarlo completamente. Inutile dire che si buttò a capofitto sulla seconda scelta.

Ci parlò delle sue scarpette da danza. Appese alla maniglia dell'armadio dal suo ingresso al Fairwinds, non vedeva l'ora di poter uscire per rimetterle. Aveva già calcolato mentalmente che, se fosse davvero uscita a dicembre, sarebbe riuscita a partecipare alle prime prove del saggio di giugno. Non sapeva se, come nelle edizioni cui aveva preso parte, sarebbe riuscita a interpretare uno dei ruoli principali, non sapeva nemmeno che balletto avrebbero preparato. Ma di una cosa era certa: voleva me e Lisa tra il pubblico, quel giorno. Anche se, dati i mesi di inattività dovuta alla malattia, era convinta che il suo ruolo sarebbe stato quello di reggere la scenografia.

Ci parlò di Steven. Con quel ragazzo bizzarro quanto lei stava davvero nascendo qualcosa di profondo, che Elly non vedeva l'ora di esplorare tra serate spensierate e momenti più intimi, senza il controllo del fratello.

Alla fine della chiacchierata, ero comunque sollevata, perché se era vero che avrei potuto frequentare qualche college a Clearwater ero fiduciosa del fatto che il rapporto creatosi tra noi avrebbe avuto una sua evoluzione anche al di fuori del Fairwinds, magari di fronte alle tazze del caffè che tra quelle mura ci era negato. 

Poco prima di riportare il cellulare in infermeria, il telefono vibrò di nuovo. Era Jordan.

J: Vaffanculo, piccola Reed.

Potevano tre sole parole stridere in quel modo tra loro? In quelle sole tre parole ci avevo letto rabbia e carezze, maleducazione e dolcezza. La bilancia non sapeva quale piatto tra i due fosse il più pesante.

A: ???

Tre punti di domanda per tre parole. Una risposta che risposta non era, una richiesta di spiegazioni per quel modo brusco e delicato allo stesso tempo. Percorsi il corridoio della zona notte avanti e indietro, nell'attesa nervosa di una risposta che tardava ad arrivare. Tenevo la chat aperta e vi leggevo quel continuo sta scrivendo... che continuava ad apparire a intermittenza. Non so quanto tempo passai così, ma quando sentii il suono della notifica l'illuminazione dello schermo era già attiva e il mio sguardo già puntato sul punto preciso in cui comparve la nuvoletta.

J: Non riesco a toglierti dalla testa.

Respiravo ancora benissimo, il mio stomaco era integro. Ma il cuore, quel muscolo che i medici mi controllavano annualmente, quello così forte che mi permetteva di reggere quattro minuti e trenta di gara e prove di resistenza estenuanti, quello perse sicuramente un battito. 

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