Cocci Di Vetro - ( Romance )

By SARaAnDKOo

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Liam e Jasmine si conoscono dall'età di tre anni, con un passato doloroso, pieno di aghi e traumi che sarebbe... More

CAST
CAST 2
DEDICA
PROLOGO
CAPITOLO 1
CAPITOLO 3

CAPITOLO 2

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By SARaAnDKOo

Jasmine


In quel momento pregai inutilmente che il prof Wilson non pronunciasse quelle maledette parole, ma alla fine, come sempre, la sfortuna ebbe la meglio. «Va bene, Liam».

Ero giunta a New York da circa qualche settimana, ero riuscita a sistemarmi e nel mio piccolo ad orientarmi in qualche modo, almeno nelle strade essenziali.

Questo, invece, è il mio primo giorno di università, che poteva andare decisamente molto meglio di così.

Tutto iniziò alla grande, riuscii a trovare l'unico posto libero, ovvero un angolino in ultima fila. Il posto perfetto per me.

Andò tutto alla grande , finché non incontrai gli occhi di colui che pensai non poter mai più vedere:

quelli di Liam.

In quel momento il mondo si fermò, le persone cominciarono a svanire dal mio campo visivo e la stanza iniziò a sembrare sempre più ristretta da farmi soffocare.

Mi sentivo come attratta da una calamita invisibile ma allo stesso tempo pesante e dolorosa.

I suoi tratti si erano fatti più duri, non più come quelli di un bambino. Gli occhi erano sempre gli stessi, color cioccolato coperti da qualche punta delle ciocche corvine dei suoi capelli. Anche loro non erano cambiati.

Risultava un ragazzo forte, il classico tipo di cui stare alla larga o sai già come finisce.

Ma a me quella maschera non spaventa, non più.

Non io che so ciò che lui ha passato.

Il contatto visivo fu subito interrotto dal rumore della sedia che strisciò nel pavimento e vidi lui alzarsi aspettandomi vicino all porta con atteggiamento strafottente e le braccia incrociate al petto.

Giusto, dimenticavo.

Mi alzai anche io, con più delicatezza, e a passo lento camminai accanto a lui, ed ecco che in un secondo eravamo già fuori dall'aula. Per giunta soli.

«Cosa ci fai qua?» Sbottò Liam fissando davanti a sé. Sembrava irritarlo la mia presenza, lo riconobbi dall'espressione fredda dei suoi occhi e la mascella tesa.

«Ma... non dovevi farmi vedere la scuola?» Alla mia domanda lui si girò con fare derisorio e mi guardò dall'alto al basso morsicando si il labbro per non scoppiare a ridere.

«E tu pensavi davvero che io sarei stato così gentile da farti vedere la scuola?» Rispose divertito, questa volta guardandomi negli occhi cercando di intimidirmi con i suoi giochetti.

«Si... insomma, il professore voleva mandare Chris e ti sei offerto tu ad andare con me» Abbassai lo sguardo nel dirlo, non riuscivo a capirlo, perché si comportava in questo modo adesso? Fino a poco fa ha lottato contro il professore per farsi mandare lui e adesso viene a dirmi che non è così?

«Piccola ingenua» gli scappò una piccola risata. «L'ho fatto solo per sapere che cazzo ci fai tu qui, non di certo per le tue sciocchezze». tenne lo sguardo ancora ancorato al mio.

Avevo gli occhi lucidi, volevi scappare. Che razza di situazione è questa?

«Cosa ci faccio qui? A studiare, ovvio» mi giustificai tentando di scappare dai suoi morsi.

«Nella mia città, nella mia stessa scuola, nella mia stessa classe... Ti voglio fuori dai piedi, non so se ti è chiaro, Jasmine.» questa volta sbuffò, l'espressione divertita di prima lasciò il posto ad un'altra mostrando che non aveva nessuna intenzione a rimanere qua a parlare.

«Senti, Liam, io non sapevo dove tu abitassi o dove studiassi, non volevo perseguitarti se è questo ciò che stavi pensando, e dopo tutto questo tempo per te è il modo di salutarmi? Così?» sbottai infastidita.

Si portò una mano all fronte e lo vidi cercare di trattenersi. «Come avrei dovuto salutarti, quadrifoglio? Avresti voluto un saluto del tipo "Ma ciao! da quanto tempo tesoro mio, mi sei mancata tantissimo, non vedo proprio l'ora di vederti ogni giorno, vieni ad abbracciarmi!"» Rise prendendosi gioco di me, non era affatto cambiato.

Mi aveva chiamata ancora una volta quadrifoglio un nomignolo che utilizzava quando da piccoli lui mi prendeva in giro, non avrei mai pensato che se lo ricordasse ancora, e l'idea di sentirlo nuovamente mi infastidisce parecchio, ma non me ne curai.

«Sei il solito stronzo», mi scappò. Non ero solita ad usare certi termini, ma lui mi faceva sempre arrivare al limite. Ogni volta.

«Non sono mai cambiato. E non cambierò nemmeno per te».

«E chi ti ha detto che devi cambiare per me?» incrociai le braccia e lo guardai con atteggiamento di sfida. dovevo farmi valere e fargli capire che io sono cambiata.

«Ma guarda un po'. Cambi personalità da un momento all'altro? Soffri per caso di qualche disturbo?» Tentò di sfidarmi con un sorriso tirato. Lo odio. «Oppure...» Avanzò verso di me e la nostra distanza quasi si azzerò. riuscivo a sentire il battito cardiaco rimbombare nelle orecchie, non so dove si trovava, se nello stomaco, in gola, o chissà dove. «... Stai cercando di giocare?» Continuò con gli occhi saldi sui miei.

Aveva evidenziato l'ultima parola. Ma cosa intendeva con giocare?

Corrugai le sopracciglia e lo guardai confusa, cercando di capirci qualcosa dentro ai suoi occhi, purtroppo, però, non ci trovai nessuna risposta.
Sapevo capire le persone, ero molto empatica con tutti.

Ma non con lui.

Con Liam tutto è diverso, se gli si sta affianco il mondo cambia, le persone spariscono ed esiste un unico mondo, come se fossimo in un'altra realtà e nessuno può vederci.

«Giocare?» Gli domandai finalmente incredula dopo secondi quasi interminabili. Mi ero persa nei suoi occhi inconsapevolmente senza accorgermene.
Che idiota.

Sbuffò e improvvisamente il suo atteggiamento cambiò, se prima nei suoi occhi c'era una piccola luce tra tante ombre, ora vedo solo l'oscurità.
La mascella era nuovamente testa e il respiro quasi gli si mozzò.

Ero visibilmente nervosa non sapendo che gli fosse preso.

«Liam... » Tentai in qualche modo di attirare la sua attenzione, sembrava da un'altra parte tranne che qui, vedevo la sua mente viaggiare altrove, mi stava spaventato tanto che iniziai a tremare. «Liam, mi stai spaventando, per favore...»

Niente da fare. Era immobile, la mascella sempre più tesa, le mani sono chiuse a pugno e le stava stringendo così forte che le nocche erano bianche come il latte.

Stavo andando nel panico più totale, cercai di pensare a cosa ho detto di sbagliato ma non riuscivo ad arrivarci.

ricordai i suoi occhi cambiare e le sue pupille rimpicciolirsi quando pronunciai la domanda "Giocare?", si staccò da me distanziandosi e guardarmi con terrore.

Mi avvicinai ancora a lui cercando la sua attenzione. «Liam, ascoltami...» lo toccai e sussultai quando mosse il braccio con violenza per impedirmi di toccarlo.

i suoi occhi saettarono sui miei, spalancati e profondamente bui.

Ebbi un tuffo al cuore. Che cos'ho di sbagliato? Perché puntualmente rovino sempre tutto?

Sono un disastro.

Lo guardai, lui mi guardò. Io ero ferma e lui era fermo. Non sapevo che fare, la sua mente viaggiava in un mondo lontano e io ero qui, impaurita.

Iniziai a tremare ancora di più.

Che si fa in queste situazioni?

Santo cielo.

«M-mi puoi spiegare cosa sta succedendo?» Parlai ancora, ma sempre senza ricevendo alcuna risposta. «Se ho detto qualcosa di sbagliato, scusa, non era mia intenzione, davvero...»

Feci un'altro passo avanti, facendo attenzione ad ogni suo minimo movimento. Il suo respiro è accelerato e irregolare, riesco persino a sentire il battito del suo cuore che va impazzato. Ogni muscolo è teso e le vene sono gonfie quasi da esplodergli.

«Ti ha detto fastidio la parola... Giocare?» azzardai. Ed era meglio se non ripetevo quella dannata parola, ormai, però, era troppo tardi.

«Non pronunciare mai più quella parola!» urlò a un soffio da me. Il modo in cui l'ha detto ha quasi fatto tremare la stanza.

Rimasi scioccata con gli occhi sgranati e le lacrime che minacciavano di uscire.

«P-perché...» Quasi la mia voce era inaudibile, ma forte abbastanza per essere sentita da lui.

«Non te ne deve fregare» rispose subito. «La mia vita non ti riguarda, come tu non mi riguardi» sobillò a denti stretti sfiorandomi il viso. «Capito, Jas?» tale suonò più come una minaccia che un avvertimento.

«È una minaccia?» Le mie sicurezze crollarono giù e ripresero a impossessarsi di me solo le insicurezze. Odiavo quella parte di me, ci ho messo gli anni a mettermi sopra una pelle nuova, ma bastava comunque un niente a mostrare quella ragazza rotta che ero.

E lui sorrise.

«Una specie. Ma ti conviene starmi lontano per davvero, quadrifoglio.»

Ancora quel dannato nomignolo.

I ricordi mi passarono davanti agli occhi come un film, il ragazzo di fronte a me cambiò aspetto dal nulla, più facevo passi in dietro più lui diventava piccolo.

I tratti si addolcirono, il viso divenne più tondo, gli occhi con il solito tratto allungato non persero quel velo di paura.

Indietreggiai ancora con il fiato corto e urtai contro la parete. Non vidi più il corridoio di scuola, no. Vidi soltanto un giardino, e il mio angolino preferito.

Ma davanti c'era lui, con il mio quadrifoglio nella mano chiusa a pugno.

Provai ad andare ancora più in dietro ma la parete me lo impedì. Tentai di chiudere gli occhi, mi accovacciai a terra a causa di un emicrania improvvisa.

Non riuscivo nemmeno a spicciare parola, ero bloccata in un limbo, non sapevo realizzare cosa stava accadendo a me ora.

La maestra Morgan era impegnata a prendersi cura di George, un nostro vecchio amico d'infanzia.

Era solito a sporcarsi sempre di fango, robusto e pasticcione, un bambino sempre allegro e sociale.

«George...» Iniziai a piangere mentre tutto il passato ritornava a tormentarmi e a uccidermi.

«Cosa? George?» Avvertii una voce profonda, ma non vedevo niente oltre all'asilo, un Liam di quattro anni, George, Morgan e tutti gli altri bambini.

Ma tutto collassò quando gli occhi azzurri di Morgan si posarono su di me.

Mi scrutarono piano con una falsa gentilezza nel volto, dai piedi, alle ginocchia sbucciate sino ai graffi nel viso.

Il cuore iniziò a battere sempre più forte che riuscivo a sentirlo nelle orecchie.

Si alzò dalle ginocchia e a piccoli passi venne verso di me, sempre più vicino, togliendomi libertà e sogni ad ogni passo.

«No, no...»

«Piccola Jasmine, ti sei di nuovo procurata dei graffi?» chiese con la stessa delicatezza di una madre, ma dentro aveva un demone. Era molto brava a fingere.

Tacqui.

Guardai in basso nelle mattonelle, sperando che un giorno sarei diventata invisibile.

«Rispondimi. Te li sei fatta tu quei graffi?» Insisté.

Strizzai gli occhi cercando di non piangere. non dovevo piangere. Non potevo piangere.

Sono una bambina forte, c'è la posso fare, sono più forte di lei. Non succederà niente, né a me né a Liam. Andrà tutto bene.

Andrà tutto bene, Jasmine.

Mi afferrò un polso e sforzò un sorriso per non fare sospettare nessuno di quello che avrà sicuramente fatto a breve.

Dovrà esserci pure Liam?

Appena la sua mano venne a contatto con la mia pelle avvertii una forte nausea e mi vennero i conati di vomito.

Dio, odiavo essere toccata, specialmente da lei.

«Sai... solo le bambine cattive non rispondono alle domande. E tu lo sei».

«No, non sono cattiva! Non sono cattiva, sono brava, lo sono sempre stata!» Urlai, ma colei non era la bambina, ero io, quella di adesso.

«Jasmine!» Mi arrivò alle orecchie la voce profonda di prima, ma non vidi di nuovo nessuno.

Morgan tornò a guardarmi negli occhi, tutto quello che desideravo era non vederli più.

Quando mi guardava mi sentivo sporca, rotta, uno scarto.

Perché lei aveva scelto me, e non un'altra persona.

«Bene bene bene» forzò la presa sul mio polso fino a stringerlo completamente. «Deduco che tu non abbia imparato la lezione» pronunciò a denti stretti, ma col solito sorriso.

«No, non farmi del male, ti prego...» le braccia tremarono e le mani le portai ai capelli subendo quell'incubo a occhi aperti.

Liam se ne stava fermo e zitto a guardare il tutto. Era visibilmente impaurito anche se forse oggi non sarebbe toccato a lui, spero. Allora perché aveva tutta quella preoccupazione in volto?

Cercai un rifugio in lui, forse guardandolo sarei riuscita per qualche secondo a dimenticarmi della presenza di Morgan proprio davanti a me.

Lui stringeva il quadrifoglio in mano come se fosse la cosa più preziosa al mondo, spero lo terrà, è segno di fortuna... Magari qualcosa di bello succederà un giorno grazie a quella piantina.

Lo guardai negli occhi ma non ci trovai nessuna pace. Trovai solo uno specchio.

Eravamo rotti entrambi, non ci saremo mai dati pace a vicenda.

Dal nulla qualcosa mi strinse, qualcosa di invisibile, due grandi braccia si chiusero attorno al mio corpo.

Abbassai il capo per vedere di chi si trattasse, ma niente. ancora una volta non vidi nulla, solo il mio piccolo corpo tutto graffiato e arrossato.

Una lacrima mi rigò la guancia.

Cavolo.

Le labbra di Morgan si alzarono vittoriose in un sorriso e incrocio le braccia al petto guardandomi come se fossi il suo giocattolo.

«Quante volte ti ho detto che le brave bambine non piangono mai?» pronunciò. La voglia di scomparire da questo mondo si fece ancora più grande.

«I-io sono brava...» ma quello che uscì fu solo un singhiozzo su un'altro. Lei se ne accorse e fece una risatina ad effetto. Non l'avrei mai dimenticata.

Mi sentivo bruciare dalle occhiate di Liam, non smetteva di fissarci nemmeno per un secondo, aveva la pelle d'oca anche lui.

Un giorno saremo liberi?

Questa è la domanda che sempre mi ponevo da bambina, e la risposta ancora non la so. A dire il vero la sto ancora cercando, non so dove, non so da chi.

Lei non ci ha mai abbandonati, resterà per sempre sulle nostre anime sporche.

«A me pare proprio di sì...» L'altra sua mano mi sfiorò la guancia sinistra iniziando a toccarmi i capelli. Il mio cuore fece una capriola, forse alla bambina, o forse a me. «... E credo che necessiti di una bella punizione, ma tranquilla» Cambiò del tutto espressione fissandomi truce. Lì il mio respiro si fermò.

«Non ti farò del male».

«No no no no no, ti prego, no!» Urlai con la gola secca e due mani mi portarono alla finalmente realtà.

La vista tornò piano piano a stabilizzarsi del tutto, era annebbiata dalle lacrime e gli occhi bruciano. Stavo tremando come una foglia, ero seduta incollata al murk dietro di me.

Il respiro è affannato ma cercai una salvezza nelle iridi nocciola dinanzi a me, alle sue braccia scolpite dalla maglia aderente e delle mani calde che cercarono di tranquillizzarmi.

Passarono secondi, minuti interminabili, avevo perso la cognizione del tempo, tuttavia esso non mi importava, in quel momento mi sentivo bene.

«D-dov'è lei?» Chiesi all'unica persona che poteva capirmi, che poteva dare un senso ai miei incubi e alle mie persecuzioni.

«Non c'è, Jasmine. Non c'è più ormai».

«Ma... Io l'ho vista, era qua, tu c'eri e ci stavi guardando, ho visto anche George!» Diedi una spiegazione.

Lui sospirò e abbasso lo sguardo a terra, ma senza mai lasciarmi.

«Non pensarci» Si limitò a dire, freddo, distaccato ma comunque presente.

«Come faccio a non pensarci? Ho visto tutto, lei non se n'è andata!» Alzai di più la voce, sperando che nessuno ci sentisse.

Ci fissammo di nuovo negli occhi senza dirci una parola.

«Ti piacciono le sfide, Jas?»

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